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Autore: _kookieo    15/12/2021    1 recensioni
Taehyung è un giovane ricco e cinico per cui il Natale non significa niente. Alcuni avvenimenti straordinari lo porteranno ad una nuova consapevolezza sulla propria vita.
[Liberamente tratto da "Canto di Natale" di Charles Dickens]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Vigilia di Natale: Mattina


“Buongiorno signor Kim!” la voce di Jungkook era fastidiosamente più squillante del solito e Taehyung gli buttò addosso un saluto che risultò piuttosto un grugnito. Sapeva il perché di tanto entusiasmo e non aveva intenzione di sopportarlo. Come previsto il suo sonno era stato travagliato e i volti sorridenti per la via prima e nel suo studio ora non facevano altro che aumentare la pressione sui suoi già instabili nervi. 

Prese posizione dietro una massiccia scrivania di mogano borbottando con tono esausto “Cosa diamine vi prenderà in questo periodo dell’anno” e si lasciò cadere pesantemente sulla grande sedia foderata di velluto verde. Era un pregiato pezzo d’antiquariato, ma come il resto del mobilio portava i segni dell’incuria del suo proprietario. Quell’ufficio che un tempo doveva esser stato raffinato e elegante, ad oggi si presentava consunto, quasi decadente. Rammendare i tessuti e lucidare i mobili costava.

“Ma signore, è la Vigilia di Natale!” Jungkook come sempre non si lasciava intimidire e il suo bel volto giovane non perse la sua euforia “E guardi che bel tempo fuori! Stanotte ha nevicato, avremo un bianco Natale con il sole!” sorrise felice e gli occhi semichiusi furono incorniciati da graziose rughette. 

La risposta di Taehyung fu uno sguardo privo di emozione, come se non avesse detto nulla. Senza proferir parola, aprì il registro che aveva davanti e assicuratosi che tutto fosse ancora come la sera prima tornò a Jungkook rivolgendoglisi con diffidenza:

“Immagino tu non abbia ancora fatto il preventivo delle spese del prossimo anno”

Jungkook raddrizzò la schiena e si accomodò meglio sulla modesta sedia di legno su cui era seduto:

“Inizio subito!”

“Non c’è bisogno di urlare Jungkook” rispose Taehyung alzando gli occhi al cielo. La testa gli scoppiava dopo la notte quasi insonne. “Voi ragazzi fate sempre troppo rumore”

Jungkook fece cadere la penna che stava impugnando per portare in fretta le mani alla bocca.

“Cosa c’è!?” scattò Taehyung esasperato.

L’altro cercò di ricomporsi e inghiottire la risata che aveva pronta in gola:

“Mi scusi, è solo che è un ragazzo anche lei, signor Kim. Non ricorda che abbiamo quasi la stessa età?”

Dopo uno strano attimo di silenzio, Taehyung si alzò dalla pesante sedia. Lo fece con mossa aggraziata e Jungkook ebbe modo di constatare, per la milionesima volta, quanto Madre Natura fosse stata generosa con lui. Nonostante il suo spirito di ghiaccio, la durezza perenne impressa nel suo volto non ne scalfiva tuttavia la bellezza. Aveva un fisico longilineo, ma al tempo stesso robusto, una pelle leggermente ambrata che sembrava di bambola e delle labbra rosee della misura perfetta. Occhi freddi ma inspiegabilmente magnetici e una cascata di capelli morbidi color dell’ebano a incorniciare il volto terminavano le fattezze di quella che sarebbe potuta facilmente essere una figura appartenente a un quadro. 

Non di rado, dunque, Jungkook si era trovato a riflettere sull’aspetto etereo del suo datore di lavoro, ad ammirarne i tratti e contemplare la loro perfezione. Ed ogni volta non poteva fare a meno di chiedersi quanto sarebbe potuta accrescere una tale bellezza se solo fosse stata illuminata dalla gioia di un sorriso sincero, di quelli che irradiano luce partendo dagli occhi sul resto del volto. Doveva essere la vista più spettacolare del mondo, ne era sicuro. 

Il muro che Taehyung aveva messo tra sé e il resto delle persone era però così solido che per quanti sforzi Jungkook facesse per scalarlo o farvi breccia, si ritrovava sempre al punto di partenza. Era giovane e credeva ancora nelle favole dal lieto fine, eppure l’atteggiamento  costantemente distaccato di Taehyung da un po’ di tempo aveva iniziato a sgretolare le sue speranze sul fatto che prima o poi sarebbe cambiato. 

Lo vide avanzare e fermarsi di fronte al tavolo dove stava lavorando. I loro sguardi si incrociarono e quello di Taehyung gli parve senza vita.

“Non è importante” mormorò. Jungkook captò qualcosa di insolito nel suo tono e si irrigidì. “Non è importante” ripetè Taehyung gelido “e io e te non siamo uguali”.

Per qualche motivo, questa volta il colpo fu peggio del solito. Taehyung era sempre scontroso nei suoi confronti, ma le parole che gli aveva rivolto adesso presentavano una sfumatura anomala che non aveva mai sentito. Lavorando tutti i giorni (esclusa, grazie al cielo, la domenica) insieme nella stessa stanza dalle otto e trenta del mattino fino a quando il sole calava e non donava più la sua luce, Jungkook aveva imparato a captare gli umori e soprattutto i malumori del suo capo anche già solo da come si toglieva il cappotto o apriva il registro dei conti. Lo aveva imparato a decifrare, o almeno così credeva: in quel momento si rese conto che la distanza tra loro era ancora enorme, probabilmente un abisso. Jungkook aveva avuto l’impressione che le parole di Taehyung fossero fuoriuscite da una cavità nascosta dentro di lui e fossero cariche di un peso che non riusciva a quantificare né a comprendere.

Come può una persona così giovane e bella serbare tutto questo rancore? pensò. Perché sembra detestare qualunque cosa manifesti l’entusiasmo della vita? Per quale motivo odia il mondo, le persone? Per quale motivo odia me?

Sentì un suono metallico provenire dal centro del suo petto. Qualcosa si stava spezzando, forse per sempre. Prese consapevolezza all’improvviso che le acque del bellissimo ragazzo di fronte a lui erano troppo profonde e torbide perché potesse sperare di esplorarle senza annegare. Si fece piccolo piccolo sulla sedia e abbassò lo sguardo:

“Certo signor Kim, non volevo offenderla, mi perdoni l’ impertinenza”

Jungkook pensò che in fondo era vero, loro due non erano uguali. Kim Taehyung era l’ultimo erede di un’importante casata dell’alta società decaduta ed era sangue nobile a scorrere nelle sue vene. Nonostante le disgrazie che si erano abbattute sulla sua vita fin dalla più tenera età, la perdita di ricchezze e titoli prima e la morte di entrambi i genitori poi, era riuscito comunque a risollevare il proprio nome e ammassare di nuovo un’immensa fortuna. Aveva la stoffa del combattente, del leader. Jungkook invece era solo il figlio di una semplice coppia di proprietari di bottega che nel migliore dei casi sarebbe rimasto alle dipendenze di altri per il resto dei suoi giorni. Sentì le lacrime far capolino, ma strinse con tenacia la penna nel pugno e riuscì a fermarle. 

“Non appena avrò terminato questi calcoli glieli porterò in revisione” disse cercando di rendere stabile la propria voce.

“Bene” rispose lapidario Taehyung e tornò alla scrivania.

Ripreso il suo posto, si mise a fissare per qualche altro minuto Jungkook, che buttato a capofitto nel suo compito non alzava la testa dal registro su cui stava prendendo appunti. All’improvviso, Taehyung afferrò in modo nervoso un quaderno e una stilografica, ma si fermò prima di posare l’inchiostro sulla pagina bianca perché si accorse di non aver nulla da scrivere. Stava compiendo gesti strani e inutili e l’inquietudine della sera prima lo colse ancora una volta. Non era sicuro del perché avesse cercato carta e penna a quel modo, così come non riusciva a capire perché avesse sentito il bisogno di avvicinarsi a Jungkook per rispondere al suo commento. Ci si era semplicemente ritrovato e aveva detto parole che quasi non comprendeva. Era come se ciò che Jungkook aveva detto gli avesse attivato un bottone interno, portandolo a una reazione indecifrabile persino per sé stesso. 

Se c’era una cosa in cui Taehyung era però abile - oltre  a far soldi ovviamente - era ignorare le proprie emozioni. Per non far la figura dello sciocco, ammesso che Jungkook si fosse accorto di quanto appena successo, finse di scarabocchiare caratteri a caso sul quaderno. Ogni due tratti lo sguardo tornava però sul ragazzo. Non era abituato a vederlo ritirarsi in quel modo e se fosse stato lucido riguardo quanto provava avrebbe colto la preoccupazione nascosta in quei suoi sguardi. Il fatto di poter sempre contare sull’allegria del giovane era per lui un qualcosa di assodato, scontato. Un angolo di sé capiva perfettamente che nella sua vita fatta di privazioni auto imposte, il sorriso perenne di Jungkook era il suo unico, vero… conforto. Taehyung sgranò gli occhi e la stilografica tremò nelle sue mani. Non era stato lui a trovare quella parola, se l’era sentita soffiare all’orecchio. 

Inalò rumorosamente e Jungkook se ne accorse. Vide Taehyung pallido, madido di sudore e tutta la mortificazione del momento prima scomparve, dimenticata. Di slancio gli si fece vicino e iniziò a scuoterlo con delicatezza a una spalla.

“Signor Kim, sta bene?” si agitò ancora di più allorché Taehyung prese a far cenno di no, anche se non era sicuro che lo avesse sentito e che quella negazione si riferisse effettivamente alla sua domanda “Signor Kim! Si appoggi alla sedia per favore!” Taehyung si lasciò guidare da Jungkook e distese la schiena lungo lo schienale, sentendo i muscoli pian piano rilassarsi. Sotto gli occhi preoccupati del suo sottoposto rimase fermo per qualche altro secondo, lo sguardo fisso e vuoto. Un bagliore poi lo riaccese, e sembrò allora riprendersi. Fece per allontanare Jungkook con un braccio ma le forze gli vennero meno a metà strada e quindi lo lasciò ricadere. Jungkook fraintese e interpretò quel gesto come una richiesta di aiuto. 

“Va tutto bene, signor Kim, ci sono qui io. Cosa è successo? Qualcosa l’ha fatta agitare?” e stava per prendergli una mano ma riuscì a fermarsi in tempo. Non ottenendo risposta continuò con trepidazione “come posso aiutarla?” e in quella domanda mise tutto il misto di  desiderio, emozione e paura scaturito dai suoi sentimenti per così tanto tempo nascosti.

Taehyung scosse la testa stancamente e trasse un profondo sospiro:

“Va a casa Jungkook”

“A casa? Ma non sono nemmeno le dieci…”

“Non fa niente” raddrizzò la schiena “ho dormito molto male questa notte, e la tua confusione intorno non può che farmi stare peggio”. Dette queste parole, sentì l’istinto di voltarsi verso il giovane, ed era lo stesso che lo aveva spinto a fissarlo quando si era rimesso alla scrivania poco prima. Continuava a muoversi a causa di una forza strana, sospinta da un presagio oscuro.  Si sentì di aggiungere, con voce più morbida, forse colpevole: “Vai a casa. E’ la vigilia di Natale, avremmo comunque chiuso nel pomeriggio. Di sicuro i tuoi genitori saranno contenti di averti un po’ più di tempo con loro”.

Notando il cambiamento nella voce di Taehyung, Jungkook si azzardò a protestare:

“Ho- ho paura di lasciarla solo, signor Kim. Se si sente di nuovo male, chi la soccorrerà?”  Taehyung non trovò parole e Jungkook continuò, una nuova luce di fioca speranza ad animargli il volto  "perché non viene con me?” 

Taehyung corrugò la fronte, interdetto: “Come?”

“Possiamo rimanere chiusi oggi, non accadrà nulla. E se può farla stare più tranquillo, le prometto che quando riapriremo farò gli straordinari per recuperare il tempo perduto. Ma un giorno, solo un giorno, signor Kim, lo prenda per riposare, distrarsi dal lavoro e vivere al di fuori di questo studio. A casa mia siamo in tanti, ma accoglienti: vedrà che non si sentirà escluso o un estraneo. E se questa sera si sente davvero troppo stanco, venga domani per il pranzo di Natale. Mia mamma è una cuoca bravissima!” Jungkook era sincero nelle sue parole e ad ognuna il suo animo si sentiva più fiducioso: si convinceva che in fondo ciò che sognava era possibile e questa volta, finalmente, Taehyung avrebbe accettato di condividere qualcos’altro con lui che non fosse quel freddo spazio di lavoro “Un po’ di vita attorno le farà bene, perchè ostinarsi a star da solo?” con uno slancio di entusiasmo osò prendere una mano delicata di Taehyung tra le sue, comunque morbide ma più maschili “Lei non è solo signor Kim”.

Taehyung, che fino a quel momento aveva osservato Jungkook fare il suo discorso senza dire nulla, lo fissò esterrefatto e la vista gli si appannò. Gradualmente, un’altra sagoma inconsistente e sottile come vapore iniziò a prendere forma e a sovrapporsi a quella di Jungkook, sostituendosi infine del tutto ad essa. Così Taehyung vide due occhi ugualmente dolci, ma dalla forma diversa. Un volto bello allo stesso modo ma dai tratti più delicati. E sentì anche un’altra voce giungere a lui dai meandri dei ricordi, più cristallina ma comunque fresca e onesta: tu non sei solo Taehyungie!

Come un lampo, Taehyung comprese. E come un lampo si alzò e dette uno spintone a Jungkook per allontanarlo da sé. Colto di sorpresa, il ragazzo quasi cadde all’indietro e solamente per fortuna riuscì a riprendersi. Sgomento, fissò Taehyung con occhi feriti. La voce di Taehyung fremeva di rabbia, ma era una fiamma gelida, composta e tagliente:

“Vattene via! Chi ti ha detto che ho bisogno di stare con altri? E per quale motivo poi? Per sentirmi augurare ‘buone feste’ il giorno di Natale? Come se gli auguri avessero un valore. A te cosa hanno mai portato? Io starò per conto mio, ma sono ricco, agiato, i miei affari vanno bene. Non credo che i tuoi amati auguri ti mettano il pane sotto i denti, e nemmeno i tuoi parenti se è per questo. L’unico che ti paga lo stipendio sono io e se vuoi che continui a farlo ti ordino di uscire da qui all’istante!”

Lo spaesamento dipinto sul volto di Jungkook si tramutò in smorfia di dolore e tremando il ragazzo corse via, con il cuore a brandelli. 

Appena la porta si chiuse dietro di lui Taehyung si sentì svenire. Si accasciò sulla sedia e riprese fiato. Adesso capiva perché avesse assunto comportamenti tanto anomali dopo che Jungkook aveva affermato la loro simile età. Era lui. Tornava ancora dunque, pur a distanza di anni. Era sempre lui a perseguitarlo. “Conforto”. Non poteva esserci altra spiegazione. Ma cos'altro voleva? Non gli bastava essersi preso la sua felicità? Smaniando, decise di chiudere lo studio e tornare a casa, ma mentre infilava il cappotto un rumore ovattato a un lato dello studio lo fece irrigidire. Con il cuore a mille e le mani tremanti si avvicinò a ciò che aveva attratto la sua attenzione: c’era un foglio sotto a una delle finestre chiuse, illuminato da una strisciolina di sole, volato là per chissà quale vento visto che non c’erano spifferi nella stanza. Taehyung capì cosa stava per guardare prima ancora di verificare, ma quando anche i suoi occhi ne ebbero la prova si sentì raggelare il sangue.

Era il loro primo contratto. Firmato da entrambi. Lo teneva al sicuro in una cartellina, nascosto sotto pile di altri documenti, come era potuto finire lì? L’agitazione fu troppa, e questa volta svenne davvero. 

   
 
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