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Autore: My Pride    13/12/2021    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Every day in every way, it's getting better and better Titolo: Every day in every way, it's getting better and better
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 3734
parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Talia Al Ghul, Thomas Alfred Wayne-Kent (OC)
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life
Avvertimenti: What if?, Slash, Hurt/Comfort
Solo i fiori sanno: 13. Fresia: mistero e fascino
Just stop for a minute and smile: 34. "Arrivo, dammi il tempo di cambiarmi."


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved
.

    «Non ti ho mai visto così nervoso».

    La voce di Jon lo riscosse dai suoi pensieri, e Damian ci mise un secondo di troppo a sollevare il viso dal mucchio di fieno di cui si stava occupando per volgere la propria attenzione verso il marito.

    Col senno di poi, capiva perché avesse detto quella constatazione. Da quando lui e sua madre avevano chiarito le cose - o quantomeno avevano raggiunto una sorta di equilibro -, Talia restava comunque una costante del passato di Damian, un passato che gli ricordava cosa aveva fatto e cos'era successo, per quanto lui cercasse sempre di scacciare quei pensieri. Soprattutto da quando avevano adottato legalmente Thomas e potevano quindi considerarlo ufficialmente il loro bambino.

    Avevano fatto di tutto pur di tenere ancora un po' riservata la cosa ed evitare che la notizia finisse nelle fauci dei tabloid di Gotham - difficilmente un Wayne riusciva a fare qualcosa di nascosto senza che Vicki Vale del Gotham Gazette lo venisse a sapere -, soprattutto perché, per quanto si fossero scambiati gli anelli e fossero stati praticamente benedetti da una dea immortale, lui e Jon non erano esattamente sposati. Ma non importava.

    Erano riusciti a tornare ad Hamilton senza nessuna fuga di notizie e, per quando fossero passati altri quattro mesi e Damian avesse trovato il coraggio di parlarne con Talia, quest'ultima non si era ancora fatta viva. Almeno finché, due giorni addietro, non aveva chiamato per informare che sarebbe partita per andarli a trovare. Ed era stato a quel punto che Damian era rimasto con la cornetta del telefono attaccata all'orecchio, salutandola in automatico ma sbattendo più volte le palpebre nel rendersi conto della cosa.

    Quando l'aveva detto a Jon, quest'ultimo era rimasto un po' stranito, ma aveva provato a sorridergli rassicurante e a dirgli che sarebbe andata bene, che dopotutto lui stesso aveva detto che aveva adorato il pensiero di avere un nipote e che alla fine sapevano entrambi che sarebbe andata bene. Peccato, però, che sua madre sarebbe arrivata proprio quel giorno e che lui apparisse decisamente più nervoso di quanto volesse dare a vedere.

    «Non sono nervoso», disse infine come a cercare di convincere se stesso, anche se la sua espressione sembrava dire tutto il contrario. «Mia madre sa di Thomas. Non vedo quindi perché dovrei esserlo».

    «Damian, tesoro». Jon enfatizzò soprattutto sull'appellativo che aveva usato. «Sono quasi dieci minuti che stai infilzando quel cumulo di fieno con il forcone».

    Damian sgranò gli occhi, sentendo la punta delle orecchie in fiamme. «E tu me l'hai lasciato fare?»

    «In teoria ti ho richiamato tre volte, ma non mi hai sentito».

    Imprecando tra sé e sé, Damian lasciò andare il forcone e si sedette su una balla di fieno, passandosi una mano sul viso. D'accordo, lo ammetteva. Forse il pensiero di vedere sua madre lo aveva un po' innervosito, ma non aveva di certo creduto fino a quel punto. Era passato più di un anno da quando era andata a trovarlo ad Hamilton e gli aveva praticamente chiesto di perdonarla, di voler essere la madre che era stata un tempo, di volersi redimere... ma c'era sempre qualcosa che frenava Damian dal darle completa fiducia. Sapeva bene che era stupido, eppure era sempre lì che cadeva il suo cruccio.

    «Ehi, va tutto bene», disse Jon nell'avvicinarsi per poggiargli una mano su una spalla, e Damian ne sfiorò il dorso con le dita della sua. Era calda e un po' sabbiosa a causa del terreno che la sporcava, ma la strinse per concentrarsi su quella sensazione rassicurante mentre abbandonava l'altra mano sulla coscia. La protesi cigolò solo per un attimo quando mosse la gamba - avrebbe dovuto ricordarsi di fare più manutenzione, soprattutto vivendo in campagna -, e lui trasse un sospiro come per calmarsi.

    «ستكون بخير», gli mormorò ancora Jon ad un orecchio, e Damian sollevò un angolo della bocca in un sorriso. La pronuncia non era ancora perfetta, ma da qualche mese Jon aveva imparato qualche parola, sia per tranquillizzarlo sia nell'eventualità di dover comprendere Talia che, quando non voleva farsi capire da qualcuno, tendeva ad usare l'arabo.

    «شكرا», sussurrò Damian in risposta, sentendo le labbra di Jon sfiorargli con tocco gentile una guancia. Si godettero quel momento in silenzio, l'uno contro l'altro e con l'odore del fieno che riempiva piacevolmente le loro narici, talmente concentrati che quasi sussultarono quando un tamburellare contro la porta della stalla richiamò la loro attenzione; nel voltarsi ad occhi sgranati, incontrarono lo sguardo di Maylin, la ragazza che ogni tanto andava ad aiutare come segretaria alla clinica.

    «Scusi, Dottor Wayne, non volevo spaventarla», pigolò, assumendo un cipiglio imbarazzato. «Volevo avvisarla che stavo per andare, la signorina Branden ha appena messo a letto il piccolo Tommy».

    Damian fu quasi sul punto di ridere istericamente - sul serio, aveva davvero i nervi a fior di pelle se non l'aveva sentita arrivare e si era spaventato per così poco -, ma si controllò e le fece un cenno. «Grazie, Maylin. Ci vediamo la settimana prossima».

    «Buona giornata, Dottor Wayne. Arrivederci, signor Kent». Sorrise radiosa nell'agitare una mano nella loro direzione e, sul punto di dar loro le spalle una volta che venne ricambiata, si voltò quando parve ricordare qualcosa. «Oh, dimenticavo. Ha chiamato una donna, sta portando qui il suo gatto. Dice che ha avuto un'intossicazione e vorrebbe fargli un controllo».

    «Mi farò trovare in clinica», rassicurò Damian, salutandola un'ultima volta prima di vederla sparire di gran carriera; si passò quindi una mano sul viso, massaggiandosi il ponte del naso. «Il dovere chiama, J. Vado a controllare anche che Kathy non abbia fatto di nuovo entrare Goliath dalla porta di servizio», ironizzò, e Jon rise.

    «Oh, andiamo. L'ultima volta è stato divertente vedere come leccava il nasino di Tommy», scherzò di rimando, ignorando l'occhiataccia che gli venne lanciata solo per sollevare le mani in segno di resa e sciogliersi da quell'abbraccio. «
Arrivo, finisco qui e ti raggiungo tra poco. Dammi giusto il tempo di cambiarmi», rassicurò nel fare giusto un breve cenno col capo, e Damian ricambiò, dando un colpetto alla protesi prima di alzarsi.

    Lasciandolo al suo lavoro, Damian si avviò fuori dal fienile per incamminarsi verso casa, usando la porta sul retro che affacciava all'ala che avevano adibito come ambulatorio veterinario; al momento non c'era ancora nessuno, quindi controllò per scrupolo che le attrezzature mediche fossero in ordine per il prossimo paziente e tornò dentro casa, salendo lentamente al piano superiore. Kathy aveva appena finito di cantare una ninna nanna a Tommy e, quando lo vide, gli regalò un sorriso a trentadue denti.

    «Niente controllo mentale, stavolta. Si è addormentato da solo», prese in giro, soprattutto nel vedere Damian arricciare il naso al solo pensiero. E non aveva bisogno dei suoi poteri psichici per capire che all'altro non era piaciuta per niente la battuta. «Stavo scherzando, non prendermi sul serio».

    Damian grugnì sottovoce. «Mhnr. Grazie per averlo tenuto d'occhio».

    «Non è tanto male fargli da babysitter», rimbeccò divertita mentre si avvicinava a lui, tenendo sempre la voce bassa per evitare di svegliare il bambino. «Ma da domani dovrete arrangiarvi per un po', io e Maya partiamo per l'Europa».

    «Ci inventeremo qualcosa», replicò semplicemente nel lanciare una rapida occhiata a Tommy. Aveva stretto tra le manine paffute il suo peluche di Zitka, e Damian non poté fare a meno di sorridere alla vista, fulminando immediatamente Kathy con lo sguardo quando la sentì lasciarsi scappare uno sbuffo divertito e un borbottio che suonava vagamente come un “Che tenerone”.

    Rimbrottandole contro di darsi una mossa e di uscire, la invitò a prendere qualcosa da bere di sotto, ma lei rifiutò gentilmente e gli disse di dover andare a preparare le valigie; così, Damian si limitò ad accompagnarla alla porta e a salutarla, carezzando un po' la testa di Tito quando passò in salotto prima di tornare verso la clinica.

    Fu con uno sbadiglio trattenuto che aprì la porta, allungando una mano verso il camice appeso al muro a sinistra per poterlo infilare, ma si bloccò col braccio alzato a metà nel vedere la figura longilinea di una donna che, dandogli la schiena, sorreggeva il portafoto in cui era riposta la sua certificazione veterinaria.

    «Dottore, mhn. Ho dovuto scoprirlo da sola», asserì la donna in tono curioso, e Damian non dovette nemmeno attendere che si voltasse per rendersi conto a chi appartenesse quella voce. 

    «Madre».

    Talia si voltò, i grandi occhi verdi luminosi e caldi come Damian non li vedeva da anni, ormai. «Buon pomeriggio, figlio mio», esordì con calma, ma fu proprio in quel momento che Damian si rese conto di cosa aveva fra le braccia, irrigidendosi seduta stante. Stiracchiandosi come un grosso gatto, con le fauci spalancate in uno sbadiglio e le zampe bianche e arancioni striate di nero... c'era un cucciolo di tigre dalle iridi dorate che ricambiava il suo sguardo.

    Damian sollevò così in fretta la testa verso la donna che quasi rischiò di farsi scroccare il collo, il viso trasfigurato in un'espressione a dir poco sconcertata. «Cosa diavolo significa?» domandò, e odiò il fatto che la sua voce fosse risuonata nelle sue orecchie vagamente isterica. Sua madre, invece, sembrava composta come suo solito e assolutamente tranquilla, come se stesse carezzando la testa morbida e pelosa di un comune micetto.

    «Adesso sei un veterinario, o forse mi sbaglio?» rimbeccò nell'arcuare un sopracciglio, sollevando una mano per frenare la calda replica che Damian avrebbe voluto farsi scappare. «No, non sono qui per criticare la tua... scelta». Saggiò bene le parole da dire. «Anche tuo nonno amava gli animali e fece uccidere un servitore che ne aveva avvelenato accidentalmente uno, dunque non mi stupisco che tu abbia... intrapreso questa strada».

    «Non so mai se prendere le tue parole come insulti o complimenti, madre».

    «Ti ho forse arrecato offesa, figlio?»

    Damian si massaggiò le tempie, arricciando un po' il naso. Ah, accidenti. Quando cominciava a parlare in quel modo gli faceva davvero venire il mal di testa. «No, madre. Piuttosto... che ci fai qui con una... tigre? E dove diavolo l'hai trovata?» sbottò senza poterne fare a meno.

    «Ho chiamato la tua segretaria, non ti ha avvertito del mio arrivo?» chiese lei di rimando, e a quel punto gli ingranaggi nella mente di Damian si attivarono, facendogli sbattere le palpebre. Maylin gli aveva detto che una donna stava portando il suo gatto alla clinica e... oh, andiamo. Sul serio? Avrebbe dovuto arrivarci prima, dannazione. Era il figlio del miglior detective del mondo.

    «...purtroppo sì», ammise, masticando tra sé e sé quelle parole. «Ciò non spiega dove tu abbia trovato un cucciolo di tigre».

    «Un circo». Vedendo Damian arcuare un sopracciglio, Talia continuò mentre si avvicinava con grazia, superando il tavolo operatorio. «No, amore mio. Non ti sto prendendo in giro. Ho incontrato questo circo itinerante durante il mio viaggio e ho visto il modo disgustoso in cui trattavano gli animali... così ho semplicemente tagliato una mano al proprietario, aperto le gabbie e preso con me questo cucciolo, che ho deciso di portare con me. Necessito che tu ti assicuri che sia abbastanza in forma per poter viaggiare fino in Bialya».

    Senza parole, Damian non seppe cosa dire per attimi che parvero interminabili. Osservava sua madre come se quel racconto fosse difficile da credere, eppure era esattamente il contrario. Sapeva com'era sua madre, come agiva e che avrebbe davvero potuto fare una cosa del genere senza dare spiegazione alcuna ma, ciononostante, non faceva altro che fissarla come se...

    «...il gatto ti ha mangiato la lingua?» suggerì Talia, quasi gli avesse appena letto nel pensiero. Gh, dannazione. «Immagino che per te sia stata una sorpresa, ma non conoscevo un veterinario migliore a cui affidare le cure della mia tigre».

    «La tua tigre, uhm...»

    «Esattamente. Inoltre», continuò Talia, posando delicatamente il cucciolo sul bancone, sorreggendolo per la collottola per evitare che saltasse giù e corresse chissà dove, «sono qui principalmente per conoscere mio nipote. L'hai forse dimenticato?»

    Concentrato su quella tigre che aveva cominciato a leccarsi le grosse zampe, Damian ci mise un secondo di troppo per recepire le parole di sua madre, sollevando lo sguardo sul suo volto come se lo vedesse per la prima volta. Sconvolto da quel cucciolo che non era certamente un gatto, il nervosismo iniziale per il suo arrivo era passato in secondo piano. «No», ammise infine. Si passò una mano fra i capelli, imprecando tra sé e sé. «Per il momento Thomas sta dormendo. Occupiamoci prima di quella tigre», rimbeccò, avvicinandosi.

    Stava tergiversando? Oh, sicuro. Ma era pur sempre un veterinario e si sarebbe occupato di quell'animale, per quanto esotico fosse. Non era la prima volta che vedeva una tigre e, per quanto non si fosse mai occupato di curarne una, si avvicinò con cautela, facendo sì che annusasse prima una mano e comprendesse il suo odore, vedendola annusare guardinga senza distogliere i suoi enormi occhi gialli da lui; il cucciolo scoprì un po' le zanne e ringhiò, ma la carezza di Talia dietro l'orecchio lo calmò abbastanza da fargli fare un suono simile a delle fusa, tanto che persino Damian si tranquillizzò e si azzardò a toccarla. La pelliccia era morbida e calda al tatto, il cucciolo di tigre sembrava vibrare sotto le sue dita a causa del sordo brontolio discontinuo che stava creando, e Damian non poté fare a meno di sorridere quando la lingua, piccola e rasposa, guizzò per leccargli un dito.

    «Non è bellissima?» sussurrò Talia, e Damian annuì, riscuotendosi solo quando, nel toccare la zampa posteriore, il tigrotto si lamentò con un basso ringhio. Era il momento di mettersi a lavoro.

    Damian si occupò dapprima della zampa, controllando che non fosse rotta e che non fosse da ingessare, ma nel visitare quel cucciolo vide che era solo slogata e quindi si occupò di fasciarla con cura, facendo un check-up completo per assicurarsi che non avesse ulteriori problemi, stabilendone anche il sesso; controllò il battito, l'interno della bocca e le altre zampe, sottoponendolo a tutti gli esami possibili per poter essere sicuro che quell'animale potesse davvero affrontare un lungo viaggio. Non seppe quanto passò ma, nel sollevare il viso e guardare negli occhi sua madre, si sorrisero inaspettatamente entrambi nello stesso momento.

    «Può viaggiare», fu infine la sentenza di Damian, il quale distolse lo sguardo per primo mentre si toglieva i guanti. «Ti darò una pomata da applicare sulla zampa una volta al giorno».

    «La tua dedizione è ammirevole», affermò lei di rimando, issandosi fra le braccia il cucciolo sotto lo sguardo stranito di Damian.

    «G-Grazie, madre», ammise, non essendosi forse aspettato quelle parole. Sua madre, nonostante gli anni, a volte era ancora in grado di stupirlo. «Ho... delle gabbie per lui; non mi piace l'idea di tenerlo in gabbia, ma non mi sembra il caso di portarlo in giro, adesso».

    Talia lo osservò per attimi che parvero interminabili, con in viso un'espressione che avrebbe potuto significare qualunque cosa; alla fine, però, concordò, rilassando anche Damian. «Mi sembra giusto», sentenziò infine, carezzando un'ultima volta la testa di quel tigrotto. Seguì il figlio alle gabbie per poterci riporre il cucciolo, sussurrandogli qualche parola rassicurante in arabo prima di massaggiarlo sotto al collo, quasi a volerlo calmare.

    Damian ammise di averla osservata rapito. Sembrava che sua madre avesse cominciato a parlare davvero con quella tigre, visto il modo in cui le stava promettendo che sarebbe rimasta là dentro solo per qualche ora, e la tigre, dopo un cupo brontolio risalito dal fondo della gola, aveva sferzato l'aria solo per un secondo con la lunga coda e poi le aveva leccato la mano, lasciando che chiudesse la porta della gabbia. Se qualcuno glielo avesse raccontato, Damian non era certo che ci avrebbe creduto.

    «Adesso possiamo andare».

    Seppur non fosse sembrato del tutto convinto, Damian fece un cenno col capo e fu lui stesso a guidare sua madre fuori dall'ambulatorio dopo che entrambi si furono lavati le mani, incerto se portarla di sopra o offrirle prima qualcosa da bere. Pennyworth sarebbe stato fiero di lui per quella seconda scelta. Così, con la voce del buon vecchio maggiordomo nelle orecchie e tastandosi la tasca per essere certo che avesse ancora con sé il baby monitor, guidò sua madre verso la cucina, accennandole che le avrebbe preparato il suo the preferito mentre aspettavano che Tommy si svegliasse per la poppata; in quel modo avrebbe anche avuto un po' di tempo per affrontare al meglio l'incontro di Talia con suo figlio, ma non svoltò nemmeno l'angolo che in cucina vide proprio Jon e Tommy.

    Canticchiando qualcosa, Jon sorrideva mentre faceva bere il latte a Tommy, il quale aveva afferrato il biberon con le manine come se avesse il timore che il suo papà glielo portasse via. E sarebbe stata una scena davvero amorevole - davanti alla quale Damian avrebbe probabilmente sorriso - se la presenza di Talia non si fosse fatta sentire dietro di lui, incombente come un'ombra.

    Damian tossicchiò per richiamare l'attenzione di Jon, talmente preso dal bambino che non si era nemmeno reso conto di essere osservato - da quando aveva perso i suoi poteri, a volte diventava davvero distratto -, e lui quasi sussultò nel sollevare lo sguardo e fissare dapprima il volto di Damian... spostando poi la sua attenzione poco più su, sulla figura di Talia. Si vedeva lontano un miglio che non si aspettava di vederla. Non lì e non così, almeno.

    «Ciao... Talia».

    «Jonathan».

    Era un tono sprezzante quello che aveva sentito? Oh, sembrava davvero un tono sprezzante, ma Jon si sforzò di sorridere, per quanto il suo angolo della bocca avesse tremato leggermente. Lo faceva per Damian, lo faceva per Damian... per quanto quei due si fossero chiariti, c'era sempre qualcosa, nell'atteggiamento della donna, che non rendeva facili le comunicazioni fra loro.

    «Siediti, madre», invitò Damian, troncando qualunque replica da parte di entrambi. Tommy nel frattempo aveva finito la sua poppata, e Jon si riscosse giusto in tempo per alzarsi dallo sgabello e fargli fare il ruttino, proprio nello stesso istante in cui Talia, ignorando il consiglio, si era avvicinato a Jon con passo felino.

    Sotto lo sguardo di Damian, il quale aveva arcuato un sopracciglio alla vista, Talia e Jon, con Tommy nuovamente ben sistemato fra le sue braccia, si squadrarono in silenzio. Jon la superava di quasi dieci centimetri ed era il doppio della sua stazza, eppure lei non ne sembrava affatto intimorita, col mento sollevato e gli occhi fissi nelle iridi azzurre del giovane consorte di suo figlio.

    Nessuno dei due aveva ancora osato proferire parola, come se stessero tenendo d'occhio le loro debolezze o fossero pronti a fare una mossa se l'altro avesse anche solo provato a fare un passo falso; di solito Jon cercava di vedere sempre il buono nelle persone, aveva anche provato a perdonare Talia da quando aveva cercato di avvicinarsi nuovamente a Damian come la madre che avrebbe dovuto essere, per quanto non potesse dimenticare che aveva ordinato di uccidere Damian, aveva tentato di uccidere sua madre Lois, aveva fatto cose terribili... ciononostante, aveva provato a redimersi e se Damian aveva provato a darle una seconda occasione, avrebbe potuto provarci anche lui.

    Fu Tommy stesso a porre fine a quello scontro di sguardi, allungando le mani verso la donna mentre dava vita a strani borbottii dal fondo della gola. Sia Jon che Talia si accigliarono, persino Damian si era fermato un attimo accanto al cucinotto per gettare loro un'occhiata, ma fu proprio lui a stupirsi quando, ridendo, Tommy provò ad afferrare il pendente che Talia portava al collo.

    «Vuoi... prendere in braccio tuo nipote?» provò a quel punto Jon, e Talia, sollevando ancora una volta lo sguardo su di lui, sgranò gli occhi per un momento prima di tornare a fissare il volto paffuto di quel bambino. Forse non si era aspettata che gli venisse offerto di farlo, non visto che lei stessa non aveva dato molti motivi per essere pienamente accettata.

    Talia lo ammetteva. Amava Damian, quando aveva saputo cosa era successo alla sua gamba era partita appositamente dal Bialya per accertarsi che stesse bene e, seppur non approvasse del tutto le sue scelte di vita, era pur sempre suo figlio e aveva avuto modo di vedere come quel Jonathan fosse riuscito a renderlo felice, forse felice come non lo aveva mai visto davvero... e quel neonato era stato il culmine di quel momento di serenità che stava vivendo. Sentire quindi Jonathan offrirle di prendere in braccio quel bambino - suo nipote, sussurrò una vocina nella sua testa -, affidarle qualcosa di così prezioso e fidarsi di lei... aveva fatto piombare uno strano calore al centro del suo petto. Era mai possibile?

    Seppur con quella che parve essere incertezza, Talia allungò entrambe le mani per farsi consegnare quel neonato, il quale la guardò con intensità negli occhi non appena si trovò fra le sue braccia; si fissarono per attimi che parvero interminabili, poi Tommy sorrise e le punzecchiò il naso con un dito paffuto, accoccolandosi contro di lei. La cosa la lasciò interdetta, tanto che i suoi begli occhi verdi, contornati da una linea di kajal, si ingigantirono confusi.
    «Credo resterò qui per un po'» disse infine Talia, e nel ricevere uno sguardo dal figlio, tornò a guardare il volto del bambino che, ridendo, aveva afferrato il suo ciondolo e ci stava giocando. «أريد أن أقضي بعض الوقت مع حفيدي», spiegò, come se parlare in arabo le fosse di aiuto nell'esprimere in qualche modo le sue emozioni, e Jon guardò Damian con fare interrogativo, avendo capito solo in parte ciò che aveva detto. Non era molto bravo per essere certo di aver inteso.

    «Vuole passare un po' di tempo con Tommy», tradusse Damian con voce sicura, allungando verso di lui una tazza di the quando gli si avvicinò.

    Jon la afferrò distrattamente, visto il modo in cui stava fissando Talia. Aveva cominciato a sussurrare a Thomas qualcosa in arabo e, anche se Jon non ne capiva del tutto il senso, le sue orecchie si erano abituate abbastanza alla musicalità delle parole per capire che sembrava... felice. Era una cosa nuova persino per lui, soprattutto conoscendo la donna. «Immagino che vada bene», sussurrò semplicemente, gettando un'occhiata a Damian.

    Si guardarono entrambi e si sorrisero dopo un lungo istante, mentre le risate divertite di Thomas riscaldavano i loro cuori
.






_Note inconcludenti dell'autrice
Come detto in precedenza, le storie non seguono un corretto ordine cronologico, motivo per cui qui abbiamo Thomas molto più piccolo di quanto non lo fosse nella storia precedente.
Qui possiamo dire praticamente che la storia è anbientata dopo il capitolo Here's where we belong
in cui Jon e Damian si ritrovano a Gotham. Comunque sia, in ordine, ecco le frasi in arabo che vengono pronunciate dai personaggi:
«Andrà tutto bene» ||  «Grazie» || «Voglio passare un po' di tempo con mio nipote»
Avrei potuto scriverle in italiano, certo, ma in questo modo si sarebbe perso in parte il senso che volevo dare, ovvero quella sensazione in cui i personaggi parlano una lingua al di fuori dell'americano comune che teoricamente dovrebbero usare. Non so se sono riuscita a spiegarmi come si deve
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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