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Autore: My Pride    16/12/2021    1 recensioni
~ Raccolta Curtain Fic di one-shot incentrate sulla coppia Damian/Jon + Bat&Super family ♥
» 79. With all my life
Le note di Jingle Bells risuonavano a ripetizione negli altoparlanti del centro commerciale e diffondevano quell’aria natalizia che si respirava in ogni punto della città di Gotham, dai piccoli magazzini, negozi di alimentari e ristoranti ai vicoli che circondavano ogni quartiere.
[ Tu appartieni a quelle cose che meravigliano la vita – un sorriso in un campo di grano, un passaggio segreto, un fiore che ha il respiro di mille tramonti ~ Fabrizio Caramagna ]
Genere: Fluff, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Journey to the past Titolo: Journey to the past
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons
Tipologia: One-shot [ 4069
parole fiumidiparole ]
Personaggi: Damian Bruce Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Thomas Alfred Wayne-Kent (OC)
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life
Avvertimenti: What if?, Slash, Hurt/Comfort
Solo i fiori sanno: 33. Ranuncolo: fascino malinconico
Just stop for a minute and smile: 5. "Da dove l'hai pescato?"


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved
.

    «Pensi che dovremmo dirglielo?»

    La domanda di Jon, posta così a bruciapelo, fermò Damian con quella camicia piegata a metà, l'espressione stranita mentre si voltava come un automa verso il marito e sgranava gli occhi alla vista della vecchia felpa di Superboy fra le sue mani.

    Thomas sarebbe tornato quella sera dal suo fine settimana a Gotham e loro in quei due miseri giorni avevano avuto un bel da fare con il lavoro, la clinica e la fattoria, oltre ad una montagna di vestiti che, lo ammettevano, avevano buttato nel cesto della biancheria sporca, non avendo avuto il tempo di lavarli. Vedere Jon con quell'indumento aveva innescato nel cervello di Damian un bizzarro meccanismo di autodifesa, poiché anche le spalle si erano irrigidite e il volto contratto.

    «Da dove l'hai pescata?» fu quindi la sua domanda, e Jon si massaggiò il collo con un certo disagio.

    «Lo sai che non mi piace frugare fra la roba di nostro figlio», mise subito in chiaro, sollevando la mano con cui reggeva la felpa, «ma era tra i vestiti da lavare».

    Damian fece scorrere lo sguardo dal volto di Jon a quella felpa rovinata dal tempo e dall'utilizzo, sentendo il cuore stringersi in una morsa assurda. Aveva pensato di essersi lasciato alle spalle quei tempi, che niente di ciò che avrebbe potuto vedere avrebbe potuto ricordargli ciò che avevano deciso di abbandonare, eppure la vista di quella felpa aveva rimescolato un po' i suoi pensieri e sentimenti. La cosa, però, aveva dell'assurdo. Non gli capitava mai quando Drake indossava il cappuccio dinanzi a lui.

    Nel rendersi conto che Damian non aveva spicciato ancora una parola, Jon abbassò quella felpa e la ripiegò su se stessa, in modo che il simbolo sul petto non fosse più visibile. «Penso sia andato a frugare in soffitta», ammise, stropicciando la stoffa di quell'indumento. «Non credevo ci sarebbe salito».

    «Non dobbiamo dirgli niente», sentenziò infine Damian nel dargli nuovamente le spalle. Gli tremava una mano, ma afferrò con presa salda la camicia per tornare ad occuparsene. «È solo una felpa».

    «Sappiamo entrambi che non è solo quello, D».

    «Ma Thomas non lo sa. E deve continuare a non saperlo».

    Jon si passò una mano fra i capelli con un sospiro, ravvivandosi le corte ciocche all'indietro. Avevano rimandato un mucchio di volte ma, durante la sua crescita, avevano capito che era piuttosto difficile tenere Tommy fuori da quel circolo vizioso. Aveva sviluppato una certa simpatia per il merchandising di Superman - cosa che di tanto in tanto faceva storcere il naso di Damian - e, passando del tempo con suo cugino Johnny, spesso e volentieri finiva con l'immergersi in forum in cui si parlava di supereroi e ci si scambiava opinioni a riguardo; il suo senso dellla giustizia era cresciuto esponenzialmente e aveva persino cominciato ad interessarsi ai problemi del mondo e, nonostante avesse solo quasi quindici anni, quando era a Gotham o a Metropolis non riuscivano quasi mai a tenerlo lontano da manifestazioni di ogni sorta. Jon e Damian erano fieri di lui ma, dopo quanto accaduto il giorno dopo il suo tredicesimo compleanno  - e il terrore che avevano provato -, non nascondevano di esserne anche preoccupati. Non potevano comunque intrappolare ciò che gli comunicava il cuore, quindi contavano sulla presenza della loro famiglia per tenerlo d'occhio quanto possibile.

    Con quella felpa sotto braccio, Jon scosse il capo per scacciare quei pensieri, avvicinandosi a Damian per poggiargli una mano su una spalla; lo sentì irrigidirsi ma, contrariamente a quanto si era aspettato, non venne scacciato via. «Sono d'accordo quanto te che non debba per forza essere a conoscenza del passato di famiglia, Dames», disse in tono lieve, «ma non ti nascondo che ho paura che un giorno potrebbe scoprirlo nel modo peggiore».

    Senza proferire parola, Damian afferrò una delle t-shirt di Tommy - c'era una grossa stampa di Green Arrow, un regalo di Stephanie per il suo scorso compleanno - e cominciò a piegarla, forse per distrarsi dal discorso che stavano avendo e che si vedeva lontano un miglio non avesse molta voglia di affrontare. «...pensi sul serio che possa scoprirlo?» domandò a quel punto, e la presa di Jon divenne più salda.

    «Per quanto siano sempre stati tutti bravi a mantenere i segreti, non abbiamo una famiglia esattamente facile da gestire, D».

    «Dimmi qualcosa che non so, J».

    Jon sospirò pesantemente. «Ho solo paura che una volta scoperto possa odiarci per averglielo nascosto così a lungo», ammise, e stavolta toccò a Damian sospirare. Lasciò andare il pantalone che stava per piegare e si voltò verso il compagno, battendogli una mano sul petto mentre sollevava lo sguardo su di lui.

    «Se taciamo è per il suo bene. Sappiamo entrambi cosa comporta la vita di un vigilante», affermò, e nel dirlo batté a terra il piede sinistro, sentendo la protesi produrre un lieve tonfo metallico. «Non mi pento un singolo giorno delle nostre notti di pattuglia e del bene che abbiamo fatto. Ma non voglio che Tommy si immischi in questa merda».

    «Non lo voglio quanto te. Ma l’ho sentito parlare con Johnny di Gotham e della bat-famiglia, e non vorrei che--»

    «In quel caso vedremo il da farsi», tagliò corto Damian nel dargli nuovamente le spalle. «Scoprire che eravamo Robin e Superboy lo porterebbe a porre altre domande alle quali io non vorrò rispondere, lui comincerebbe as insistere e a chiedere a chiunque pur di soddisfare la propria curiosità, e alla fine io cederei». Chiuse una mano a pugno, affondando le unghie nel palmo fino a sentirle pungere. «Scaverebbe ancora e scoprirebbe il mio passato, quello di mia madre, l’addestramento con la Lega e il male che ho fatto, e io non--»

    Damian si interruppe, massaggiandosi con due dita il ponte del naso prima di trarre un lungo respiro, col cuore che batteva improvvisamente furioso nel petto; si sentiva come se fosse in uno strano stato di apnea, e solo la mano di Jon sulla propria spalla riusciva a tenerlo ancorato alla realtà.

    «Non voglio che mio figlio possa guardarmi con disgusto, J. Non lo sopporterei», esalò infine, e forse fu il tremito nella sua voce a tradirlo, poiché Jon lo costrinse a voltarsi ancora una volta prima di avvolgergli le braccia intorno ai fianchi per attirarlo a sé. Lo abbracciò stretto, quasi costringendolo lui stesso ad affondare il viso nel suo ampio petto, e gli poggiò una mano sulla schiena, carezzandola con lentezza.

    «Quello che eri non è quello che sei oggi». La voce di Jon era ferma e sicura, calda quanto il sole stesso. Per quanto Damian fosse sempre stato un tipo sicuro, qualcuno che faceva ciò che voleva quando più lo aggradava, quando si trattava del suo passato diventava più vulnerabile di quanto non volesse dare a vedere. «Tommy non è più un bambino, D. Forse gli ci vorrebbe un po’ per assimilarlo, ma di sicuro comprenderebbe. Sei il suo baba».

    Damian sentì il labbro inferiore tremare, ma non aveva la minima intenzione di piangere come un idiota. Soprattutto non davanti a Jon, per quanti anni fossero ormai passati. «Merda... da quando mi faccio tutti questi problemi?» provò a metterla su quel piano con la voce più saccente che riuscì a trovare, ma Jon lo strinse maggiormente contro di sé.

    «Te li sei sempre fatti quando riguardava te... solo che non te ne rendevi conto». sussurrò, poi gli diede un bacio fugace, sorridendogli rassicurante. «Ma non devi più farlo, Damian. Guarda quanto bene hai fatto al mondo finora. Non devi più dimostrare niente a nessuno».

    «Avrei potuto fare di più se non avessi--»

    «Prova a dire “perso la gamba” e, superforza o no, ti scaravento contro il muro», tagliò corto Jon nello zittire ogni sua replica, abbassando lo sguardo per osservare il volto di Damian che, boccheggiando, aveva cominciato a sbattere le palpebre più e più volte prima di richiudere la bocca e aggrottare la fronte.

    «Brutto idiota sentimentale», bofonchiò, ma rilassò finalmente le spalle e si abbandonò del tutto contro il petto di Jon, chiudendo gli occhi. «Molla qui quella stupida felpa e fa' mangiare Goliath prima che torni Tommy, piuttosto».

    Sentendo l'atmosfera meno pesante di quando avevano cominciato a discutere, Jon sorrise prima di abbassare il capo per sfiorare con le labbra i capelli di Damian, allentando la presa di quell'abbraccio subito dopo; seppur incerto, ripiegò quella felpa sul mucchio di panni da lavare e poggiò un dito su centro della montatura dei suoi occhiali per sistemarseli meglio sul naso, accennando che sarebbe rientrato il prima possibile per aiutarlo col resto delle faccende.

    Nell'imboccare la porta che dava alla cucina, gli gettò comunque un'ultima occhiata solo per vedere Damian afferrare quella felpa e contemplarla con quella che parve essere nostalgia, poi Damian scosse la testa e si rimise a lavoro, probabilmente fingendo persino che la cosa non lo toccasse affatto.

    Jon sospirò tra sé e sé, ma non disse niente mentre prendeva i grossi pezzi di carne che avevano riposto nel frigorifero. Per quanto Damian avesse passato tutta la vita a dimostrarsi forte e sicuro di sé, c'erano sempre dei momenti in cui quella sua maschera crollava del tutto, e faticava a lasciarsi andare come avrebbe dovuto. Negli anni, però, Jon aveva capito che era una prerogativa della sua famiglia, visto che tutti loro difficilmente parlavano dei problemi che li affliggevano.

    Scacciò quei pensieri e, con quelle buste ben sistemate su una spalla, aprì la porta e richiamò con un fischio Asso per portare a spasso anche lui, vedendolo trotterellare felice nella sua direzione - non sapeva da dove fosse sbucato, ma sperava vivamente che non avesse fatto guai in soggiorno mentre loro erano occupati - prima di carezzargli il grosso testone e fargli un cenno. Si incamminò in sua compagnia verso la stalla ed entrò di soppiatto, gettandosi un'occhiata intorno. Grande e grosso com'era, Goliath era molto difficile da nascondere, soprattutto quando non c'erano molti nascondigli nei paraggi, ma Jon scrutò meglio nella penombra dell'edificio di legno e vide ben presto uno dei grandi mucchi di fieno muoversi, finché le enormi ali di Goliath non spuntarono fra tutti quegli steli e ne stiracchiò il patagio, allargandolo con una breve vibrazione.

    «Ehi, ragazzone», lo salutò con un sorriso, e il grosso drago-pipistrello sbucò del tutto dal mucchio, andandogli incontro per salutarlo con una lunga leccata sul viso che fece arricciare il naso di Jon. «Va bene, va bene, sta' buono», ridacchiò, abbandonando sul terreno quelle buste prima di tirar fuori un bel pezzo di carne. «Hai fame, eh? La prossima volta ti porterò una bella rete di pesci», accennò nel lanciargli quel cibo e vedere Goliath afferrarlo al volo, e Jon si sedette a gambe incrociate nel fargli compagnia mentre mangiava.

    Chiacchierava con lui, pur consapevole che Goliath potesse rispondergli solo a grugniti o con qualche “Auurk?” curioso, soprattutto quando parlava di Tommy. Le loro interazioni erano state davvero minime, a ben vedere. Goliath era stato nei paraggi soprattutto quando Tommy era piccolo, gli aveva persino fatto da babysitter - con Maya presente, ovviamente, ma quello era un altro paio di maniche -, ma sia lui che Damian avevano concordato che non fosse ancora il momento di presentarli ufficialmente, dato che Goliath gli guardava le spalle da lontano e lo proteggeva quanto possibile, soprattutto da quando era stato attaccato. Ciononostante, nascondere il passato stava cominciando a diventare pesante per tutti loro.

    Quando congedò Goliath con un sorriso e una miriade di carezze e rientrò in casa, il sole era quasi tramontato all'orizzonte. Stava cominciando a fare un po' freddo e il piacevole tepore dell'interno gli colorò immediatamente le guance, e fu scompigliandosi un po' i capelli che si tolse la giacca e la appesa all'ingresso, sfilandosi gli scarponi per incamminarsi silenziosamente verso il soggiorno. Asso l'aveva già preceduto e si era sistemato davanti al camino, ma la casa appariva fin troppo silenziosa. Thomas a quanto sembrava non era ancora tornato, però che fine aveva fatto Damian?

    «D?» lo chiamò senza ottenere risposta, roteando gli occhi. Era in momenti come quello che desiderava ancora poter sentire il battito del suo cuore, ma solo perché Damian era fin troppo bravo a sparire e a non farsi trovare, quando voleva. Così girò per casa alla ricerca del marito, vedendo che aveva persino sistemato la stanza di Tommy ma, per quanto ci fossero tutti i suoi pantaloni, t-shirt e jeans ordinatamente riposti sul letto, mancava proprio la felpa che Jon aveva trovato in camera.

    D'accordo... era strano. Ma si rifiutava di credere che Damian l'avesse buttata di sua iniziativa, e che lo avesse fatto soprattutto senza dirgli niente. Eppure vagò per casa senza riuscire a trovarlo, almeno finché non notò la botola della soffitta spalancata e aggrottò la fronte, afferrando i pioli per poter salire silenziosamente la scaletta; quasi si aspettò di vederlo lì, forse persino a rovistare fra le proprie vecchie cose - sul serio, perché avevano un mucchio di roba in soffitta? -, ma fu nel vedere il finestrone aperto che Jon si accigliò, issandosi in soffitta per poter raggiungere quell'uscita e sbirciare fuori. Damian era seduto sul tetto, la felpa abbandonata in grembo e lo sguardo perso in lontananza verso i campi di grano. Aveva allungato una gamba sulle tegole, mentre la protesi in bella vista sembrava sorreggere tutto il suo peso per evitare che potesse scivolare di sotto.

    Jon si passò una mano fra i capelli e uscì, facendo passi brevi e attenti per evitare di cadere prima di raggiungerlo. «Che ci fai quassù?» gli chiese, senza nemmeno annunciarsi. Era abbastanza certo che, con i sensi allenati che aveva sempre avuto, Damian lo avesse già sentito prima ancora che lo raggiungesse. Difatti il marito non fece una piega, limitandosi a stringersi nelle spalle.

    «Pensavo», liquidò la faccenda, al che Jon sollevò lo sguardo e scosse la testa, sedendosi con attenzione accanto a lui.

    «E non potevi farlo dentro, vero?»

    «Mi conosci, J».

    «Se ti ammali sappi che mi farò delle grasse risate».

    Damian lo fulminò con lo sguardo, ma tornò ben presto a guardare dritto davanti a sé. «Avevo solo... avevo solo bisogno di un momento». Nel dirlo sollevò subito una mano per tappargli la bocca, ignorando il mugolio lamentoso che si lasciò scappare Jon. «So già cosa stai pensando, quindi non dirlo», rimbeccò, arricciando il naso quando gli venne leccato il palmo della mano, tanto che dovette allontanarla con un piccolo suono disgustato.

    «Non fare quella faccia, l'hai voluto tu», rimbeccò Jon con un sorrisetto, ma ben presto gli gettò un braccio intorno alle spalle per attirarlo a sé. «Stai pensando ancora a quello che ti ho detto?» arrivò dritto al punto.

    Per quanto Damian avesse cercato di non darlo a vedere, il modo in cui le sue spalle si erano irrigidite parlava per lui, e anche il fatto che avesse poggiato una mano sulla protesi, in parte nascosta dalla felpa piegata in grembo. Col tempo, Jon aveva imparato a cogliere ogni minimo cambiamento, sia prima che dopo la perdita dei suoi poteri. Ormai il linguaggio del corpo di Damian per lui era come un libro aperto.

    «Eravamo una bella squadra». La voce di Damian ruppe improvvisamente il silenzio che si era creato fra loro, infranto solo di tanto in tanto dal fruscio degli alberi. «Robin e Superboy. I Super Sons. E le cose sono persino migliorate quando ho preso il nome di Redbird, eravamo inarrestabili. Quando Mad Harriet mi ha... tagliato la gamba...» Si interruppe, umettandosi le labbra prima di passarsi una mano fra i capelli, e Jon rinserrò la presa, sapendo che, nonostante fossero passati anni, di tanto in tanto tornava il dolore per quanto accaduto. «...mi sono sentito come se avessi perso tutto. Guardavo quel moncone e mi sentivo inutile, un peso, anche se Barbara ha tentato di confortarmi dicendo che capiva cosa stessi provando. Ho tentato di affrontare la cosa, a ripetermi che andava tutto bene... nonostante mi sentissi uno schifo. Ma tu mi sei rimasto accanto anche quando ti trattavo male e diventavo insopportabile. Più del solito», soggiunse, giacché non era mai stato davvero amabile.

    Jon fu sul punto di aprire bocca, ma sapeva che, se avesse provato a dire qualcosa, avrebbe solo interrotto il flusso dei pensieri di Damian e lui si sarebbe probabilmente chiuso nuovamente in se stesso, giacché era piuttosto difficile che si confidasse in quel modo. Durante i primi mesi avevano parlato, Damian si era del tutto aperto con lui e gli aveva detto piangendo come si sentisse, la sensazione che si era impossessata di lui e il modo in cui tutto il suo mondo era cambiato, ed era stato solo dopo il loro trasferimento che aveva finito con l'accettare del tutto le cose. Ciononostante, seppur a distanza di tanti anni, era comunque un peso che non riusciva a togliersi dal cuore.

    «Mi hai aiutato ad affrontare la cosa, Jonathan», continuò Damian, inspirando pesantemente dal naso. «Anche quando mi sentivo patetico».

    «Non osare mai più definirti patetico». Stavolta Jon lo interruppe, sul suo viso corse il lampo di qualcosa simile alla rabbia. «Non lo sei mai stato».

    «Jon...»

    «No», disse Jon nell'afferrargli il mento e costringerlo a voltarsi verso di lui. «No», ripeté, stavolta più pazientemente, poggiando la fronte contro la sua prima di raggiungere la mano abbandonata sulla protesi, intrecciando le loro dita.

    Damian deglutì talmente forte che, super udito o meno, Jon lo sentì chiaramente. «Hai rinunciato ai tuoi fottuti poteri per me».

    «E sai che lo farei ancora, brutto idiota, quindi non farmelo ripetere di nuovo». Jon rinserrò la presa. «L'hai superata, hayaty. Sei di nuovo in piedi. Abbiamo uno splendido figlio e una splendida vita, tu hai la tua clinica e anche la protesi che tuo padre ha fatto costruire su misura dalle Wayne Technologies svolge appieno il suo lavoro».

    «...è tutto così perfetto che non--» Prima ancora che potesse dire qualcosa, Jon gli diede una testata senza tanti complimenti, facendolo imprecare a denti stretti prima di massaggiarsi la fronte improvvisamente colpita. «Ma che diavolo...?!»

    «Te lo giuro, D, prova a dire una sola volta che non te lo meriti, perché ti conosco troppo bene da sapere che stavi per dirlo, e ti farò pulire le stalle ed occuparti dei campi per due mesi senza il mio aiuto».

    Damian boccheggiò per un attimo, per la prima volta senza parole mentre fissava Jon dritto negli occhi per quella minaccia così bizzarra. Alla fine borbottò qualcosa fra sé e sé, abbassando in parte lo sguardo per fissare quella felpa abbandonata in grembo. «Sei un idiota».

    «Ma sono il tuo idiota?» chiese Jon, al che Damian non poté fare a meno di sollevare un angolo della bocca in un sorriso.

    «...sì. Sei decisamente il mio idiota», sussurrò di rimando, sporgendosi verso di lui per avvolgergli un braccio intorno ai fianchi e attirarlo in un bacio che Jon ricambiò con foga. 

    «Papà! Baba! Che cavolo ci fate lassù?!»

    Quella voce li fece trasalire e per poco non caddero come due idioti dal tetto, ma fu Damian, sostenendosi contro Jon, ad allungare un po' il collo per vedere l'espressione scettica dipinta sul volto di Thomas e il modo in cui lo stesso Bruce, il quale l'aveva riaccompagnato a casa, si era schiaffato una mano in faccia. Beh, avevano fatto una bella figura di merda.

    «Stavamo...» cominciò Damian, e stavolta fu la mano di Jon ad essere premuta sulla sua bocca, prima che quest'ultimo si sporgesse a sua volta.

    «Il tuo baba si credeva un uccellino!» esclamò nel venir immediatamente fulminato da uno sguardo infuocato, e fu grato al fatto che Damian non possedesse la vista calorifica. «Scendiamo subito», promise, pur notando il modo in cui Tommy, arcuando un sopracciglio nella miglior imitazione della famosa “faccia alla Wayne”, si incamminò nel vialetto col nonno per raggiungere la porta di casa. Fu solo a quel punto che Jon trasse un lungo sospiro rasserenato, allontanando la mano dalla bocca del marito che, imprecando, cercò di alzarsi in piedi senza cadere, con quella felpa ben stretta in mano.

    «Muoviti, super-idiota», lo apostrofò Damian, e Jon ridacchiò, facendo attenzione a propria volta mentre tornavano a passi lenti, ma decisi, verso la finestra della soffitta.

    Damian fu il primo ad entrare, seppur con meno agilità di quanta ne avrebbe avuta in passato, facendo passare prima la protesi per allungare poi una mano verso Jon, aiutandolo a fare lo stesso; quando furono entrambi di nuovo all'interno, Jon si chiuse la finestra alle spalle e si incamminò per primo verso la botola, gettandosi una rapida occhiata alle spalle nel rendersi conto che Damian non lo stava seguendo. Si era fermato a metà strada, ad osservare nuovamente la felpa che reggeva fra le mani.

    «D?» lo richiamò, e finalmente incontrò lo sguardo fiero e risoluto del marito, i cuii occhi verdi sembravano brillare in contrasto alla luce della lampadina.

    «Forse hai ragione, dovremmo dirglielo», esordì Damian in tono schietto, vedendo Jon sgranare un po' gli occhi per quell'affermazione. «Ma non ancora. Per il momento...» Si fermò un attimo, quasi stesse cercando le parole adatte. «Per il momento, voglio solo che abbia questa felpa. Sarà bello vedergliela indossare e non prendere polvere qui dentro».

    Jon non poté fare a meno di sorridere raggiante. Per quanto avrebbe voluto parlare con Tommy, colmare le lacune e sanare i suoi dubbi, quello sembrava comunque un buon inizio. E in fin dei conti il marito aveva ragione: vedere il figlio indossare la sua vecchia felpa, quell'uniforme che lo aveva accompagnato in tutte le avverture che aveva avuto con Damian, sarebbe stato decisamente più bello del saperla nascosta in soffitta come qualcosa da dimenticare.
 
    Fu proprio per quello che tornò sui suoi passi e lo strinse a sé in un caldo abbraccio, ignorando il gemito soffocato di Damian per costringerlo invece ad affondare il viso nel suo petto. «Grazie, hayaty», sussurrò, e Damian gli poggiò una mano sulla schiena, ricambiando goffamente quel contatto. 

    Rimasero così, in silenzio stretti l'uno contro l'altro, beandosi solo ognuno del calore del proprio corpo e dei respiri che si infrangevano sui capelli e sulla pelle, finché non fu proprio Damian a sollevare il capo per guardare Jon dritto negli occhi e sollevare un angolo della bocca in un sorriso. «Andiamo a consegnare questa a nostro figlio», disse, accennando col capo alla felpa che reggeva in mano.

    Jon gli sorrise di rimando ed entrambi tornarono di sotto, venendo accolti dall'allegria contagiosa del figlio, il quale era stato letteralmente assalito da Asso, e dal saluto sempre composto di Bruce, con un'aria stranamente rilassata sul suo volto. Da quando Tommy e Johnny erano entrati anche nella sua vita, sembrava essersi ammorbidito per lasciar spazio ad un nonno che, per quanto burbero, si scioglieva come burro davanti agli occhi dei suoi nipoti.

    «Oh, ecco dov'era!» se ne uscì d'un tratto Tommy nell'indicare la felpa che Damian aveva in mano e, nel vedere i due genitori lanciarsi un'occhiata, si strinse semplicemente nelle spalle. «Ecco... l'ho trovata in soffitta e l'avevo piegata sul letto per portarla a Gotham, ma non l'ho più trovata. Pensavo l'avesse presa Asso», si giustificò con un sorrisetto imbarazzato, massaggiandosi dietro al collo in perfetto stile Wayne. Non credeva di aver fatto qualcosa di male ma, viste le espressioni dei due padri - e anche da quella accigliata di suo nonno -, forse non avrebbe dovuto prenderla? «Ho... sbagliato?»

    «Ma no, Tommy», replicò immediatamente Jon, poggiandogli una mano su una spalla prima di fargli l'occhiolino. «Era una mia vecchia felpa... niente mi farebbe più piacere che l'avessi tu».

    Seppur incerto, il ragazzo guardò nuovamente i tre prima che fosse proprio Damian, con quello che Tommy avrebbe potuto definire un sorriso nostalgico, a porgergli la felpa prima di fargli un breve cenno col capo, come per spronarlo ad indossarla; non capì il perché di quei comportamenti - dopotutto era solo una felpa che era appartenuta a suo padre, no? -, ma Tommy allungò una mano e la afferrò, infilandosela per tirar su la zip tutta d'un fiato. E quando quella S fu unita e in bella vista, la sfoggiò con un sorriso fiero sotto lo sguardo dei suoi genitori.

    Ci sarebbe stato tempo per dirgli tutto... per il momento, sarebbe rimasta solo una vecchia felpa che era stata nascosta fin troppo in soffitta
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Ed eccoci qui, con un Tommy un po' più grande, ma ancora all'oscuro del passato che ha visto i suoi genitori combattere il crimine quando erano giovani.
Damian in parte si vergogna del suo passato - in particolar modo quando si tratta degli omicidi che ha compiuto quando era un bambino e faceva ancora parte della Lega degli Assassini - ed è comprensibile che non voglia che suo figlio sappia che tipo di ragazzo (o, per meglio dire, bambino) era a quei tempi... e Jon è lì proprio per rassicurarlo

Ovviamente la felpa che trova Jon è la vecchia "uniforme" che usava proprio quando era di pattuglia, ma la conservava solo per bisogno affettivo (Damian non ha la sua unicamente perché è conservata, come tutte le altre, nella teca giù alla caverna sotto villa Wayne) ed è per questo motivo che è molto felice di lasciarla al figlio. Vuole che sia vissuta, non abbandonata. 

Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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