Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: Yellow Canadair    15/12/2021    1 recensioni
Fukuro mostrò al gruppo le fialette, tenendole nelle manine a coppetta. «C'è scritto che bloccano i poteri dei Frutti del Diavolo e i loro effetti collaterali per quindici ore, chapapaaa»
Lucci sbuffò. «Roba inutile.»
«Già.» ammise Fukuro. «Servirebbero solo se qualcuno volesse andare al mare e farsi un bagno.»
Cinque paia di occhi si illuminarono rapaci.

...
Fialette prodigiose, una cantante lirica famosa in tutto il mondo, una spiaggia abbandonata e tanto sole che fa risplendere glutei tonici e pettorali muscolosi! Sarebbe tutto perfetto, se alcuni dettagli non fossero decisamente strani, come il suono dello scratch proveniente dal bosco, e i bassi che fanno tremare il suolo...
Genere: Avventura, Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cipher Pool 9, Jabura, Kumadori, Nuovo personaggio, Rob Lucci
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Dal CP9 al CP0 - storie da agenti segreti'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Atto Secondo

Verona Odéion

 

«Yoyoi, oh Jabura, compagno di mille peripezie, mi segui dunque anche in quest’ultimo misterioso frangente.»

«Non montarti la testa, voglio solo assicurarmi che ritorni in tempo alla spiaggia, altrimenti saresti capace di rimanere qui mentre noi andiamo via coi tartacosi.» si lamentò Jabura sciogliendosi la lunghissima coda e lasciandosi andare sulle spalle i lunghi capelli neri, per poi radunarli malamente in uno chignon per evitare che penzolassero da tutte le parti e si impigliassero nelle foglie.

Avanzavano nella boscaglia togliendo la vegetazione troppo cresciuta a poderosi colpi di Rankyaku, e in breve tempo arrivarono davanti all’albergo in rovina.

Era un edificio tozzo e squadrato, a quattro piani, dipinto di verde scuro. Le finestre e i balconi erano tutti spalancati sul nero dell’interno buio. Sulla facciata, in verticale dal tetto al pianterreno, c’erano le lettere dell’insegna che una volta dovevano essere al neon, ma ora erano spente, sfondate e quasi illeggibili. Somigliava a un grosso cubo cresciuto per errore nella foresta, nel bel mezzo di uno spiazzo che doveva essere di ghiaino, ma ora era una selva di sterpi. Si intravedeva quello che doveva essere un viale d’ingresso perché c’erano ancora dei cespugli di piante grasse piantati a distanza regolare su due file, ma le piante erano diventate gigantesche, alcune erano state aggredite e scalate da altri rampicanti, e per passare Jabura e Kumadori dovettero aggirare i rami spinosi con il Kami-e

Stavolta non c’erano dubbi; qualcuno dentro il vecchio palazzo cantava con tristezza: «Nooooon feeeeeci mai maaaleee ad aaaaanimaa vivaaaa...»

«E quindi avevi ragione.» riconobbe Jabura. «Forza, entriamo.»

«AMICO MIO, ATTENTO!» invocò Kumadori strattonando Jabura per il braccio.

Dall’alto degli alberi si calarono con gran frastuono ai loro piedi due individui in armi.

«La la la la!» sghignazzò il primo a gran voce, impugnando un coltello al contrario e usando il manico come microfono. «Qui è divieto di sosta, signori miei! Vi conviene sloggiare!»

«Via, Boose.» lo ammansì il secondo, un omone rotondo dalla testa piccola incorniciata da grandi baffi castani, che ricordava una grande castagna fuori stagione. «Possiamo chiederglielo con calma.»

«Piantala, Rilago!» berciò Boose tamburellando a due mani contro il tronco di un albero «È il nostro territorio, fuori tutti gli altri!»

«Ma fuori voi dai coglioni, abbiamo fretta.» disse calmissimo Jabura. «Rankyaku!» 

«YOYOOI, Shigan

«Andiamo Kumadori, non voglio perdere troppo tempo.», borbottò il Lupo mentre si allontanava con Kumadori dai due strani personaggi, messi fuori combattimento e dimenticati in un cespuglio.

 

~

 

Una donna si muoveva leggiadra per le stanze abbandonate, tra la polvere e i mobili superstiti coperti da lunghi teli bianchi, in attesa di un recupero che non c’era mai stato. Vagava di salone in salone, riflettendosi sugli specchi in frantumi, lasciando orme sulla polvere del tempo, indugiando verso il mare azzurro ogni volta che passava davanti a una delle finestre che dava sulla baia.

Alcune popolazioni dipingevano sui loro vascelli un grande occhio bianco, sulla fiancata della prua; quest'occhio, come dipinto dal generoso pennello di un vanitoso pittore, si allungava all'indietro, blu deciso, oppure nero, e si diceva che fosse l'occhio di una divinità antica che avrebbe protetto la nave. Così erano gli occhi della donna, decisi, neri, profondi, e truccati con perizia perché si allungassero, diventassero grandi, e le sue espressioni potessero essere intese fino all'ultima fila di un grande teatro.

«Sempre con féééé sincera, la mia preghiera...» cantò stanca, prima di appoggiarsi al malandato stipite della porta della vecchia sala conferenze. «...ai santi tabernacoli salììì...» e le poltroncine di velluto rosso, polverose e muffose, ascoltavano silenti: non c'era nessuno, se non forse un esercito di ragni che lentamente tesseva una tela che avrebbe potuto avvolgere tutta la stanza.

«Nell’ooora del doloooreee...» mormorò con voce chiara, accasciandosi al suolo con il dorso di una mano posato sulla fronte.

Kumadori e Jabura erano entrati nell'albergo senza bisogno di rompere niente: una finestra del pianterreno era stata forzata prima del loro arrivo, scavalcarono con facilità ed entrarono nella vecchia hall.

Era ancora tutto come era stato lasciato, una decina di anni prima: il bancone deserto con la campanella per annunciare l'arrivo degli ospiti, le poltrone coperte da larghi teloni bianchi ormai tarlati e impolverati, e sul pavimento fogli, fogli ovunque, trovati dal vento chissà dove e sparpagliati in giro nelle notti di tempesta.

E una voce, una voce da sogno, che li aveva guidati attraverso il bosco, faceva tremare il cuore e spezzare l’animo dal pianto.

«...perchééé, perché, Signoreeee, perché me ne remuneriiii così?»

Jabura puntò verso un corridoio in lontananza e si lanciò sulle tracce del grido. «Da quella parte.» guidò con sicurezza Kumadori.

Non arrivava più la luce del giorno: era un punto decisamente buio e perdersi era facile; ma l’Ambizione della Percezione dei due agenti era più che sufficiente per rivelare quel dedalo di corridoi: immediatamente il corridoio, e le stanze, e gli angoli, e le scale, furono chiari nella loro mente, e poterono proseguire.

«Forza muoviamoci. Mi sto perdendo la mia prima giornata di mare in vent'anni.» si lamentò Jabura imboccando delle scale poco più avanti e salendo gli scalini a due a due.

«YOYOI, UN TALE SACRIFIIIIICIO SOLO PER IL GRANDE VALORE DELL'AMICIIIIIZIA, CHE TU POSSA ESSERE IN ETERNO-

«Dacci un taglio. Lo faccio perché altrimenti ti saresti messo nelle orecchie per il resto della giornata.»

Al primo piano c'era più luce. I due voltarono un angolo e si trovarono davanti una figura alta, slanciata, avvolta in una candida veste che lasciava nude le bianche braccia e che sfiorava il suolo. Dava loro le spalle e si aggirava nell'edificio come un fantasma.

Jabura si mise in posizione d'attacco. «Ferma. Chi siete?»

La donna si voltò, e cadde in terra il canto, raggelando l’albergo nella quiete dell’abbandono.

I lunghissimi capelli neri acconciati in innumerevoli e grosse trecce ondeggiarono alle sue spalle e il suo sguardo contornato di kajal nero si fermò sui due uomini davanti a lei.

Fece un passo indietro, incerta, e alzò le mani in segno di resa.

«Cooome avete fattooo» intonò musicalmente. «A profanare questo luogo di raccoglimento? perché non vi han fermato le guardie armate all’ingresso?»

«Guardie armate?» si stupì Jabura. «Ma chi? quei due rubagalline in giardino?»

«Sogno o son desto...» mormorò Kumadori. «Oltre non avanzare, amico fedele.» disse posando le mani sugli artigli snudati di Jabura e facendogli abbassare le armi.

Si inginocchiò con deferenza. «YOOOOYOI, SIAMO AL COSPETTO DELLA DIVINAAAA VERONA ODÉION.»

Poi a capo chino disse alla donna: «NON ABBIA TEMA LA VOSTRA ANIMA BACIATA DA MELPOMENE E DA TALIA. YOYOI. SIAMO AGENTI DEL GOVERNO MONDIALE! ABBIAMO SENTITO VOCI PROVENIRE DA QUEST'AMENO LOCO, E TEMEVAMO CHE QUALCUNO FOSSE IN PERICOLO.» spiegò.

La donna abbassò confusa le mani, osservò meglio l'uomo in caftano bianco e dai soffici capelli rosa.

«SHIOI SHIOI, SOLLEVA IL TUO VOLTO, O NOBILE CUORE.» disse la signora a gran voce. «LE MIE ORECCHIE SENTONO SUONI MINACCIOSI DI FREDDI AGENTI, MA IL MIO CUORE COGLIE DIZIONE, COGLIE POESIA, COGLIE UNA VOCE PROFONDA CHE NASCE DAL DIAFRAMMA. SHIOI SHIOI, SEI FORSE UN COLLEGA TEATRANTE?»

«Maledizione, un'altra...» mormorò Jabura lasciandosi abbassare le mani.

Kumadori fece due passi in avanti. «YOYOI, IO NON SON DEGNO D'ESSER CHIAMATO COLLEGA DA UNA VOCE SÌ LEGGIADRA. E ORFANO SONO DI PALCOSCENICO DA MOLTI ANNI ORMAI. YOOOOYOOOI, MA PIÙ MAGNIFICO COMPLIMENTO NON POTEA IL COR MIO RACCOGLIERE, E SEMPRE NE SERBERÒ MEMORIA.» disse sollevando lo sguardo e portandosi la mano al cuore.

Verona si avvicinò vieppiù, tendendo le mani verso Kumadori. «Shioi shioi, un generoso salvataggio il tuo, ma questo è il mio silenzioso regno.» spiegò roteando su se stessa e indicando le mura diroccate intorno a sé. «Vengo qui a far le prove per i miei spettacoli, poiché qui è dove il mio estro trova tranquillità e tremenda ispirazione, sicché possa far tremare i cuori dei miei spettatori sera dopo sera.»

Prese le mani di Kumadori e lo fece rialzare. Lui afferrò le leggere mani ingioiellate di Verona e fece il gesto di baciarle senza neppure sfiorare la pelle diafana di lei. «Yoyoi...» sussurrò l'agente. «Sono mortificato, non era mia intenzione turbare-

«Sì sì sì, tutto bene, è stato un malinteso, nessuno voleva disturbare nessuno.» intervenne Jabura.

«Shioi shioi, un uomo in mutande?» balbettò divertita Verona.

Kumadori arrossì così violentemente che si poteva notare anche sotto gli strati di cerone bianco.

Jabura si interruppe e si guardò addosso. «Beh, sì. Non avevo il costume… lunga storia. Comunque, signorina Vercelli...»

«Verona Odéion, della famiglia Odéion. Per servirvi.» fece la riverenza.

«Verona, possiamo sapere che diavolo succede in questo posto? pensavamo che qualcuno si stesse sentendo mal-» Kumadori gli pestò pesantemente un piede facendogli troncare la frase.

«Oh sì. Shioi shioi, sì!» pianse addolorata. «Quest’ameno luogo è il santuario dove noi troviamo l’ispirazione, dove l’amore per l’arte si manifesta… dove io e il mio amato Radamès facciamo le prove per i prossimi spettacoli.»

Crack. Kumadori schiacciò per errore un vetro rotto che stava lì per terra.

«Ma Radamès si è allontanato, ha camminato lungo il sentiero che porta verso la montagna, e mai più è ritornato. Shioi shioi, scende la sera, le tenebre si avvicinano, e ho tanta pena che non possa più ritrovare la strada per il ritorno.»

Silenzio.

Kumadori strinse i denti e disse con voce dura. «È dovere del Governo Mondiale garantire la salvezza del suo amato compagno. Yoyoi, lo ritroveremo e vi riporteremo nella vostra isola.»

 

~

 

Camminavano a passo spedito nella boscaglia. Jabura in testa, che perlustrava la foresta foglia per foglia, rovo per rovo, albero per albero, abbattendo rami secchi e maledicendo sé stesso per non essersene rimasto sulla spiaggia a godersi il sole pomeridiano con gli altri. 

Kumadori era più avanti, che usava il suo bastone per farsi strada nel sottobosco, con una mano pronta per sparare i suoi micidiali Shigan contro animali dallo scarso istinto di autoconservazione e le piante più insidiose.

«Kumadori.» chiamò Jabura. «Non parli da quando abbiamo lasciato Verona all’albergo.»

«YOOOYOOOI, NON DESIDERO CHE LA MIA FAVELLA SPAVENTI…»

«Nah, non me la bevo. Sputa fuori: che diavolo c’è?» disse l’agente voltandosi leggermente indietro  e fissando Kumadori con un occhio solo.

«…» Kumadori rallentò fino a fermarsi in mezzo al bosco.

«Ecco, esatto.» ridacchiò il Lupo, tornando sui suoi passi e mettendosi di fronte al collega, con le braccia incrociate sul petto nudo. «Tu senza parole? Non è normale. C’entra l’attrice, lo so.»

Kumadori chinò il capo; le punte dei capelli ondeggiavano come code di lucertole.

Jabura attese.

«Yoyoi, un pensiero fugace non deve turbare la nostra missione.» mormorò Kumadori. «Null’altro che un momento di debolezza, indegno per un uomo temprato all’autocontrollo e alla serietà.»

«“Autocontrollo e serietà”? chi, tu?» scoppiò a ridere Jabura. «Te lo dico io cos’hai: la tizia ti piace, l’ho capito subito.»

A Kumadori vennero i lacrimoni agli occhi. «Oltre non dire, che la lingua non tradisca pensieri che dovevano rimanere nascosti!»

Jabura si avvicinò: «Ehi, che male c’è?» sghignazzò. «Era ora che ti trovassi qualcuno!»

La voce di Kumadori si fece ancora più profonda, e tanto bassa che Jabura dovette offrire l’orecchio per sentire meglio. «Per un breve istante il mio cuore ha vacillato, la passione bruciante di Verona Odéion ha scosso l’animo mio in un modo che mai avevo conosciuto.»

«È una bella donna.» ammise Jabura con fare da intenditore, ricomponendosi. «Secondo me avete tanto in comune.»

«YOYOI, MA QUESTO SENTIMENTO NON DEVE MAAAAAI EMERGERE! TAPINO SONO, E INDEGNO DI ALZARE CONCUPISCENTE SGUARDO SULLA SACRA FIGURA DI-»

«Se urli così, ti sente.»

Kumadori impallidì e trattenne il fiato. Poi riprese: «Il cuore di Verona è già legato a un’altra persona, e non sarei uomo d’onore se mi frapponessi tra lei e il suo amato.»

«Ah, il Radamès che stiamo cercando.» mormorò Jabura. «Beh, possiamo ucciderlo.» risolse rapidamente. «E lo facciamo sembrare un incidente.»

«YOOOOYOOOOOIIIII NON TI SENTA LA DIVINA VERONA PROFERIRE TALI EMPIETÀ!!!» ululò Kumadori. «IL MIO COMPAGNO, FERMO NELLA FEDELTÀ ALLA MIA PERSONA, VORREBBE CHE COMMETTESSI IL PIÙ TREMENDO DEGLI OMICIDI, CHE INFINITO LUTTO ADDURREBBE ALLA MIA AMATA VERONA!»

«Possiamo ucciderlo in un attimo, non sentirà nulla…»

«MADRE!! YOOOOYOOOI!!! PERDONACI! PROTEGGICI! E DALL’ALTO LA TUA MANO BENEVOLA CALI SUL CAPO DI RADAMÈS, L’UOMO CHE VERONA ODÉION HA SCELTO DI AVERE AL SUO FIANCO.»

Jabura osservò l’amico cadere a terra in ginocchio e scoppiare in un doloroso pianto dirotto. 

«Maledizione amico, non posso rimanere qui a guardare mentre soffri come un cane per una donna.» lo raggiunse per terra.

«Yoyoooi, molto abbiam patito insieme, e sempre la tua presenza ha rinfrancato il mio spirito. Finanche adesso. Lealtà, coraggio, amicizia, sentimenti alti e nobili.» singhiozzò Kumadori.

Jabura si commosse. «Sei l’uomo d’onore che ho sempre voluto al mio fianco nelle missioni. Verona Odéion vuole il suo bel Radamès? Avrà il suo Radamès.» gli mise le mani sulle spalle e continuò a un soffio dal volto truccato di bianco:  «E glielo porterai tu, uno dei migliori agenti segreti in circolazione. Torniamo all’albergo! Prendiamo Verona e portiamola alla spiaggia! Trascineremo in questa storia l’intera squadra, lo ritroveremo, e Verona Odéion ti ricorderà per sempre! sarà la marcia trionfale di Kumadori!»

 

~

 

Kumadori porgeva la mano a Verona Odéion per aiutarla a scendere gli ultimi gradini che la separavano dalla spiaggia. Inutile rimanere lì nell’hotel vuoto, molto meglio che avesse come scorta gli agenti del Cipher Pol, visto che il sole era quasi al tramonto e presto sarebbe scesa la notte.

«E quella chi è?» mormorò Blueno vedendoli arrivare da lontano.

«Una donna.» riconobbe Lucci uscendo dall’acqua bassa. Ringhiò. «Non gli avevo detto che oggi non volevo assolutamente seccature?»

«Chapapa, mi sembra strano che Jabura inviti estranei all’improvviso… dev’esserci qualcosa che non va.» chiacchierò Fukuro; si aggiustò il costumino e trotterellò verso Kumadori e Jabura, pronto ad ascoltare le ultime novità.

Verona posò i piedi sulla rena e ringraziò Kumadori con un luminoso sorriso, chinando il capo. Kumadori trasecolò, ma Jabura fu svelto a suggerirgli: «Offriamo da bere alla signora, Kumadori. Sarà stanca.»

«Yoyoi, sotto gli ombrelloni potremo trovare riposo e carriaggi, divina Verona. E con il vostro permesso, vorrei presentarle…»

«Shioi shoi, mio dolce Kumadori, non essere così formale!» sorrise soave la donna. «Sono così felice che degli agenti come voi abbiano preso a cuore un modesto problema come il mio!»

«Chapapa, che problema? Chi sei?»

«Lui è Fukuro, il silenzioso. Un gufo nella notte, nulla sfugge ai suoi occhi.» lo presentò Kumadori.

«Oh, che personalità eccentrica. Piacere! Mi chiamo Verona Odèion!»

«Ciao, io sono Fukuro!» la salutò allegro l’agente dalla zazzera verde.

Il gruppetto si avvicinò agli ombrelloni e ai tavolini. 

Verona Odéion fece la conoscenza di Califa e Blueno, che erano seduti sulle sdraio a godersi l’ultimo sole della giornata. Per coincidenza Califa la riconobbe: frequentavano gli stessi bagni termali nell’Isola dell’Inverno, e si erano incrociate un paio di volte, pur non essendo mai andate oltre il semplice saluto di circostanza.

«Shioi shioi, magari le terme mi facessero lo stesso leggiadro effetto!» ridacchiò Verona. 

«Cosa dite, Verona.» intervenne Kumadori. «Nulla possono migliorare le terme, poiché non si può migliorare la perfezione, o non sarebbe perfezione.» declamò.

Verona spostò su di lui lo sguardo incorniciato dal kajal, quando una voce autoritaria fece voltare tutti: «Che succede? Chi è la signora?» era arrivato anche Rob Lucci, seguito da Hattori.

Kumadori si fece avanti: «YOYOI, LO SPIRITO DEL TEATRO PERDONI LA TUA IGNORANZA, ROB LUCCI. SEI AL COSPEEETTOOOOO DELLA DIVINAAAA VERONA ODÉION!»

Verona sorrise deliziata e intonò soave: «SHIOI SHIOI, SONO SOOOOOLO UNA DONNAAAA CHE CALCA LE SACRE AAAASSI DEL PALCOSCEEEENICOOOO.»

«YOOOYOOOI, TUTTAVIIIIA IL MOOOODO E LA PAAAASSIOOOONE CHE MUOOOOVE LA TUA FIGUUUURA-»

«Ehi. Taglia.» lo interruppe Rob Lucci. «E vai al sodo.»

«Ci penso io.» intervenne Jabura. «Abbiamo trovato la signora Verona Odéion nell’albergo abbandonato. Lo usa come sala prove personale. Il problema è che il suo compagno di prove si è allontanato e si è perso tra i boschi.»

Kumadori si buttò ai piedi del leader: «Yoooyooi, mai oso chiedere niente per la mia persona. Ma per una volta, una sola, mio valoroso Rob Lucci… aiuta questa donna a tornare tra le braccia del suo uomo.»

Gli occhi di Lucci divennero di ghiaccio. Hattori gonfiò le piume, contrariato.

Jabura prese Lucci per il braccio e lo allontanò dal gruppo.

«Che diavolo ti prende?» ringhiò Lucci, irritato dal contatto del rivale.

«Ascoltami.» ordinò Jabura, così serio da non sembrare lui.

Erano lontani, sul bagnasciuga, ben lontani da Califa, Blueno, Kumadori e Verona. Kaku si stava avvicinando a loro e anche la pilota, in lontananza, si stava appressando alla nuova arrivata. Il sole era ancora alto, erano le sei di un pomeriggio caldo dell’estate su un’isola dell’estate, e il vento soffiava lieve in quel fazzoletto di terra, scompigliando i lunghi capelli di Lucci e Jabura, rigidi per il sale.

Jabura guardò brevemente a terra, come a cercare le parole giuste. «Senti… lo so che questa è una giornata particolare per noi, però… per Kumadori, aiutare quella donna è importante. Non te lo chiederei se non fosse così. È la sua attrice di teatro preferita. Vive a Catarina. È una specie di star e Kumadori non avrà altre occasioni per parlarle. Deve sfruttare la giornata di oggi.»

Rob Lucci non disse nulla. Osservò da lontano Kumadori e Verona che parlavano, declamavano, cantavano, e con un po’ di fantasia si sentivano “yoyoi” e “shioi shioi” fin lì, che si mischiavano alla risacca del mare.

«Cosa c’è da fare?» domandò a Jabura.

«Ritrovare il suo compagno. Basterà usare l’Ambizione, però i boschi sono immensi e io e Kumadori eravamo solo in due. Con la squadra al completo faremmo molto prima.»

Lucci sospirò. Che pazienza che ci voleva.

«E sia.» poi si avviò superando Jabura e assestandogli una spallata passando. «Andiamo, abbiamo già perso troppo tempo.»

 

~

 

«Siamo pronti. Possiamo andare.» disse vispo Kaku. Non c’era voluto molto per prepararsi: era bastato rimettere le magliette e le scarpe, ed erano pronti per la missione di recupero.

«YOOOYOOOI, DIVINA VERONA, TORNEREEEMO PREEESTO!» promise Kumadori.

«Shioi shioi, dolce Kumadori, non ci sia pena per me! il cor mio trabocca di gratitudine per ciò che fai per me!»

«Troppo zucchero signori, andiamo, forza.» borbottò Kaku calcandosi il berretto sulla fronte e avviandosi lungo la scala che si inoltrava nel bosco.

«Verona starà benissimo.» promise Lilian abbassando l’ombrellone, visto che il sole ormai era basso e c’era un piacevole tepore.

«Meglio di voi di sicuro.» sottolineò Califa acida.

«Chapapa, faremo in modo che non si annoi!» ridacchiò Fukuro mescolando un mazzo di carte.

Blueno rassicurò: «Se Radamès tornasse qui, vi avvertiremo con il lumacofonino.»

Loro quattro non si sarebbero infilati nei boschi alla ricerca di Radamès: meglio rimanere sulla spiaggia a vigilare sui tartagugli, a prendere l’ultimo sole e rilassarsi in santa pace.

 

~

 

Lucci, Kaku, Jabura e Kumadori salirono lungo il sentiero di montagna senza particolari intoppi. Anzi, notò Kumadori, i due tizi che avevano randellato all’andata, prima di incontrare Verona, non c’erano più.

«Beh, che vi aspettavate? che rimanessero ad aspettare la seconda dose?» rispose brusco Kaku, e Jabura e Kumadori in effetti non potevano che ammettere che avesse ragione, alzarono le spalle e continuarono a camminare.

Il sentiero sembrava avesse una direzione obbligata, e il quartetto arrivò infine a quello che a prima vista somigliava a un grosso magazzino abbandonato, incastrato tra i boschi muschiosi e umidi. Sembrava in brutte condizioni, ma alcuni dettagli facevano capire che era stato convertito ad abitazione: panni stesi, un comignolo che fumava, animali da cortile in un piccolo recinto laterale, musica proveniente dall’interno dell’edificio.

E un impianto di amplificazione nuovo di zecca con tre casse alte sei metri l’una, posizionate ai lati della porta e che arrivavano fin sotto le finestre del secondo piano.

Lucci si fermò e guardò indietro, verso il sentiero appena percorso. «Non abbiamo usato le Tecniche, per passare.» osservò.

I tre uomini lo imitarono, studiando la vegetazione attraversata.

«Che intendi?» domandò Jabura.

«La pilota ci ha detto che questa zona è isolata da almeno un decennio, dopo una frana.» esplicò Kaku. «Però il percorso tra il vecchio albergo e questo magazzino è pulito, non è pieno di piante: sembra che venga percorso spesso.»

«Esatto.» disse Lucci. 

Jabura invece si ricordò: «Invece dalla spiaggia all’albergo abbiamo usato il Rankyaku per passare!»

«Come se qualcuno andasse e venisse spesso da qui all’albergo.» concluse Kaku.

«Yoooyooi, che sia staaato Radamès ad aprire la strada fiiiiino a questo luogooo?» azzardò Kumadori. 

«Usiamo prudenza.» disse Lucci, dirigendosi avanti. «Non sappiamo ancora perché questo tipo sia sparito, e cosa ci sia in questa foresta.»

 

~

 

Verona Odéion si era accomodata su una sdraio, che Fukuro aveva facilmente sollevato, con lei sopra, e l’aveva delicatamente depositata in riva al mare, perché l’artista potesse bagnarsi i piedi nell’acqua che mormorava sulla battigia.

«Ora da cocktail.» riconobbe Blueno.

«Aperitivo time!» rise Lilian lasciandosi cadere in mare di schiena. «Mi fai un Bahia?» lo pregò.

«Non fare la molesta.» sospirò Califa con leggiadria. «Prima gli ospiti.»

«Shioi shioi, come siete formali! sono dunque così i terribili agenti del Governo Mondiale?» ridacchiò Verona. Poi, a Blueno: «Un Rossini, per favore» cinguettò.

«Chapapa, non siamo formali!» ballonzolò Fukuro, in attesa del suo dolcissimo Virgin Royal Hawaiian.

«E ditemi, di cosa vi occupate?» domandò il soprano, accavallando le gambe e lasciando intravedere i sandali luccicanti oltre il vestito bianco, lungo e serico.

«Chapapa, di omicidi.»

«Affascinante, shioi shioi.» sospirò Verona. «Ma qui a Catarina non c’è molta criminalità, vero?»

«Non c’è perché ci siamo noi.» muggì Bluano. «Il suo cocktail.» e le servì un lungo e affusolato calice pieno di liquido rosato.

«Facciamo un sacco di missioni oltremare, chapapa.» cominciò a chiacchierare Fukuro, attirandosi uno sguardo furente da parte di Califa e Blueno: ricominciava a spiattellare tutto alla prima venuta??

«Dev’essere emozionante risolvere casi di omicidio.» osservò Verona bevendo un sorso.

Fukuro, Califa e Blueno la guardarono interdetti. 

«Chapapa, non li risolviamo mica. Li creiamo noi!»

Ma Verona non sembrò scomporsi, e sorrise: «Allora siete davvero molto forti.» affermò.

«Siamo i migliori.» la corresse Blueno, che intanto aveva finito di preparare cocktail per tutti.

La signora Odéion si alzò dalla sdraio e propose allegramente: «Shioi shioi, lasciali portare a me!»

«Il vassoio pesa.» la ammonì Fukuro.

«Oh, non sono una donnicciola indifesa!» sorrise Verona prendendo il vassoio con i cocktail per Lilian e per Fukuro che erano più lontani dalle sdraio, nell’acqua bassa, e passò il bicchiere anche a Califa.

«E siete tutti agenti? tutti e otto?»

«Sette.» la corresse Lilian Yaeger, seduta sulla sabbia a sorbire il suo cocktail. «Io sono la pilota. Sono quella che li porta oltremare.»

«Ma che delizia, shioi shioi! così fate tutto in famiglia, non avete bisogno di persone esterne!» considerò, ritornando verso Blueno, che si stava versando da solo il suo milkshake.

Fukuro esclamò: «Attenta, Verona!»

Verona fece appena in tempo a voltarsi, che i suoi piedi incespicarono su una borsa lasciata per terra, ma per fortuna…

«Blueno, mio salvatore!» civettò la cantante mentre l’agente, che senza una parola e con lo sguardo fisso davanti a sé, l’aveva presa al volo risparmiandole una caduta nella sabbia.

«C’è mancato poco! borsa molesta!» commentò Califa spostando di malagrazia la sacca di Jabura sotto una sdraio.

«Chapapa, Lili, stai bene?» mormorò Fukuro.

«Mmmh?» mugugnò la ragazza. «Sì, sto bene… ho solo bisogno di… di riposarmi un attimo...» disse salendo dal mare e avvolgendosi nel suo vecchio asciugamani blu con le scritte verdi, e lasciandosi andare sulla sabbia tiepida.

«Dormi ora, ci servi lucida per il viaggio di ritorno.» concesse Califa, pratica.

Lili già dormiva, un involtino di sabbia e vecchio asciugamano.

«Quasi quasi lo faccio anche io, chapap...» Fukuro non fece nemmeno in tempo a finire la frase, e rotolò accanto a Lilian. «...zzzzzz…»

Califa scosse la testa. «Come i bambini!» si voltò verso Blueno e lo vide che dormiva abbracciato al palo dell’ombrellone.

«Califa...» sussurrò Verona «Penso che le emozioni di oggi mi abbiano assai sposs...» e anche la divina crollò a dormire sulla sedia a sdraio, rovesciando sulla sabbia le ultime gocce del suo Rossini.

A Califa cominciò a girare la testa. Si sedette di nuovo sulla propria sdraio, si accasciò e piombò in un sonno profondo.

Il silenzio cadde sulla spiaggia, i tartagugli lanciavano pigri richiami agli umani addormentati. Il sole arancione del tardo pomeriggio accarezzò i loro costumi, e i loro vestiti leggeri.

All’improvviso, Verona Odéion aprì gli occhi e si alzò in piedi, dritta come una spada. Osservò con i suoi occhi truccati di nero i quattro governativi che dormivano profondamente e poi, sollevato lievemente l’orlo bianco del vestito, con passo deciso marciò verso la strada che portava dentro al bosco.

 

 

 

Dietro le quinte...

Eccomi di ritorno! Secondo capitolo (di tre)! Grazie per aver letto, grazie al fedele John Spangler che sempre recensisce con passione queste mie storie!
 

Una volta, per una storia, scrissi di Jabura in ritardo per il battesimo del figlio di Kumadori. Per l'occasione nominai la compagna di Kumadori, una donna non meglio identificata, ultima erede di una famiglia di artisti. 

Finalmente sono riuscita a pensare a un volto a e una storia per quella donna: Verona Odéion! Non poteva che avere un nome altisonante e pieno di teatralità.
L'ho immaginata con i tratti austeri e indimenticabili di Maria Callas, diva della lirica del Novecento.
Nel teatro greco classico, l'odéion è un piccolo edificio (una sorta di piccolo teatro all'aperto con le gradinate e il palco) dedicato agli spettacoli di musica e canto; Verona è la città veneta dove c'è uno degli anfiteatri romani meglio conservati e dove va in scena, ogni anno, il Festival dell'Opera Lirica. Non potevo che pensare a un nome che trasudasse teatralità e voce di diaframma ♥ spero vi piaccia!

Qualche teatrale citazione:

Verona intona magistralmente l'aria "Vissi d'Arte", dall'opera "Tosca" di Puccini (1900): qui la potete sentire interpretata proprio da Maria Callas.

Jabura a un certo punto dice: "sarà la marcia trionfale di Kumadori!": il riferimento qui è "La marcia trionfale", ancora dall'Aida di Verdi, da cui viene anche il nome Radamès.
Verona ordina un "Rossini", cocktail che esiste davvero ed è ispirato al compositore italiano Giacomo Rossini. Tutti i cocktail citati esistono nella realtà.

Ma preparatevi perché il terzo e ultimo capitolo sarà ZEPPO di richiami al mondo teatrale ♥ ma non poteva essere altrimenti, con Kumadori come protagonista!

Però però... qualcosa non va! Che è successo agli agenti? Dove si stanno dirigendo Kumadori, Lucci, Kaku e Jabura? Chi è Radamès?
Ve lo svelerò la prossima settimana, con l'ultimo capitolo dal titolo

IL GRANDE CONCERTO

 

Grazie per aver letto, 

buona permanenza nel fandom ♥

Yellow Canadair

 

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Yellow Canadair