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Autore: Swan_Time_Traveller    20/12/2021    0 recensioni
Il professor D. se ne stava tranquillamente seduto nel suo studio provvisorio, ritagliato maldestramente dall'Ateneo nella vecchia caffetteria della facoltà.
Molto più preoccupata di lui, esordii: "Professore, perdoni la mia impazienza: posso considerare con certezza lei come relatore?" Srotolai rapidamente quelle parole, con un tremolio nella voce che tradiva il mio timore.
"Senza dubbio. Personalmente lo consideravo già scontato. Errore mio. Come anticipatole però, ho pensato di parlarle di un progetto ... Specialmente dopo un confronto coi colleghi, che mi hanno confermato quanto sospettavo: lei è una delle studentesse più brillanti del suo corso di laurea, e per questo motivo ci tenevo molto ad invitarla al mio laboratorio di metà semestre, di cui forse lei ha già sentito parlare."
Annuii, sebbene fossi ancora confusa.
"La partecipazione però richiede massima discrezione, glielo dico molto schiettamente: non le sarà possibile raccontare del laboratorio a nessuno." Aggiunse. Annuii di nuovo, ancor più disorientata di poco prima.
"Mi rendo conto che sto chiedendo un atto di fede, ma lei mi dà modo di credere che sia disposta a farlo, per questo le faccio una domanda."
Proseguì: "Se lei avesse modo di tornare nel 1963, sarebbe in grado di cambiare le sorti a Dallas?"
Genere: Avventura, Malinconico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento, Dopoguerra
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Christmas at the White House

“Ogni Natale che passa mi convinco sempre più di quanto Jackie sia brava con le decorazioni.”
Solo con queste? Jack, mi sembra un po’ riduttivo. Jackie finora è stata … Davvero impareggiabile. Specialmente quest’anno no? Voglio dire, pensa al servizio che la CBS le ha dedicato a proposito del progetto di restauro. Ed eravamo solo a febbraio.”
“Sì certo, lo so quanto è brava Jackie.” Il più grande dei due fratelli si avvicinò alla poltrona posta al fianco della scrivania centrale e, con una smorfia di dolore sul viso, a fatica si sedette.
Robert Kennedy osservò a lungo suo fratello, senza tradire alcuna emozione in viso: era preoccupato per la salute di Jack da forse tutta la vita, almeno da quando aveva imparato a rendersi conto della gravità della situazione. Senza dubbio l’apparente corazza del maggiore aveva nutrito in Robert una inconsapevole convinzione per la quale, a prescindere da qualsiasi evento, suo fratello sarebbe stato indistruttibile: nemmeno la Seconda guerra mondiale e lo scontro nel Pacifico erano riusciti ad ucciderlo, e laddove l’apparentemente infallibile Joe, il più grande tra tutti, era tragicamente scomparso, il piccolo Jack era sopravvissuto, diventando addirittura un eroe di guerra. Il suo spirito determinato sembrava essere più intenso degli innumerevoli problemi di cui il fisico di John Kennedy soffriva da tempo: forse era questo a tranquillizzare Robert.
“Jack, non posso fare a meno di chiederti se va tutto bene. Voglio dire, sai quanto rispetto la tua privacy eccetera ma …” Robert si interruppe, appoggiandosi informalmente sulla scrivania di legno con entrambe le mani: in quel periodo dell’anno, consapevole che finalmente i rapporti diplomatici con l’Unione Sovietica stavano dando ragioni per nutrire fiducia nell’anno successivo, si sentiva sollevato, almeno da una parte, e felice di poter concedersi qualche momento all’interno delle mura della Casa Bianca, dove atteggiarsi ancora come un ragazzino. La camicia azzurra che aveva scelto quella mattina era già stropicciata, le maniche tirate su senza alcun tipo di attenzione, e i primi bottoni lasciati aperti: in un certo senso avere la possibilità di chiacchierare con suo fratello in quanto tale e non in quanto Presidente era già di per sé un bel regalo di Natale.
John Kennedy abbozzò un sorriso noncurante, e replicò: “Lo so che ti preoccupi Bobby. Lo fai da quando hai la facoltà di parola.” Entrambi risero di gusto, perché seppur esageratamente, Jack aveva ragione: il fratello minore Robert aveva ereditato suo malgrado la carica di Procuratore generale nella nuova presidenza Kennedy, più per richiesta del padre Joe (o forse, per meglio dire, imposizione) che per altro. Alla fine del 1962, in quel Natale freddo a Washington, Robert finalmente poteva sentirsi soddisfatto della sua carica e, soprattutto, del lavoro che stava svolgendo ormai da tempo, specialmente contro la criminalità organizzata negli Stati Uniti: nonostante ciò, da quando suo fratello si era insediato alla Casa Bianca nel gennaio dell’anno precedente, Robert si sentiva più che mai custode di Jack, protettore incondizionato e scudo pronto ad essere utilizzato contro ogni tipo di minaccia.
Senz’altro era molto più poetico a dirsi che a farsi, dal momento che sin dai primi mesi di presidenza Bobby era stato più impegnato a coprire le scappatelle di suo fratello che a proteggerlo da eventuali attacchi pubblici od altro: certamente la crisi cubana dell’ottobre appena trascorso aveva dato una vera e propria scossa ad entrambi i fratelli, e forse ingenuamente Robert era convinto che proprio dopo quella drammatica esperienza, per la quale in un soffio il mondo sarebbe potuto sbriciolarsi davanti ad una guerra nucleare, suo fratello John sarebbe cambiato radicalmente. Non tanto da un punto di vista politico, quanto più privato.
Jack sospirò e, facendo sparire il sorriso che gli aveva illuminato quegli occhi azzurri pallidi, proseguì: “E’ tutto a posto. Fra poco sarà Natale, finalmente rivedremo papà, che sta facendo davvero tanti progressi secondo la mamma.” Respirò profondamente e, con un gesto della mano, indicò a Robert il sigaro che era sulla scrivania, accanto a lui: una volta dato al fratello, Bobby continuò a guardarlo senza dire nulla, avvicinandosi invece ad una delle lunghe finestre verticali e dando le spalle a Jack, il quale però non aggiunse altro.
“Intendo dire con Jackie. Le cose sono migliorate tra voi? E’da un po’ che non le parlo.” Dichiarò Bobby schiarendosi la voce, per poi avvicinarsi all’albero natalizio che era stato addobbato con cura: le palline e gli accessori brillanti erano in un così numero massiccio da nascondere quasi le luminarie, che emettevano qualche flebile scintillio.

John Kennedy accese il sigaro e, gustandoselo come fosse il primo della giornata (e certamente non lo era), fece spallucce e replicò: “Cosa vuoi che ti dica Bobby? Io provo ad essere il marito che lei vorrebbe, ma spesso è difficile per me accontentarla. Quest’anno …” Si bloccò, temporaneamente, passandosi una mano sulla fronte e socchiudendo gli occhi per un breve attimo. Poi riprese: “Quest’anno è stato duro, è stato … Impensabile. Nessun presidente al mio posto avrebbe immaginato qualcosa del genere: con Khrushchev abbiamo evitato quel che pensavamo fosse inevitabile, ma per quanto …? Il punto è che non sono mai tranquillo, perché siamo nel pieno di una crisi mondiale e la gente pensa che sia tutta acqua passata.”
Robert inclinò leggermente il capo, e replicò: “Ed è un bene che le persone credano ciò Jack, altrimenti vivrebbero nel terrore. Abbiamo ottenuto una grande vittoria e ho fiducia che il prossimo anno le cose possano migliorare. Capisco i tuoi timori, davvero. Però … Jackie è il tuo presente, la tua famiglia è costantemente al tuo fianco: non è forse questo sufficiente? Almeno per ora?” .
Jack si alzò dolorante, ponendosi una mano sulla schiena: non guardò suo fratello ma, avvicinandosi alla scrivania e afferrando qualche foglio sopra di essa, concluse: “Sì, immagino di sì.”
 

 
Tra i due fratelli Kennedy correva profondo rispetto e onestà: era stato il padre Joe con le sue ambizioni e i suoi sogni di gloria nei confronti dei figli, ad alimentare il rapporto tra Jack e Bobby, portandoli addirittura alla stessa presidenza americana con la vittoria di John alle elezioni del 1960.
Sicuramente lo spirito agguerrito e talvolta megalomane di Joe Kennedy era stato la rovina della famiglia, anche se non direttamente: i grandi progetti politici che erano poi maldestramente ricaduti su Jack, erano in realtà focalizzati inizialmente su Joe Jr., il maggiore tra tutti. Era lui a dover diventare presidente un giorno, terminato il secondo conflitto mondiale: sempre lui, con la sua aria da eterno ragazzo, frizzante e ammaliante al tempo stesso, avrebbe conquistato l’elettorato americano in men che non si dica, complice la grande disponibilità economica del padre, che seriamente avrebbe giocato carte false per vedere il suo sogno realizzato.
Si parlava di questo, a proposito di Joe Kennedy: di sogni che faceva calzare forzatamente sui figli, ma che alla fine erano solo suoi. Aspirazioni di glorie politiche che purtroppo il capofamiglia Kennedy non aveva potuto raggiungere, specialmente dopo i suoi pasticci diplomatici prima dell’entrata statunitense nella seconda guerra mondiale. Il vecchio presidente Roosevelt aveva letteralmente bandito Joe dall’entourage politico, per tale motivo le grandi aspettative si erano ribaltate drasticamente sul figlio maggiore: la guerra però aveva distrutto qualsiasi progetto, annientando lo stesso Joe Jr., che aveva insistito affinché potesse combattere nel conflitto fino al suo termine.
La tragica morte in volo del maggiore dei fratelli Kennedy, avvenuta nel 1944, aveva poi fatto puntare il dito assetato di potere di Joe su John Kennedy, classe 1917, già eroe di guerra dopo il salvataggio dei suoi compagni nell’Oceano Pacifico nel 1943.
La scalata politica di Jack non fu certamente cosa facile, ma nel 1960 era riuscito a strappare la presidenza addirittura a Richard Nixon, seppur con un debole margine: essere presidente americano in piena Guerra Fredda non era però cosa da poco, e Jack lo aveva capito sin dal 1961, dopo il disastro alla Baia dei Porci.
Continuava a ripetere, tra sé e sé e senza coinvolgere mai nessuno nelle sue riflessioni, che avere Bobby al suo fianco era una fortuna: l’assenza del fratello non gli avrebbe permesso di prendere quelle decisioni, e forse senza il suo aiuto non sarebbe nemmeno riuscito ad effettuare una campagna elettorale come si deve.
In vista di una ricandidatura alla presidenza, Jack Kennedy sapeva in cuor suo di voler ancora suo fratello minore al fianco.
Nonostante tali premesse, Bobby sapeva essere non solo onesto ma anche una spina nel fianco talvolta: la sua dedizione alla famiglia e alla moglie Ethel gli impediva di comprendere appieno le scappatelle quasi patologiche del presidente, che almeno una volta a settimana era solito far visita o ricevere una delle sue bellissime amanti.

Per tali ragioni era difficile per Jack essere totalmente sincero con Bobby, anche in quel Natale del 1962: il dolore alla schiena era indescrivibile, difficile anche solo da concepire. Le sfide politiche all’orizzonte erano più minacciose che stimolanti, e si avvicinavano a passo spedito man mano che il mese di dicembre avanzava inesorabile. Per tutti questi motivi John Kennedy era convinto, nel suo profondo, di poter giustificare il suo bisogno di sesso e di compagnia femminile costanti: perché era malato e dolorante nonostante l’operazione che aveva rischiato di portarlo alla morte, perché si trovava a capo della nazione in quel momento più forte al mondo e davanti ad una crisi politica senza precedenti; perché in fin dei conti l’amore e la dedizione di Jackie non sembravano bastargli. Certamente non perché la moglie non fosse abbastanza innamorata e attenta, anzi – le lodi ricamate da Bobby e da tutti i collaboratori del presidente nei confronti di Jacqueline Kennedy erano innumerevoli e condivise dallo stesso John – ma perché lui desiderava sempre di più, o sempre qualcosa di differente, di alienante.

Per tutti questi motivi e chissà quanti altri, dopo aver salutato il fratello Bobby e allentato il nodo della cravatta blu scura, John F. Kennedy era ben consapevole che la risposta data a Robert non era nemmeno lontanamente vicina alla realtà.
 
 
   
 
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