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Autore: Gaia Bessie    17/12/2021    1 recensioni
Scorpius prende e va vivere tra i Babbani – raccatta una sacca, la bacchetta, i propri vestiti e qualche libro. Una foto di sua madre che sorride dolcemente, indicando un neonato con gli occhietti chiusi («Guarda, Draco! Non è bellissimo?») e la sua ultima lettera, piegata in mille quadretti e nascosta in un vecchio libro sulla Seconda Guerra Magica, autografato dal Trio delle Meraviglie. E quanto si era vergognato, suo padre, a chiedere quegli autografi!
Scorpius prende i propri risparmi, trova un lavoro in una piccola libreria di quartiere e affitta un monolocale in una grigia palazzina della Londra Babbana: ogni giorno si alza, mette in una sacca il proprio pranzo, la borraccia azzurra, un quadernetto e una scatola di pastelli – e parte all’avventura.
[Scorpius/Albus, One-sided, Tw: Omofobia]
Partecipa alle iniziative "Calendario dell'avvento" (indetta da Cora Line sul forum "Ferisce più la penna") e "Regali di inchiostro" (organizzata sul gruppo Facebook "L'angolo di Madama Rosmerta").
Per Futeki.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Draco Malfoy, Scorpius Malfoy | Coppie: Albus Severus Potter/Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Per Futeki,
Per quel messaggio su IG che ha avuto seguito infinito.
Per storie vecchie con titoli in francese, la Dramione, Tosca, Salazar, Irama (IRAMA), Epicness, le telefonate della domenica, il cibo (IL CIBO) e io che uso il caps lock a caso.
Te lo dico ancora: ti voglio bene.

 

Riempire i margini
 
[Nostalgia]
 
E se m'hai visto piangere
Sappi che era un'illusione ottica
Stavo solo togliendo il mare dai miei occhi
Perché ogni tanto per andare avanti sai, avanti sai
Bisogna lasciar perdere i vecchi ricordi
 
 
Scorpius prende e va vivere tra i Babbani – raccatta una sacca, la bacchetta, i propri vestiti e qualche libro. Una foto di sua madre che sorride dolcemente, indicando un neonato con gli occhietti chiusi («Guarda, Draco! Non è bellissimo?») e la sua ultima lettera, piegata in mille quadretti e nascosta in un vecchio libro sulla Seconda Guerra Magica, autografato dal Trio delle Meraviglie. E quanto si era vergognato, suo padre, a chiedere quegli autografi!
Scorpius prende i propri risparmi, trova un lavoro in una piccola libreria di quartiere e affitta un monolocale in una grigia palazzina della Londra Babbana: ogni giorno si alza, mette in una sacca il proprio pranzo, la borraccia azzurra, un quadernetto e una scatola di pastelli – e parte all’avventura.
Lavora dalle nove all’una e, tre pomeriggi a settimana, fa anche dalle due alle sei: ma Scorpius stringe i denti e, ogni volta che si scorda come funziona la cassa, sorride e fa sorridere il cliente. A pranzo e nei pomeriggi liberi, va a Regent’s Park in autobus, bevendo quel paesaggio che gli scorre sotto gli occhi, e si siede sotto un albero a disegnare.
Cattura uno scoiattolo, il tramonto, una famiglia seduta su una panchina mentre consulta Google Maps, una volta perfino un barboncino nascosto in una borsa di tela – attimi di persone che si consumano a matita e pastelli, facendolo sorridere. Finché non è ora di tornare a casa.
Quando Scorpius mette piede nel proprio monolocale, uno dopo l’altro fino alla sponda del letto, lacrime gli affiorano nello sguardo (gli risuona in mente la voce di mamma, mentre gli carezza il viso: le lacrime sono solamente il mare che hai nell’anima. Ogni tanto, sale la marea, ma poi scende sempre) e deve scuotere la testa per scacciar via il dolore.
Lo deve prendere tra le mani, modellarlo come pongo, assaggiarlo come la gelatina al lampone di M&S che gli si appiccica tra i denti: sa di nostalgia.
Sente suo padre due volte al giorno – la mattina quando esce di casa, la sera quando rientra: Draco Malfoy ha messo via l’orgoglio, comprando un telefono cellulare per tenersi in contatto con il proprio unico figlio. Scorpius non lo sa che suo padre, quando lo sente parla con voce spezzata (alla sera), ha il mare che gli rompe gli argini e cola giù in una marea imprevista.
Piange sempre un sacco, suo papà – da quando Astoria Greengrass ha sorriso l’ultima volta, Draco Malfoy s’è fatto inconsolabile e, quando impara a fare le videochiamate su Whatsapp, è divertente vederlo trattenere i residui di pianto all’interno degli occhi.
Non sto piangendo, ripete ogni volta, è questo dannato felefono che funziona male: sarà un’illusione ottica, o qualcosa del genere.
Scorpius glielo concede dolcemente.
«Bisogna andare avanti, papà» gli dice, calmo. «Bisogna lasciare perdere i vecchi ricordi».
Draco Malfoy sa a cosa si riferisce – gli dice di sì perché, quando prova a fare altrimenti, Scorpius chiude la chiamata senza salutare.
 
***
 
Mi chiedi come sto e non te lo dirò
Il nostro vecchio gioco era di non parlare mai
Come due serial killer interrogati all'FBI
I tuoi segreti poi a chi li racconterai?
Tu che rimani sempre la mia password del Wi-Fi
E chi sa se lo sai
 
Albus Potter chiama tre volte al giorno.
Alla mattina, quando si alza – ma, alle dieci e mezza, Scorpius non risponde mai, mentre sorride alla signora Stevens e le dice torni ancora a trovarci! con un sorriso che spiazza.
Alle due, prima di iniziare le lezioni all’Accademia per Auror – ma, Scorpius, vede il numero sul display e, colorando lungo i margini della propria vita, si dice che non può farcela a sostenere quella conversazione mentre si bagna di luce a Regent’s Park.
E, infine, all’una di notte. È quando Scorpius getta via ogni difesa e, finalmente muove il dito sul touch-screen per rispondere (o per farlo tacere).
Dura una manciata di secondi: sente la sua voce, butta giù, Albus richiama e lui mette il silenzioso e si corica – si addormenta tra le lacrime, il cuscino bagnato, e pensa che ha fatto la fine di suo padre, a piangere per un pronto, Scorpius? che sa squarciargli il cuore.
Quando si sveglia, trova sempre cinque o sei chiamate perse e un messaggio sulla segreteria telefonica – il mantra della giornata, la sua colonna sonora.
 
Ciao, Scorpius.
 
E ricomincia il giro: prende la metro per arrivare a lavoro, si mette sulla camicia il cartellino col nome e ride, quando una signora anziana gli domanda se i suoi genitori fossero ubriachi quando l’hanno scelto – a mio padre piacciono le stelle, risponde.
Ah, è un astronomo?
No, era innamorato pazzo di mia madre – lei era un’attricetta di Musical nel teatro della mia città: ballava benissimo, ma tendeva a dimenticarsi le parole delle canzoni. Il giorno in cui si sono conosciuti davano la replica di Grease (che periodo drammatico, quando il Mondo Magico si era appassionato alla musica Babbana) e, cantando, l’aveva guardato negli occhi. E pensi che fortuna quando, un po’ in ritardo, le sono venute le parole: you’re the one that I want.
La signora batte le mani, compra due romanzi rosa e un giallo, e se ne va canticchiando la colonna sonora di Grease.
 
Come stai?
 
Scorpius ride – è la domanda di rito, tra lui e Albus: un come stai dove Scorpius non sa mai cos’è che deve rispondere.
Nostalgico, gli aveva detto l’unica volta in cui aveva azzardato un nome per quel sentimento che da sempre gli agita le viscere. Ma si ha nostalgia di qualcosa o qualcuno, aveva obiettato Albus (undici anni) e, allora, Scorpius s’era risposto nella mente, dove il suo migliore amico non aveva potuto sentirlo.
Mi manca me.
Mi manca la persona che ero quando mia madre mi prendeva in braccio, anche se faceva fatica, e mi diceva che ero tutto quello che aveva sempre desiderato – più di mio padre, più del palcoscenico, più dell’amore a prima vista e queste cazzate varie: che era nata per essere la mia mamma e voleva che io scoprissi, nello stesso modo, la persona per cui sono nato.
Ad Albus non l’aveva detto mai – il figlio di Potter avrebbe arricciato il naso con presunzione e gli avrebbe detto: sono io la persona per cui sei nato, no, the one that you want.
 
A volte, mi chiedo se non dovrei semplicemente venire a prenderti, lì dove sei andato a rintanarti. Ti bombarderei di domande: come stai, con chi sei, sono ancora la tua password del Wi-fi?
 
Certo che lo è – la sua password del Wi-fi, i punti a fine frasi e le virgole che gli crollano nella tazza del caffè alla mattina: Albus è questo (e tutto il resto).
Ma, quando lo minaccia di andare a prenderlo fin nella Londra Babbana, Scorpius sente un pericoloso accenno di speranza che gli graffia il cuore. Sa che non deve – Albus non verrà mai.
Perché Albus Severus Potter è figlio di suo padre: molti ideali, tante parole ma, a differenza di Harry, non ha il gusto dell’agire. E, invero, ha qualcosa di spezzato che gli impedisce di prendere iniziative.
Scorpius si ricorda di Delphini Riddle.
Albus ha insistito con suo padre per anni, prima che acconsentisse a permettergli di dimenticare, con l’autorizzazione di un Medimago per rimuovergli quei ricordi – non dormiva più e, quando lo faceva, incubi di fiamme salate lo lambivano per staccargli carne bruciata dalle ossa.
A volte, però, Scorpius ha come la sensazione che Albus qualcosa ricordi (più una sensazione che un vero ricordo) e che, per questo, siano spiegabili alcune sue piccole stranezze: non porta alcun tipo di orologio, nemmeno quelli digitali e, quando la sua pro-pro-zia Muriel gliene ha regalato uno, è scoppiato in un pianto isterico (Ginevra, di grazia, educa quel ragazzo: non può frignare in quel modo a diciassette anni!) e nulla è riuscito a cancellarglielo dagli occhi.
Non ne hanno parlato mai – Scorpius è andato via, portandosi dietro quel segreto, Albus dorme dalle cinque di mattina alle dieci e mezza: gli incubi sbiadiscono con la luce solare.
 
Non so se lo sai: qui manchi a tutti e stiamo tutti aspettando che torni.
Manchi anche a me.
 
È la canzone della giornata – mi manchi – se la rigira in mente come una pallina di metallo bollente sulla lingua, ustionandosi, finché non gli viene a noia: è che Albus è stato il suo tutto per così tanto tempo che, adesso che invece è il suo niente, non riesce a rassegnarsi.
Gli manca mancargli, sperando che un giorno anche lui gli mancherà per davvero1 – Delphini Riddle ha scavato un solco tra di loro e non l’hanno mai saputo riparare per davvero così che, a vent’anni, è diventato voragine.
Ci salta dentro, Scorpius, ogni giorno: lì, dalla terra bagnata di pioggia, lo intravede – nei suoi disegni, Albus è sempre quella sottile riga di luce che dà un senso al quadro.
 
***
 
Per favore, non piangere
E non ci rimanere malе
Che noi due ci conosciamo benе
Dalla prima elementare
 
Un giorno, si presenta per davvero a casa sua – ha un leggero alone di barba che gli sfigura i lineamenti, le solite occhiaie e puzza di caffè istantaneo e dolcificante, latte in polvere e cacao amaro: un miscuglio insensato, ma che ha il sapore di Albus Potter.
Non lo saluta.
Gli si fionda tra le braccia, nascondendo il viso nell’incavo del collo e borbottando qualcosa di inudibile.
«Mi stai bagnando la camicia, Al» commenta Scorpius, calmo. «Cosa ci fai qui?».
Lui lo guarda – ha gli occhi verdi come il fondo di una bottiglia (di birra) e altrettanto taglienti, sebbene squarciati dalle lacrime.
Anche Albus piange un sacco: quando guarda il Re Leone con sua nipote Marianne alla televisione (Domi ha sposato un Babbano), quando deve raccontare la favola della Sirenetta a uno qualsiasi dei suoi nipoti e, infine, quando a Natale vanno a pranzo da Dominique e danno in tv L’amore e altri luoghi impossibili. Ha pianto quando è nata Minou, che è il soprannome di Marianne, e gliel’hanno messa in braccio che scalciava e si lamentava.
Ha pianto al saggio di danza di Dora, tre anni, con Victoire e Teddy che ridacchiavano nel vedere lo zio innamorato della nipotina; e anche quando Lily Luna gli ha chiesto di accompagnarla a fare un test di gravidanza, il giorno in cui aveva avuto un ritardo (e aveva solamente quindici anni): il test era negativo, Albus aveva pianto due volte.
«Sei una testa di cazzo» biascica, strofinandosi gli occhi. «Si può sapere perché sono tre mesi che sei sparito?».
«Si può sapere perché stai piangendo in questo modo?» risponde Scorpius, atono. «Sto bene».
«Tu».
«Tu no?».
Albus lo guarda, gli occhi annegati nell’alta marea, e si mette a ridere – un suono amaro, amarissimo, che fa male al cuore.
«Noi ci conosciamo dal primo giorno ad Hogwarts, Scorpius» risponde, serio. «Pensi che potrei stare bene, sapendo che sei scappato per non so quale stracazzo di motivo?».
Scorpius sospira, gli scuce un sorriso tirato e si scompiglia i capelli biondissimi, con aria stanca – oggi ha dipinto una famigliola seduta sull’erba: due papà, una neonata nel passeggino. Una testa bionda, l’altra castana (controluce, nera come l’ebano).
«Non ci rimanere male» sussurra, calmo. «Ma non posso dirti cos’è successo, Albus, non penso riusciresti a capirlo».
Albus gli domanda il perché, Scorpius scuote il capo.
Non gli dice che c’era, quel giorno – quando James Sirius ha detto a genitori e fratelli di essere gay, Albus Severus è scoppiato in un pianto disperato (e nemmeno sua mamma ha saputo consolarlo).
Sono passati tre anni.
«Al, da quanto tempo non parli con James?».
«Tre anni. Perché?».
«Niente».
 
***
 
E se m'hai visto ridere
Sappi che era neve nel deserto ma
Ormai di questi tempi non mi stupisce niente

 
 
Non sei uno che ride molto, non è vero?
È quel che Albus gli ha domandato la prima volta che si sono incontrati, sull’Espresso per Hogwarts, con Scorpius che aveva ancora addosso il sapore di uno degli abbracci di sua madre (e lo sapeva, nelle ossa, che era uno degli ultimi) e Albus ancora preservava in sé quel candore, quell’innocenza dolcissima che gli avvenimenti futuri gli avrebbero cancellato dall’esistenza. Gliel’aveva domandato, con un risolino, e allora Scorpius aveva riso solamente per replicare il suono della risata di Albus.
E, adesso che Albus sorride in piena innocenza, Scorpius si deve domandare se sarebbe di nuovo in grado di replicare quel suono – perché Albus è nostalgia che gli scava il petto come una marea di lacrime ma, da quando suo padre s’è risolto a fargli modificare la memoria, Albus è dimenticanza. A Scorpius non l’ha mai detto esplicitamente ma, da quando i Medimaghi gli hanno estirpato Delphini Riddle dalla mente, Albus si dimentica le cose.
Non tutto, non cancella ciò che davvero importa dai propri pensieri – ma, quando gli si nomina della sua rottura con James Sirius, Albus non sembra in grado di comprendere cosa davvero sia avvenuto: e Scorpius, che ha fatto armi e bagagli pochi giorni dopo La lite in casa Potter, invece ricorda con spiazzante nitidezza.
Albus ha cancellato le bruciature dalla propria mente: ha dimenticato d’esser fallibile e, per questo, quand’ha detto a James che non lo avrebbe considerato più suo fratello, Scorpius non s’è stupito. Non s’è stupito perché Albus s’è disabituato alle imprevedibilità, alle sorprese, ma anche a tutto ciò che potrebbe mandare in frantumi o incendiare quel suo mondo fatto di cartapesta (puzza di benzina).
Tre anni fa, Scorpius s’è raccolto dal pavimento e ha scelto la distanza per conservarsi sempre in sé stesso – e, quando Albus lo guarda negli occhi e gli dice sei cambiato, è allora che Scorpius si mette a ridere: perché, commenta amaramente, tu no?
«La verità è che ti rode, Scorpius, ti rode da morire» commenta Albus, a disagio. «Perché tu hai tutti i pezzi e io, invece, ho scelto di andare avanti».
«E ci sei riuscito, ad andare avanti?».
Albus tentenna – gli trema un po’ la palpebra e, allora, Scorpius ricorda di quando James Sirius gli dava i buffetti in fronte, come se avesse dieci anni in più di suo fratello e non solamente due e mezzo,  e gli domandava: devi sempre sembrare così nevrotico, Al?
Qualche volta, quando sta azionando la cassa per dare il resto a un cliente o è seduto su una panchina a riempire i margini dei suoi disegni, Scorpius ha nostalgia di quei momenti – quando ancora Albus era un senso unico e non un’accozzaglia di impressioni sbagliate.
«Certo che sì» commenta Albus, con supponenza. «Studio per il lavoro dei miei sogni, ho una bella famiglia, una ragazza che mi ama e…».
«Una bella famiglia?» domanda Scorpius, alzando un sopracciglio biondo. «E tuo fratello?».
È quello, il punto di rottura di Albus Potter – il momento in cui qualcuno, solitamente Scorpius, s’arrischia a nominare l’esistenza di suo fratello maggiore.
«Mi spieghi perché non riesci a superare il fatto che io non voglia avere a che fare con lui?» sibila il secondogenito Potter, offeso. «Ti sei innamorato di lui o cosa?».
Scorpius sorride, ma ha qualcosa di sabbioso, che scricchiola sotto i ventri come frammenti di vetro, una tempesta fatta di brandelli di deserto che s’infila dietro la retina: Albus sbatte le palpebre, ma non sa come liberarsi dell’impressione che gli ha suscitato l’espressione del suo migliore amico.
«Se fosse, cancelleresti anche me?».
Albus non sa cosa dire – come non ha saputo cosa dire quando i suoi genitori, Lily Luna, i suoi cugini e anche Scorpius gli hanno domandato perché avesse scelto di cancellare James Sirius, se non dalla sua memoria (e avrebbe voluto), dalla sua vita. Non ha saputo cosa dire perché, in fondo al proprio cuore trafitto da granelli di sabbia, l’ha sempre saputo.
Che la frattura tra lui e James Sirius s’è incisa nella carne come una maledizione del sangue il giorno in cui il maggiore dei Potter ha presentato alla propria famiglia il suo ragazzo. E, se Harry e Ginny non avevano fatto una piega che non fosse quel sorriso caloroso con cui avevano accolto Drew, e Lily Luna aveva battuto le mani come se le avessero fatto un regalo (e, in effetti, il ragazzo di James le aveva allungato di nascosto una scatolina con una spilla a forma di Boccino), Albus non era riuscito a proferir parola.
Quando, all’alba del terzo giorno di mutismo, James s’era affacciato in camera del fratellino per domandargli cosa stesse accadendo, Albus aveva gridato di andare via – che erano state anche le ultime parole che gli avrebbe detto, una settimana dopo, quando James avrebbe raccolto le proprie cose per andare a vivere da solo: non sei un bambino, aveva sussurrato ad Albus, quando ritorni in te sai dove trovarmi.
Albus non l’aveva cercato mai – e James, che almeno per i primi tre mesi aveva provato a cercare un contatto con suo fratello, alla fine si era dovuto arrendere all’idea che questi non volesse più avere a che fare con lui. E l’aveva domandato a sua madre («pensi che sia perché sono gay, mamma?») e Ginny, che pur aveva ereditato la sensibilità made in Weasley, non era riuscita a dirgli quella che era la dolorosa verità: probabilmente, sì.
Così la signora Potter aveva bofonchiato che Albus, da quando la sua strada s’era incrociata con quella di Delphini Riddle, non era più stata la stessa – James, per il bene della famiglia, aveva fatto finta di crederle. Ma, quando quella distanza tra fratelli era infine diventata insormontabile senza che Harry e Ginny riuscissero a ricomporre la frattura, James alla fine s’era arreso su ogni fronte, arrivando a dare forfait perfino al cenone della Vigilia di Natale.
Albus non aveva dato alcuna spiegazione, nemmeno a Scorpius – se non, quando finalmente il giovane Malfoy s’era impuntato sulla vicenda, un risicato io non glielo so perdonare.
(Tre mesi dopo, Scorpius aveva raccolto armi e bagagli per andare a vivere tra i Babbani).
«Sì».
Scorpius sospira, ma non dice una parola – ad Albus tremano le mani.
«Sì cosa?».
«Sì, cancellerei anche te».
 
***
 
Ti chiedo come stai e non me lo dirai
Io con la Coca-Cola, tu con la tisana thai
Perché un addio suona troppo serio
E allora ti dirò bye bye (bye bye)
Seduti dentro un bar poi si litigherà
Per ogni cosa, pure per il conto da pagare
Lo sai mi mancherà, na-na-na-na
 
Albus non si arrende – gli dice: se proprio devi, buttami fuori. E Scorpius esce, vaga per Londra con Albus alle calcagna e, anche quando si siede al primo Caffè Nero che incontra sulla sua strada, il giovane Potter non molla l’osso.
Si siede di fronte a lui, con una tazza di tè, mentre Scorpius giocherella pensieroso con la linguetta di una lattina di Coca-Cola.
«Cancellami».
Glielo dice così – mentre Albus sta zuccherando il proprio tè e, quando alza gli occhi, è chiaro che non ha capito. Anche quando Scorpius glielo ripete (cancellami), scandendo quella parola, annaffiandola con un sorso di coca cola. Cancellami.
«Quindi ti piaceva James per davvero» commenta Albus, con un sorriso amaro. «Perché non me lo hai mai detto?».
«Non James» risponde Scorpius, quieto. «Non è mai stato lui».
«Non so di cosa tu stia parlando, Scorpius» quello di Albus è un sibilo, una preghiera silenziosa che gli striscia sulle pelle come una maledizione (e il sangue?).
«Sono sempre rimasto al mio posto, ho sempre saputo che a te non interessavo» mormora Scorpius, senza scomporsi. «Ma, quando hai rotto con James, hai rotto anche con me, in un certo senso».
«Io non ho rotto con te, tu non sei come…».
«Lo sono, invece, e lo sai anche tu» lo interrompe il biondo. «Lo hai sempre saputo».
Albus sospira, si passa una mano in fronte – non osa dirgli quella che è la più sonora verità: che lui non sa come fare a cancellarlo, sono incollati l’uno all’altro più di quanto non lo siano mai stati James e Albus e, al netto delle proprie convinzioni, ad Al Potter manca il coraggio.
«Che avrei dovuto fare, Scorpius?» domanda Albus ma, quando guarda il proprio migliore amico, è solamente solo e disperato. «Dirti addio?».
Lo sguardo di Scorpius è inequivocabile – dimmi tu addio – anche quando spezza l’anello della lattina in un colpo solo (sulla lettera A) e s’alza dal tavolino, senza nemmeno guardarlo negli occhi.
«Ci vediamo, Albus» commenta, allontanandosi a grandi passi. «O, almeno, lo spero».
Gli ha lanciato il proprio blocco da disegno davanti – Albus vorrebbe avere il coraggio di prenderlo ma, come ha detto a suo padre dopo la lite con James, purtroppo non l’hanno smistato a Grifondoro.
 
***
 
E scrivevo tutti i miei segreti
Col pastello bianco sul diario
Speravo che venissi a colorarli
 
Quel giorno (quella notte, perché non ha trovato il coraggio di respirare fino alle undici di sera), quando Scorpius telefona a suo padre e Draco Malfoy non riesce ad azionare la videocamera del cellulare, è lui a piangere – non gli dice cosa sia successo ma, quando Draco guarda negli occhi il proprio unico figlio, stringe i denti come se quel dolore stesse squassando anche il suo, di petto.
«Sai, è passato Albus dopo cena» commenta Draco, con cautela. «Mi ha portato il tuo blocco da disegno, mi ha chiesto se potevo ridartelo quando ti avrei rivisto, a Natale. Non ho capito perché non potesse farlo lui, ma…».
Un respiro – quello infranto di Scorpius, un singhiozzo che gli sfregia il sorriso amaro, amarissimo, ereditato da sua madre (e, nonostante tutto, he is the one that he wants), quando Draco finalmente realizza cosa si muove nel petto di suo figlio.
«Mi dispiace, papà» commenta Scorpius, quieto. «Immagino che non fosse tutto quello che avevi sempre sognato».
«No, infatti» risponde Draco, con altrettanta calma. «Perché quando scendo per fare colazione, tu non sei più qui».
Scorpius spalanca gli occhi, di fronte al moto d’affetto di suo padre – Draco sorride, come un bambino, di fronte all’espressione spaesata di suo figlio.
«Torna a casa» aggiunge. «Ho sfogliato il tuo blocco e hai ancora un sacco di pagine da riempire».
Scorpius non dice di sì, ma nemmeno di no – sull’ultima pagina, ha scritto il suo nome e quello di Albus, intrecciati in un’unione strana e insensata, che Albus non saprà mai accettare.
A suo padre non l’ha detto, ad Albus nemmeno: chissà se l’ha scoperta, quell’incisione fatta con un pastello bianco, chissà se gli è venuto in mente di colorarla in verde e argento per riscoprirsi cambiato. Ma, quando fa per domandarlo a suo padre, Scorpius si rende conto di non volerlo sapere – di volere aspettare che quella consapevolezza (che lo cancellerà, l’ha cancellato) faccia meno male, prima di scoprire che non vi sono più i colori, nella vita di Albus Potter, e che il bianco è solamente l’ennesima ombra su una pagina del medesimo colore.
«Ti aspetto, Scorpius» sussurra Draco Malfoy, chiudendo la chiamata. «Tanto tra poco sarà Natale, non è vero?».
Scorpius rimane a fissare lo schermo del telefono, in silenzio – sono passate diverse ore, Albus Potter non ha chiamato nemmeno una volta.
 
 
E ti giuro, sto ancora aspettando
(Pinguini Tattici Nucleari, Pastello bianco)
 

Sarò brevissima.
Se siete arrivati qui, consci del mio interiorizzato odio per questa coppia, beh grazie: non dico che sia stata facile, ma sono davvero contenta di questa storia, tw a parte.
Spero che vi sia piaciuta, nel marasma di roba che sto postando a Natale e niente, grazie per essere passati di qui.
Gaia
   
 
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