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Autore: Ikki_the_crow    16/12/2021    1 recensioni
SERIE MOMENTANEAMENTE IN IATO: in quanto basata su una campagna in corso, devo aspettare che gli eventi procedano prima di andare avanti...
Momenti di vita quotidiana di alcuni avventurieri, quando non sono impegnati a salvare il mondo o esplorare dungeon. A volte le avventure più emozionanti sono quelle che vivi tutti i giorni...
0) Istantanea n.0: come tutto ebbe inizio.
1) Istantanea n.1: una serata in accampamento, per iniziare a conoscerci meglio.
2) Istantanea n.2: anche i più duri dei duri hanno bisogno di qualcuno (in collaborazione con The_Red_Goliath)
3) Istantanea n.3: alcune ferite iniziano a guarire
4) Istantanea n.4: un’uscita tra amiche. O forse no.
5) Istantanea n.5: la conclusione di una giornata memorabile.
6) Istantanea n.6: un arrivederci che suona quasi come un addio.
7) Istantanea n.7: una splendida giornata e una terribile nottata.
Genere: Fantasy, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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ISTANTANEE DI VIAGGIO 1
In cui l’aglio salva la situazione, un’ombra acquista più indipendenza e due ragazze fanno i compiti prima di andare a letto.

16-08-1373. Forse. Sotto il Grande Ghiacciaio.

La stanza odorava di polvere, segatura di legno e antichità. L’odore che l’aria prende quando rimane bloccata tra infiniti corridoi di pietra nelle viscere di una montagna per migliaia di anni, intrappolata senza possibilità di fuga tra i corridoi rozzamente scavati e disabitati da millenni. Un’aria immobile. Morta.
O almeno, lo era stata fino a circa mezz’ora prima, quando il gruppetto di avventurieri che stava esplorando quelle rovine non era entrato nella stanza, disturbandone la quiete perfetta, e non aveva deciso che quello sarebbe stato il luogo perfetto per fare campo.
Ora la stanza ferveva di attività. Un elfo alto e muscoloso stava scaricando una figura in armatura completa dalla schiena di un lupo grosso come un cavallo. La persona in armatura sembrava completamente esausta, tanto che non emise un gemito neppure quando piombò pesantemente a terra in un fragore metallico. Gli altri membri della squadra si sparpagliarono per la stanza, ognuno con i propri compiti da svolgere. Un mezzelfo stracarico di armi ed equipaggiamento iniziò a disporre ordinatamente il contenuto del proprio zaino in un angolo, mentre uno gnoll dall’aria irritabile gettò per terra il proprio sacco con modi molto più sbrigativi.
Una ragazza dalla pelle scura estrasse quello che pareva un cubo di legno istoriato di circa venti centimetri di lato da una tasca della propria camicia da viaggio apparentemente troppo piccola per contenerlo, ed iniziò ad aprirlo meticolosamente fino a trasformarlo in uno scrittoio con tanto di fogli di carta ordinatamente disposti in un angolo. Intorno al tavolino si formò immediatamente una semisfera opaca di circa sei metri di raggio, che avvolse l’intera stanza trasformandola in un rifugio sicuro, climatizzato e a prova di intemperie. Non che lì sotto ce ne fossero.
Un chiarore leggero si diffuse subito per la stanza, superando il brillio stanco dei cristalli appesi alle pareti. Daisy si guardò intorno, annuì soddisfatta, poi iniziò a preparare un paio di incantesimi di Allarme. La fiducia è d’oro, ma l’accortezza è di platino, come diceva sempre la nonna.
Ormai la routine del campo era stata abbastanza consolidata: mentre i maschi e Johan si occupavano delle faccende più pesanti – spostare eventuali pietre o tronchi che potessero dare fastidio durante la notte o in caso di combattimento improvviso, liberare uno spiazzo per le tende, scavare una latrina e cose simili – le ragazze si occupavano delle questioni più leggere. In particolare, del cibo.
Ma quella routine era stata scardinata quando avevano messo piede in quel labirinto. Per dirne una, lo spazio extradimensionale in cui era custodito quasi tutto il loro cibo era improvvisamente diventato inaccessibile. Un qualche incantesimo impediva il Teletrasporto, l’apertura di varchi o lo spostamento tra Piani; per fortuna non aveva messo fuori gioco le borse conservanti, ma era comunque una faccenda a dir poco fastidiosa. La conseguenza principale, in quel momento, era però la loro totale dipendenza dalle loro razioni da viaggio e dagli incantesimi di Creare Cibo e Acqua del loro Chierico. Sensodin era stato ben lieto di provvedere, ma in quanto nano aveva delle idee abbastanza limitate sul tipo di cibo che si prestava ad essere consumato in missione.
Come tutte le sere, il suo incantesimo aveva prodotto un’enorme quantità di carne secca di origine indefinibile e senza praticamente alcun sapore: energetica e nutriente, ma poco rinfrancante per lo spirito. Così, Daisy si era presa la briga di provare a rendere il tutto lievemente più saporito.
Aveva piazzato una padella sul piccolo falò da campo che aveva allestito – aveva perfino preparato un cerchio di sassi tutto intorno, come se il pavimento di pietra potesse prendere fuoco – ed in quel momento stava provando a far rinvenire una porzione di carne utilizzando alcune delle erbe che aveva nel proprio baule da viaggio. Purtroppo aveva finito il formaggio, ma le erano avanzati alcuni funghi secchi: l’ultima volta che li aveva proposti al gruppo non erano stati ben accetti, ma forse con un po’ di carne abbrustolita…
Su una pietra più larga aveva piazzato delle fette di sfoglia di grano prese da una delle sue razioni da viaggio: una volta rese più croccanti, sarebbero state un accompagnamento perfetto per la carne saltata.
Una donna muscolosa dai capelli castani le si avvicinò. Era vestita con un giubbotto da viaggio pieno di tasche, pantaloni di cuoio spessi e pesanti stivali dall’aria vissuta. Dietro di lei, fluttuava un’ombra nera simile ad un’armatura color dell’ebano.
“Il profumo è ottimo.” La professoressa Joyce si sporse ad osservare quello che sfrigolava nella padella. “Quello è aglio?”
Daisy annuì. “Solo un pizzico. Nel grasso si scioglie molto bene, non ne serve molto.”
“Fammi capire. Stavamo preparando i bagagli per andare in missione sul Grande Ghiacciaio, e tu hai pensato che sarebbe stato indispensabile portarsi dietro dell’aglio tritato?”
La ragazza parve esitare un momento. Lanciò un’occhiata colpevole al baule da viaggio dagli angoli rinforzati che le stava accanto. In mezzo ad una serie di vestiti perfettamente piegati, spiccava una cassettina aperta nella quale erano disposti ordinatamente dei flaconcini di vetro chiusi da piccoli tappi di sughero avvolti nella stoffa per assorbire l’umidità. Sembravano pieni di erbe essiccate e spezzettate.
“Le materie prime si possono trovare ovunque, ma le spezie sono rare… E i condimenti sono importanti per mantenere il morale. Un esercito marcia sul proprio stomaco, come si suol dire…”
Sembrava imbarazzata, e la professoressa le poggiò una mano tra i capelli neri e mossi con aria divertita.
“Non era una critica, Daisy. Solo una constatazione.” Johan rise. “E hai perfettamente ragione. Se dovessimo mangiare solo carne secca e sfoglia di pane scondita, impazziremmo nel giro di due giorni. Ho solo una domanda.”
La professoressa indicò dall’altro lato del campo. Lo gnoll, che in quel momento stava litigando con una striscia di carne, improvvisamente alzò lo sguardo e fiutò l’aria. Un rivolo di saliva iniziò a scorrere tra le sue zanne scoperte. Poco più in là, anche Felix, il guerriero mezz’elfo, sollevò lo sguardo dal suo magro pasto ed iniziò a guardarsi intorno.
“Ne hai abbastanza per tutti?”

Qualche ora più tardi.

Terminato di mangiare, quasi tutti i membri del gruppo si erano ritirati per la notte, ciascuno a modo proprio. Il druido era andato ad accucciarsi in un angolo assieme al suo lupo: in quanto elfo, gli sarebbero bastate poche ore di meditazione per essere di nuovo in piena forma. Altri si erano imbozzolati nei propri sacchi a pelo, altri ancora avevano intenzione di non chiudere occhio per tutta la notte.
Johan Joyce, non sapendo se gli incantesimi di quel luogo le avrebbero permesso di richiamare il proprio Eidolon nel caso lo avesse congedato per la notte, aveva optato per non dormire affatto e si era fatta prestare dal Paladino l’amuleto che consentiva di stare svegli per quasi una settimana di fila. In quel momento era vicino ad uno degli ingressi della sala, che osservava nella penombra al di fuori della Capanna. L’ombra nera che la accompagnava sempre era appoggiata al muro dietro di lei, silenziosa guardia del corpo.
Daisy, dal canto suo, aveva intenzione di lavorare ancora un poco prima di addormentarsi. Seduta allo scrittoio, stava traducendo minuziosamente il contenuto di un libro che avevano rinvenuto nelle rovine quel giorno, trascrizioni militari in linguaggio dei giganti delle guerre che quel popolo aveva condotto contro i draghi millenni prima. Prima si era premurata di far creare al proprio cartografo portatile una riproduzione su pergamena di ciascuna pagina, in modo da poter lavorare senza rovinare l’originale, e poi si era messa a trascrivere riga per riga il contenuto di ogni pagina in linguaggio Comune.
Era un lavoro lungo e non particolarmente entusiasmante – le comunicazioni riguardavano principalmente dispacci militari di routine – ma di tanto in tanto si imbatteva in qualche nome di luogo o di persona che sarebbe stato opportuno controllare con più attenzione una volta tornati a Silverymoon. Quei nomi venivano annotati su un foglio a parte, insieme al riferimento della pagina e qualche dettaglio sul contesto in cui comparivano.
“Queste sono fatte.”
La voce apparteneva ad una ragazza di età apparentemente inferiore ai vent’anni, vestita in maniera elegante nonostante la situazione. Lilhara era la cantrice del gruppo, nonché addetta alle pubbliche relazioni: aveva fatto dell’essere sempre ben più che presentabile un punto d’onore. Dopo cena, quando Daisy aveva espresso il desiderio di lavorare un poco sulle traduzioni, la ragazza si era offerta di aiutarla: durante il giorno, Daisy aveva utilizzato un incantesimo per permetterle di comprendere il linguaggio dei giganti, e l’effetto non era ancora scomparso.
“Gentilissima.” Daisy sorrise, afferrò il mucchietto di fogli e lo scorse rapidamente. Notò alcune note a margine scritte nella grafia ampia e ricercata di Lilhara, così diversa dal suo modo di scrivere piccolo e preciso. Erano commenti personali su alcuni passaggi, sullo stile in cui erano scritti o sul fatto che un evento apparentemente molto eccitante era stato riportato in maniera troppo scarna e asciutta. Daisy si ripromise di cancellarle prima di portare il tutto agli archivi, e di dare una ricontrollata al testo per eventuali licenze poetiche.
“Non dovrebbe esserci lei ad aiutarti?” Lilhara fece un cenno con la testa in direzione della professoressa Joyce, ancora di guardia sotto l’architrave della porta.
Daisy scosse la testa. “Me l’ha chiesto, le ho detto che non era necessario.” Sorrise. “La professoressa non è per nulla portata per questo aspetto del lavoro.”
“E per quale aspetto del lavoro è portata? Non mi pare che l’accademia in generale la faccia impazzire. Detesta le regole, non sopporta gli studenti…”
Il sorriso della ragazza dalla pelle scura si allargò. “La professoressa una volta mi ha detto che ci sono due tipi di archeologi. Quelli che leggono le mappe, e quelli che le disegnano. Lei è del secondo tipo: le piace andare sul campo, toccare con mano quello che sta scoprendo, essere la prima ad entrare in un luogo sigillato da millenni…”
“E tu che archeologa sei?”
“Bella domanda.” Daisy si appoggiò meglio allo schienale della sedia e parve riflettere a fondo. “Adoro il lavoro sul campo, anche se non ci sono molto portata, ma mi piace anche redigere rapporti e tradurre cronache. Una specie di via di mezzo, direi. Storia della mia vita.”
“A proposito,” Lilhara fece il giro dello scrittoio e si piazzò di fronte all’altra ragazza. “C’era una cosa che volevo chiederti da un po’. Mi dai l’impressione di essere una che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Perché hai scelto proprio archeologia?”
Una volta, guardando Daisy sfilettare con precisione un cosciotto di rospo gigante dei ghiacci, trasformando la carne in carpaccio sottile con rapidi e decisi movimenti di coltello, Felix aveva detto sottovoce a Lilhara di essere profondamente grato a qualsiasi divinità responsabile del fatto che Daisy fosse assolutamente contraria alla violenza. Il giorno in cui quella ragazza vorrà davvero qualcuno morto, aveva detto, quella persona sarà morta.
Daisy non rispose subito alla domanda. Si prese un paio di secondi per riflettere, gli occhi color del miele chiusi dietro le lenti sottili degli occhiali.
“Quando ero piccola,” iniziò poi, “alla sera la nonna mi raccontava sempre delle storie di quando lei era piccola. Il mondo era diverso allora, diceva. Alcune cose erano migliori, altre erano peggiori, ma tutto era diverso. Una volta, le chiesi se non le dispiacesse che le cose fossero cambiate così tanto nel tempo. «Bambina mia,» mi disse, «tutto cambia. È normale, e non c’è motivo di essere tristi. Tu stessa non sei più la stessa bimba che eri stamattina: hai qualche graffio sulle ginocchia e qualche ricordo nella testa in più. Sei più grande, più forte e, spero, più saggia. Quando smetterò di parlare, tutte e due saremo diverse da come eravamo quando ho iniziato. Non aver paura del cambiamento: non si può evitare di cambiare. Quello che si può fare è cercare di cambiare sempre in meglio. A volte ci si riesce, a volte no: l’importante è non smettere mai di provarci. Come per tutte le cose.»”
Daisy riaprì gli occhi. “Quando ho dovuto scegliere che indirizzo dare ai miei studi a Silverymoon, mi è tornata in mente la voce della nonna. Ho pensato che, se il cambiamento è inevitabile, sarebbe stato bello poter vedere come erano le cose una volta. Capire se anche il mondo cerca di cambiare per il meglio oppure no. E, se così non fosse, forse far vedere gli errori commessi in passato avrebbe aiutato a non ripeterli.”
Lilhara annuì. Non riusciva proprio a vedere il mondo con quella tinta di ottimismo che invece sembrava avvolgere ogni cosa negli occhi di Daisy, ma capiva il suo modo di pensare.
“Capisco. Chissà come mai la professoressa Joyce ha scelto l’archeologia invece…” rifletté.
“Una volta avevamo vinto un bando molto importante ed eravamo uscite a festeggiare. La professoressa aveva bevuto troppo come al solito, e mi ha detto qualcosa riguardo al voler sentire le storie delle cose. Non sono sicura che fosse una risposta seria, magari era l’alcol che parlava, ma…”
Daisy rivolse un’occhiata verso Johan. Lei era ancora ferma al suo posto, ma l’ombra nera si era allontanata di qualche metro. Sembrava più pallida, stiracchiata, e Daisy pensò che non aveva mai visto Iron Maiden allontanarsi così tanto dalla professoressa.
“Non dirle che te l’ho detto, però. Potrebbe pensare che la faccia sembrare debole.”
Lilhara ammiccò. “Tranquilla. Non vado in giro a raccontare segreti altrui.”
Daisy le sorrise. “Grazie mille. Una tazza di tè, prima di andare a letto? Dovrei avere ancora un infuso alle erbe che favorisce il sonno. E magari potrei preparare una teiera più forte per chi dovrà fare la guardia più tardi…”
Parlottando con sé stessa, la ragazza dalla pelle scura si alzò in piedi e si diresse con passo saltellante verso il falò quasi spento e il proprio baule da viaggio. Lilhara la seguì, sulle labbra un sorriso che non si era accorta di avere.
Sei una ragazza strana, Daisy Woolen. Forse tua nonna ha ragione. Forse è vero che tutto cambia. Ma tu cerca di non cambiare troppo.
In quel momento, per un attimo, si sentì davvero vecchia.
   
 
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