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Autore: Gun    21/12/2021    2 recensioni
Sakura aveva sempre voluto vedere Kakashi senza maschera, anche se questo era troppo persino per lei...
Tutto inizia a causa dell'ennesimo ritardo di Kakashi, in una calda mattinata.
Tra imbarazzi, mutandine rubate, inganni ed incomprensioni, Sakura si addentra nel mondo dei piaceri fisici con l'aiuto dell'unico uomo che non avrebbe mai considerato. Ma se dall'amore può nascere il sesso, dal sesso può nascere l'amore?
KakaSaku.
Traduzione precedentemente pubblicata in parte da eveyzonk.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Tsunade
Note: Lemon, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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. 17 .

 

Stelle statiche

 

 


 

 

 Sakura fu la prima del suo team ad arrivare al luogo dell’appuntamento, che si era deciso essere il giardino pensile dietro la palestra.
Fece di tutto per mantenere uno sguardo austero, mentre la osservava all’ombra di un vecchio albero.

Le voci maligne dicevano di lei che avesse sedotto Hatake Kakashi, rovinandogli la carriera; altre invece – se possibile più cattive – la vedevano come vittima del suo capitano. Tenzō, dal canto suo, non credeva a nessuna delle due. In passato, aveva lavorato a stretto contatto con Kakashi e lo aveva conosciuto abbastanza da poter affermare tranquillamente che, per quanto strambo potesse apparire a volte, non avrebbe mai fatto del male a nessuno. E sebbene Sakura fosse capace di fare pazzie per amore, era assolutamente certo che non avrebbe mai sedotto il suo maestro con lo scopo di causargli problemi o ottenere qualche punto in più. Per farla breve, entrambi avevano personalità troppo forti per permettere all’altro di avere il controllo della situazione senza approvarla.

Ciò non significava che lui li comprendesse, anzi, era piuttosto sconcertato da quello scandalo. Non aveva mai notato nulla che avrebbe potuto portarlo a pensare che ci fosse qualcosa tra loro.

Non gli interessava giudicare o guardarli dall’alto in basso – a differenza della maggior parte delle persone a conoscenza dei fatti – era più curioso di sapere come la loro relazione fosse venuta a galla.

Sakura arrivò sul tetto rivolgendogli uno sguardo cauto e, con fare impacciato, spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Sembrava nervosa e a disagio, e Tenzō non riusciva a fargliene una colpa, dopo tutte le cose cattive che aveva sentito sul suo conto ultimamente.

«Salve, capitano Yamato» lo salutò tranquilla, mantenendo le distanze.

«Ciao, Sakura» le rispose, alzando una mano. «Puoi anche chiamarmi Tenzō, non uso più nomi in codice.»

«Certo… Capitano Tenzō.» Teneva lo sguardo ancorato al suolo, mentre le braccia erano saldamente incrociate al petto. Il linguaggio del suo corpo urlava insicurezza e difensiva.

Tenzō tamburellò le dita sulle ginocchia, a disagio quanto lei. «Bella giornata, eh?»

«Mhmh.»

«Ecco… Ah… So che hai ripetuto la prova semestrale e sei stata promossa» disse, cercando di intavolare una conversazione cordiale. «Congratulazioni.»

«Grazie» rispose, stringendosi a sé ancora di più. Non sembrava affatto felice all’idea di diventare jonin.

Stava cercando un altro argomento di conversazione, quando gli balzò all’occhio una scia arancione e nera. Grazie al cielo, pensò: Naruto era finalmente arrivato.
Il ragazzo atterrò con un balzo sull’erba morbida, ma quando Tenzō alzò gli occhi su di lui, lesse nei suoi gesti la stessa ostilità della sua compagna di team.

«Yo» lo salutò.

«Hey, capitano Yamato» rispose rigidamente il ragazzo, guardando in direzione opposta a Sakura.

«Non c’è più bisogno di chiamarmi così, non sono più un ANBU. Puoi chiamarmi semplicemente Tenzō.»

«Bene» annuì distrattamente.

Una ventata fresca scosse la chioma dell’albero alle spalle del capitano.
I ragazzi si stavano deliberatamente ignorando, comportandosi come fossero stati completamente soli, e Tenzō si chiese cosa avrebbe comportato un atteggiamento del genere in missione.

«Mi fa piacere andare di nuovo in missione con voi» sorrise, cercando di rompere il ghiaccio. «Sono passati tre anni dall’ultima volta.»

I ragazzi, in risposta, si irrigidirono se possibile ancor di più. Era sicuro che, se avesse abbassato lo sguardo, avrebbe visto il suolo gelare.

«Dov’è Sasuke?» continuò, passando ai fatti. «È stato informato dell’incontro, no?»

«Non lo so» risposero all’unisono i ragazzi, guardandosi poi con astio, offesi l’uno dall’altra.

«Bene…» mormorò Tenzō, supplicando aiuto in silenzio.
Non sarebbe stato facile.
Il Team Kakashi era caratterizzato da un legame forte come quello di una famiglia, e spezzarlo corrispondeva all’introdursi in una casa estranea e proclamarsi il nuovo papà. Si era aspettato di ricevere un’accoglienza fredda e distaccata date le circostanze, ma non pensava che la maggior parte dell’astio risedesse tra di loro. Quella che lui definiva una famiglia, era stata distrutta molto prima del suo ingresso nel quadretto.

Sasuke arrivò con dieci minuti di ritardo, per la gioia di Tenzō che era rimasto seduto in silenzio e disagio, incastrato tra la freddezza di Naruto e Sakura. L’erede Uchiha camminava lungo la strada con pacatezza e senza fretta. Tenzō si affacciò, con l’intento di fargli notare che quella non fosse affatto una condotta accettabile. «Sei in ritardo» tagliò corto, rivolgendosi al ragazzo che si fermò per alzare gli occhi su di lui con fare assente. «Non buona come prima impressione, Sasuke.»

Sasuke lo fissò. «Chi sei?»

«Tenzō, ma forse mi conosci come Yamato.»

Lo sguardo vacuo di Sasuke non si smosse.

«Una volta mi hai trafitto con la spada.»

«Ah… Sì.» Senza scomporsi affatto, Sasuke saltò ed in un attimo fu accanto a Tenzō. «Dov’è Kakashi?»

Tenzō guardò Naruto, Naruto guardò Sakura, Sakura guardò Sasuke e subito dopo l’albero. «Tu… Non sai nulla?» tentennò il capitano.

Sasuke aggrottò lo sguardo, completamente ignaro. «Cosa dovrei sapere?»

Evidentemente, casa Uchiha si trovava sotto un sasso.

 


 

«Già di ritorno?»

Kakashi non rispose. Porse il rotolo sporco di fango – quasi quanto lui – alla donna dietro al banco ed attese che lo leggesse.

«Impressionante» sghignazzò lei. «Di solito, un chūnin completa una missione del genere in tre giorni e tu l’hai fatto in un pomeriggio. Se continui così sono sicura che ti promuoveranno.»

E poi rise, perché tutti sapevano che ormai il Copy Ninja si sarebbe ritirato prima di poter tornare ad essere un jonin. Kakashi la ignorò ancora ed aspettò che finisse di ridere. La sua mancata reazione sembrò deluderla, e con un’occhiata liquidatrice timbrò il suo rotolo e gli porse la ricompensa. Kakashi la afferrò e fece per andarsene, ma la donna si schiarì la voce.

«Dove credi di andare?» chiese.

La guardò attraverso le ciocche di capelli sporche di fango che gli schermavano gli occhi.

«Ti è stata assegnata un’altra missione» lo informò, prendendo un nuovo rotolo pulito. «Rango C. Devi portare questo rotolo alla torre di vedetta, nella Foresta della Morte.»

Kakashi si allungò per afferrarlo, ma la donna si ritrasse.

«Sei sicuro di potercela fare?» gli chiese, con finta dolcezza. «Per un chūnin è una cosa piuttosto rischiosa.»

La donna scoppiò a ridere ancora e Kakashi ne approfittò per prenderle il rotolo e lasciare la stanza, facendo oscillare il mantello da viaggio ormai fradicio e sporco. Senza perdere altro tempo nella hall, tirò fuori un altro rotolo dal taschino, si morse un pollice e premette l’impronta sporca di sangue sulla carta.

Pakkun apparve un secondo dopo, facendo sobbalzare gli shinobi presenti. «Che c’è?» sbottò. «Stavo facendo il bagno.»

Questo spiegava la mancanza di indumenti. «Porta questo messaggio alla torre nella Foresta della Morte» disse, accovacciandosi per passargli la pergamena.

Pakkun la raccolse tra i denti. «Tutto qua?» borbottò. «Ci riuscirebbe anche un bambino.»

«Figurati un cane. Vai.»

Con un leggero grugnito (l’equivalente canino di un sospiro esasperato), Pakkun trotterellò lungo il corridoio, gli artigli affilati tamburellavano sul pavimento di linoleum. Un compito in meno per Kakashi; tutto ciò di cui aveva voglia ora era tornare a casa, sprofondare nella vasca da bagno fino a diventare una prugna e dormire per il resto del giorno.

Ma non sembrava fattibile.

Un attimo prima di lasciare il Quartier Generale, urtò la spalla di Iruka. «Scusa» mormorò assente, riprendendo a camminare.

Iruka gli poggiò una mano sul petto per fermarlo. «Kakashi-sen – cioè… Kakashi» lo chiamò. «L’Hokage vuole vederti.»

Kakashi si massaggiò la fronte. «Adesso?»

«Il prima possibile» annuì Iruka. Anche lui, come chiunque altro, lo trattava con freddezza. Non erano mai andati particolarmente d’accordo, non essendo mai stati concordi con i metodi di insegnamento per i loro studenti in comune; ma ora sembrava che Iruka avesse ancora più da ridire a riguardo.

C’era da aspettarselo.

«Okay» sbuffò Kakashi. «Grazie, Iruka-sensei».

La mascella di Iruka si irrigidì quando Kakashi si scostò da lui, avviandosi verso la Torre dell’Hokage che dominava il paesaggio.

C’era un’altra donna al banco della reception nella sala d’attesa dell’ufficio, ora che Shizune era stata sospesa, la quale rivolse a Kakashi un’occhiata disgustata appena le fu di fronte. «Può entrare» lo informò, rendendo palese il fatto che lo avrebbe preferito morto.

Bussò alla porta e Tsunade lo accolse, alzando gli occhi dalla cattedra per salutarlo.

«Sei disgustoso» commentò.

«Grazie, Hokage-sama» le rispose, sgocciolando acqua e fango sul pavimento.

Con una scrollata di spalle, Tsunade tornò al suo lavoro. «Ti ho fatto chiamare perché ho ricevuto qualche lamentela su di te, ultimamente.»

Kakashi si finse sorpreso. «Prego?»

«Molestie sessuali, Kakashi» disse francamente. «Un’infermiera dice che hai fatto commenti sconci mentre ti toglieva i punti dalla fronte.»

«Le ho detto che mi pulsava la testa» disse stancamente. «E’ stata lei a chiedermi come mi sentissi.»

«Una dei tuoi compagni chūnin ha detto che le hai guardato sotto la gonna, martedì.»

«Mi era caduta la penna dietro di lei, la stavo solo raccogliendo–»

«E un’insegnante dell’Accademia dice che l’hai palpeggiata, venerdì.»

«Stava per cadere dalle scale ed io ero alle sue spalle» spiegò paziente. «Le ho solo salvato l’osso del collo.»

«E il tuo vicino si lamenta del fatto che cammini nudo davanti alla finestra.»

«Non più del solito» rispose, scrollando le spalle. «E poi, perché mi guarda?»

«Per lo stesso motivo per cui ti guardano tutti», gli fece notare, posando la penna. «Se mi dici che sono tutte calunnie, ti credo.»

«E’ così, Hokage-sama.»

Tsunade sorrise. «Molto bene» mormorò. «Ho fiducia nella tua onestà.»

Kakashi chinò il capo e osservò il tappeto: era ancora macchiato di sangue, lo stesso che Tsunade gli aveva fatto versare quando aveva provato a spaccargli la testa a metà, anche se le macchie erano sbiadite: evidentemente qualcuno aveva tentato invano di ripulirlo. «E’ tutto, Hokage-sama?» chiese.

«Sì», rispose lei, sorridendo predatoria. Ma quando Kakashi si voltò per congedarsi, aggiunse: «Un’ultima cosa: le ho fatto la stessa domanda che ho posto a te.»

Kakashi ricambiò il suo sguardo.

«Avevi ragione, Kakashi» lo informò divertita.

L’ex jonin annuì, abbozzando un sorriso assente. «Gliel’avevo detto, Hokage-sama.»

«Non state agendo nei vostri interessi» lo avvisò, premurosa.

«No, suppongo di no.»
Le rivolse un inchino profondo e lasciò la stanza.

«Devi consegnarmi ancora tre verbali!» gli urlò dietro. «Solo perché sono di rango C non significa che puoi ignorare le formalità!»

Era stata una giornata interminabile e Kakashi voleva solo seppellirsi in casa, ma non poteva permettersi il lusso di ricevere altri richiami da parte dei suoi “superiori”. Erano passati anni da quando aveva smesso di essere un chūnin ed aveva completamente dimenticato quanto dura fosse. Passare la maggior parte della sua vita come jonin lo aveva fatto abituare all’idea di dover rispondere a non altri se non l’Hokage stesso, gli altri shinobi per lui erano sempre stati colleghi o sottoposti. Ed inoltre, il Copy Ninja era conosciuto per i suoi modi duri, in veste di capitano, ed ora qualcuno dei suoi sottoposti più scontenti si divertiva a fargliela pagare.

C’era anche quell’Ikki.
Kakashi ricordava vagamente di averlo minacciato di farlo retrocedere a chūnin se non fosse stato lontano da Sakura… Coglieva chiaramente l’ironia della situazione attuale e, stando al modo in cui ridacchiava ogni volta che lo incrociava nei corridoio, la coglieva anche Ikki.

Prese una manciata di moduli vuoti dal reparto forniture e, spinto dall’abitudine, si diresse alla taverna in cui di solito compilava i rapporti. Un bar affollato e stagnato nella puzza di alcol era un ambiente più produttivo del suo appartamento, il quale aveva ben più distrazioni.

Ma nel momento in cui varcò la soglia del locale, calò il silenzio. Sospirò mentalmente, ma fece finta di nulla: ci aveva fatto l’abitudine, ormai, quindi si fece strada verso il bancone e prese posto al solito sgabello.

Dopo un istante lo raggiunse Ayame, facendo tintinnare la sua fede nuziale sulla superficie legnosa del banco. «Kakashi-san, se sei qui solo per lavorare, puoi anche andartene» tagliò corto. «Ogni volta occupi un posto e non ordini nulla, è una perdita per gli affari.»

Kakashi buttò un occhio al resto del locale: i posti vuoti erano, come sempre, quasi più di quelli occupati. «Mi viene quasi da pensare che il problema non siano gli affari» mormorò, facendo arrossire Ayame.

«Abbiamo delle regole, Kakashi-san, te l’ho detto» rispose. «Ciò che può fare un jonin è ben diverso da quello che può permettersi un chūnin–»

«Perfetto» l’acquietò. «Una birra. Analcolica. Mezza pinta.»

La barista si accigliò. «Abbiamo solo bottiglie», lo informò, per poi sparire e ritornare dopo pochi istanti con la bibita in mano. Gliela mise davanti e se ne andò di nuovo, e se Kakashi avesse avuto davvero intenzione di berla, sarebbe rimasto deluso dal trovarla calda.

Senza aggiungere altro, si mise a lavoro, e gradualmente il brusio tornò alla normalità. La penna di Kakashi inchiostrò una serie di fogli che non vedeva da almeno dieci anni, anche se l’unica differenza tra i rapporti di rango alto e basso era la dovizia di particolari delle prime. Le missioni di rango basso, in genere, erano talmente noiose che bisognava inventare pur di riempire gli spazi vuoti; e se c’era qualcosa che Kakashi non sapeva fare, era proprio inventare.

«Cosa ne è stato di quella missione per cui ti stavi preparando?»

Kakashi alzò gli occhi su Ayame. Dal suo sguardo era chiaro che non avrebbe dovuto rivolgergli la parola, ma per qualche strano motivo era spinta a farlo.

«Intendo…» continuò. «Quella per cui ti ho insegnato a suonare il pianoforte.»

Kakashi le rivolse un’occhiata annoiata prima di snocciolare una risposta. «Ci andrà qualcun altro al posto mio.»

Ayame si accigliò. «Ma ti ci è voluto tutto quel tempo per–»

«Quattro ore e mezza in totale, giusto?» mormorò. «Non è molto, rispetto a dodici anni. Quella è una missione di rango A, ed io posso accettare solo quelle di classe B e inferiori. Ci andrà qualcun altro al posto mio.»

Ayame abbassò gli occhi. «Mi dispiace» disse, e gli parve sincera.

«Non quanto a me», rispose lui, rivolgendole un sorriso spento.

Dopo un attimo, un rumoroso gruppo di shinobi fece il suo ingresso ed Ayame andò a servirli. Kakashi riprese a lavorare, sollevato dall’aver quasi finito e di poter tornare a casa.

La combriccola allegra prese posto ad un tavolo alle spalle di Kakashi, continuando a schiamazzare nel mentre, non prestando attenzione a nessuno se non alle loro battutine.
Ma non passò molto tempo prima che Kakashi cominciasse a sentirsi osservato.

Qualcuno alle sue spalle si schiarì la voce.
«Avete saputo del jonin che si è scopato un’allieva?» disse uno di loro, ad alta voce.

La penna di Kakashi si fermò per un solo istante prima di riprendere a scribacchiare. Con la coda dell’occhio, notò che Ayame lo guardasse.

«Già, che storia assurda.»

«Devi essere un vero coglione per farti una tua allieva.»

«Però, voi l’avete vista lei?»

«E’ quella coi capelli rosa, giusto?»

«Esatto.»

«Una del genere vale una denuncia per pedofilia. L’ho vista qualche volta in ospedale e probabilmente se fosse stata una mia allieva me la sarei fatta anch’io.»

«Col rischio di beccarti qualche malattia. Da’ retta a me, quella è una gatta morta, si sarà fatta almeno mezzo villaggio.»

Kakashi ripose la penna e guardò Ayame, intenta a sputare in una delle birre ordinate dal gruppo alle sue spalle. Alzò una mano per attirare la sua attenzione e chiese: «Posso avere uno Snap Dragon e il conto, per cortesia?»

La barista si accigliò alla richiesta inusuale, ma annuì e prese a mixare il drink.

«Pure se fosse la più facile del paese, non avresti comunque uno straccio di possibilità» riprese uno degli uomini, scaturendo un boato di risate.

«Credi che quel colore di capelli sia naturale?»

«Per saperlo basta controllare le parti basse.»

«Eh, ti apre le gambe e te lo dimostra se glielo chiedi gentilmente.»

«O se la paghi.»

«O se le dai qualche credito extra agli esami.»

«O se le compri una bambolina!»

Un altro scoppio di ilarità.
Kakashi ripose i rapporti quasi completi, mentre Ayame gli allungò il drink che aveva chiesto, raccogliendo nel frattempo le banconote che le aveva lasciato sul bancone. Sembrava piuttosto confusa.

Mentre il volume delle risa aumentava, Kakashi prese la bevanda e diede le spalle al bar. Con la sua tipica nonchalance, fece qualche passo fino a trovarsi alle spalle dell’uomo più rumoroso del gruppo, per poi svuotargli il bicchiere in testa.

Le risa morirono all’istante e l’intera taverna piombò in un cupo silenzio: nessuno si azzardava nemmeno a respirare.

«Ma che diavolo–»
L’uomo davanti a Kakashi provò ad alzarsi.

«Ah-ah.»
Kakashi gli premette una mano sulla spalla per invitarlo a restare al suo posto, per poi chinarsi ad afferrare la candela tremolante al centro del tavolo. «Se fossi in te non mi muoverei con tanta disinvoltura. A quanto pare, per sbaglio ti ho versato del liquido infiammabile in testa.»

Il silenzio si fece più denso: tutti gli occhi erano puntati sul Copy Ninja che teneva la fiamma della candela a pochi centimetri dal viso dell’uomo. Kakashi osservava la fiammella con vivo interesse, facendola oscillare abbastanza da far colare la cera nel portacandela. D’un tratto, la fiamma si mosse pericolosamente verso il viso fradicio dell’uomo, che sussultò.

«Cosa piuttosto pericolosa, il fuoco» gli mormorò all’orecchio Kakashi. «Soprattutto se abbinati ai combustibili come l’alcol.»

Con lentezza esasperante, la mano che teneva fermo l’uomo si mosse per andare a spegnere la fiamma tra l’indice e il pollice. Un rivolo di fumo si innalzò per poi svanire.

Nessuno dei presenti si rilassò.

Kakashi diede un’altra pacca alla spalla dell’uomo, per poi raddrizzarsi. «Fa’ più attenzione la prossima volta, mh?»

Lanciò la candela, che atterrò con un tonfo sul tavolo, per poi mettersi le mani in tasca ed uscire dal bar. Era sicuro di aver attirato altro odio ed ostilità, e sicuramente Tsunade si sarebbe trovata invasa dalle lamentele sul suo conto.

Sarebbe stato più saggio pagare ed andarsene, facendo finta di nulla. Le parole, per quanto brutte, restavano tali e lui si era sentito dire di peggio negli ultimi giorni. Poteva ignorare le calunnie quando erano rivolte a lui, ma nel momento in cui erano rivolte a Sakura… Si rendeva conto dei limiti del proprio temperamento. Forse perché non gli sembrava giusto parlare alle spalle di qualcuno che non può difendersi, o forse perché sapeva che se ci fosse stata lei, quelle parole le avrebbero fatto davvero male.

Abbassò la maschera fino a quando non scoprì completamente il viso e prese una boccata d’aria fresca della  sera. Non sapeva perché, ma in quei giorni gli riusciva difficile respirare.

 


 

«Allora? Com’è andata?»

Il team Tenzō se ne stava in silenzio tombale, allineato davanti la cattedra dell’Hokage. Sakura avrebbe potuto tagliare la tensione con un kunai per quanto densa era, ma al momento preferiva starsene in disparte e non intervenire.

«Non bene, Hokage-sama» rispose cauto Tenzō, ignorando uno sbuffo di scherno di Naruto. «Ci sono diversi problemi in ambito comunicativo e nella catena di comando.»

«Non capisco perché Kakashi-sensei non possa capitanarci» si lamentò Sasuke, accigliandosi lievemente.

«Perché lui e Sakura l’hanno fatta grossa! Ma mi ascolti quando parlo?» sbottò Naruto.

Sasuke lo guardò di traverso. «E quindi?»

«Quali sono stati di preciso i problemi, Tenzō?» chiese Tsunade, interrompendo la discussione prima che degenerasse.

«Sasuke sembra essere poco incline a seguire gli ordini. In svariati momenti, durante la missione, ha agito di propria iniziativa ignorando completamente le mie direttive, facendo saltare i piani. Naruto e Sakura, invece, si rifiutano di collaborare. Inoltre, anche Naruto ha difficoltà ad attenersi ai patti e più di una volta ci è andato particolarmente pesante su più di un bersaglio.»

Tsunade scrocchiò le dita. «E Sakura?»

Sakura sentì qualche paia d’occhi voltarsi verso di lei, ma continuò a guardare insistentemente il pavimento.

«Sakura era… distratta, Hokage-sama» rispose il capitano. «Le ho dovuto ripetere gli ordini più volte ed in più occasioni; inoltre, le sue reazioni in ambito di combattimento sono state lente.»

Le spalle di Sakura crollarono impercettibilmente e chiuse gli occhi.

«Nonostante ciò, siamo riusciti a portare a termine la missione» riprese Tenzō. «Ma in questo caso direi che siamo solo stati molto, molto fortunati.»

Il senso di colpa cadde su ognuno di loro. Tsunade si sfregò il labbro inferiore con un dito. «Capisco», sospirò. «Beh, non potevamo aspettarci di certo una dinamica perfetta al primo tentativo, ci vuole del tempo per costruire un rapporto efficiente. Voi quattro siete senza dubbio tra i migliori dieci shinobi di questo villaggio, e sono sicura che nel tempo sarete capaci di risolvere i vostri problemi come Team. Nel caso non fosse così… Suppongo sia il caso di sciogliervi.»

«Sentite, a me il capitano Tenzō piace» prese parola Naruto. «Ma c’è una sola persona che conosce questo Team abbastanza da poterlo guidare. Ridatecelo!»

«Concordo» annuì Sasuke. «Mi rifiuto di prendere ordini da un tizio che è capace di farsi trafiggere anche quando non è un bersaglio.»

«Il capitano Tenzō non è affatto debole! E’ solo che non voleva combatterti quella volta, come nessuno di noi!» ringhiò Naruto.

«E poi sei stato tu a trafiggerlo» sbottò Sakura. «Lui ha dovuto proteggermi perché tu stavi mirando a me. E, se vogliamo dirla tutta, non mi hai mai nemmeno chiesto scusa!»

«Esatto!» aggiunse Naruto.

«Tu sta’ zitto» scattò Sakura.

«Ma ti stavo difendendo!»

«Non ho bisogno della tua difesa!» gli strillò contro. «La tua idea di “difesa” consiste nell’umiliarci e voltarci le spalle come tutti gli altri–»

«Potreste stare zitti entrambi?» sbuffò Sasuke.

«Nessuno ti ha interpellato!» risposero all’unisono.

«Silenzio! Tutti!» li sgridò Tsunade, sbattendo le mani sul tavolo così violentemente da far oscillare pericolosamente la lampada – che sembrava essere stata precariamente riparata da quando l’aveva sbattuta in testa a Kakashi.  «Risolvete i vostri problemi tra di voi! Non ho tempo per stare dietro ai vostri battibecchi da lattanti! Ed ora sparite, voglio i vostri verbali il prima possibile.»

Si voltarono tutti in direzione della porta per lasciare l’ufficio, ma un attimo prima che Sakura uscisse, Tsunade la chiamò. «Sakura, un minuto.»

Chiedendosi cosa avesse Tsunade da dirle, ma felice che l’avesse chiamata per nome e non per cognome, chiuse la porta alle spalle del suo Team e tornò di fronte a lei.

«Sì, Hokage-sama?» chiese.

Tsunade le rivolse un sorriso tirato. «Come vanno le cose?»

Ad essere onesti, la sua vita era diventata un incubo.

Era arrivata al punto di aver paura di andare a lavoro, fino ad avere la nausea al solo pensiero. Le persone con cui un tempo andava d’accordo e che la stimavano, ora la guardavano con diffidenza. Le conversazioni terminavano ogni volta che appariva, anche quelle che non riguardavano i pettegolezzi su di lei, ed ogni volta che provava ad unirsi, veniva esclusa. Non sapeva se fossero peggio le donne o gli uomini. Le prime, la guardavano con disprezzo e spesso e volentieri le sentiva sparlare di lei. Per le donne, Sakura era nient’altro che una puttana che aveva sfruttato il proprio corpo per scavalcare la loro posizione e godevano nel vederla retrocessa al loro livello, ora che il suo apprendistato con Tsunade era stato annullato e tutti i diritti e privilegi che comportava erano spariti con esso.

Ma gli uomini erano uguali, se non peggio. La squadravano, le sbarravano la strada nei corridoi, la infastidivano in mensa e le fischiavano dietro. Cose come quelle le erano già successe prima, ma dopo che la sua relazione con Kakashi era diventata di dominio pubblico, la situazione era diventata ingestibile. Per gli uomini, Sakura era nient’altro che un oggetto. Il suo valore umano era schiacciato dal peso di quello sessuale.

Il proprietario di casa sua era forse il peggiore di tutti. Una sera, di ritorno da un’altra delle sue durissime giornate di lavoro, l’aveva trovato sul suo pianerottolo ad aspettarla per dirle che non aveva ricevuto l’affitto del mese. Sakura aveva provato a spiegargli che glielo aveva mandato appena una settimana prima, ma lui aveva insistito nel dirle di non aver avuto nemmeno un centesimo. Per agevolarla, però, le aveva proposto altre forme di pagamento, e l’allusione fu inequivocabile.

Ed ora era in cerca di un altro appartamento.

E poi c’erano quelli a cui faceva pena, che la reputavano una povera vittima. Quelli che le rivolevano occhiate compassionevoli come se fosse stata gravemente offesa da Kakashi. Erano quelli che sopportava di meno, perché additavano Kakashi come un pervertito, un predatore… Un pedofilo. Sapevano che era sua allieva dall’età di dodici anni ed erano convinti che fosse iniziato tutto a quei tempi. Non sembravano capire, né forse volevano, che Sakura fosse una donna adulta e matura, e che l’idea di qualcuno che potesse costringerla a fare qualcosa contro la sua volontà era semplicemente ridicola.

Eppure, non faceva ridere nessuno.
A parte Anko, che sembrava considerare la questione alla stregua di una barzelletta esilarante.

E per quanto Sakura negasse, erano tutti convinti che fosse addirittura incinta. Un paio di volte, la locandiera della casa da tè in cui di solito incontrava Ino le aveva suggerito di mantenere una dieta equilibrata, ora che doveva mangiare per due.

Aveva smesso solo dopo che Sakura le aveva detto che, a meno che non avesse preso qualche verme solitario – magari proprio alla sua locanda – non ce n’era bisogno.

Quindi, era in cerca anche di un’altra casa da tè.

Alzò lo sguardo su Tsunade e desierò di poter tornare indietro nel tempo… Avrebbe strangolato Naruto prima che avesse aperto bocca e gliel’avrebbe chiusa con un calcio nei denti. Ma non c’era modo di impedirlo e non esisteva un incantesimo per riparare il danno che aveva causato.

Come andavano le cose?

«Va tutto bene, Hokage-sama» mormorò, incapace di guardare negli occhi l’ex maestra.

«C’è qualcosa che vorresti dirmi?» le chiese Tsunade. «Qualcosa che non mi hai detto l’ultima volta che abbiamo parlato?»

Sembrava alludere a qualcosa di specifico, ma non capiva a cosa potesse riferirsi. Forse le era giunto qualcosa all’orecchio nel corso della settimana. Dopotutto, i pettegolezzi erano mutaforma: partivano da una base e si arricchivano passando di bocca in bocca, come fosse stato il gioco del telefono. Non a caso, sebbene la verità era che la sua relazione con Kakashi fosse stata scoperta fuori uno squallido ristorante da Naruto che non sa tenere la bocca chiusa, la nuova versione dei fatti era che un’infermiera avesse beccato Kakashi sculacciare Sakura in uno stanzino dell’ospedale.

«Non ho nulla da dirle, maestra.»

Tsunade alzò un sopracciglio.

«Voglio dire… Hokage-sama» si corresse mestamente.

«Molto bene» sospirò. «Puoi andare. E di’ a Kakashi che minacciare di dar fuoco a quello che tecnicamente è un suo superiore in generale non è concesso.»

Sakura sbarrò gli occhi. «S-sì, Hokage-sama. Grazie.»

 Si affrettò ad uscire prima che Tsunade cambiasse idea e le facesse un alto terzo grado. Si fermò solo quando fu fuori la sala d’attesa e si accasciò contro la parete del corridoio per respirare, chiedendosi se esistesse un jutsu in grado di modificare i ricordi di un intero villaggio.
Ancora una volta si ritrovò a desiderare di poter tornare alla normalità.

Esprimeva un sacco di desideri, ultimamente.

«Haruno!»

Fu assalita da un forte senso di nausea.
Decise di ignorare quella voce fin troppo conosciuta e riprese a camminare, ma il ragazzo le sbarrò la strada. «Perché scappi, Haruno?» la canzonò. «Che cattiva che sei, non mi hai nemmeno riconosciuto.»

Se non lo avesse ignorato, gli avrebbe spaccato la mascella. Provò a scavalcarlo, ma lui la inchiodò al muro con un braccio. «Qualcosa non va, Haruno?» la derise.

«Vattene, Takeo» intimò, evitando il suo sguardo.

Takeo digrignò i denti: gli mancavano due incisivi, grazie a Sakura che solo pochi mesi prima gli aveva insegnato una dura lezione: Sakura Haruno non sopporta i ragazzi che le schiacciano la testa contro il cuscino e le bloccano le braccia durante del sesso grezzo e doloroso, soprattutto se in più le danno della troia nel frattempo. Non aveva mai avuto il coraggio di parlarle dopo la loro rottura – o meglio, quella dei suoi denti – ma ora che Sakura era diventata lo zimbello del villaggio, era di nuovo toccabile.

E soprattutto, molestabile.

Dopo di lui, perfino Ikki le era apparso come il principe azzurro in persona.

«Che puttana che sei, farsi uno più vecchio per fare strada» la schernì. «Scommetto che te lo facevi già quando stavamo insieme.»

Non si sarebbe azzardato a tanto, se ci fosse stato qualcuno nei paraggi.
La schiena di Sakura fu colta da un brivido quando Takeo prese ad avvicinarsi a lei.
E a Sakura non era mai piaciuto il suo odore. Durante gli ultimi periodi della loro inutile relazione, quando aveva cominciato a mostrarle la sua vera faccia, quell’odore sgradevole era arrivato al punto di disgustarla.

«Chi lo sa» rispose, noncurante. «Il suo cazzo è perfino più grande del tuo, sai? E a differenza tua, lui sa usarlo.»

Era una mezza verità, ma era valsa la pena dirla solo per il gusto di vederlo diventare rosso di rabbia. Sakura sapeva bene che il pene di Takeo fosse un’estensione del suo ego e che ne andasse più che fiero. Attaccarlo in quel punto significava minare le basi di ciò che rendeva Takeo Takeo, quella sottospecie di scarto umano.

Le afferrò il braccio con forza e la spinse contro la bacheca degli annunci. Sakura alzò le sopracciglia e, poggiando una mano sul polso che la teneva ferma, mormorò: «Sei sicuro di voler fare a botte con me?»

Le sarebbe bastato stringere la presa per ridurre le sue ossa in polvere. Quando anche Takeo se ne rese conto, decise di lasciarla andare, sbuffando nervosamente per nascondere la paura. Sakura lo sorpassò, massaggiando il braccio ferito.

«Troia!» le urlò dietro, con tono astioso.

Lo ignorò e continuò a camminare, senza voltarsi nemmeno quando sentì la porta dell’ufficio dell’Hokage aprirsi e la voce di Tsunade che urlava a Takeo di andare subito da lei. «Procuriamoci un po’ di candeggina per lavarti quella boccaccia sudicia che ti ritrovi, eh, moccioso?»

Sakura sparì dietro l’angolo prima di essere coinvolta. Stava camminando a passo svelto, quasi correndo, e non riusciva a rallentare.

Se avesse potuto, avrebbe scavato una fossa e ci sarebbe rimasta nascosta per i prossimi vent’anni. Kakashi le aveva detto di ignorare i commenti e le occhiatacce e di non lasciarsi ferire, ma era semplice da parte sua, dal momento che nulla sembrava scalfirlo.

«Le cose si sistemeranno» le diceva, fiducioso.

Ma quando?

Buttò un occhio all’orologio da parete nell’atrio e sospirò: era in ritardo di un quarto d’ora all’appuntamento con sua madre.

Aveva avuto la vana speranza che la notizia non le giungesse, non facendo parte del suo ambito lavorativo.
I civili e gli shinobi avevano circoli sociali completamente diversi; e se la notizia di un insegnante che va a letto con una studentessa era uno scandalo tra i ninja di Konoha, la gente comune – circa due terzi della popolazione – non ci avrebbe fatto nemmeno caso.

Ma la madre di Sakura era anche una cara amica della madre di Ino, la quale faceva parte di uno dei clan di spicco del villaggio. Quindi ipotizzava che Ino avesse spettegolato con sua mamma, la quale – essendo una versione invecchiata della figlia – non aveva perso tempo per spifferare tutto alla mamma di Sakura.

Ciò che la sorprendeva, in effetti, era il fatto che sua madre avesse aspettato una settimana prima di contattarla. Aveva atteso la sua telefonata fino a quando il giorno prima, di ritorno da un altro estenuante turno di lavoro, aveva trovato un suo messaggio in segreteria in cui le chiedeva di andare a casa sua la sera dopo, alle sette.

Sakura arrivò alle sette e mezzo, e quando sua madre le aprì la porta, capì subito che ci fosse qualcosa di strano: la trovò ben vestita, con i capelli a posto e senza l’ombra di una sigaretta nei paraggi.

«Sei in ritardo» le disse, portando due dita alla bocca e rendendo chiaro il fatto che le mancasse fumare. «Ma non c’è bisogno di chiedere da chi hai preso questo brutto vizio.»

Abbassò leggermente lo sguardo e borbottò di essere stata trattenuta nell’ufficio dell’Hokage, ricordandosi di tutte le volte che si era lamentata con sua madre dei ritardi di Kakashi. Non le aveva mai raccontato altro oltre ciò riguardo al suo maestro, anche se più volte aveva parlato di Sasuke Uchiha, partendo dal suo gusto di gelato preferito fino al modo in cui piegava i calzini.

Il fatto che Sakura avesse cominciato a farsi coinvolgere dalle cattive abitudini di Kakashi, dopo appena qualche settimana di frequentazione, non lo metteva di certo in buona luce. Senza dubbio, sua madre lo considerava già una cattiva influenza per lei.

«Che aspetti? Entra» le ordinò, facendosi da parte.
Dopo appena un passo, sentì chiaramente la puzza di tabacco che impregnava ogni superficie.
«In cucina.»

Sakura si avviò, nervosa e in ansia, ma si pietrificò quando scorse una figura seduta al tavolo, al posto che era solito occupare quando ancora viveva in quella casa.

«Papà» sussurrò, scioccata.

Alzò gli occhi su di lei con sguardo cupo e serio e Sakura notò quanto fossero sbiancati i suoi capelli, che un tempo erano della sua stessa tonalità di rosa.
Quantomeno, ora le era chiaro il perché del cambio di look di sua madre, anche se suo padre non si era nemmeno tolto il cappotto, dando tutta l’impressione di non doversi trattenere a lungo.

«Sakura» la salutò, con il tono di chi sta per annunciare la morte di un parente. «Vieni, siediti» le disse, come fosse stato ancora a casa sua. Sakura guardò in direzione di sua madre, che se ne stava noncurante in un angolo, come ogni altra volta che era costretta ad essere nella stessa stanza di quell’uomo. Si sedette dal lato opposto rispetto al suo ex marito e prese a guardare fuori dalla finestra, lasciando a Sakura nessun altra scelta se non sedersi tra loro due.

Era davvero nei guai, se suo padre era stato coinvolto. Non sapeva se fosse stato chiamato da sua madre o se si fosse fatto vivo di sua spontanea volontà, ma si sentiva presa completamente alla sprovvista. Poteva gestire sua madre, ma suo padre… Non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di dargli contro.

Quindi provò a temporeggiare. «Come stanno Mayu e Kaede?» chiese, riferendosi alla sua matrigna e alla sorellastra.

Entrambi i suoi genitori non reagirono bene a quella domanda: sua madre strinse forte le labbra, infastidita dal sentire il nome di Mayu in casa sua; suo padre, invece, aveva capito perfettamente il suo intento. «Stanno bene» rispose. «Kaede ha cominciato l’asilo, ma è sicura di voler frequentare l’Accademia.»

Sakura sbarrò gli occhi, sorpresa. «Vuole diventare una kunoichi?»

«Dice di voler diventare come la sua sorellona» disse, facendo spallucce. C’era qualcosa nella sua voce e nel suo sguardo che le diceva che non ne fosse contento. Aveva sempre trovato la carriera di shinobi frivola, come una recita scolastica. Tutte le bambine sognavano di diventare kunoichi, ma alla fine quasi tutte finivano a lavorare in un ufficio. Nemmeno i suoi successi in ambito lavorativo avevano persuaso suo padre dal ritenerlo un mestiere poco serio. Il suo atteggiamento non la sorprendeva affatto.

Ciò che invece la sorprendeva era l’essere d’esempio per sua sorella, sebbene non l’avesse mai frequentata più di tanto., per il bene della sorella. Anche se, a giudicare dal comportamento di suo padre, avrebbe fatto meglio a cercarsi un nuovo idolo perché Sakura ultimamente era risultata essere una delusione.

Si sentiva un po’ in colpa per non aver provato ad ignorare la moglie di suo padre,

«Prossimamente sarò promossa a jonin» li informò distrattamente. «Forse potrei diventare la sua maestra.»

Lo sguardo di disapprovazione di suo padre si accentuò. «A proposito di maestri» cominciò.

Se l’era cercata.

«Quindi siete stati informati» tagliò corto. «Sapete di me e Kakashi.»

«La gente sembra voler fare a gara per dirmelo» le disse. «Non mi sono mai vergognato così tanto in vita mia. Sono diventato lo zimbello dell’ufficio perché mia figlia se la fa col suo insegnante.»

Sakura si accigliò, ma non rispose: immaginava che suo padre lo avrebbe reso un suo problema. Era sempre stato un egoista, lo si evinceva dal fatto che avesse abbandonato sua moglie e sua figlia per farsi una nuova famiglia, solo per noia. Non gli era mai interessato del modo in cui le sue azioni si ripercuotessero sugli altri. E qualsiasi diritto pensasse di avere sul farle la morale sulla sua vita privata, era completamente fuori strada.

«La fai sembrare una schifezza» lo accusò.

«Ma è una schifezza!» sbottò lui. «Ho sentito così tante cose brutte sul tuo conto, Sakura. Non so più a cosa credere.»

«E allora non credere a niente, se ti fa stare meglio!» scattò Sakura.

«Sakura» la riprese sua madre. «Non parlare così a tuo padre.»

«Non sono una bambina» li rimproverò. «Non vi permetto di trattarmi in questo modo. Se volete discutere con me sulla persona con cui vado a letto, allora trattatemi da adulta.»

«E’ solo che non capiamo» le disse sua madre. «Non sappiamo se sei davvero consapevole di ciò che stai facen–»

«Tra tanta gente, perché diavolo sei dovuta andare con il tuo insegnante?» si intromise suo padre. «Sai che idea dà?»

Sakura lo fissò negli occhi. «Certo che lo so. Dà l’idea che lui si sia approfittato di me. Per qualcuno, sono stata io ad approfittarmi di lui. Le ho sentite tutte, papà – che lui mi ha molestata, violentata, che è un pervertito pericoloso, e che io sono una troia e una ricattatrice, o una puttanella in cerca di una promozione facile» incrociò le braccia al petto. «Ti assicuro che so perfettamente che impressione dà. Ciò che è in realtà, invece, è tutt’altra cosa.»

«E allora cos’è?» chiese stancamente sua madre.

 Sakura la guardò e rifletté un attimo prima di risponderle. «Era un’occasione che non potevo lasciar perdere. Non mi sono fatta guidare dalla paura e non mi sono accontentata. Ho preso ciò che volevo, per una volta.»

Lentamente, gli occhi di sua madre si illuminarono, per poi ritornare alla finestra. Non aveva altro da dire. Aveva capito.

Ma suo padre no. «E questo che diavolo significa? Ti sei presa ciò che volevi?» ripeté, confuso. «Dici di non voler essere trattata come una bambina, ma ti comporti da tale. Non puoi semplicemente prenderti quello che ti pare, in questa vita – non se possono esserci conseguenze! Come hai potuto essere così egoista?»

«E tu di egoismo sai tutto, no?» esplose sua madre. «Con quale coraggio le fai la morale sull’egoismo se tu per primo non hai saputo accontentarti di una sola moglie ed una sola famiglia?! Tu stesso hai fatto solo ciò che volevi senza pensare ad altri se non te stesso, ed ora vieni qui a blaterale dell’egoismo altrui! Evidentemente il tuo problema è il non essere l’unico bastardo egoista in questa casa–»

«Lascia perdere» disse suo padre, rosso in viso e adirato. «Non sono venuto qui per farmi insultare, sono qui per capire cosa diavolo ha in testa mia figlia e per sapere quando ha intenzione di rinsavire.»

«Non sono impazzita» disse Sakura, infastidita. «Kakashi mi fa stare bene. Il nostro unico problema è che lui sia il mio insegnate; tolto ciò, non sarebbe importato a nessuno.»

«Il fatto che sia il tuo insegnate è un grosso problema» le disse suo padre, piatto.

«Non è un granché come insegnante» rispose, come se quel particolare avesse potuto rendere più semplici le cose.

Suo padre sbottò. «Questo è sicuro!»

Sakura perse la pazienza sbatté le mani sul tavolo. «Ho capito! Non approvi! Bene! Non ho mai chiesto la tua approvazione e non penso che comincerò adesso. Non mi importa se pensi che sia confusa, disturbata o molestata, perché tanto tu che ne sai? Non mi conosci affatto! Non ti sei mai disturbato a farlo!»

Aveva ereditato il temperamento di sua madre, ed era stato una delle cose che aveva allontanato suo padre da lei. Non aveva mai saputo gestirla, ed aveva sempre preferito starsene zitto e fermo ad assorbire la sua rabbia, cercando nel frattempo un modo per controllare la situazione. Sakura sapeva bene come evitarlo.

«Non mi hai mai presa sul serio, papà, e non mi sorprende scoprire che non lo fai nemmeno adesso» lo rimproverò. «Non mi importa di cosa pensi. Hai rinunciato ad essere mio padre anni fa, e non puoi tornare qui e riprendere da dove hai lasciato solo perché ti fa comodo.»

Sua madre sorrise debolmente.

Suo padre lo notò. «Masaki!» la ammonì. «E’ la tua copia sputata! Selvaggia e grezza. Senza dubbio tu approvi il suo comportamento.»

«Ti sei almeno chiesto se tua figlia sia felice?» chiese sua madre. «Ti importa, almeno? O il tuo unico problema è ciò che dicono i tuoi colleghi alle tue spalle?»

Suo padre drizzò la schiena e la guardò. «Beh? Sei felice, Sakura?»

Sakura chiuse gli occhi. Come poteva chiederglielo? Ovviamente non lo era. Come poteva, dopotutto? Era snobbata e calunniata costantemente dai suoi colleghi, ed i suoi migliori amici a stento la guardavano in faccia. «Kakashi mi fa stare bene» ripeté, senza aggiungere altro.

Sua madre portò le dita alle labbra, rendendo chiaro che il suo bisogno di fumare fosse ormai al limite. «E lo ami, Sakura?» le chiese.

«Che importanza ha?» chiese di rimando suo padre. «Tanto non durerà comunque.»

Sua madre fece spallucce e tornò alla finestra, tirandosi fuori dalla conversazione ancora una volta, come se non fossero stati affari suoi. Calò il silenzio nella stanza, e le spalle di Sakura crollarono sotto al proprio peso.

Era proprio come ai vecchi tempi…

 


 

Scappò via da quella casa alla prima occasione, lasciando i suoi genitori a litigare in cucina, come quando aveva tredici anni; ma non era più una bambina: era una donna adulta ormai, e quella era stata una buona occasione per farlo capire a sua madre. Suo padre, invece, aveva peggiorato una situazione già precaria con i suoi giudizi non richiesti.

Ma alla fine, essere capita ed approvata dai suoi genitori non le cambiava la vita, anche se lo avrebbe apprezzato. Ormai non potevano più controllarla, Sakura era una donna libera di fare le proprie scelte ed andare ovunque volesse. E così fece: camminò a lungo, fino a quando non raggiunse la vetta del monte degli Hokage. Si sedette ad osservare Konoha, illuminata dalle luci della sera. Il villaggio si estendeva sotto di lei come riflesso su uno specchio d’acqua: lassù, i suoi problemi sembravano sparire. Lassù, da sola, non sentiva tutte le cattiverie che la gente diceva di lei e Kakashi.

Si sentiva molto meno sola lì, che di sotto.

Sentì dei passi alle sue spalle e si voltò in allerta, afferrando un kunai. Un’ombra si mosse tra gli alberi, e quando uscì allo scoperto, Sakura si rilassò.

«Dovremmo smetterla di incontrarci così» scherzò Kakashi, fermandosi sotto un lampione. La luce calda si rifletteva sulla sua pelle pallida, donandogli un’aura aranciata.

«Che ci fai qui?» chiese Sakura, notando che Kakashi non indossasse la maschera.

«Avevo bisogno di respirare» scrollò le spalle.

Sakura lo capiva.
Ultimamente, Konoha era diventata asfissiante. L’aria sembrava essere pulita solo lassù.
Tornò ad osservare le luci del villaggio e si chiese quante appartenessero alle persone che conosceva. Persone che ora pensavano a lei con disgusto. Kakashi scavalcò un masso e si sedette accanto a lei, con lo sguardo rivolto nella sua stessa direzione e forse ponendosi le sue stesse domande. Sakura si voltò a guardarlo e notò che fosse completamente ricoperto di fango secco: evidentemente i suoi superiori trovavano ancora divertente affibbiargli le missioni più tediose. All’apparenza, Kakashi l’aveva presa con ironica pazienza: le ripeteva spesso che quando passi la vita a fare lo stronzo con i tuoi sottoposti, c’è da aspettarsi che prima o poi la ruota giri. Ma Sakura ormai riusciva a leggergli il disprezzo negli occhi.

Gli prese una mano e poggiò la testa sulla sua spalla, incurante dello sporco. In quel momento Kakashi le apparteneva, e allo stesso modo lei era sua.
Entrambi intrappolati in una gabbia costruita con le loro mani.

«Forse dovremmo tornare», le propose.

«No» rispose Sakura, scostandosi abbastanza da poter scuotere la testa. «Non voglio tornare laggiù.»

«Cosa vuoi fare allora?» le chiese.

«Restiamo qui per stanotte» disse, stendendosi di schiena sul terreno, gli occhi rivolti al cielo. «Restiamo qui e dormiamo sotto la luna, le stelle e quella strana cosa paffuta laggiù.»

«Credo che sia una nuvola.»

«Una nuvola…» mormorò, chiudendo gli occhi. «Le nuvole possono fluttuare ovunque vogliano, possono girare il mondo senza mai scendere giù. Noi invece siamo come le stelle, non è così? Bloccati in un punto fisso, due tra tanti… E a volte cadiamo.»

E poi pianse.

Le calde dita di Kakashi tentarono invano di asciugarle le lacrime, ma erano troppe e allora si chinò su di lei per baciarla e costringerla a dimenticare. Dopo un attimo di esitazione, Sakura lo fece, e si aggrappò a lui con tutte le forze. Strappò via il mantello sudicio e poi tutti i vestiti, impaziente di sentire il calore della sua pelle.

Erano al sicuro lassù: lontani dagli occhi  indiscreti, nascosti dagli alberi. Completamente soli.
Kakashi le accarezzava il seno con una mano, mentre il bacino si faceva strada tra le sue cosce.

Sakura spezzò il loro bacio con un gemito, dando voce al suo desiderio attraverso gli occhi.
Un attimo dopo si stavano sbottonando a vicenda e Sakura lo strinse. Scostarono i vestiti il tanto che bastava per permettere il contatto che i loro corpi bramavano.
Lo guidò in sé.

Kakashi era capace di farle sentire un calore febbricitante nelle vene, di consumare i suoi pensieri e di tenerla lontana da qualsiasi cosa non fosse lui.
Non aveva più il controllo delle parole che gli stava sussurrando all’orecchio: le aveva insegnato ad essere sicura di sé ed ormai non aveva più modo di contenersi. Gli morse languidamente la mascella e fece scorrere la lingua lungo il suo collo; gli ordinò di prendere tutto di lei e lui lo fece, mentre la sua schiena si inarcava in perfetta armonia con le sue spinte.

Poi, all’improvviso, Kakashi si bloccò. «Cos’hai detto?»

Sakura tornò stesa sotto di lui, accigliandosi quando Kakashi si rifiutò di accontentare i suoi movimenti. «Cosa?» ansimò, noncurante.

«Che cosa hai detto?» ripeté, trattenendole il mento per costringerla a guardarlo.

«Non… Non lo so. Kakashi, non fermarti» implorò, sollevando il viso per afferrare le sue labbra. «Baciami.»

Kakashi esitò per un istante, ma tornò sulle sue labbra, con più dolcezza e passione di prima. Incatenò le dita tra i suoi capelli e le accarezzò le guance, fino a quando Sakura non lo scavalcò per prendere la guida di quella danza selvaggia. Ansimò e rise con lui, come se le sue lacrime ed il suo dolore fossero appartenuti a qualcun altro, perché in quel momento la sua mente era piena solo di Kakashi. Era difficile preoccuparsi anche della vita stessa, mentre era con quel bellissimo uomo che la guardava come fosse la cosa più preziosa al mondo.

E poi finì.
Non con gemiti, ma con sospiri. Sakura si accasciò su di lui, rabbrividendo per l’adrenalina che ormai scemava, lasciando spazio alla stanchezza; anche se la brezza fresca della sera accarezzava il suo corpo imperlato di sudore. Kakashi la spinse per metà sotto di sé e coprì entrambi con il suo mantello sudicio. Sakura era ormai sporca quanto lui, ma non le importava: le stelle splendevano magnificamente su di loro e tanto le bastava.

«Per quanto ancora?» mormorò, mentre il battito del suo cuore si rilassava ed il calore del corpo di Kakashi le annebbiava i sensi. «Per quanto ancora andrà avanti?»

Kakashi le baciò la fronte. «Non pensarci adesso.»

E Sakura non lo fece.

 


 

Magari si era sbagliata.
Magari nella foga del momento aveva detto qualcosa che non sentiva davvero, magari il romanticismo dell’atto l’aveva spinta a proiettare su di sé una fantasia romantica e delle emozioni che, nel quotidiano, non provava. E poi, in momenti come quello, i sensi si annebbiano, quindi magari lui stesso aveva capito male.

E quindi forse si sbagliava, ma per un attimo gli era sembrato di sentire Sakura sussurrargli “ti amo così tanto” all’orecchio, tra un “sì” e un “non fermarti!”. Ma sembrava non essersene resa conto, quindi sarebbe stato inutile insistere, Sakura avrebbe solo negato.

E poi c’era sempre la possibilità che avesse detto “scopiamo intanto”.

Ma gli sarebbe suonato strano.

«Tu sei pazza», le mormorò, ma Sakura era già mezza addormentata e gli sorrise debolmente.

Fu travolto da una miriade di emozioni, anche se all’apparenza restò impassibile. Esasperazione, affetto, ed anche un pizzico di orgoglio maschile; ma tornò anche la malinconia che lo perseguitava da giorni, che allargava un buco che sentiva nel petto già da tempo e che si faceva sempre più profondo ogni volta che dormiva accanto a lei.

Non fa per te, si era detto, anche se non gli faceva piacere sentirlo. Guarda che le hai fatto. Non puoi trascinarla a fondo con te.

Sospirò e la strinse più forte a sé, come avesse avuto paura di lasciarla andare.

«Siete innamorati?»

Gliel’aveva chiesto Tsunade nel suo ufficio, un attimo prima di lasciarlo andare a medicare una ferita alla fronte che sembrava molto peggio di quanto non fosse in realtà. L’Hokage si era concessa un secondo per calmarsi e ne aveva approfittato per porgli quella domanda vuota.

«Siete innamorati?!»

Aveva riflettuto attentamente prima di risponderle, perché sapeva quanto scaltra fosse Tsunade. «Vuole una risposta sincera?» le aveva chiesto. «O una comoda?»

«Voglio la verità!» aveva gridato lei, cercando con le mani altro da lanciargli dalla scrivania rimasta ormai vuota.

«Uno di noi due lo è» le aveva risposto, in fine.

E Tsunade lo aveva fissato, rossa di rabbia. «Che diavolo di risposta sarebbe?!»

 «È lei?» gli aveva chiesto poi.

La mancata risposta di Kakashi l’aveva fatta accigliare. «Sei tu?»

Kakashi non aveva lasciato trasparire nulla, quindi Tsunade aveva incrociato le braccia. «Non importa, lo chiederò a Sakura.»

«Perderà solo tempo» le aveva detto. «Non le dirà la verità. Le dirà solo quello che si aspetta che io dica.»

«E cosa si aspetta che tu dica?»

Lo sguardo di Kakashi si era fatto vacuo. «Me lo chiedo anch’io.»

Non era riuscito a capire perché si sentisse così deluso all’idea che Sakura non avesse fiducia nei suoi sentimenti per lei.
Forse perché non era deluso da lei, ma da se stesso.

Sakura avrebbe pensato – e con ragione – che lui avrebbe detto a Tsunade che non erano innamorati, perché non pensava che Kakashi fosse capace di amare.

E nemmeno lui lo credeva.

«E quindi che facciamo, Sakura?»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed eccoci qua, all’ultimo aggiornamento dell’anno.
Grazie per la pazienza, per le bellissime parole, per la fiducia.
Ai lettori affezionati, ai nuovi, e ai futuri.
Che il prossimo possa essere l’anno più bello della vostra vita fin’ora.

 

  
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