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Autore: Neamh Moonstar    13/12/2021    1 recensioni
Gli scontri divennero presto la consuetudine e la popolazione di Tadfield si ritrovò, volente o nolente, a proteggere coloro che li avevano protetti. "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori" divenne letterale, e il villaggio costruì delle mura sia fisiche che divine, cercando di contrastare le forze del male.
Umani buoni contro umani cattivi. Angeli contro demoni. Giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Gli umani che venivano feriti, correvano dai medici. Gli angeli feriti andavano dai Guaritori.
Anathema era una di loro.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno o buonasera a tutti! 

Disturbo solo un secondo per dire che questa storiella di tre capitoli è nata principalmente per essere in inglese. In sostanza: non so perché io abbia deciso di metterla anche qui. Chissà.

Normalmente non mi distacco dal rating verde (anche se dovrei?), ma qui c'è una presenza di sangue persistente, oltre che alla seppur breve descrizione di cadaveri, perciò ho pensato potesse essere l'idea migliore. Prendetelo come un "trigger warning".

Altro mini appunto: il nome di Anathema è rimasto all'inglese. In realtà a me piace sempre mescolare l'italiano e l'inglese, in questo caso si tratta di una questione puramente legata alla traduzione.

Non mi dilungo ulteriormente. Buona lettura!

- Neamh

**


Il piccolo villaggio di Tadfield non era come gli altri. C'era qualcosa in quel pacifico e verde luogo che sembrava attirare l'attenzione di Dio, anche se nessuno avrebbe saputo dire perché.

Non a caso, era protetto dagli angeli.

Ce n'erano tanti, tutti diversi, che di tanto in tanto sbucavano fuori dal Paradiso per dare un'occhiata agli umani che vivevano in quel piccolo ma particolare angolo di Terra. Alcuni di essi scendevano addirittura in mezzo a loro, portando grazia, doni, consigli e idee. Presto, con lo spargersi della voce, Tadfield divenne luogo di pellegrinaggio e meta di gente in cerca di miracoli. 

Nonostante il continuo viavai di gente, però, la calma sembrava permanere imperturbabile. C'era una bolla di pace che abbracciava quella ridente comunità, la quale per anni ed anni visse sotto la protezione delle sue amorevoli creature angeliche. 

Gli abitanti erano sempre felici, il tempo sempre perfetto, i raccolti sempre abbondanti e le visite sempre gradite.


Dove ci sono pace e tranquillità, però, arriva sempre a formarsi il seme del male.


Alcuni umani, forestieri e non, decisero di volere il potere degli angeli tutto per sé. Iniziarono le cacce: alcuni si procurarono armi capaci di distruggere e frammentare le auree angeliche; il tutto grazie all'aiuto dei demoni.

Le creature infernali erano anch'esse da tempo attirate verso il villaggio. Il loro obbiettivo era portare discordia laddove le loro controparti celesti avevano creato un nuovo paradiso terrestre. Così, fecero ciò che sapevano fare meglio: convinsero gli umani a schierarsi dalla loro parte in cambio di un potere ineguagliabile; il potere nato da Dio, risiedente nel cuore stesso degli esseri a Lei più prossimi.


Gli scontri divennero presto la consuetudine e la popolazione di Tadfield si ritrovò, volente o nolente, a proteggere coloro che li avevano protetti. "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori" divenne letterale, e il villaggio costruì delle mure sia fisiche che divine, cercando di contrastare le forze del male.


Umani buoni contro umani cattivi. Angeli contro demoni. Giorno dopo giorno, anno dopo anno.


Gli umani che venivano feriti, correvano dai medici. Gli angeli feriti andavano dai Guaritori.

Anathema era un di loro.

Aveva iniziato a studiare quando aveva a malapena tredici anni. L'angelologia poteva essere complicata -soprattutto se applicata alla cura stessa delle creature forgiate dall'Altissimo- ma lei divenne presto la migliore nel suo campo. Sapeva come contrastare la peggiore delle armi demoniche, creava unguenti e pozioni, ricuciva ferite e sanava ali. Senza conoscere il contesto in cui lavorava, si sarebbe potuta definire una strega. 

Per questo era in prima linea la notte in cui arrivò un attacco devastante.


Le battaglie sopra il cielo di Tadfield erano sempre terribili: un continuo scontrarsi di piume bianche e nere che si attorcigliavano e sbattevano l'una contro l'altra, artigli che strappavano tuniche e denti che affondavano in morbide carni. Una pioggia di sangue scuro e dorato cadeva sulle genti sottostanti, intente a combattersi fino allo stremo con spade, pugnali o qualsiasi altra cosa riuscissero a trovare. Era il delirio.

Era il bene contro il male, sia in cielo che in terra. Sembrava un'apocalisse perpetua, il tutto in un semplice e circonciso villaggio immerso nel verde.


Tra il marasma di corpi eterei sopra di lei, Anathema vide volare alcune frecce dalle punte cremisi. Seguirne la traiettoria non fu facile: i seguaci dei demoni dovevano essersi appostati fuori dalle mura, archi in mano, pronti a colpire i loro obbiettivi con dardi modellati dal fuoco dell'Inferno. Era chiaro che fossero stati creati per volare nell'aria per molti metri, automaticamente attratti dall'essenza che dovevano distruggere.

La giovane raccolse velocemente la sua borsa piena di libri e fiale, cercando di mettersi a riparo. Non staccò quasi mai gli occhi dal cielo, sbattendo più di una volta contro chi, come lei, stava correndo per le vie del villaggio in cerca di un luogo sicuro. 

Fu allora che lo vide.

Uno dei tanti angeli combattenti, spada di fuoco ancora stretta tra le mani, venne colpito in pieno da una delle frecce. Fece un volo stentato all'indietro, verso i fitti alberi al di fuori delle mura. Tentò più volte di riprendere quota o di perderla il meno rovinosamente possibile, finché non iniziò a precipitare.

I rami avrebbero attutito la caduta, pensò Anathema, ma non c'era altro tempo da perdere: doveva correre il rischio e uscire.

Nessun angelo protettore di Tadfield sarebbe rimasto indietro; non finché c'era lei ad occuparsi dei feriti.


~•°•~


Aveva rubato una spada. I guaritori non sapevano combattere di norma, ma Anathema voleva andare sempre sul sicuro. Tutto ciò che faceva era a favore di un obbiettivo ben preciso e di un piano perlopiù congeniato preventivamente.

Non era stato facile capire come muoversi: non aveva tempo di curare i dettagli; sapeva solo di dover fare il più in fretta possibile. Avevano cercato di fermarla al confine con le mura, intimandole di restare il più possibile all'interno del villaggio, là dove la barriera divina era stata eretta per minimizzare il più possibile i danni. Ma lei era determinata a portare a termine il suo compito.

Aveva visto alcuni dei nemici correre nel fitto del bosco per cercare la loro preda caduta. Non erano più di cinque, ma Anathema era comunque da sola: doveva giocare d'astuzia.


Dopo una breve corsa, la giovane aveva iniziato a camminare tra gli alberi in silenzio, concentrandosi sull'aurea angelica ora quasi silente, in agonia. Si era allenata tanto per arrivare a percepire la presenza degli angeli feriti con tanta facilità, e più volte il suo talento le era venuto in soccorso nei momenti di maggiore difficoltà. Se faceva piano, forse poteva usare qualcuno dei suoi assi nella manica (o meglio, nella borsa) per distrarre i cacciatori.


Era ormai giunta dove il flebile segnale divino iniziava a farsi più forte, e fu lì che dovette bloccarsi.

Davanti ai suoi occhi, quasi invisibili nel buio della notte, si districavano lunghe tracce di sangue fresco. Seguendole con lo sguardo, aiutata dal chiaro di luna che faceva capolino tra le fronde, arrivò a localizzare cinque cadaveri sparsi nell'erba e nel fango. 

I cacciatori, realizzò, erano stati brutalmente feriti, trascinati e sbattuti contro i tronchi degli alberi. Uno di loro aveva il ventre aperto, e il suo compagno, pochi metri più in là, aveva il cranio ridotto in poltiglia.


La giovane smise per un attimo di respirare e si bloccò, non più solo a causa della terribile visione, ma anche a causa del sibilo inquietante che sentì a pochi metri da lei.

Una nuvola oscurò la luna e qualcosa frusciò tra le foglie. Nell'oscurità più totale, l'unica cosa che Anathema poté fare fu stringere l'elsa della sua spada tra le mani e pregare, invocando i nomi di tutti gli angeli che aveva aiutato e che avevano dato lei la loro benedizione.

Li pronunciò a bassa voce, come un incantesimo, sentendo un senso di calma invaderle le membra man mano che li elencava. Non lo aveva mai fatto prima, forse perché non era mai stata in una situazione del genere: sola, alla mercé di un qualcosa che ancora strisciava non lontano dalla sua posizione. Qualcosa che aveva appena brutalmente ucciso un gruppo di cacciatori armati.

Non poteva essere un angelo: loro non sarebbero mai stati così violenti nei confronti degli umani. Inoltre, quelle ferite non erano state inflitte da un'arma: quegli uomini erano stati sbranati da una bestia.


«Un demone...» bisbigliò Anathema, guardando dritto davanti a sé.


Un paio di grandi occhi dorati si aprì di fronte a lei. Erano oblunghi, tagliati in due da pupille strette e nere come la Morte.

Ora che la luna era di nuovo libera dalla coltre che l'aveva nascosta, Anathema poté finalmente vedere il bagliore di tante fitte squame rossastre che scivolavano l'una contro l'altra. Davanti a lei era comparso un serpente enorme e minaccioso la cui lingua biforcuta saettava impazzita, come a intimidirla.

Quel che era peggio però, constatò la giovane, era che l'essenza angelica era proprio lì: intrappolata nel freddo abbraccio di quelle demoniche spire. 


Non avrebbe mai potuto saperlo. Anathema sapeva individuare gli angeli, ma i demoni erano un territorio pericoloso: nessun umano sano di mente avrebbe mai provato a raggiungere la loro aurea, pena la morte istantanea. Perciò, in quel momento, la giovane era praticamente impotente.


All'ennesimo sibilo, il serpente avvicinò la testa e Anathema si ritrovò a indietreggiare. Le mani le tremavano ma alzò comunque la spada verso la bestia. «Vade retro, malvagio tra i malvagi!» Gridò, o meglio, alzò la voce tremante. 


Contro ogni aspettativa, il demone si fermò, squadrandola dapprima con curiosità indagatrice e soffermandosi poi con lo sguardo sulla pesante borsa che portava a tracolla. Vi si avvicinò e Anathema notò con orrore che le squame attorno alla sua bocca erano ancora ricoperte di sangue.

Doveva stare molto attenta se non voleva fare la stessa fine degli sventurati sparsi attorno a sé, perciò rimase immobile. Smise nuovamente di respirare e attese.


Non ci volle molto prima che la serpe decidesse di indietreggiare e spostare il grande capo proprio davanti a quello della giovane, la quale rimase completamente impietrita, arma ancora alzata e cuore a mille.

Per un attimo si immaginò la scena: il serpente apriva le fauci, sguainava i lunghi canini, faceva uno scatto verso di lei e le staccava la testa di netto. In meno di due secondi, Anathema sarebbe diventata cibo per gli animali selvatici e addio missione di soccorso.


Niente di tutto ciò accadde.


«Tu. Tu sei una Guaritrice.»


Anathema sbarrò gli occhi. 

I demoni parlano, certo, esattamente come gli angeli. Lo facevano da ancor prima che gli umani esistessero: era un dato di fatto. 

Eppure, la giovane si sarebbe aspettata una voce terribile, cavernosa, capace di farle scricchiolare le ossa. Invece, il rettile assassino davanti a lei aveva un timbro assolutamente normale, quasi umano. Se fosse stata non vedente, avrebbe quasi fatto il terribile errore di invitarlo a casa a prendersi un tè.

«Esatto» rispose, senza comunque abbassare la guardia.

Era un trucco: non c'era alcun dubbio. I demoni erano incredibili nell'arte della tentazione, non a caso l'avevano inventata loro. Ma Anathema non si sarebbe fatta fregare, no signore.


«Molto bene. Ho un compito per te» continuò il serpente.


La giovane cominciò a ponderare l'idea di minacciare la bestia riversandole addosso tutti i suoi angelici protettori, ma scartò l'idea per due motivi. Il primo: i suddetti erano al momento troppo occupati a cercare di non finire come il poveretto che Anathema stava cercando di aiutare; il secondo: minacciare un demone non era esattamente la più furba delle trovate.

«A che pro?» Chiese cauta. Magari parlare avrebbe portato a qualcosa?

Ora che ci pensava: neanche intrattenere una conversazione con un demone era una buona idea.


In effetti, la serpe parve spazientirsi.

I suoi occhi iniziarono a illuminarsi e tuonò: «Senti, fattucchiera, come ti chiami. Non ho tempo da perdere!»


Fu allora che l'incubo di Anathema si fece realtà.

Il serpente aveva effettivamente mosso la testa verso di lei, portandola a cacciare un urlo.

Quindi sarebbe finita così? Dove andavano le persone uccise dai demoni? Probabilmente all'inferno, tipo premio di caccia.


Tutto quello che la giovane sentì, però, furono le ruvide e fredde squame posarsi contro la sua fronte.

In un attimo, tutto le fu chiaro. Venne pervasa da un bruciante senso di paura e apprensione, il tutto mescolato in una profonda rabbia e in una buia voglia di vendetta.


Il serpente si staccò da lei, indietreggiò e, con una delicatezza che poco si conviene a qualcuno della sua specie, aprì ad una ad una le sue spire. Le squame scivolarono l'una contro l'altra come drappeggi di seta, rivelando l'immobile e candida figura di un angelo dormiente.


Anathema guardò entrambe le creature più volte e la spada le scivolo tra le mani, cadendo con un tonfo sordo nell'erba umida.

«Non lo stavi intrappolando» realizzò, guardando la bestia. «Lo stavi proteggendo».


   
 
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