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Autore: Neamh Moonstar    14/12/2021    1 recensioni
Gli scontri divennero presto la consuetudine e la popolazione di Tadfield si ritrovò, volente o nolente, a proteggere coloro che li avevano protetti. "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori" divenne letterale, e il villaggio costruì delle mura sia fisiche che divine, cercando di contrastare le forze del male.
Umani buoni contro umani cattivi. Angeli contro demoni. Giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Gli umani che venivano feriti, correvano dai medici. Gli angeli feriti andavano dai Guaritori.
Anathema era una di loro.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tutti gli angeli emanano luce.

Il paziente di Anathema, seppur ferito e privo di sensi, aveva illuminato l'area attorno a sé per almeno cinque metri; abbastanza da permettere alla Guaritrice di lavorare, abbastanza da evidenziare le sfumature cremisi delle squame del demone e abbastanza da far vedere l'effettivo stato dei corpi martoriati.

Come se non bastasse, nell'aria iniziava a sentirsi un odore acre.


Anathema decise di focalizzare l'attenzione sul ferito. Ora che lo guardava bene, infatti, capì di averlo già visto nella piccola biblioteca del villaggio.

Non si erano mai parlati, ma ricordava bene quel volto gentile affondato tra le pagine di un libro. Ricordava anche il tono calmo e accogliente con il quale si era rivolto a chiunque gli si fosse avvicinato, i modi garbati e le parole ricercate. Più volte, la giovane aveva staccato gli occhi dai suoi studi per osservare come quell'educato fascio di luce tendesse a perdersi in saggi, romanzi e tomi per ore.

Una creatura così dolce, bella e curiosa, ridotta in quello stato... Anathema non poteva sopportarlo.


«Devi aiutarlo e devi farlo subito» le disse il serpente con urgenza. «Sono disposto a darti quello che vuoi, davvero, basta che ti sbrighi.»


Anathema non se la sentiva proprio di scendere a patti con creature maligne, per quanto strane. La situazione, però, non era solo inusuale: era completamente assurda.

Tornò a guardare prima la serpe, poi l'angelo, poi di nuovo la serpe, poi il visibile intestino di uno degli uomini riversi nella fanghiglia. Ricacciò il senso di nausea ed esaminò l'improbabile coppia, soprattutto il modo in cui il demone aveva disposto le sue spire in modo da mettere il suo protetto nella posizione più confortevole possibile.

«L'unica cosa che vorrei in questo momento, sono risposte» disse. «Pensavo che non poteste neanche toccarvi, angeli e demoni. Se non per triturarvi a vicenda, ovviamente.»


Non pensava che i serpenti fossero capaci di alzare gli occhi al cielo, ma quello che aveva davanti lo fece in un modo così esasperato e plateale da farla quasi ridere.

«Facciamo così: tu curi, io rispondo a tutto quello che vuoi.»

Sembrava determinato. Di certo era terribilmente preoccupato, Anathema lo aveva sentito.

«Ci stai o no?» La esortò il demone. «Piú quell'affare resta lí, più la situazione peggiora.»


"Quell'affare" altro non era che la freccia conficcata nell'ala destra dell'angelo. La punta era sparita da qualche parte in mezzo alle piume e, dal foro che aveva lasciato, scorreva un lungo, abbondante rivolo rossastro e dorato che andava spargendosi in mezzo allo scombinato piumaggio, sporcandone il candore.

Armi demoniache e creature celesti non erano due cose da mescolare e la serpe aveva ragione: se il corpo estraneo non veniva rimosso, era la fine.


Senza perdere altro tempo, Anathema slacciò un nastro che teneva legato al polso e lo utilizzò per raccogliere i lunghi capelli scuri. «Ci sto» disse, togliendosi la borsa dalle spalle. «Ora lasciami un po' di spazio.»


La creatura eseguì e si spostò, fissandola intensamente mentre si avvicinava al suo paziente. «Vedi di essere delicata, umana» la ammonì. «Appena vedo che qualcosa non va, ti faccio fare la fine di quei basstardi.»


Per quanto Anathema sapesse che non stava scherzando, c'era così tanta preoccupazione in quelle minacce e in quei sibili che la paura non fece in tempo ad arrivare per rimescolarle lo stomaco. 

I cacciatori stavano cercando l'angelo per distruggerne e rubarne l'essenza; lei era lì per fare l'esatto contrario. In pratica, se faceva il suo lavoro come doveva -e di questo era sicura- il demone non avrebbe dovuto torcerle un capello.

«Rilassa le squame, bestia: voglio aiutarlo esattamente quanto te. È mio dovere di Guaritrice far sì che torni in salute.»


La lingua del serpente saettò nervosa. «Ssì, sì: mutuo aiuto e tutta quella roba. Dico ssolo che se anche per ssbaglio lo uccidi, o se lasci anche non volendo che la ssituazione peggiori, non mi limiterò a staccarti la sspina dorsale.» 

Mentre parlava sembrò farsi più grande, sovrastando Anathema e rivolgendole uno sguardo che avrebbe potuto incenerirla, se solo non si fosse trattenuto.

«Prenderò la tua anima e la ridurrò in pezzi cossì fini da-»


Non fece in tempo a finire, poiché Anathema gli aveva messo un dito sulla bocca -nonostante non la stesse muovendo per parlare- sporcandosi il polpastrello di sangue. La giovane gli rivolse uno sguardo determinato, seppur l'inquietudine si percepisse chiaramente dal suo respiro irregolare e tremante.

«Nessuno dei miei pazienti è mai spirato. Il tuo angelo non sarà il primo.»

"Il tuo", la Guaritrice aveva enfatizzato quel punto per vedere come il demone avrebbe reagito. La possessività era naturale per quelli come lui: se si "affezionavano" diventavano suscettibili e vulnerabili. Stava giocando con il fuoco, ma ormai era tardi per ritirarsi: tanto valeva andare fino in fondo.

«Temo che dovrai fidarti di me.»


La serpe sembrò capire. Tornò alle dimensioni precedenti, senza staccare gli occhi da Anathema: «E allora procedi.»


Lei annuì e tornò a guardare l'angelo. La sua luce aveva iniziato ad affievolirsi lentamente, segno inequivocabile che avevano perso fin troppo tempo.

Tirò fuori due grandi pezzi di stoffa dalla borsa, mettendosene uno sulla spalla e afferrando una boccetta di vetro. Sparse un unguento sulla pezza che aveva in mano e si avvicinò all'ala ferita, analizzandola da vicino.


Il serpente si mosse in modo da darle la miglior visione possibile, accomodando il suo protetto con una delicatezza meticolosa. Sembrava quasi che avesse paura di ridurlo in briciole, o di graffiarlo con le squame. Ogni fibra delle sue spire pareva esistere solo per fare da giaciglio al suo malmesso ospite.


Tamponando la ferita, Anathema notò che la freccia aveva quasi trapassato l'ala da parte a parte. Una volta pulito il sangue, sarebbe stata un'impresa estrarla.

Certo, se solo fosse effettivamente riuscita a completare la fase di pulizia.

Man mano che spalmava l'unguento, si rese conto che i rivoli dorati non smettevano un attimo di fuoriuscire copiosi.

Scosse la testa: «Sarà un'operazione complicata e dolorosa.»

Avvolse la per quanto possibile la pezza attorno alla ferita, in modo da bloccare il più possibile l'emorragia. Per sicurezza, avvolse i palmi attorno all'altro pezzo di stoffa, afferrando la freccia con entrambe le mani. «Tienilo fermo, puoi?»


Il demone fece un deciso cenno col capo: «Tutto quello che serve.»

Strisciò verso l'angelo, poggiando lentamente la testa sul suo petto e iniziando a sussurrargli qualche parola di conforto che Anathema non riuscì a sentire. 

Era una scena tra l'inverosimile, il dolce e lo straziante. 


«Scusa, devo calpestarti» annunciò la giovane, poggiando uno stivale sulla spira sotto di lei. «Mi serve una leva. Ora inizierò a tirare, va bene? Al mio tre.»

Uno. Anathema fece un bel respiro, stringendo la presa sul dardo.

Due. Il serpente ammutolì, concentrandosi sui movimenti della Guaritrice e preparandosi ad agire nel caso la situazione fosse precipitata.

Il silenzio della notte li avvolse. Per un attimo sembrò che l'intero pianeta avesse smesso di girare e che tutto l'universo si fosse messo a guardarli. Forse era Dio che aveva iniziato a preoccuparsi per la sua povera, sanguinante creatura. 


«Tre!» Esclamò Anathema iniziando a tirare.


La pace venne istantaneamente rotta da un lamento straziante e la luce proveniente dall'angelo si fece accecante, tanto che la giovane fu costretta a chiudere gli occhi.

Smise anche di tirare, le braccia che le tremavano e la testa in subbuglio. Non era la prima volta che le capitava di essere sopraffatta da un'ondata di dolore metafisico; ma quello, quello fu devastante.

Si ritrovò a indietreggiare, staccando le mani dalla freccia. Il grido continuò imperterrito, finché non arrivò un'altra voce a sovrastarlo.

«No! No, no, no. Calmati, calmo» disse il demone. «Va tutto bene. Ssh.»


Anathema aprì un'occhio e vide che la bestia aveva iniziato a strofinare il muso, ora miracolosamente pulito, contro la guancia rigata di lacrime dell'angelo.

La povera creatura stava soffrendo indicibilmente, gli occhi stretti dal dolore e la luce che andava e veniva al ritmo dei battiti di un cuore affannato. La freccia conficcata nella sua ala si era effettivamente mossa un po', colorando di rosso e oro il panno che avrebbe dovuto fermare il flusso.


La giovane ritornò al suo posto, ricominciando a premere. Le ci volle un po' per riprendersi e per riprendere il dardo cremisi tra le mani ora macchiate di bordeaux. Alcune macchie le ballavano davanti agli occhi, causa della troppa luminosità, impedendole di avere una visione chiara della situazione.

«Chiunque abbia forgiato questi affari» commentò, «sapeva quel che stava facendo. Non ti mentirò: è peggio di quel che pensassi.»


«Credi che mi importi quello che penssi?» Ringhiò il demone. «Estrai quella roba e bassta.»


«Pensi che non ci stia provando? Vedi di tenerlo fermo e zittirlo, o domattina saremo ancora qui e lui sarà morto.»

Un'umana e una creatura dell'inferno unite per combinare qualcosa di buono? Non poteva certo filare sempre tutto liscio. In un modo o nell'altro altro ne sarebbero usciti, però, o Anathema poteva dirsi pronta a rinunciare al suo titolo.

«Secondo giro. Pronto?» Chiese, nuovamente pronta a tirare.


L'altro non le rispose neanche, ricominciando a consolare l'angelo. Stavolta la giovane riuscì a percepire qualcosa tra il: "Sono qui, sono qui" e "Piano, fatti aiutare".


Anathema tirò di nuovo e stavolta sentì la punta della freccia scavare un solco nell'ala candida, graffiandola e pungendola. Era come estrarre una radice dalle profondità della terra, solo che la terra in questione non faceva altro che gridare e lamentarsi per il dolore.

Dopo poco, il ferito prese anche a dimenarsi disperato. Se non fosse stato per il rettile sopra di lui, l'angelo sarebbe stato capace di peggiorare esponenzialmente la situazione. Anathema dovette stare molto attenta agli scatti improvvisi dell'ala, fermandosi i pochi secondi necessari a stabilire l'equilibrio.

Anche nella totale incoscienza, l'agonia della creatura celeste pareva intollerabile.


In tutto questo, il demone continuava a fare il possibile per tranquillizare il suo protetto. Le parole iniziarono a perdere potere, disperdendosi nei lamenti. A nulla valsero i: "Va tutto bene, calmati. Sono qui, calmati."

Passò quindi ai gesti: il suo muso non faceva altro che strofinare dolcemente tra la fronte pallida e i riccioli ancor più candidi dell'altro. Non si sarebbe fermato a costo di passare il resto dell'eternità raggomitolato nel fitto degli alberi, il suo angelo stretto nel suo abbraccio. 


Le cose parevano peggiorare ogni secondo di più e raggiunsero il fondo quando Anathema dovette bloccarsi, mollare la presa e indietreggiare. Aveva la fronte imperlata di sudore e lo sguardo fisso su l'unica parte di freccia ancora saldamente aggrappata all'angelo: la punta.


Ovviamente, tanto bastò per far venire un ipotetico infarto al demone che esclamò: «Che stai facendo? Non fermarti!»


«È incastrata!» Strillò l'altra tra la rabbia, la stanchezza e la disperazione. «E il tuo fare ansiogeno non aiuta.»

Prese a frugare nella borsa, cercando nervosamente qualcosa che potesse aiutarla tra tutto il materiale che si era portata dietro.

 

Alle sue spalle, il serpente aveva alzato la testa, furioso. «Quanto pensi possa ssopportare ancora?!» 


La risposta era: "non molto" e la giovane ne era consapevole, ma non disse nulla. Semplicemente, tornò al suo lavoro con un nuovo unguento tra le mani e l'espressione distrutta di chi voleva che le cose finissero il prima possibile.


«Ssei ssicura di quello che fai?» Continuò il demone, sibilando minacciosamente. «Dimmi che ssai con certezza che andrà tutto bene.»


Ma Anathema non lo sapeva e non poteva mentirgli: se ne sarebbe accorto e l'avrebbe decisamente sbranata.

Ad una sua mancata risposta, però, l'altro parve quasi ergere le squame come fossero gli aculei di un istrice. Gli occhi dorati divennero due fari nella notte, gialli come limoni maturi.


E Anathema la sentì: la voce che stava aspettando. Quasi la vide risalire dalle profondità dell'Inferno per materializzarsi e tuonare nei suoi timpani, infilarsi nelle sue ossa, scuotere la sua anima. Era fredda, roca, terribile. «TI HO CHIESTO UNA COSA, STUPIDA UMANA. RISPONDI!»


Fu come essere scossi da un terremoto. La giovane si tappò le orecchie, schiacciata da quella valanga sonora che le stava riducendo i sensi a brandelli. Era peggio di una tortura; pareva di essere travolti da uno tsunami, doleva e confondeva peggio di una botta dritta sulla testa. Sicuramente faceva male come una stilettata al fianco ed echeggiava come-

Un rantolo di dolore?


Demone e umana bloccarono quella metafisica battaglia mista a sessione di tortura che stavano avendo, e si voltarono all'unisono verso l'angelo. Si era raggomitolato verso sinistra, usando l'ala buona come fosse una coperta. I suoi occhi si muovevano instancabili sotto le palpebre serrate, come se stessero inseguendo un incubo. 


Il demone imprecò e tornò veloce come la luce a posare la testa accanto a quella del suo protetto, prendendo a pronunciare uno sproposito di frasi addolorate e cariche di ansia.

«Scusa! Scusa. Hai ragione, mi dispiace, perdonami. Mi perdoni, vero? Non volevo urlare. Non urlerò mai più» gli disse, scombinandogli i riccioli e cercando il suo volto tra le piume.


Anathema si mise una mano sul petto, ancora scossa da ciò che era appena successo. Era stato come dare un'occhiata a Satana in persona e tornare indietro sana e salva.

Mai più, si disse. Mai più.

«Ascolta» disse, prendendo più volte il respiro prima di continuare. «Hai ragione, la situazione mi ha colta impreparata, ma ho ancora qualche idea. Ti prego, ti supplico: lasciami continuare a provare finché non lo salverò... o finché non morirà, così che tu possa mettere fine alla mia esistenza nei peggiori modi possibili.»

Stava pregando un demone? Ora sì che la nottata non poteva essere più assurda. 


«Fosse per me, saresti già bella che morta» rispose la bestia, ancora fermamente attaccata all'angelo. «Ma lui ha bisogno di te.»


«Di me e della tua calma» affermò la giovane. «Credi che gli faccia bene sapere che sei così nervoso e preoccupato?»


Come se avesse sentito la conversazione -e chissà se così non fosse- l'angelo emise un altro gemito, debole e tremante. Assomigliava sempre di più ad una fiamma scossa dal vento, le mani sulle braccia e le dita che stringevano le maniche della sua tunica in una specie di auto-abbraccio.


Anathema tornò, instabile e barcollante, ad afferrare la freccia. Fissò il suo improbabile compagno di salvataggio, in attesa di un ultimo cenno di fiducia o, perlomeno, collaborazione.


L'altro non la fece attendere molto. «Ringrazia il mio amore per questa creatura e il fatto che mi odierebbe se scoprisse che ho fatto fuori chi cercava di salvarlo» disse.


E la Guaritrice lo fece: ringraziò mentalmente il ferito per essere stato capace di rabbonire la serpe al punto da renderla così predisposta a pazientare. Gli angeli: sempre dalla sua parte, e lei sempre pronta a ricambiare il favore. Era un ciclo continuo di, beh, mutuo aiuto, come aveva detto il demone.

Se rischiare di patire le pene dell'Inferno era il rischio da correre per salvare il suo paziente, allora Anathema lo avrebbe corso anche due volte, senza alcun dubbio.

«Va bene, allora. Tiriamo fuori questa dannata freccia.»


Lei, mani e gamba in posizione, pronta a mettere fine a quella tortura.

Il demone, testa e spire in protezione dell'angelo, ancor più convinto di lei.

Non contarono, stavolta. Semplicemente, Anathema concentrò le poche forze che le erano rimaste e tirò.


Fu un unico colpo secco. La radice venne estratta dalla terra e sulla faccia della giovane volarono una miriade di gocce dai riflessi dorati.

La Guaritrice perse l'equilibrio, ci fu un altro straziante grido, la luce fece tornare il giorno per due secondi.


Poi, come se qualcuno avesse soffiato sulla fiamma, l'angelo si spense.

Anzi, ci andò molto vicino.

   
 
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