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Autore: jinkoria    15/12/2021    1 recensioni
[ BakuDeku, EndHawks, TodoKami, TouyaTenko | canon divergence/what if: tutti buoni | riferimenti spoiler post capitolo 290 ]
“Onorerò il Natale nel mio cuore e cercherò di tenerlo con me tutto l’anno.” Charles Dickens.
Di Katsuki e Izuku che stanno insieme, camminano allo stesso passo e inciampano in egual modo.
Di Enji che sta imparando cosa sia il Natale per regalarne il migliore a Keigo.
Di Shouto e Touya che lo riscoprono in Denki e Tenko.
O, più semplicemente: di venticinque giorni in cui gli eroi si fanno carico della missione più speciale: prepararsi ad accogliere il Natale. E a fare i buoni, più o meno... fintanto che non c'è il vischio.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Endeavor, Hawks, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Bonsoir! È vero che i prompt sono tendenzialmente autoconclusivi ma il filo alla fine è diventato quello e ne è uscita fuori una mezza... trama? KSHKH non era la mia intenzione ma eccoci qua! Questo capitolo è un po' la faccia dell'altra medaglia, ecco.
Sì, sto accuratamente evitando di specificare in che consistano i regali e ho aggirato così l'ostacolo. :D
Grazie per il passaggio, buona lettura e a domani 
💚❤️ 


 

 

-15:  Buying last minute gifts – “I’m not going anywhere!”

 

Tenko avrebbe tanto voluto avere un quirk dalla notevole gittata, così da poter disintegrare il proprio coinquilino anche a distanza senza doverlo necessariamente toccare; doveva comunque ammettere di poter unire l’utile al dilettevole con le sue attuali capacità e, mentre attivava il potere distruttivo, strangolarlo.

Purtroppo la galera non rientrava nei suoi piani di fine anno, ragion per cui si limitò a fissare veramente ma veramente male il ragazzo ora stravaccato sul divano del loro salotto, in mano la Switch turchese di Tenko.

«Stai cercando di rubare di nuovo qualcosa dalla mia isola?».

Touya non lo guardò nemmeno, occhi e dita incollati alla console «L’ho mai fatto?» chiese incolore, per poi aggiungere quasi con offesa «Non esiste solo Animal Crossing».

«Intendi dire non esiste gioco che non sia Animal Crossing in cui non muori, e solo perché non è possibile farlo».

Continuò a non ricevere grandi attenzioni visive, riuscì però a beccarsi un’occhiataccia come risposta, perché era innegabile fosse negato con i giochi in cui c’era la possibilità di rimanerci secchi ed era altrettanto vero, per questo, non giocasse ad altro. Il perché stesse usando la sua Switch e non la propria non ebbe voglia di chiederglielo, si stava già perdendo fin troppo il punto.

«E quando hai intenzione di andare a comprare i regali per la tua famiglia?».

Ciò che sentì provenire dall’altro fu quanto di più simile a un grugnito dal duplice fastidio: per la sua insistenza, e dunque perenne interruzione, e per l’aver riportato il discorso a galla. Non era difatti la prima volta in cui si faceva menzione dell’argomento, anzi, durante il weekend a casa Todoroki non aveva potuto fare a meno di notare i fratelli di mezzo, Natsuo e Fuyumi, esordire con frasi ricche di riferimenti alquanto ovvi in merito a determinati oggetti; Tenko ne ignorava brand ed estetica ma erano stati chiari a sufficienza da farglielo capire in ogni caso per sommi capi.

Gli era venuto spontaneo domandare a Touya, la sera stessa, cosa avrebbe preso ai suoi fratelli e genitori e la risposta era stata il nulla, in senso lato. Non aveva idee? Ne dubitava fortemente, poteva dire qualsiasi cosa di quel maledetto indisponente che aveva preso possesso di più di metà divano ma non che avesse carenze di fantasia.

Se anche non avesse avuto indizi, Shimura ne era convinto, avrebbe trovato il regalo perfetto per ognuno di loro. Così era stato per gli anni passati, d’altronde, sebbene non avesse mai consegnato di persona i pacchetti ma aveva fatto sì giungessero a casa loro – dove vivevano tutti tranne uno – tramite corriere espresso.

Il primo anno lo aveva trovato strano ma non atipico, aveva supposto non potesse recarsi di persona per un qualsiasi motivo. Anche il secondo, nulla di così bislacco. Il terzo aveva cominciato a insospettirsi e, arrivati al sesto, Tenko aveva l’assoluta certezza e conferma l’altro stesse evitando di proposito il ritorno a casa per le feste; a dire di Fuyumi, era stato un miracolo l’essersi presentato per la foto pur essendo consapevole della presenza di suo padre.

In quel dettaglio, Tenko ci aveva visto il tentativo di un primo, esitante ma voluto passo.

Così, adesso, si era deciso a contribuire nella spinta che sapeva servirgli per tornare a casa. Non solo come luogo.

Senza nulla dire, si avvicinò quanto bastava per afferrare la console e sfilargliela dalle mani, ignorando ogni verso di protesta ed epiteto al suo indirizzo; ora che l’aveva tra le mani, guardò cosa quello stesse combinando nella sua partita, dunque sollevò un sopracciglio per la perplessità.

«Cosa stai facendo con tutti questi fiori?».

Touya aveva incrociato le braccia e voltato il capo dall’altra parte, gli occhi socchiusi per ostentare noia e disinteresse, al contempo scrollò le spalle e borbottò qualcosa a bassa voce, fin troppo perché lo capisse.

Non era quello l’importante. Spense la console – ebbe comunque la premura di assicurarsi i dati non andassero persi, perché avrebbe controllato in un secondo momento e meglio l’operato del coinquilino – e portò una mano al fianco, l’altra in alto con l’apparecchio elettronico «Prendi il cappotto, non è ancora tardi».

Da come si girò in fretta a fissarlo, Shimura capì rimanesse dello stesso ostile avviso. Si aspettava qualche protesta animosa, con sua sorpresa invece ricevette un’altra replica annoiata, stavolta però sbuffata con evidente fastidio e un tono che voleva essere categorico.

«Non ne ho voglia».

Tenko sollevò gli occhi al cielo, già stanco ancor prima di cominciare. E dire il primo a non avere voglia di muoversi di casa, tanto meno in un freddo pomeriggio invernale, era lui. Soprattutto ricordava di come si fosse ammalato in fretta il più grande dopo l’ultima passeggiata, se però non avessero bighellonato a vuoto forse sarebbero riusciti a tornare a casa in fretta. Dunque, deciso si diresse verso l’armadio a muro dei soprabiti all’ingresso, sentendo le iridi glaciali di Touya seguire ogni suo passo e, afferrato il suo cappotto, gli arrivò forte e chiaro «Non pensarci neanche».

«Non devo pensarci perché è già deciso» asserì, il tono della constatazione ovvia, dopodiché lanciò l’indumento dritto in faccia all’altro, il quale stavolta imprecò sonoramente al suo indirizzo «Forza, muoviti».

Touya scansò di scatto il cappotto, quanto mai innervosito, tanto che Shimura si domandò per un brevissimo istante se non avesse esagerato. Era stato però efficace, dovette riconoscerlo, e sapeva essere anche l’unico modo, in certi momenti, col quale poteva prenderlo e far sì lo assecondasse, o quantomeno ascoltasse il minimo sufficiente per provare a convincerlo.

Ciononostante non gli piacque la rabbia nella sua voce «Cosa non ti è chiaro di quello che ho detto?». Tuttavia fu Todoroki stesso a calmarsi quando lo vide sussultare, in una maniera contenuta ma pur sempre visibile da quella vicinanza.

«Perché ti stai comportando così?».

Il più giovane si massaggiò il braccio, cercò però di mantenere l’espressione decisa «Perché quest’anno non stai solo evitando di consegnare i pacchi personalmente, ti rifiuti del tutto di comprarli».

«C’è qualcosa di male nel non voler fare acquisti? Il Natale non è il pensiero che conta, la famiglia e quelle stronzate lì?».

Oh, quanto gli sarebbe stato comodo poterlo incenerire sul posto col solo sguardo.

Inspirò a fondo, la mente doveva rimanere sgombra da qualsiasi urto personale, sapeva quanto detto da Touya fosse dettato dal malumore, a sua volta causato da quella rapida, e obbligata, presa di coscienza; poteva glissare quanto voleva sulla questione, rimaneva invariato il cuore del problema venutosi a creare.

«Lo è» rispose, in un filo di voce – perché lui non aveva mai potuto godersi niente del genere, neanche nella parvenza di una convenzione sociale, decine le chiamate di sua madre che aveva deciso di ignorare poiché non vi era invito al quale avrebbe dato esito positivo. Non c’era pensiero che contasse, per Tenko, in una casa dalla quale era stato necessario qualcuno lo salvasse, strappandolo da braccia la cui stretta non era amorevole. Non c’era famiglia, da tanto di quel tempo da aver quasi dimenticato l’accezione di quella parola così calda, morbida come un abbraccio, semplice eppure incomprensibile.

Il concetto più vicino a famiglia che conoscesse viveva nella persona di fronte a sé. Si era accorto di avere persino un margine di miglioramento in tal senso, quei giorni a casa Todoroki.

Touya dovette accorgersi della nota dolente, lo sguardo più mesto, solo un principio di furia ma, probabilmente, verso se stesso.

«Tenko-».

«Non sei obbligato a comprare un regalo a nessuno per avere il diritto di presentarti a casa tua» riprese, una goccia di tristezza intinta nella convinzione «Non sei obbligato a comprare un regalo a tuo padre se senti di non volerlo fare» vide l’altro irrigidirsi, colpito in pieno «E neanche lui si aspetta niente da te – sai cosa intendo» specificò infine, stroncando sul nascere il sarcasmo con cui l’altro era pronto a rispondere.

«Quindi non sono costretto a uscire?».

«Se significa che comunque ti presenterai a Natale dai tuoi, allora no, non sei costretto».

Rimasero a guardarsi senza nulla dire, Shimura in attesa, il proprio giubbotto già indossato nel mezzo del discorso, quello del più grande ancora abbandonato sul lato del divano.

Pochi secondi dopo Touya disse, grattandosi il collo a disagio «Non credevo fossi un tipo così insistente». Infine si voltò, recuperò il cappotto e si mise in piedi per indossarlo.

Tenko sbuffò, intanto iniziò ad abbottonarsi «Non mi piaci quando fai l’idiota».

Finirono di sistemarsi – il più piccolo aveva lasciato il pigiama sotto il jeans, sia per avere più strati e calore addosso sia perché, tornati a casa, si sarebbe tolto nell’immediato ogni cosa per rimettersi comodo; Touya recuperò le chiavi della macchina, a quel punto però disse «Non c’è bisogno venga anche tu, tanto te ne accorgeresti se dovessi tornare a mani vuote».

I mossi capelli corvini ondeggiarono sotto il gesto di diniego del ragazzo, già davanti la porta di casa e «Ne approfitto per comprarmi un gioco nuovo» fu la semplice risposta, quasi sovrappensiero, come se avesse pensato all’eventuale compera solo in quel momento. Poi, accortosi dello sguardo dell’altro su di sé, domandò confuso «Che c’è?».

«Mi chiedevo quand’è che ti piaccio».

Tenko spalancò gli occhi per lo stupore, colto alla sprovvista; lo aveva sorpreso la mancata replica alla sua affermazione, tuttavia era anche passato qualche minuto e pensava davvero il discorso fosse caduto lì, come del resto doveva essere. Non riuscì però a celare il rossore in conseguenza alla domanda indiretta, né poté negare il cuore avesse preso a battere così forte perché il fatto che il discorso fosse stato effettivamente ripreso e in quel modo lo aveva reso felice.

Non poteva dargliela vinta così, d’altronde.

Scrollò il cappuccio del cappotto, giusto per fingere di star ancora aggiustando la sua tenuta, gongolò persino tra sé per il modo in cui Touya continuava a guardarlo, un po’ divertito perché doveva aver capito stesse perdendo tempo di proposito e un po’ tormentato perché voleva davvero saperlo. Forse non si spiegava come fosse possibile piacergli, o era curioso di sapere secondo quale criterio invece Tenko lo apprezzasse.

Fece scattare la porta, dunque la aprì; guardandolo da sopra la propria spalla, col cuore a mille nonostante cercò di mantenersi tranquillo, sentenziò.

«Te lo dico a Natale».

Tanto, aveva comunque un regalo da dargli.

 

 

   
 
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