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Autore: Neamh Moonstar    21/12/2021    2 recensioni
Dio non muore, non sbaglia e non abbandona.
Dio non crea il caos tra gli angeli in cielo, né lascia quelli sulla Terra soli tra le lacrime e il sangue.
Dio non parla e non risponde.
Giusto?
(Considerabile come un seguito di: "Quell'angolo di infinito" ma leggibile separatamente).
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio, Gabriele, Morte
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dilogia sotto le stelle'
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Le luci della libreria erano spente e già quello era strano. L'unica parte quasi sempre spenta di quel luogo era il piano di sopra, semplicemente perché Aziraphale non lo usava se non a mo' di sgabuzzino. In pratica, c'erano libri che nessuno se non lui poteva toccare e quelli stavano lì, in una stanza in cui neanche la polvere osava mettere piede.

Per quanto riguardava il piano di sotto, se non ci pensava il sole ad illuminarlo, lo faceva la luce artificiale. Nelle notti invernali c'erano sempre i lampioni di Soho e la libreria dell'angelo a rendere visibile quel tratto di strada, sempre. Tranne quella volta.


Crowley scese dall'auto e si buttò verso la porta di ingresso, aprendola un po' miracolosamente, un po' con una spallata. Era già la seconda volta che arrivava così di colpo in quel posto, e la prima riviveva ancora vivida nella sua mente. Per un attimo credette di rivedere le fiamme ballare davanti ai suoi occhi, il fumo salire e il calore soffocare l'aria... ma no. Non era quello il momento di farsi prendere dagli incubi e dai brutti ricordi. Succedeva già abbastanza spesso in momenti normali, tante grazie.

Qualcosa non andava ed era peggio di un incendio. Non avrebbe saputo dire cosa fosse, né da dove provenisse, ma c'era. O meglio: non c'era; o meglio: c'era ma non c'era.


In un gesto di nervosismo, Crowley si passò una mano tra i capelli, come se ciò potesse bastare a scacciare quei pensieri confusi.


Oh, no.


"No"? "No" cosa?

Si guardò attorno, confuso; nella libreria regnavano l'oscurità - che per lui era tutto fuorché un problema, "benedetta" visione notturna - e il silenzio. Poi si ricordò della stanza sul retro, quella dove spesso e volentieri si fermavano a bere e chiacchierare, quella dove c'era il suo divano preferito - non dal punto di vista estetico, per carità. Ci aveva fatto i migliori pisolini, lì, avvolto dalla calma della luogo. Calma che adesso gravava come un peso insopportabile. 

Si fiondò dove sapeva esserci la scrivania piena di fogli di Aziraphale: quella dove si metteva a leggere la sera. Doveva essere lì, per forza. Era sempre lì, sempre.


Sbrigati.


E in effetti Aziraphale era lì: sotto un fascio di luna che faceva capolino dalla finestra, tagliando il buio in due. 


Crowley non respirava, di norma, ma in quel momento il respiro gli si bloccò dritto in gola. Una morsa gli stritolò il petto, le gambe gli si bloccarono e sbarrò gli occhi talmente tanto che temette di perderli. 

Di tutte le cose che gli erano passate per la testa durante il tragitto fin lì, quella che si ritrovò davanti era la peggiore di tutte. La sola vista lo colpì all'inutile cuore di cui il suo corpo era disposto, perché avrebbe potuto sopportare tutto: avrebbe distrutto qualsiasi umano, angelo o demone malintenzionato se necessario. Sarebbe tornato in Paradiso a farsi buttare tra le fiamme; avrebbe ridato fuoco a tutto, anche all'intera città nel caso. Ma quello.

Tutto ma non quello.


**


Era Lei a mancare. Lei ad essere improvvisamente sparita, come se qualcuno gliel'avesse strappata via. 

Le vertigini erano le stesse che si provavano precipitando nel vuoto, alla mercé dell'aria e dell'oblio. Crowley gli aveva detto della Caduta: di come il terreno si fosse aperto sotto di lui, e di come si fosse ritrovato avvolto da quel senso di vuoto che lo aveva accompagnato fino al terribile tuffo nella lava e nel fuoco. Era stata una conversazione dolorosa e tutto fuorché sobria: il demone si era ritrovato in lacrime, la testa sulle ginocchia dell'angelo e le gambe tra lo schienale e i braccioli del divano. 


I sintomi c'erano tutti: la paura, la nausea, il nulla e il dolore. 

Aziraphale si rese conto di star Cadendo, con la "c" maiuscola. Capì che forse aveva finalmente fatto un passo di troppo e che adesso ne stava pagando le conseguenze. Capì che tutto l'affetto e l'amore che provava erano stati incanalati verso la creatura sbagliata e che Dio se ne fosse resa conto. 


Si mise una mano sulla bocca, cercando di soffocare i lamenti. Ormai era per metà attanagliato dal freddo e per metà frustato dal senso di bruciore che continuava a mordergli le scapole.

Aveva tirato fuori le ali ma non si era azzardato a guardarle, per paura. Semplicemente, se le era avvolte attorno al corpo, alla ricerca di un impossibile ed irraggiungibile conforto. 


Si mise a piangere, senza sapere che altro fare. Le lacrime gli rigarono il volto e caddero pesanti sul pavimento.

Sentì qualcosa di caldo fare capolino dagli angoli della bocca, scivolando sul palmo della sua mano. Aprì gli occhi ma scoprì che la sua visione era ora macchiata da rivoli scuri, quasi neri, perfettamente divisi a tratti da strisce dorate. Stava perdendo sangue da ogni dove.


Forse, per tutto quel tempo, aveva creduto di star facendo le cose come si doveva mentre stava in realtà preparando il suo essere a quel preciso momento. 

Si sentiva completamente perso mentre cercava di connettere i pensieri, ormai ridotti ad un cumulo insensato di domande. Si chiese cosa sarebbe successo una volta finito il tremendo processo che lo stava consumando. Immaginò che cos'avrebbero pensato all'Inferno, immaginò anche quanto Gabriel e il suo gruppetto avrebbero sghinazzato pensando che - oh, forse è per questo che non era bruciato: Dio stava semplicemente aspettando il momento giusto.


Si raggomitolò su se stesso, stringendo gli occhi e singhiozzando. Al di sopra di tutte le sue preoccupazioni c'era Crowley, ovviamente. Chissà come avrebbe reagito. Da un lato sarebbe stato meglio se non lo avesse mai scoperto. 

Aziraphale desiderò ardentemente di sparire tra le assi del pavimento. Forse, se si concentrava abbastanza, poteva auto-cancellarsi dall'esistenza e far finta che nulla fosse accaduto.

Rimase lì, scosso dal pianto, a metà tra le spalle in fiamme e il corpo che ormai aveva perso sensibilità a causa del freddo che lo attanagliava. Non sapeva quanto tempo stesse passando: forse erano minuti, forse secoli. Per un attimo volle solo mettere fine a quella sofferenza persistente che pareva non dare segni di cedimento e dormire per un secolo, almeno. Odiava dormire, ma in quel momento gli sembrò la migliore prospettiva.

Come se non bastasse, un'altra stilettata di dolore si formò sul suo petto, dal quale sentì uscire un altro caldo fiotto di sangue. Ormai si era ridotto ad una pozza bordeaux annaffiata di lacrime; un esserino dolorante e sofferente che si consumava sotto gli occhi incuranti di Dio.


Era così che si Cadeva, di quei tempi? Riducendosi a null'altro che un corpo sanguinante sul pavimento? Niente più terra che si rompeva, niente più fuoco e fiamme - non fisiche, perlomeno - e niente più Satana a darti il benvenuto? 

O forse era lui il problema? Aziraphale si disse che era assolutamente possibile. In fondo, lui non era più parte del Paradiso, ormai. 


Nella campana di suoni ovattati che era il suo dolore, sentì un tonfo e una campanella. L'ingresso, si disse. 

Passi affrettati che si avvicinavano per poi bloccarsi di colpo dietro di lui.

Cinque secondi di silenzio, contati. 

E poi qualcuno che urlava il suo nome così forte che avrebbero potuto sentirlo dall'altra parte della strada.


Il ghiaccio e le fiamme in mezzo alle quali era intrappolato si calmarono, seppur lievemente.

Due mani gli spostarono le ali con una delicatezza infinita, poggiandosi poi sulla sua faccia ed esplodendo in una miriade di carezze.


Forse poteva lasciarsi andare adesso. Poteva scivolare nell'oblio e lasciare che quelle dita affusolate facessero tutto.

Poteva semplicemente lasciare che si infilassero tra i suoi riccioli separandoli, pettinandoli e risistemandoli distrattamente ma amorevolmente.


**


Gli faceva male la gola da quanto stava urlando. Se solo qualcuno si azzardava ad entrare, attratto dal caos, l'avrebbe spedito all'altro mondo più veloce di un fulmine.


Si era buttato in ginocchio davanti ad Aziraphale, chiamandolo e richiamandolo, sperando in un cenno, una risposta, qualcosa.

Gli aveva immediatamente spostato le ali dalla faccia. Il modo in cui vi si era rintanato gli aveva fatto salire i brividi lungo la schiena: sembrava un bozzolo di disperazione.

Non l'avesse mai fatto.

    «Oh, cazzo. Aziraphale, che cosa sta succedendo?!» Chiese, fissando i rivoli di sangue sparsi su quel volto normalmente bianco e perfetto.

Il fatto che non gli stesse giungendo risposta, poi, rendeva la situazione decisamente peggiore.

A quel punto, "cazzo" era l'unica parola decente a descrivere quel casino. La ripeté più volte, insieme alla voglia impellente di tirare giù Dio e dirgliene quattro perché, cazzo, quello era un incubo.


Calmati.


"Calmati"? Sul serio, inconscio? Quello era il momento perfetto per il panico.


Con i pensieri a mille, Crowley raccolse il volto dell'altro tra le mani, iniziando a togliere - per quanto possibile - le terribili tracce mezze cremisi e mezze oro.

    «Andiamo, angelo, dì qualcosa. Ehi?!» Prese a chiedere tra gli schiaffetti e le carezze stentate sulle quelle guance che - si rese conto - erano più fredde del fottuto Polo Nord. 

Ma niente. Assolutamente niente; non una risposta, non un rantolo, solo un volto angelico distrutto in una mezza smorfia di dolore.


Solo un'ala si smosse.

Crowley si voltò a fissarla d'istinto, sperando in un qualche segno di ripresa. Fu allora che, per la seconda volta quella notte, si bloccò con gli occhi sbarrati e le pupille serpentine ridotte a due linee sottili.


Alla luce della luna erano visibili quelle belle piume che il demone si aspettò di trovare bruciate, più nere della pece e di un cielo senza stelle. 

Perché era quello che stava accadendo al suo angelo, no? Se n'era accorto quando non aveva visto il candore di quelle ali stupende fare breccia nell'oscurità della stanza. Era stato quel pensiero a portarlo alla disperazione e alle grida. 

Eppure...


Le ali di Aziraphale non erano nere, no. Non erano di quel corvino bluastro che contraddistingue i demoni e che loro stessi portano come simbolo di vanto e ribellione.

Non erano più bianche, poco ma sicuro. Non erano più il simbolo della purezza divina in cui tutti gli angeli vivevano.

Niente di tutto ciò.


Crowley si sfilò gli occhiali, come se ciò potesse aiutarlo ad avere una visione migliore della cosa. Il punto era che non si stava sbagliando: non era un gioco di luci e ombre, né la sua immaginazione che aveva ripreso a galoppare impazzita.


Le ali del suo angelo erano diventate grigie

Grigie come le nuvole cariche di pioggia.

   
 
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