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Autore: arcadialife    21/12/2021    2 recensioni
Dal testo:
"Ha bisogno di me.
Lei è stata l’unico nemico dalla quale mi sarei fatto cavare il cuore dal petto.
Anzi, per la sua salvezza, glielo avrei offerto io stesso a palmi aperti come ho fatto ogni giorno della nostra relazione.
In fin dei conti, è praticamente quello che è successo vista la ferita che mi squarcia il torace nonostante il suo profumo che ancora aleggia sulla mia pelle."
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Mugiwara, Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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ANGOLO DELL’AUTRICE

Ciao a tuttə, come oramai saprete, inizio con il rinnovare le mie scuse per gli aggiornamenti scostanti e provo una profonda gratitudine e ammirazione per tutti voi pazzə che continuate a leggere e recensire. Sapere che il mio lavoro è di vostro gradimento, mi spinge a non demordere e voglio convincermi a darvi un finale per questa long. Aimè però, non so stimare quando accadrà (non appena finirete di leggere il capitolo, queste mie parole diventeranno una specie di spoiler, immagino!)

Vi lascio un piccolo ALLERT: se non volete soffrire, chiudete subito il browser. Questo capitolo è un po’ tosto e non nego che la pesantezza potrebbe continuare anche nei prossimi. Mi scuso se il mio scrivere possa far sorgere in voi emozioni “negative” poco prima del Natale, ma va così.

Un abbraccio forte,


Arcadia



Come dal risveglio di un sonno interminabile, aprì gli occhi e lentamente prese percezione dell’ambiente circostante.

La vista era sfocata, in particolare ai margini, e batté un paio di volte le palpebre per cercare di migliorare la situazione. Nell’annotare l’inutilità di quel tentativo, si rese maggiormente conto di come anche tutti gli altri sensi fossero ancora assopiti.

Il corpo sembrava non appartenere più alla sua coscienza oramai chiaramente sveglia e sapeva di essere con i glutei seduti senza averne la reale percezione. La bocca era pastosa e nel saggiarne la mobilità, registrò di come perfino la lingua sembrasse pigra ai comandi. Le orecchie fischiavano debolmente come udissero il treno marino di Water Seven oltre il limitare dell’oceano e l’unica cosa chiara che sentiva era un gonfiore pulsante proprio sotto al lobo sinistro.

Il braccio si mosse da solo e poté osservarlo dirigersi al proprio collo come se lei stessa non fosse altro che uno spettatore esterno e il suo non fosse altro che un gesto impartito dal cervello senza un vero consenso. Il pizzico di dolore che scatenò quel contatto di pelle contro pelle, le acutì la consapevolezza di sé e iniziò a riprendere il controllo.

Nami si guardò intorno senza una reale emozione a muoverla.

Sì, la riconosceva. Poteva dirlo con certezza, anche grazie a quel leggero e inconfondibile dondolio: era sulla Sunny!

Le pareti di legno la avvolgevano calorosamente come solo la sensazione di essere a casa dopo un lungo viaggio poteva fare. Era a casa: la salsedine nell’aria, le linee ruvide delle assi di legno sul pavimento… ma dove era stata per tutto quel tempo?

A giudicare dal movimento pigro della nave, dovevano essere ormeggiati da qualche parte o, perlomeno, il moto ondoso che percepiva non era di certo quello del mare aperto.

Cosa era successo?

Sforzò le meningi per tornare al suo ultimo ricordo prima di chiudere gli occhi. Perché solo di quello poteva trattarsi: doveva essersi addormentata nella stiva per chissà quale motivo.

Il leggero dolore alle membra le fece riassaporare la reminiscenza della morbidezza del suo letto, nella cabina che condivideva con Robin. Aveva come l’impressione di mancare da troppo tempo e la nostalgia di quel confort le prese la bocca dello stomaco.

Un accenno di emozione che si affievolì in un anelito di vita perduto.

La vista stava iniziando a schiarirsi e tentò di stropicciarsi i bulbi oculari per accelerare il processo. Che fastidiosa sensazione!

Ricordava dello sbarco, del delirio causato da Rufy al mercato, i marines, la loro fuga rocambolesca, la taverna e la chiara sensazione di una pelle calda contro la sua, di respiri sciolti e desiderio crescente nelle vene. Il suo viso, quel volto spigoloso piegato in espressioni morbide che sapeva essere concesse solo lei, lei che ne era in qualche modo artefice e custode su terra e mari. Nami si toccò le labbra con le punte delle dita nel ricordare quel contatto sempre così lontano, ma mai assente nelle sue memorie e si stupì di trovarle piegate in un mesto sorriso. Cos’era quel senso di tristezza che le ammaccava il cuore?

Si sentiva strana, intontita e incapace di dare una definizione al suo sentire. Come un amante cui è proibito di saggiare l’amore da troppo tempo.

Che assurdità, che pensieri sciocchi! Buoni solo ad appesantirle ulteriormente il cervello. Eppure, una parte dentro di lei sembrava sussurrarle che, in realtà, non dovevano essere poi così tanto assurdi.

Percepiva uno vuoto sinistro nel petto, lì dove albergano le emozioni, come se avessero improvvisamente cambiato residenza. Sparite, senza lasciare nemmeno un biglietto di addio. Si ritrovava sull’uscio di sé stessa, scorgendovi all’interno nient’altro che il nulla. Una casa disabitata e lasciata ad avvizzire.

Un’improvvisa fitta alle tempie la costrinse a piegarsi e a proteggere il capo tra le mani, occhi serrati e un gemito sofferto sul limitare della gola spezzata. Dolore. Perché?

_Nami _ una voce.

L’aveva immaginata?

No, era lì con lei. Un tono d’apprensione celato dalla fermezza di una voce risoluta.

_Nami! _ la fitta alle tempie si trasformò nuovamente nel fischio di un treno, ma questa volta sembrava tanto vicino da perforarle le meningi. Si accartocciò su sé stessa contraendo lo stomaco per resistere.

Aiuto

Implorava. Non riusciva a chiedere altro. Aiuto da quella sofferenza e dalla sua coscienza che faticava a riconoscere come propria. Quella voce però, l’avrebbe riconosciuta attraverso qualunque cacofonia del mondo.

Si costrinse a rilasciare il respiro e a gonfiare e sgonfiare ritmicamente i polmoni come se l’ossigeno fosse il suo unico appiglio alla realtà.

Ho paura

Ma sembrò funzionare e la cartografa alzò cautamente il capo di qualche centimetro come se si aspettasse un altro assalto da chissà dove.

_ Nami!! _ la voce apparve irritarsi a causa della risposta mancata, così Nami si ostinò ad uscire allo scoperto e alzò gli occhi oramai limpidi. Nel vederlo realmente di fronte a lei, ebbe un leggero calore ad irradiarla debolmente. Forse, da quella casa, nessuno se n’era mai andato veramente. Forse aveva preso un abbaglio e qualcosa le si mosse dentro.

Lui la fissò, inamovibile.

_ Mi riconosci? _ le chiese.

Perché è così freddo?

_ Rispondimi! _ morse l’aria con il ghiaccio nelle parole e lei morì per un secondo lungo un’ora _Sai chi sono? _ incalzò ancora.

Che domanda era quella? Doveva essere tutto uno scherzo.

_ È la quarta volta che facciamo questa conversazione, mi devi rispondere! _ rabbia e veleno che tuonarono.

Nel sobbalzare scossa e confusa, la rossa razionalizzò l’urgenza della sua risposta che le sfuggì dalle labbra in uno squittio acuto: _ Rufy! _ la voce le tremò di paura e bisogno.

Il capitano spostò impercettibilmente il busto indietro, lì sullo sgabello dove si trovava, e abbassò le spalle in un sospiro fugace prima che la postura tornasse in posizione di assalto.

Contro chi? contro lei?

Le balbettò il cuore. Non capiva niente.

_ Ricordi qualcosa? _ chiese ancora lui.

Il volto della ragazza si contrasse in una smorfia come se si stesse sforzando di dare un senso a quel dialogo. Aveva l’impressione di star per essere pugnalata.

_ Rufy _ aveva timore di chiedere, Nami, e prese un respiro di tempo _ Perché mi hai chiesto se ti riconosco? Cosa significa? _

Vide il suo capitano trattenere il fiato e lei contò il tempo con i rintocchi del suo cuore. Lo guardò negli occhi in attesa, tremando dentro.

Il ragazzo si alzò lentamente in piedi e si fece forza con le mani sulle ginocchia come se si sentisse più pesante che mai, un peso invisibile all’occhio della mente quanto schiacciante per l’anima. Il corpo ci prova, ne mostra segni e sintomi, ma non si arrende. Si alzò in posizione eretta e la trapassò con uno sguardo duro che cedette a tratti all’interferenza di un dolore che Nami non capiva.

_Ricordi qualcosa? _ strinse i pugni e cercò un po’ di nasconderli, saldo alla stessa domanda ancora e ancora.

Cosa dovrebbe ricordare?

Sempre più spaesata, la cartografa decise di provarci e si toccò la tempia per un secondo prima di issarsi anche lei sulle gambe. Ebbe qualche vertigine, ma non se ne curò mentre il pulsare al collo aumentò d’intensità con il cambio di pressione del sangue.

Il suo capitano non perse di vista ogni minimo movimento, sentiva il suo sguardo indagatore come un predatore pronto a scattare e le venne un brivido lungo la schiena. Aveva già visto Rufy in quella condizione, ma sempre e solo indirizzato contro i loro nemici.

Era tutto sbagliato.

_ Io non… _ iniziò Nami balbettante, le braccia strette al costato come per proteggersi da un freddo che sentiva solo lei _ Credo che… _ la pressione delle lacrime dietro agli occhi per un panico che iniziava a coglierle la gola.

Un suono di passi pesanti e affannati giunse da oltre la porta che chiudeva la stiva come una cella e si fece sempre più vicino mentre una stilla di pianto andò a morire sulla guancia della navigatrice.

Cappello di Paglia si voltò e l’uscio si spalancò in un colpo secco.

_ RUFY! _ gridò Usopp con un’urgenza che si affievolì nell’incontrare gli occhi nocciola di Nami. Cedette su di lei per un momento e le sopracciglia si chiusero quando continuò con un tono di voce più basso e sofferto _ Vieni _

Bastò quella parola, una singola parola e il capitano dei Mugiwara si fiondò fuori quasi travolgendo il cecchino nella foga d’oltrepassarlo.

Nami spalancò gli occhi e fissò il suo nakama rimasto con un’implorazione nelle pupille. Aveva bisogno di sapere, di avere una spiegazione che zittisse le innumerevoli domande nella sua mente.

Avanzò di un passo verso di lui, ma il cecchino le fece da specchio retrocedendo e scosse il capo incapace di esprimersi a parole.

La porta si chiuse e il gelo le entrò nelle ossa.





La porta si aprì furiosa e Bepo corse fuori. La voce di Law tuonò un “MUOVITI!” e i rumori dell’infermeria tornarono ovattati al chiudersi della serratura.

Suoni di oggetti spostati, di tessuti strappati che giungevano attutiti alle orecchie dei Mugiwara raccolti di fronte ad uno degli oblò. Suoni che si infrangevano contro il silenzio del mondo esterno, tale che perfino il mare sembrò essersi taciuto.

Bisturi, pinze e forbici che si schiantarono al suolo nel clangore di un Chopper fermo a sé stesso e un segnale ritmico che stava inesorabilmente rallentando ad ogni suo grido. Un palpito stanco e prossimo all’abbandono.

Il finestrino circolare dal quale i pirati di Cappello di Paglia non riuscivano a distogliere lo sguardo, mostrava loro una scena irreale quanto un incubo.

Il respiratore artificiale pompava impazzito mentre Torao fissava le proprie mani premute verso il basso, verso l’origine di quegli zampilli cremisi che scattavano ad insozzargli braccia e volto.

_ Dove diavolo è finito Bepo? _ gridò ancora il chirurgo e alzò lo sguardo incrociando quello di un Rufy appena arrivato ad aggrapparsi impotente a quel vetro. Ognuno dei due vide la paura negli occhi dell’altro.

Il medico di bordo, invece, non tradì nessun’angoscia mentre con espressione risoluta e mani ferme, cercava di preparare una siringa con chissà cosa al suo interno.

La renna in forma umana, afferrò un arto abbandonato e si preparò ad iniettare un qualche farmaco attraverso un tubicino già direttamente collegato ad una vena del paziente. Poi improvvisamente, qualcosa si ruppe: la siringa si infranse al suolo, il braccio cadde nel vuoto fermandosi oltre il limitare del materasso e dita gocciolanti di sangue denso come magma entrarono nel campo visivo degli spettatori ammutoliti.

Il segnale, quel segnale smise di singhiozzare il proprio sforzo e si abbandonò all’urlo finale mordendo al cuore dei Mugiwara in quel vocalizzo d’epilogo.

  
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