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Autore: Brume    13/12/2021    9 recensioni
Prendete alcuni attimi del manga, anche distanti tra loro nel tempo.Prendete una frase buttata li, un ballo, una delusione e due innamorati che ancora non sanno di esserlo e... tante rose. Condite il tutto con dosi massicce di vino atte a dimenticare qualcuno ed un bacio dato sotto le stelle: ecco, ci siamo.
Storia senza una collocazione temporale precisa e nessuna pretesa storica, collocata agli inizi del 1780. Un What if? e tanta fantasia.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Eccoci giunti, come anticipato, alla fine.
Come mio solito ho preso e mescolato pensieri, parole, cronologie, sentimenti anticipando o posticipando situazioni che, tecnicamente, avrebbero dovuto seguire altre strade.
A chi ha avuto la pazienza di seguirmi, a chi ha letto e poi ha deciso che non è affar suo, grazie sempre e comunque; così come dico grazie a chi ha dedicato il proprio tempo per lasciarmi una parola, un consiglio, un punto di vista.
Grazie a tutti.
Barbara
 


Una finestra, in mezzo alla stanza, era tutto ciò che poteva dare aria e luce a quel luogo dove Andrè giaceva, dolorante, nel suo letto. 
Una finestra che gli aveva mostrato molte albe ma che ora, era stata coperta  da pesanti tendaggi per permettergli di riposare,  affinchè la luce non andasse a dargli fastidio all’ occhio offeso.
Oscar, accanto a lui, gli teneva le mani; china ormai da un paio di ore su quel corpo esanime, gli occhi  le cominciavano a pesare.

Intorno a loro, nel corridoio oltre la porta che di solito raccoglieva voci, risate e pettegolezzi dei domestici tutto era silenzioso;  a malapena si udivano i passi di chi, pian piano, si alzava per raggiungere le scuderie piuttosto che le stalle;  tutto era avvolto , ovattato da un irreale silenzio. Perfino la nutrice era riuscita a calmarsi ed ora riposava sulla poltrona accanto al camino; erano soli, di fatto, lei ed Andrè.
“....Brucia…. il mio occhio…brucia” furono le prime parole che sentì Oscar dalla bocca dell’ uomo. Istintivamente strinse ancora più le mani di Andrè e sorrise, sollevata in ogni caso nel  saperlo cosciente e sveglio.

“Andrè….sono io. Mi riconosci? Ti prego, perdonami” disse curva su se stessa, sentendosi in colpa.
Se io non avessi voluto, a tutti i costi, incaponirmi  in questa cosa…

“Oscar, non ti angustiare …sai, sono felice che…che non sia stata ferita tu: se è per il tuo bene, …cosa vuoi che sia…un occhio!” disse Andrè, quai leggendole dentro e, con uno sforzo, riaprendo l’ occhio sano.

Io…io ti ho messo in pericolo e tu…ti preoccupi per me, per i miei occhi?pensò Oscar; poi, sentendosi avvicinare ancora le lacrime che assolutamente non voleva mostrare all’ uomo, si alzò. Sconvolta da quelle parole fece alcuni passi, andando ad inciampare in una sedia. Il movimento svegliò la nutrice che, vedendo ripreso il nipote  corse al suo capezzale.
“...Io…io vado a prendere un pò di aria” disse quindi  Oscar, ufficialmente per lasciare i due congiunti un pò da soli ma, soprattutto, per sfuggire a quelle parole che , man mano passava il tempo, le erano arrivate nel cuore, nella testa, nello stomaco….

 

Andrè tuttavia, la fermò.
 

“Resta, Oscar, ti prego” disse con tono fermo, sicuro, frase seguita da alcune parole che nonna e nipote si scambiarono parlando nel dialetto della loro regione,  che di tanto in tanto usavano  un pò per non farsi capire dagli altri un po per vezzo; la vecchina, infine, si mosse e dopo aver dato un’ occhiata colma di dolore ad entrambi, uscì.
 

Cosa stava accadendo, perchè all’ improvviso tutto era così… calmo ed allo stesso tempo le procurava quell’ inquietudine? Oscar si passò una mano sui capelli e poi sul viso stanco; con la manica di camicia raccolse alcune lacrime all’ angolo degli occhi.

“Andrè… come stai? ”chiese, mordendosi la lingua subito dopo per la stupida domanda che aveva fatto; lui però trovò la forza di sorridere.
“...Mi dispiace, avrei dovuto essere più attento” disse.
La sua voce , stanca, tentava di essere forte ma in realtà continuò a cedere, come  avesse la gola graffiata. Oscar si avvicinò a lui; aveva anche l’ occhio sano chiuso, ora, ed il petto nudo coperto solo da lenzuola chiare si sollevava e abbassava in continuazione, velocemente.
“Stai tranquillo, Andrè. Si risolverà tutto” le disse allora lei;  un pò titubante, un pò timidamente, riprese quelle mani che ora lui teneva incrociate sul ventre.

Il rumore del vento, fuori, si fece meno forte; la vita stava riprendendo il suo ritmo, a palazzo.
Entrambi  rimasero silenziosi, impacciati per quella vicinanza.
Le loro orecchie udirono alcune voci.

“Marie ha perso ancora una volta il cavallino che le hai intagliato” disse Oscar sentendo la voce di una  bambina, probabilmente la figlia di Jean, una delle cameriere.

Sorrise, ripensando a quando anche loro erano  bambini.
 

“Ti ricordi, Andrè? Ricordi quando sei arrivato qui? Avevi più o meno la sua età” disse.
Un lieve sorriso comparve sul suo viso.

Andrè cercò di sorridere a sua volta; il ricordo del suo arrivo in casa Jarjayes richiamò alla sua mente la morte dei propri genitori, ma non disse nulla, per non turbare Oscar. Aveva cose ben più importanti da dirle.

“Oscar, ascoltami. Ho…ho qualcosa di importante da dirti” disse, invece, cercando di schiarirsi la voce. 
Lei trasalì.

“Che…che cosa c’è, Andrè?” domandò.
Una carrozza si fermò poco distante da quella finestra ed Oscar sentì la voce inconfondibile della madre, Madame Georgette, emergere.
Andrè prese un panno che teneva a portata di mano e con fatica lo portò sul viso. Oscar intercettò i movimenti e glie lo tolse di mano, andandolo a sciacquare nel catino li vicino; poi, furono le sue mani a passarlo quasi timoroso sul viso di Andrè.
“...Oscar, io….io ho intenzione di andarmene, da qui. Ora che sono…ora che il mio occhio è offeso, forse compromesso…non ho più nulla da fare. Non ti sarà più…utile” disse. 

 

Oscar lasciò cadere ciò che teneva tra le mani.
 

Andrè tu…tu non puoi!…perchè…perchè vorresti andare via? Perchè…perchè vuoi lasciami sola? pensò; ma tali parole non oltrepassarono mai le sue labbra.
Andrè era stanco, visibilmente stanco. 

Probabilmente la febbre stava ulteriormente salendo.
Le mani di Oscar iniziarono a tremare, senza che lei potesse controllarle.
 

“Stavi dicendo quello, a tua nonna?” chiese con tono grave, gli occhi bassi.

Andrè, con uno sforzo, cercò di muoversi e girarsi su un fianco. Oscar lo lasciò fare e gli aggiusto le coperte sul petto; le dita sfiorarono la pelle nuda dell’ uomo.
“No. Gli ho detto di lasciarmi fare, di lasciarmi dire ciò che da troppo tempo tengo nel cuore” rispose , semplicemente. Le sue labbra si aprirono in un sorriso. 

Oscar, istintivamente, si allontanò da lui.
Il fiato le mancò improvvisamente.

“Forse…forse sarebbe meglio parlarne quando tu starai meglio.Questo…è tutto  ciò hai nel cuore?” domandò.
Le mani della donna presero a giocare nervosamente con alcune frange della fusciacca, attendendo per alcuni minuti una risposta che non arrivò.

Oscar, preoccupata,si avvicinò ulteriormente a lui e tastò la sua fronte: scottava, scottava davvero tanto.
Prese ancora quel panno, lo rinfrescò, tamponò delicatamente il viso stando attenta alla ferita; poi, uscì dalla stanza. Sarebbe andata a chiamare il dottore. 

Appena uscita dal comparto riservato alla servitù, si recò allora  nella sala dove aveva sentito provenire la voce della madre, che trovò effettivamente in compagnia del Generale.
“Mi duole disturbarvi…Andrè sta ancora male. Esco per chiamare il medico” disse; senza aspettare risposta, fece per uscire quandoincrociò la nutrice, che la fermò.
“Nanny! Non sei rimasta a riposare?” domandò infilandosi la giacca ed afferrando il mantello; lei negò.
“Mademoiselle…vi stiamo dando troppo disturbo; lasciate che curi da me mio nipote, non vogliamo pesare sulle vostre casse” disse.
Oscar,  vestita di tutto punto, non volle nemmeno ascoltarla: lei, per il suo Andrè, avrebbe fatto di tutto.
Salutò ed uscì, e corse, corse  come quella notte, come avesse chissà quale nemico alle calcagna; corse nel freddo di quella mattina di gennaio, incurante di tutto e tutti.
 

Devo salvare il mio Andrè continuava a ripetersi, come una nenìa. Devo salvarlo a tutti i costi, anche se lui…anche se lui se ne andrà lontano da me!

Andrè.
Lontano.
 

All’ improvviso…si fermò.
No, il suo Andrè non doveva…non poteva andarsene via così: ma cosa poteva farlo per impedire questo? Sarebbe andata magari da suo padre e , così come di solito gli riferiva di dispacci ed esercitazioni, gli avrebbe parlato di quel sentimento che ora stava sbocciando nel suo petto, consolidandosi sempre di più, lacerando il suo petto, imolorandolo di fermare Andrè?
Il panico si diffuse in lei, ed iniziò a piangere. Ancora.
 

Pianse. 

Urlò.

Scese da cavallo,  tirò calci ai sassi; maledisse quel Cavaliere Nero, il proprio cuore, il suo essere nata donna. Maledisse sè stessa, i suoi sentimenti.
Maledisse l’ amore, senza il quale tutti, ma proprio tutti, sicuramente avrebbero vissuto meglio o almeno così credeva.
Poi, una volta ripreso un po di fiato, risalì a cavallo e raggiunse l'abitazione del medico, invitandolo a venire quanto prima a casa Jarjayes.

 

Per due giorni e due notti Andrè rimase a letto, scosso da fremiti, senza che nulla potesse essere fatto; bisognava attendere.
Attendere e basta che l’ infezione passasse, somministrando del laudano per alleviare le sue sofferenze.
Ma ad Oscar quell' attesa sembrò infinita; sembrò che il tempo si fosse fermato. A nulla servirono le preghiere della nutrice: Oscar, non sta bene che tu passi così tanto tempo qui, con quel tono confidenziale, in continuazione.Lei, accanto ad Andrè, voleva restare; quindi, nemmeno prese  più a risponderle,  alla donna.

Finalmente, il terzo giorno lui riprese conoscenza.
La tumefazione sul volto si alleggerì, la ferita sembrava non perdere più sangue ed  il viso era roseo, disteso. Ora Andrè dormiva di un sonno vero, profondo, come quando erano bambini, lasciando leggermente discostate le labbra.
Ecco, ora posso respirare, Ora posso riposare  si disse Oscar in quel momento;  sorridendo, quindi, accarezzò quel viso.
 

"Sei tu, Oscar?" chiese con voce calma Andrè, quasi spaventandola.

"Si. Come ti senti, ora?" 

Andrè liberò le braccia dalle coperte e con le mani cercò quelle di Oscar.

"Bene, Oscar….almeno credo. Dimmi...sei sempre stata qui, vero?"

" ...Si" 

"...non avresti dovuto. Avresti dovuto cercare...quell' uomo. Prenderlo e…consegnarlo alla giustizia" rispose.

Oscar, un po’ delusa, un po' sorpresa. Perchè il suo Andrè le aveva detto quelle cose?
"...ascolta...ascoltami, Oscar...ti ricordi cosa dissi, sere fa?"

La donna, sovrappensiero,  volse il capo verso la finestra  dalla quale entrava un filo di luce.

"Si, certo". Come avrei mai potuto scordarlo, Andre? avrebbe voluto aggiungere. 
 

"...la mia intenzione è sempre quella. Tuttavia… vorrei chiederti una cosa. Se dovessi farlo….tu...mi fermeresti? Cosa faresti, Oscar?"
 

Lei trattenne il fiato.Come…come poteva Andrè farle una domanda simile?

Era in una posizione difficile. Da una parte, una sincera devozione al mondo in cui era nata, alla sua famiglia, ai suoi genitori. Dall' altra, un sentimento verso l’ uomo che le era sempre stato a fianco, devoto, innamorato si era fatto ormai strada in ogni sua fibra.
Non rispose.
Non trovò le parole. 

"Sai" riprese, lui, sorridendo" l' altra notte...ho fatto un sogno.

Io e te, la casa di Arras...un magnifico giardino fatto di rose bianche, pure, come te...come la tua anima.Era bellissimo, Oscar…vorrei tanto crearlo per te".
Oscar, inquieta ed emozionata, camminò  nella stanza torturandosi le mani, mordendosi le labbra.
 

 Cosa vuoi che dica, Andrè? Tu la conosci la mia risposta. Anche se io...anche se ti amassi...non posso lasciare tutto, così, senza un perché!
 

Andre la osservò, la vista dell' unico occhio al momento sano, tremolante.

"...forse ho osato troppo" disse poi, amaramente " ma dovevo provarci….perdonami se davvero ho pensato, anche solo per un attimo...se ho sognato. Ora, per favore, chiameresti la nutrice? Vorrei conferire con mia nonna….e parlare anche con tuo padre".

 

Oscar, ancora frastornata dagli eventi, si mosse come un autonoma.
Si alzò e, come richiesto da André, fece chiamare Nanny; poi, lasciando loro un po di privacy, ne approfittò per controllare se il padre fosse in casa e per  riferirgli quanto  chiesto dall' uomo.

Ancora incredula delle parole di Andrè, salì le scale lentamente, soffermandosi ad osservare come mai aveva fatto tutto ciò ciò la circondava: tappeti preziosi, marmi lucidi, boiserie raffinate; statue, vasi, candelieri brillanti.
 

No, non è  tutto ciò che mi tiene legata qui... ma è quella divisa, appesa per bene al manichino in camera mia. Per quella...ho sofferto tanto, ho dato tanto… pensò.
 

Ma era davvero così?
 

Realmente il suo unico, vero  ostacolo all' amore che Andrè aveva offerto insieme alla completa devozione era...una divisa?

Mentre era immersa in questi pensieri, si ritrovò davanti alla porta del padre; accostò l' orecchio, notò che qualcuno era presente e bussò.

“Padre, vogliate scusarmi…Andrè chiede di poter parlare con voi” disse senza preamboli; il genitore, piacevolmente sorpreso, alzò il viso dalla pipa che stava caricando.
“Che piacevole notizia, Oscar! Andrè quindi sta meglio? Sono felice. La  nostra Nanny potrà tirare un sospiro di sollievo….” disse.
La donna, sorpresa per quelle esternazioni decisamente rare, annuì e sorrise.

“Ci andrò presto. Ti ha forse anticipato qualcosa?” domandò il Generale.Oscar , in piedi davanti alla preziosa scrivania in noce, osservò le venature del legno, prima di rispondere. 

“...No” disse “ ma …posso ipotizzare qualcosa”.
Il generale posò la pipa e appoggiò la schiena alla poltrona, fissandola.
“Credo se ne voglia andare e, di conseguenza, vorrebbe domandarvi il permesso…” disse.

Il viso del generale si scurì. I suoi occhi meditabondi si posarono sui ritratti dei vari avi, alle pareti, imponenti.
“Bene, scenderò più tardi. Ah, Oscar, è arrivata una comunicazione per te da parte di Girodelle. Dovresti rientrare, ci sono alcune faccende della massima urgenza che dovreste valutare insieme” disse, aprendo il cassetto e porgendogli una lettera debitamente chiusa da un sigillo di ceralacca rossa.

Oscar allungò la mano per prendere la lettera.

“Vado” disse allora la donna, salutando il padre con fare marziale; quindi riprese le scale e, lanciando un'occhiata verso gli alloggiamenti di Andrè, uscì di casa sperando di rientrare presto. 



 

A Versailles, oltre a Girodelle, molte altre persone l’ aspettavano.
Non appena giunse e rientrò nel suo studio, subito fu sommersa da incartamenti,  lettere arrivate nei giorni precedenti, permessi, richieste di ogni tipo;  solo in ultimo comparve Girodelle, stranamente in borghese.
“Qual buon vento, Oscar. Come state? Ho sentito dire che voi ed il vostro attendente avete avuto a che fare con il Cavaliere Nero” disse posando mantello e guanti con fare lezioso sulla poltrona davanti alla scrivania della donna, andandosi poi a sedere poco distante.
“Bene, Comte de Girodelle” rispose “... e riguardo alle vostre domande, si; ci abbiamo avuto a che fare. Tuttavia, il colpevole ci è sfuggito” . Girodelle annuì.

“Ho sentito anche dire che il vostro attendente è stato ferito…” chiese, poi: Oscar tergiversò, cercando di celare ciò che aveva nel cuore.

“Si. Ma sembra essersi ripreso. Ditemi, Girodelle…non ho ancora aperto la missiva che mi avete mandato…volete anticiparmi voi qualcosa?” chiese intenzionata a cambiare argomento.
 

Il conte, di solito così compassato, la guardò curioso.

“...Oscar…in realtà, quella lettera è qualcosa di più…personale che una mera comunicazione. Vi informavo della mia intenzione di chiedere la vostra mano al Generale “ disse.
Oscar si alzò in piedi, sorpresa.
 

Girodelle intendeva chiederla in sposa?
 

Lo guardò in  un misto di   sorpresa e  preoccupazione, mentre il suo cuore cominciò a balzare nel petto.

“C’è forse qualcosa che non va? Non è un mistero, Oscar, il mio amore nei vostri confronti…ho osato troppo, forse? “ domandò l’ altro, alzandosi in piedi a propria volta.
“....Girodelle io.. temo…temo che il mio cuore sia già…occupato. Voi , davvero, mi lusingate…ma , da parte mia, non potrei mai amarvi quanto voi amate me. Non potrei mai rendervi felice” rispose con una prontezza che nemmeno lei sapeva di avere“
Girodelle, compassato come sempre, non reagì. Rincarò comunque la dose, sperando che Oscar cambiasse idea. Ma ottenne l’ effetto contrario.
“...Vi potrei offrire molto, anche di…anche di tenere quel …servo con voi” disse, Poi rimase ad osservare la reazione di Oscar che non tardò ad arrivare,
 

In piedi davanti alla scrivania, quasi impietrita dalle parole che le sue orecchie avevano raccolto, il viso le si fece paonazzo, soprattutto per quella parola, servo: tuttavia decise di non questionare oltre e cercò di fornire al giovane rampollo una risposta chiara e precisa.

“Non credo di dovervi rendere conto dei miei rapporti con André Grandier, Girodelle, ma indipendentemente da questo  sappiate che …la mia risposta è no. Victor…” disse poi facendosi più dolce ed abbassando gli occhi “ se voi…se voi davvero mi amate… lasciatemi libera, ve ne prego. ”
 

L’ uomo la raggiunse oltre la scrivania e le prese le mani.
Non era di certo felice per la reazione e la risposta ottenuta e volle dunque provare ad andare oltre. Si avvicinò ad  Oscar, che  arretrò quasi spaventata da tale intraprendenza e…la baciò. Con garbo, senza volgarità, poggiò le labbra su quelle della donna.
No, non sono queste le labbra che conosco e che mi fanno battere il cuore pensò in quel momento Oscar, decisa più che mai di allontanarsi da quel bacio.
“Vi prego, Victor…” mormorò, posando una mano sul petto del conte, per allontanarlo; Girodelle, sinceramente affranto, dovette quindi  accettare  quel gesto; senza dire nulla, tornò a riprendere i suoi effetti e, fatto un inchino, uscì dall’ ambiente.

Oscar, stanca,  lo sguardo sgranato e fisso sulla porta, lo osservò andare via; infine le sue dita sfiorarono le proprie labbra e, in quell’ istante, prese la sua decisione.




 

Epilogo

 

Il cavallo procedeva lento, passo dopo passo, in quella terra che lei conosceva come il palmo della sua mano, una terra piena di ricordi fin da quando, da bambina, passava il compleanno  e le festività nel salone addobbato da candele, colmo di ogni ben di Dio o correva felice per quei prati in compagnia dei cani che la sorella maggiore le aveva regalato, in una occasione.
Carico di poche, indispensabili  cose - le altre sarebbero state portate da un carro qualche giorno più tardi- nella sua andatura non vi era, appunto, alcuna fretta: quel viaggio aveva come destinazione un luogo dal quale nessuno se ne sarebbe più andato. O almeno così sperava.
 

Erano passate quattro  settimane dal giorno in cui Oscar, dopo aver parlato con Girodelle, era rientrata a casa e cercando Andrè si era sentita dire che, a tutti i costi, era voluto partire accompagnato da Maurice per Arras e lei, a pezzi, si era rinchiusa nello studio del padre per due ore, senza mai uscirne.

Settimane durante le quali molte cose erano successe: prima la partenza di Andrè senza nemmeno dedicarle un saluto ma soprattutto senza conoscere la decisione che aveva preso;   poi, dopo la comprensibile disperazione di Oscar, vi era stata una febbre, molto alta, che l’ aveva costretta a letto.

Quattro settimane, alla fine delle quali Oscar aveva raccolto le sue cose e si era messa in viaggio.
 

Ora, ci era quasi.
Il campanile della città si faceva sempre più vicino  così come i colori del legno e delle pitture murarie delle case apparivano più vividi, solidi, brillanti e vicini; la strada maestra, di li a pochi chilometri, si sarebbe divisa in due fasce più piccole e lei avrebbe preso quella di destra, continuando a cavalcare ancora per dieci, forse venti minuti.
Infine, sarebbe finalmente arrivata.
Il cuore , in quegli attimi, sembrava quasi volere uscire dal petto: come una giovinetta ai primi ardori, Oscar si sentì quasi inadeguata, timorosa, curiosa.
E se Andrè….se lui non l’ avesse accettata, se avesse cambiato idea?
In  quel colloquio tutto sommato civile con il padre aveva giurato e spergiurato di rinunciare a qualsiasi cosa, per amore: come avrebbe fatto senza l’ amore di Andrè, senza un lavoro, senza più un titolo ?
 

 

Oscar, arrivata dinnanzi al bivio, si fermò. Guardò dietro le sue spalle quasi avesse il sentore di trovarvi qualcuno, o qualcosa che la potesse trattenere poi…prese coraggio.
Non era arrivata fin li per farsi prendere da dubbi; era giunta fino a li per lui.
Per Andrè.

Spronò dunque il cavallo al trotto e ben presto arrivò davanti alla villa di campagna, circondata da un piccolo parco, dove un paio di cani si rincorrevano e due persone stavano parlottando; prendendo fiato e coraggio entrò,  al passo, guardandosi intorno per capire dove potesse trovarsi Andrè.
Diversamente da quanto aveva fino a quel momento  immaginato, la sua presenza lì  parve quasi scontata, come l’ avessero aspettata; percorse allora  il vialetto d’ ingresso tra sguardi curiosi e sorrisi, dispensandone a sua volta. 

Arrivata davanti al portoncino d’ ingresso, una volta scesa e affidato  il cavallo alla persona che le era andata incontro, si portò all’ entrata. Alcune voci provenivano dall’ interno; aprì dunque.

“Mademoiselle , siamo lieti di vedervi” dissero una coppia di uomini intenti ad aggiustare  alcune tavole del parquet del lungo corridoio davanti a lei “ non l’ aspettavamo così presto. Se cercate André, si trova fuori, sul retro, nel giardino d’inverno”.
 

Oscar, stupita, ringraziò.
Sorridendo ed  emozionata come non mai,  con il fiato che si faceva sempre più corto,  li ringraziò ed uscì per recarsi verso il luogo indicato; li, finalmente, lo vide.

Andrè.

 

Era chino davanti ad un piccolo vaso di rose, di quelle piccole, quasi selvatiche,dai petali slabbrati e che fiorivano anche in pieno inverno; il colorito delle guance ne indicava la buona salute.
Rimase a contemplarlo, davanti alla porta di vetro lavorato quasi fosse una finestra di Notre Dame, timida, indecisa; poi la mano toccò la maniglia ed…entrò.

“Ti aspettavo, Oscar” pronunciò Andrè, alzandosi.
Il suo volto ora rilassato ed in parte coperto da alcune garze e bende parve alla donna il volto di un angelo.

“Mi…mi…aspettavi?” balbettò, con voce tremante, incredula.

“Si. Il mio cuore sapeva…sperava che saresti arrivata” disse.

Le si fece accanto; dopo aver posato gli attrezzi su un ripiano li vicino, prese le sue mani, portandole verso il proprio viso.
“Oh, Oscar, quanto ha sperato il mio cuore che tu…che tu compissi questa scelta. Non so come…come avrei fatto, altrimenti” disse.
In quel mentre, le braccia di Andrè si aprirono ed accolsero la donna in un abbraccio che sapeva di casa; lei, finalmente, potè lasciarsi andare.

“Andrè, perdonami, sono stata una stupida! “ esordì la donna trattenendo a stento i singhiozzi “ …perdonami per averti fatto aspettare così tanto! Dimmi, sarai in grado, Andrè, di accogliermi e perdonarmi? Mi accetterai, davvero, così come sono, nonostante ti abbia provocato sofferenza…nonostante tutto?” chiese.

Andrè la abbracciò sempre più forte, sollevandola quasi da terra.
Una risata genuina e  felice seguita da lacrime di gioia rigò il suo volto.

“...Ti amo, Oscar. Ti ho amato per vent’ anni, ti ho amato da sempre. Non importa cosa sia accaduto, l’ importante è che ora…siamo qui. Niente altro importa al mio cuore in questo momento, se non averti tra le mie braccia” rispose.

Oscar, appoggiata al suo petto, sorrise; in quel momento dimenticò ogni cosa, lasciò da parte ogni pensiero. Per lunghi istanti rimase li, silenziosa, pensando a questa  nuova opportunità che la vita le aveva donato.
“Andrè…” disse ad un certo punto

“...cosa c’è, amore mio?” chiese dolcemente l’ uomo.

“Questo posto…è bellissimo…è…un sogno. Sembra un paradiso!”
I due si allontanarono giusto un poco, quel tanto che permise loro di restare comunque in un  caldo abbraccio; insieme, osservarono le rose in vaso - di ogni forma e misura - che riempivano lo spazio.
 

“...te lo avevo detto no? Una notte sognai un posto simile e fin dal mio risveglio…mi ripromisi che, se tutto sarebbe andato bene, di rose ti avrei fatto un magnifico giardino!” rispose.
 

I loro volti si girarono, all’ unisono, cercandosi.
  Occhi negli occhi, le emozioni lasciarono il posto ad una pace profonda, leggera, quasi soave.
 

“Per sempre” mormorò Andrè, con un filo di voce.
“Per sempre” rispose Oscar, arrossendo; mentre il viso di Andrè si chinava verso di lei per suggellare quella promessa, cercando avidamente quei baci che da tempo anelava ed ai quali Oscar rispose, con sempre maggiore ardore.
 

Non pensarono ad altro, in quel momento e…neppure durante il resto di quella giornata: avrebbero avuto tutta una vita, a Dio piacendo, per parlare e pensare a qualcosa d’altro che non fosse quel magnifico sogno che stavano vivendo.


FINE.

 
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