Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: giuliacaesar    13/12/2021    4 recensioni
⚠️POTREBBE CONTENERE SPOILER DEL MANGA DAL CAPITOLO 290 IN POI⚠️
La vita a volte ci pone davanti a delle scelte, facili o difficili che siano. Se ne scegliamo una non sapremo mai il finale dell'altra, il che ci porta a porci una serie infinita di domande che iniziano con un "e se...".
«Ha presente cosa sono gli otome game?» [...] «Insomma, quello che voglio dire è che in base alle scelte che fai ti ritrovi finali diversi, no? Quello bello, quello brutto e, a volte, quello neutrale. Basta una sola azione per compromettere il risultato finale, come nelle equazioni di matematica. Ecco, in quella stanza di ospedale potevo scegliere due strade che mi avrebbero portato a due finali differenti.».
E se... Enji fosse andato alla collina Sekoto quella fredda serata d'inverno?
ATTENZIONE! Il rating potrebbe cambiare!
Pubblicata anche su wattpad su @/giulia_caesar
Ispirazione: @/keiidakamya su Twitter e @/juniperjadelove su Twitter e Instagram.
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dabi, Endeavor, Hawks, League of Villains, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 1 – LA DANZA DI TOUYA 

«Fin da piccolo, fin da quando ne ho memoria, ho sempre voluto diventare un hero. Forse per compiacere mio padre, forse perché tutti a scuola volevano fare quello da grandi, sinceramente non so il motivo. È sempre stato così, fine della storia. 

«Il problema, però, di questa mia ambizione risiedeva proprio in me stesso: ero troppo debole. Quando mio padre decise di giocare a fare il piccolo chimico sposando mia madre per creare l’hero perfetto non aveva tenuto conto di una cosa, cioè che alla genetica a volte piace fotterti. Il mio corpo... - respirò a fondo per evitare di piangere – Dicevo, il mio corpo in realtà non riesce a sopportare la potenza del mio quirk. Rischio di farmi seriamente del male ogni volta che lo uso, è una cosa che molti medici hanno cercato di risolvere o di capirne il motivo, ma ormai si sono arresi tutti quanti. Sono così, punto e basta. 

«Mi ricordo benissimo l’espressione dei miei genitori quando il dottore disse loro che la mia salute poteva essere seriamente compromessa con l’utilizzo del mio quirk. Mia madre era sull’orlo delle lacrime, aveva un’espressione che non le mai visto fare. Sembrava addolorata, dispiaciuta. Mi sentii in colpa, mi sentii sbagliato, nessun figlio doveva far piangere la propria madre. Mio padre... tutt’oggi non riesco a capire cosa gli frullasse in testa, sembrava amareggiato, incazzato, forse... dispiaciuto? Con chi? Non lo so. Anche allora credetti fosse colpa mia, che lo avevo deluso, che non fosse fiero di chiamarmi figlio. 

«Quando il medico propose una terapia per la soppressione del quirk mi si rizzarono tutti i peli del corpo. Preferivo di gran lunga bruciare me stesso che subire un’umiliazione simile. Si sa, è normale che i quirk possono effetti collaterali pericolosi per chi li possiede, ma non utilizzarli proprio rischia di peggiorare ulteriormente le cose. Sopprimerlo forse era la cosa giusta da fare. La più difficile e la più dura, ma decisamente quella che mi avrebbe portato meno rogne, che non mi avrebbe condotto qui nel suo studio.». 

Rivolse un triste sorriso allo psicologo, che non aveva distolto lo sguardo da lui nemmeno per un secondo, ascoltandolo con interesse e attenzione. Il professore gli sorrise come ad invitarlo a continuare, capendo che sotto quella pelle liscia e pallida, costellata da piercing argentei, ci fossero altre sensazioni ed emozioni da buttare fuori. 

Touya prese l’ennesimo respiro profondo e continuò. 

«Sa, dottore, a volte mi ritrovo a pensare “e se avessi accettato?”. Se mi fossi lasciato alle spalle questa storia, se mi fossi finalmente messo l’anima in pace e avessi accettato di riempirmi di farmaci per tutta la mia vita per sopprimere il mio quirk e condurre una vita normale? Oppure se fossi nato senza quirk? Cosa ne avrei fatto della mia vita? 

«Forse avrei frequentato l’università, magari medicina come Natsu o scienze dell’educazione come Fuyumi, sarei uscito tutti i sabati con i miei amici, sarei andato ai concerti dei miei gruppi preferiti, avrei viaggiato per piacere e non solo per lavoro, forse in America o in Australia, sa giusto per farmi una vacanza tra un esame e l’altro. Mi sarei laureato, avrei trovato il lavoro dei miei sogni con un buon stipendio, sarei diventato indipendente e avrei comprato una casa, non vivrei in affitto in un monolocale striminzito e forse... forse... - deglutì per ricacciare indietro le lacrime – avrei conosciuto qualcuno... qualcuno con cui passare il resto della mia vita insieme, magari con dei figli, nostri o adottati, ha poca importanza. 

«Sarei stato felice... con una vita ordinaria, senza pericoli, con una routine fissa tutti i giorni, tutti i mesi, tutti gli anni della mia esistenza. Ecco cosa sarebbe successo, sarei stato ordinario, uguale a tutti gli altri, ma mio padre mi aveva inculcato nella testa che io invece dovevo essere straordinario, che ero diverso dagli altri, che ero destinato a una vita d’azione e di gloria. Per mio padre io sarei stato un motivo di orgoglio e io volevo davvero accontentarlo. 

«Insomma, come puoi caricare di così tante aspettative un bambino di tre anni, di mostrargli davanti alla faccia un piatto così buono, così bello, così invitante, promettendogli che lo avrà e ne avrà altri... e poi rovesciarglielo davanti agli occhi. È così che mi sento, come se tutto quello che mi aspettasse di diritto fosse stato buttato nel cestino dell’immondizia, nell’umido per essere precisi. Sento di essere stato truffato dal mio stesso padre, che mi ha caricato di aspettative che un bambino non avrebbe avere sulle spalle. È giusto che un padre abbia delle aspettative su suo figlio, che voglia il meglio per lui, ma papà ha esagerato: mi ha mostrato cosa sarei potuto diventare, per poi bruciarmelo e renderlo un mucchietto di cenere ai miei piedi.». 

Prese una pausa per respirare. Le ultime parole gli erano uscite dalla bocca incontrollabili, veloci come un treno e non si era accorto che il dottor Miura aveva iniziato a prendere appunti. In realtà erano parole e brevi frasi scritte in fretta su un quadernino, forse qualche prima impressione su di lui e su quale psicofarmaco imbottirlo. Forse anche quale ospedale psichiatrico dove spedirlo. Il dottore non disse una parola, mentre Touya si riempiva di nuovo il bicchiere per bere un altro sorso. Poi il ragazzo riprese a parlare. 

«Adesso mio padre le sembrerà un mostro, uno stronzo, ma non è così. Parte della colpa è anche mia e forse anche di mamma. Io ero, anzi lo sono tutt’ora, un bambino troppo testardo e orgoglioso per comprendere veramente quali strade mi si sarebbero aperte davanti e mia madre mi amava fin troppo per cercare di imporsi e incatenarmi a una vita che non volevo, ma che mi avrebbe salvato in qualche modo. Ha presente cosa sono gli otome game?». 

Il dottore alzò lo sguardo dal suo quadernino per rispondergli con una risatina: «Giovanotto, mi credi davvero così vecchio?». Touya si rese conto della gaffe appena commessa e si affrettò a chiedere scusa arrossendo come un pomodoro. 

«Insomma, quello che voglio dire è che in base alle scelte che fai ti ritrovi finali diversi, no? Quello bello, quello brutto e, a volte, quello neutrale. Basta una sola azione per compromettere il risultato finale, come nelle equazioni di matematica. Ecco, in quella stanza di ospedale potevo scegliere due strade che mi avrebbero portato a due finali differenti: quella di sopprimere il quirk con un finale neutrale, ordinario, come ho detto prima, e quella di fottermene di tutto e tutti, persino di me stesso, per rincorrere qualcosa di incerto. Scegliendo la seconda opzione mi si aprivano altri due finali, quello bello dove per miracolo riuscivo a non uccidermi da solo con il mio stesso quirk e a diventare un pro hero così potente e bravo da oscurare All Might oppure... quello brutto dove sarei morto carbonizzato dalle mie stesse fiamme. Chissà, magari avrei sviluppato un odio tale verso mio padre e le sue aspettative troppo alte che sarei scappato e sarei diventato un villain. 

«Scusi, mi viene da ridere, ma mi ci vede come villain? Con i capelli bianchi che mi si sporcano con nulla e la pelle così delicata che spendo la metà del mio stipendio in creme? Che genere di cattivo sarei, se mi sento male alla vista del sangue e mi metto a piangere ogni volta che riguardo “Hachiko”? Un cattivo ancora più deludente di come sono ora da pro hero, glielo dico io. Già vedo gli altri cattivi, che ne so, della League of Villain che mi prendono per il culo per la pelle che mi diventa ruvida come un foglio di carta al minimo accenno di freddo.». 

Si fermò un attimo per ridacchiare, mentre il dottor Miura sollevava il viso dal suo quaderno e gli rivolse la parola: «Se tu sei qui e non sei un mucchietto di cenere dentro un’urna, immagino che il miracolo sia avvenuto, no?». 

Touya fece una smorfia. 

«Beh, sì e no.». 

Il dottore fece un’espressione confusa. 

«In che senso? Spiegami meglio.». 

Touya sbuffò come una teiera e riprese a parlare. 

«Riprendo il filo del discorso iniziale, così vediamo se anche a lei sembra che sia avvenuto il “miracolo”. - a marcare il suo tono ironico Touya fece delle virgolette con le dita – Allora, di cosa stavo parlando? Ah, sì, eravamo arrivati alla visita medica e alla proposta della terapia di soppressione del quirk, giusto? Bene. 

«Ovviamente, neanche il tempo di far finire la frase al medico che mio padre inizia a sbraitare come non l’ho mai visto fare. Sul serio, mio padre già normalmente non infonde molta fiducia, anzi di solito molti civili si lamentano del suo perenne broncio sul muso, neanche gli avessero investito il gatto. In quel momento ho davvero avuto paura di lui e anche mamma, credo. Sprigionava fiamme altissime, aveva la faccia praticamente viola per le urla e non la smetteva di prendere a male parole il medico, che, giuro, l’ho sentito piangere quando mia madre ci ha trascinati tutti e tre fuori dall’ambulatorio con non so quale forza. 

«Da allora è iniziato un periodo di cui non ho molti ricordi in realtà, però non è stato semplice, per nessuno dei tre. Mio padre ha deciso che il modo migliore per spingermi a smettere di rincorrere un sogno che mi aveva inculcato lui stesso nella testa era quello di ignorarmi. Se prima della visita passavamo quasi tutto il suo tempo libero insieme, ora non passava nemmeno più a casa quando non era al lavoro. Sospetto pure che si sia fatto dare anche dei doppi turni pur di ignorarmi. Di solito riuscivo a vederlo la mattina presto quando io mi alzavo per andare a scuola nel frattempo che lui usciva per andare al lavoro e la sera a cena. A volte capitava che non lo vedessi per giorni interi, se non settimane... ed era uno strazio. 

«Allora non me ne sono accorto, ma ero così ossessionato dal voler attirare l’attenzione di mio padre da uscire quasi fuori di testa... quasi. Ogni giorno dopo scuola mi recavo alla collina Sekoto per allenarmi sul mio quirk: cercavo di imitare le tecniche di papà e dei suoi sidekick, di crearne delle mie, facevo molta ginnastica per irrobustire il corpo, per migliorare la resistenza. Più di una volta mi sono bruciato da solo, tant’è che a casa mi beccavo gli strilli di mio padre e i pianti di mia madre. 

«Papà ha cercato di convincermi a smettere di allenarmi, a farmi degli amici a scuola, ma lui come poteva capire? Come poteva capire come mi sentivo io in quel momento? Lui l’aveva solo accesa la fiamma e non si era accorto che era diventata un fuoco incontrollabile per me. Ogni sguardo mancato, ogni attenzione non ricevuta, ogni momento passato a sgridarmi non faceva che alimentare quel fuoco. Finché non è diventato un incendio incontrollabile quando è nato Shoto. 

«Era appena nato, ma era già ovvio a tutti: avrebbe finalmente sviluppato il quirk tanto desiderato da papà. Il suo esperimento era andato a buon fine, aveva ottenuto finalmente un risultato... quindi era ora di sbarazzarsi dei suoi fallimenti.». 

Prese l’ennesimo respiro profondo. Non immaginava che avrebbe parlato così tanto e di certo di un argomento come quello. Adesso, però, veniva la parte più difficile, il lato più tossico e malato della sua famiglia, apparentemente perfetta. Un lato che aveva tenuto nascosto per anni, come quando si infila la polvere sotto al tappeto. Ne aveva parlato una sola volta con lei scoppiando addirittura a piangere. Lei inaspettatamente l’aveva cullato e confortato, gli aveva asciugato le lacrime e gli aveva baciato la fronte, le guance, le labbra sussurrando parole che gli si erano scolpite nel cuore. 

Non sei sbagliato, non sei rotto, non sei un fallimento. 

Sei così tante cose, cose belle, cose meravigliose... 

Non si ricorda il resto, perché aveva rincominciato a piangere come un bambino. Nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere e tantomeno se le aspettava da una persona come lei, così gelida, dentro e fuori, da sembrare fatta di ghiaccio. 

Dio, com’era stupido... 

Ormai era almeno un minuto che stava zitto per cercare di riprendere a parlare senza piangere, ma più tentava di rimanere impassibile, più le parole gli venivano meno. Il dottore attese pazientemente qualche secondo in più e poi gli disse: «Touya, non contenerti e non sforzarti neanche. Se non te la senti, va bene così, cambiamo argomento.». 

Il ragazzo si sorprese, non si aspettava una risposta simile. Credeva che lo avrebbe intimato a non fare la mammoletta, che gli avrebbe mollato qualche psicofarmaco e rispedito a casa. Invece gli dava la possibilità di non parlare. E proprio per questa libertà che decise di tirare fuori tutto. Decise di sollevare finalmente il tappeto. 

Quanta merda che c’era sotto. 

«Ho tentato di uccidere Shoto appena nato. 

«Non ricordo i dettagli, ero completamente fuori di me. In quel momento tutte le mie ansie, le mie paure, le mie ossessioni avevano finalmente trovato un obiettivo su cui sfogare tutta la mia frustrazione: quel cosino minuscolo bianco e rosso di mio fratello. Ricordo però tutte le emozioni che ho provato in quel momento. Ricordo la rabbia per l’ottusaggine di papà e dell’incompetenza della mamma, la frustrazione verso me stesso e il mio corpo malaticcio, ma soprattutto ricordo l’invidia nei confronti di mio fratello. Invidia per un bambino che era nato da pochi giorni e che aveva ricevuto dalla vita ciò che mi era sempre stato negato: le attenzioni di papà, l’adorazione da parte di Natsuo e Fuyumi, l’affetto di mamma... un quirk che di diritto sarebbe dovuto aspettare a ME.». 

All'ultima parola piccole gocce di lacrime gli bagnarono la guancia atterrando sulle labbra. Faceva male. Molto male. Non solo il ricordo di quello che provava (e a volte prova tutt’ora) nei confronti del fratello più piccolo, ma anche l’atto stesso di piangere, perché l’occhio bendato era ancora in via di guarigione e gli faceva male al minimo movimento. Neanche il pianto gli aveva lasciato quella lì. 

Chiuse gli occhi per concedersi qualche momento di pianto. Quando li riaprì, il dottore non si era mosso di un millimetro, continuando a guardarlo. Anzi no, a osservarlo, ma non come si fa con le cavie da laboratorio e neanche con compassione. Lo osservava senza mostrare alcun tipo di emozione dietro, come ribrezzo o pietà, ma lo osservava semplicemente per quello che era in quel momento: un ragazzo distrutto da un lavoro e da una guerra più grande di lui, da un futuro promesso che gli è stato strappato dalle mani con violenza. Il dottore non vedeva un matto di fronte a lui, vedeva solo Touya, con i suoi pregi e i difetti, con i suoi demoni e i suoi segreti. 

Alla fine questo dottore non è così male.  

Il dottor Miura non gli porse nemmeno un fazzoletto, si limitò solo a dirgli di prendersi tutto il tempo che voleva e di non sforzarsi a parlare. E così, dopo aver pianto un altro po’ rincominciò il suo discorso. 

«Dopo quell’episodio papà iniziò a diventare violento, soprattutto nei confronti della mamma e a volte anche di Shoto, ma non ha mai alzato le mani con lui. Continuava ad insistere che era responsabilità di mia madre se io continuavo ad allenarmi e a farmi del male, che doveva imporsi di più... che non valeva nulla né come donna né come madre. Io, già ero stronzo di mio, in più sentivo mio padre, il mio idolo, dire queste cose, ho rincarato la dose... 

«Senta, so che non ho scusanti, anche se ero solo un bambino. Ero stupido, non capivo un cazzo allora della mia situazione e della situazione che a causa mia c’era in casa, ma ho detto cose orrende a mia madre. Le ho detto che era anche colpa sua, che la sua famiglia era povera e quindi l’hanno venduta alla famiglia di papà. Venduta. Come si fa con gli oggetti, no? È così che vedevo mia madre, un oggetto rotto e vuoto, che aveva preso parte a rendermi la vita un inferno, anzi forse era tutta colpa sua se avevo quel corpo magrolino e troppo debole, come il suo. Come lei. 

«Mi vergogno di quello che le ho appena detto, dottore. È vero, ero solo un bambino e i miei genitori hanno le loro colpe, ma anche io ho le mie. Ero troppo testardo, troppo egoista per accorgermi che la mia famiglia si stava sgretolando a causa mia. 

«A causa della mia testardaggine, del mio menefreghismo era venuto a crearsi una reazione a catena che coinvolgeva tutti in famiglia: io mi facevo del male, papà diventava violento e se la prendeva con la mamma, mia madre subiva questi abusi non solo da parte di suo marito, ma anche dal suo stesso figlio e i miei fratelli dovevano assistere a questi spettacoli macabri quasi tutti i giorni. Non mi sono reso conto di questa cosa fino a qualche anno fa, finché non sono diventato abbastanza maturo da capire che ogni nostra decisione, buona o cattiva che sia, porta a delle conseguenze... a cui prima o poi dobbiamo rispondere, ma questa è un’altra storia di cui parleremo più avanti. 

«A 13 anni poi ci fu la svolta. Non so se possiamo chiamarlo “miracolo”, ma di certo diede una svolta alla mia vita e a quella della mia famiglia.  

«Mi stavo allenando come sempre alla collina Sekoto, nulla sembrava diverso dal solito. Subito dopo scuola ero subito corso ad allenarmi nonostante la neve e il freddo. Ero elettrizzato quel giorno, perché avevo chiesto a mio padre di venire a vedere ciò di cui ero capace. Volevo che vedesse i miei progressi, volevo che finalmente mostrasse nei miei confronti quell’orgoglio che aveva negli occhi ogni volta che guardava Shoto. Volevo che per una volta guardasse me...». 

---              

Touya non sentiva freddo in quel momento, seppur nevicasse e fosse senza maglietta. Negli anni aveva notato di avere una grande resistenza al freddo, anzi che si sentiva meglio ad allenarsi in inverno, piuttosto che in estate. Col caldo si sentiva soffocare, iniziava a sudare come un maiale e più di una volta era quasi svenuto, mentre d’inverno era tutta un’altra storia: si sentiva rinvigorito dalle temperature basse che gli davano la freschezza e il sollievo di cui aveva bisogno dopo aver utilizzato troppo il suo quirk. 

Negli anni si era interrogato spesso sul perché di queste sensazioni, più per avere una conoscenza maggiore del suo quirk che per pura curiosità. Aveva capito che meglio si conoscono i propri limiti, più è facile saperli superare. Era arrivato alla conclusione che era una specie di strano miscuglio tra il quirk di sua madre e quello di suo padre: Rei di certo gli aveva donato una particolare resistenza al freddo, mentre Enji è sempre stato soggetto a febbri particolarmente alte a causa della sua potenza di fuoco, quindi poteva essere che la neve e le temperature basse compensassero i contraccolpi del suo quirk. 

Quel giorno, però, non aveva tempo di spiegare a suo padre i pochi vantaggi che sua madre gli aveva donato. Assolutamente no. Finalmente lo avrebbe guardato, finalmente avrebbe visto in lui il prossimo numero uno, finalmente sarebbe stato di nuovo amato da suo padre.  

Non sarebbe più stato un fallimento. 

Chiuse gli occhi per concentrare la sua attenzione sul palmo della mano. Respirando a fondo, si immaginò una scintilla sulla sua pelle chiara, che poi diventa più grande, più forte per diventare una fiamma... blu. Aprì gli occhi e sorrise, nonostante sentisse le lacrime pizzicargli gli occhi. Per una volta si lasciò andare a un piccolo e silenzioso pianto liberatorio. 

Era emozionato come non gli era mai successo. Non vedeva l’ora di scoprire come suo padre avrebbe reagito a quello che era in grado di fare, si era impegnato così tanto in quegli anni per avere un minimo di considerazione, di reazione da parte di suo padre. 

Sentì dei passi dietro di sé. 

Si voltò così velocemente che Enji per un attimo temette potesse svitarglisi la testa. Sbuffò pronto a fare l’ennesima ramanzina al figlio. Come poteva essere così testardo quel bambino? 

È tuo figlio, idiota. 

La sua coscienza non aveva tutti i torti, anzi aveva decisamente ragione. In qualche modo, la testardaggine di Enji era riuscita a raggiungere Touya, che probabilmente aveva la testa più dura del granito. Ne era decisamente convinto di fronte alla scena che aveva davanti: suo figlio senza maglietta in mezzo alla neve che continuava a saltellare come un coniglio in giro per la radura, pochi manichini mezzi carbonizzati qualche metro più in là. 

Ovviamente l’unica cosa intelligente che gli venne in mente di dire fu: «Touya, che ci fai senza maglietta? Copriti che domani hai scuola!». 

Suo figlio si limitò a scrollare le spalle ignorandolo. 

Questo ragazzino mi farà venire i capelli bianchi prima dei 50 anni! 

Sbuffò un’altra volta. Bene, ora era venuta la parte che odiava più di tutte, quella dove per l’ennesima vola doveva demolire le aspettative del figlio come uno stronzo. Be' forse un po’ stronzo lo era. Non sapeva più come comportarsi con Touya, con la sua famiglia in generale. La continua preoccupazione nei confronti del maggiore dei suoi figli e lo stress lo portavano ad avere comportamenti odiosi nei confronti di tutte le persone che lo circondavano. Più odiosi del solito, insomma. 

Non stava nemmeno ascoltando cosa Touya gli stesse dicendo, preoccupato com’era a trovare le parole giuste a far desistere quel mulo di suo figlio per quella che sperava fosse l’ultima volta. In realtà le parole giuste ce le aveva da tempo, ma l’orgoglio e la sua testardaggine lo fermavano sempre in anticipo. 

Ti prego. Ti prego fermati. Smettila di farti così tanto del male. Non riesco a sopportarlo. Non riesco a vederti conciato in questo modo tutti i giorni, di vederti quello sguardo folle negli occhi tutte le sere. 

Ti prego, basta. 

Touya, la vita non è solo essere un hero, la vita è altro. È farsi degli amici, è conoscere nuove persone, avere passioni diverse, non spaccarsi la schiena davanti a un manichino, non rodersi il fegato notte e giorno per i successi degli altri... 

Non vivere come ho fatto io fin ora, figlio mio, ti prego. 

Scusami, perdonami per quello che ti ho fatto, non avrei mai dovuto ripiegare così tante aspettative su di te senza neanche minimamente fermarmi un attimo a pensare dove ci avrebbe portato questa situazione. 

Perdonami... 

«TOUYA!». 

Il ragazzino si zittì un attimo fissandolo con gli occhi blu, enormi e pieni di emozione. Il silenzio durò qualche secondo, giusto il tempo per Enji di prendere coraggio e parlare a cuore aperto al figlio. Si sentiva a un mostro a comportarsi in questo modo, ma era l’unica maniera per far desistere quel cocciuto. Prese un respiro profondo per iniziare l’ennesimo litigio, quando suo figlio lo precedette. 

«A-Aspetta! Ti prego, prima di parlare guardami! Guarda cosa sono capace di fare.». 

Prima ancora che Enji potesse fare un passo verso di lui per fermarlo, Touya si voltò di scatto, creò una palla di fuoco e la lanciò verso il manichino più vicino, che andò in fiamme. 

Blu. Fiamme blu. 

Enji trattenne il fiato per la sorpresa. Come era possibile? Come ne era in grado solo con pochi anni di allenamento e senza la minima esperienza? 

Lui era ovviamente capace di produrre quelle fiamme blu, molto più potenti di quelle rosse, solo dopo essersi concentrato a lungo e, comunque, ne faceva uso solo nelle situazioni di estrema urgenza. Invece, Touya era riuscito a produrle con la semplicità e la naturalezza di chi ha questo dono fin dalla nascita. 

Non fu l'unica sorpresa in quella serata fredda e nevosa di dicembre. 

Touya iniziò a mostrare al padre le tecniche su cui aveva lavorato negli ultimi mesi di allenamento. Tecniche basate su suoi vecchi scontri con i villain, tecniche che lui stesso stava ancora cercando di affinare e tecniche completamente nuove, inventate da suo figlio stesso. 

Si muoveva con una velocità e un’agilità davvero spettacolari. Alto e magro, Touya sapeva essere scattante come una tigre, eguagliandola persino in ferocia. Tirava pugni velocissimi ai manichini per rincarare la dose con qualche fiamma, mai troppo esagerata, il giusto per ferire senza però farsi del male. Calcio, pugno e salto all’indietro, come se aspettasse che il manichino gli rispondesse. 

Le fiamme che produceva erano intense, molto più intense di quello che ricordava, eppure suo figlio non sembrava provare alcun dolore o non sembrava ferirsi in alcun modo, se non superficialmente. 

Le mosse non erano avventate o dettate dall’impazienza e dall’emozione, ma ben calcolate, come se stesse eseguendo una coreografia su cui si era esercitato per ore e ore. Si muoveva con la grazia che lui, essendo così grosso e muscoloso, non aveva mai avuto, in modo da renderlo difficile da prendere. Aveva sempre visto il corpicino magro ed esile di suo figlio come un ostacolo enorme, senza mai rendersi conto del suo reale potenziale, senza mai essersi fermato ad osservarlo con attenzione. 

E per la prima volta dopo anni lo stava finalmente guardando con gli occhi giusti, con gli occhi che non cercano di trovare solo di difetti, ma anche potenzialità. 

Per la prima volta in tutta la sua vita stava finalmente guardando suo figlio. 

Enji rimase a bocca aperta per tutto il tempo che Touya gli mostrava di cosa era in grado di fare. Era semplicemente sbalordito dalle sue grandi capacità, mai si sarebbe immaginato che quel ragazzino di 13 anni, fin ora creduto fragile come una lastra di ghiaccio, potesse nascondere un talento così grande. 

No, in realtà aveva sempre saputo che suo figlio era destinato a qualcosa di più, a un futuro più brillante del suo. Solo che negli ultimi anni era stato preso dal un senso di sconfitta e rammarico così grandi dal dimenticarsi che forse una speranza c’era. Era stato troppo impegnato a cercare di demolire un sogno che in realtà aveva tutto il diritto di continuare ad esistere, a spegnere una fiammella che in realtà era già diventata un incendio incontrollabile. 

Quello che Enji non poteva sapere è che da quel momento in poi la sua vita e quella di tutta la sua famiglia avrebbe preso una piega del tutto diversa da come le cose sarebbero dovute andare. 

Ma quella è un’altra storia che non tocca a noi raccontare. 

La storia del ragazzo, solo e abbandonato, che decide di portare a danzare con sé all’inferno tutto il mondo piuttosto che rimanere inosservato


- SCLERI DELL'AUTRICE -
Buonasera a tutt*!
Spero siate viv* dopo questo capitolo lunghissimo, ma abituatevi a questa cosa, perché io non so stare sotto le 8 pagine, lol.
Volevo inoltre comunicarvi che ho scelto il lunedì come giorno per torturarvi con i miei capitoloni, anche se mi prenderò una pausa per le vacanze invernali. Che periodo schifoso per iniziare a pubblicare una storia ^^'.
Infine, volevo come sempre, chiedervi umilmente, per gentil cortesia, in ginocchia sui ceci, di lasciarmi una recensione per farmi sapere se la storia vi sta piacendo. Grazie di cuore per quelle che avete lasciato <3.
Bacini stellari,
Giuli.

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: giuliacaesar