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Autore: NPC_Stories    24/12/2021    2 recensioni
O come Dora e Rupert Honeycomb sono sopravvissuti alla propria infanzia.
Grossomodo.
Genere: Commedia, Fantasy, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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Autore: NPC_Stories
Genere: fantasy, slice of life, lore
Note: riferimenti alla crisi degli Avatar. Storia che doveva far parte della storia di Natale di domani ma poi sarebbe diventata troppo lunga e quindi ho deciso di pubblicarla come storia a sé, è comunque un prequel della storia di Natale che se tutto va bene pubblicherò domani.




In tempi di carestia, le patate non hanno buccia

O come Dora rimase affascinata dalla magia divina



1359 DR, periodo di Mezzinverno, in una locanda vicino a Secomber

Le casse di cibo messe da parte per l’inverno si stavano svuotando a una velocità preoccupante. Krystel avrebbe tanto voluto che non fosse così, ma purtroppo l’anno precedente il raccolto era stato magro e la sua magia, che lei avrebbe voluto usare per aiutare la fertilità dei campi, era stata a dir poco altalenante.
Era stato un anno strano, l’Anno delle Ombre; grazie al cielo si era concluso. Era successo… di tutto. A sentire la gente, di tutto. Per molti mesi i sacerdoti non avevano ricevuto benedizioni dai loro dèi, non erano stati in grado di lanciare incantesimi. Qualcuno, gente di passaggio a Secomber quando il commercio si era ripreso, giurava di aver visto gli dèi camminare sulla terra. Chi veniva da Waterdeep - che dopotutto non era troppo lontana - raccontava storie a cui era difficile credere. Anche nella Grande Foresta c’erano stati tafferugli, Duvainion non ne era stato testimone ma aveva riferito a sua madre che dei kerpca gli avevano raccontato storie pazzesche, su un avatar del dio Malar che avrebbe causato devastazione in una caccia furibonda; certo non c’era sempre da fidarsi delle parole degli ometti-scoiattolo, spesso le sparavano grosse per darsi un tono, ma questa volta lui pensava che fossero sinceri. C’era stata della devastazione, era innegabile, per fortuna non nella zona dove viveva lui.
Krystel strinse Jaylah fra le braccia come se non volesse mai lasciarla andare, scatenando una protesta da parte della bambina che avrebbe voluto solo sgambettare in giro. La strega non se ne accorse, ancora persa nei suoi pensieri. L’anno precedente per certi versi era stato terrificante. La parte peggiore era l’incertezza. Però in autunno il mondo sembrava aver riacquistato una parvenza di normalità, e poco alla volta la gente aveva tirato un sospiro di sollievo.
Troppo tardi per il raccolto, però. Avevano ottenuto qualcosa dalla seminagione di ortaggi autunnali - carote, altre radici, qualche verdura, le nutrienti zucche che però non erano cresciute al meglio - e quindi qualcosa avevano tirato su, ma il raccolto estivo, il grano e altri cereali, era stato magro.
Per Krystel questo era un problema. Aveva accettato come sempre di prendersi in casa i bambini di tutta la regione, per dare sollievo alle loro famiglie, che quell’anno ne avevano più bisogno che mai. Però qualcuno doveva sfamare quei ragazzini, e quel qualcuno era lei.
Potrei iniziare a ricorrere alla magia, ma non sarebbe facile tirarne fuori qualcosa di buono tutti i giorni… rifletté, vagliando le sue possibilità. Poteva creare una pappa insapore con i suoi incantesimi, in realtà quel cibo poteva presentarsi in qualunque forma lei volesse, ma che creasse semolino oppure stufato la consistenza era sempre più o meno la stessa e il sapore era quasi inesistente. Dopo alcuni giorni di cibo creato con la magia, le persone - specialmente i bambini - cominciavano a deprimersi. Poteva metterci una pezza usando erbe e spezie, ma non era come mangiare cibo vero. Prima della fine dell’inverno sarebbe dovuta ricorrere a quella misura estrema, ma aveva sperato che quel momento non arrivasse così presto. Non aveva mai esaurito le scorte prima di Mezzinverno. Di solito non le esauriva prima dell’inizio del mese di Ches, il mese che vedeva l’inizio della primavera.
Quest’anno siamo in anticipo di almeno un mese, pensò con amarezza. Che gli do da mangiare per un mese?
L’elfa scura sospirò, ma non intendeva darsi per vinta. Era una seguace di Chauntea, la dea della fertilità dei campi, della vita, dell’abbondanza… e anche della cucina. Forse avrebbe trovato qualcosa fra i libri sacri, qualche incantesimo clericale che poteva essere riadattato in un rito magico. Le streghe non avevano pieno accesso al ventaglio di incantesimi che venivano concessi ai sacerdoti, ma con un po’ di inventiva potevano tentare di replicarne gli effetti attraverso complicati rituali.

***


§Per favore, passami quel secchio§ fece cenno la donna, indicando un secchio di legno in un angolo.
Dora ormai capiva abbastanza bene il linguaggio gestuale di Tinefein. Era una ragazzina sveglia e aveva imparato in fretta: sapeva che quando la mezzadrow cominciava una serie di gesti con uno schiocco di dita significava che sarebbe arrivata una richiesta, e uno schiocco di dita seguito da indice e medio incrociati significava ‘per favore, fai…’
Dora corse a prendere il secchio. Le piaceva aiutare Tinefein in infermeria, si teneva impegnata facendo qualcosa di utile e poteva godere della pace di quel luogo silenzioso.
Il secchio, scoprì presto, conteneva bucce di patate. Lo prese e lo portò alla donna, come richiesto.
§Che cosa ci fai con queste?§ Domandò, muovendo le dita in modo ancora un po’ goffo. §Le ho cosate io, sai?§ Dora non conosceva il gesto per ‘pelare’, quindi ripiegò sul segno più generico che indicava ‘un verbo, ma non conosco il segno specifico’, e che lei nella sua mente immaginava come ‘cosare’[1].
Tinefein aveva tra le mani un pentolone, ma lo appoggiò su un ripiano per prendere la lavagnetta che teneva sempre in tasca. Da questo, Dora capì che la spiegazione sarebbe stata troppo lunga o complicata per esprimerla a gesti.
La figlia della strega aveva una calligrafia minuta e molto bella, secondo la bambina, e riusciva a scrivere velocissima. Le sue dita dovevano essere veloci quanto il suo pensiero, perché non poteva esprimersi a voce. Quando Tinefein mostrò a Dora la lavagnetta, c’era scritto:
Farò bollire queste bucce fino a ottenere un concentrato, poi lo metterò in bottiglie di vetro con estratto di bacca di luna, che è un conservante naturale, altrimenti marcisce tutto. Si ottiene un tonico per i capelli. Li rende più forti e li scurisce, copre i capelli bianchi.
Dora aveva ancora molte perplessità. Nella sua esperienza, i capelli erano solo un orpello estetico. Belli, per carità, ma non così importanti da dedicargli delle vere cure.
§Ma perché? Non è meglio mangiare le patate con la buccia?§ Segnalò con il codice gestuale.
Tinefein girò la lavagnetta sull’altro lato e scrisse:
Mia sorella Hilda vende questa roba per corrispondenza. Arriva a Waterdeep, per le grandi dame e le mogli dei mercanti. Pagano molte monete d'argento per succo di buccia di patate! E Hilda ci dà la maggior parte dei proventi. Così possiamo comprare semi per l’anno nuovo e altre cose.
Dora rimase un po’ sconcertata nello scoprire quanto potessero essere stupidi i ricchi. Però, be’, tutto quello che poteva portare guadagno ai contadini era un bene. All’improvviso i lunghi pomeriggi a pelare patate per Krystel assunsero una maggiore dignità ai suoi occhi. Si era sentita un po’ inutile a svolgere compiti così semplici, e invece era stata utile a qualcosa.
§Allora andrò a cosare altre patate§ segnalò con un grande sorriso. §Per aiutarti§
Lo sguardo di Tinefein si fece improvvisamente malinconico. Scosse la testa.
§No. Mia madre ha detto basta. Sono rimaste poche patate. Le mangeremo con la buccia. Sono più nutrienti§ spiegò, poi si rese conto che Dora non aveva capito l’ultimo gesto e riprovò: §Sono meglio per la salute§
Ma Dora, per una volta, non stava più facendo caso a Tinefein. Aveva capito il senso generale e qualcos’altro aveva reclamato la sua attenzione. Negli ultimi giorni avevano mangiato patate sempre più spesso, la varietà del cibo a disposizione si era ridotta, e se ora stavano finendo anche quelle…
§Siamo senza scorte?§ Chiese freneticamente.
Tinefein aggrottò la fronte. §No, non ancora§ poi rapidamente aggiunse: §Nessuno farà la fame. Se finisce il cibo lo creeremo con la magia. Non è molto buono ma è cibo§
Dora fece tanto d'occhi. §Si può fare il cibo con la magia?§
§Sì, anche se non è un incantesimo alla portata di chiunque. Non è una cosa da apprendisti§
§Tua madre è una grande strega§ riconobbe Dora. §Ma se può fare il cibo con la magia perché non lo fa sempre? Perché deve lavorare i campi e l'orto come tutti?§
§Perché il cibo fatto con la magia non è buono, te l'ho detto§ Tinefein ci pensò per qualche momento, come se volesse aggiungere qualcosa. Poi evidentemente decise che la risposta era troppo lunga e prese di nuovo in mano la lavagnetta. Cancellò le precedenti scritte con una manica e ricominciò a tracciare segni con il gessetto.
Mia madre lavora meno di quanto pensi, come contadina. In estate assume dei lavoranti e per pagamento gli lascia tenere una parte del raccolto. Lei fa altre cose, cose da strega. Se non ha figli piccoli viaggia in tutta la regione. Lo spazio sulla lavagnetta era finito, quindi la girò dall'altra parte. Va a rinforzare gli incantesimi che ha lanciato in tutto il territorio. Quelli di fertilità nei campi, di protezione ai confini, e di fortuna sulle strade. Si incontra con altre streghe. A volte cerca apprendiste.
Dora lesse tutto con avidità, ma queste spiegazioni non risolvevano tutti i suoi dubbi.
§E voi come fate senza di lei?§
Tinefein sorrise, ma era un sorriso divertito più che bonario.
§Quanti anni ho secondo te?§
Dora arrossì per l'imbarazzo. Cercare di indovinare l'età di una donna era un terreno pericoloso, la gaffe era sempre dietro l'angolo. Tinefein, come tutti gli elfi, aveva un'età indefinibile. Sembrava giovane e fresca, ma lo stesso si poteva dire di Krystel, anche se Krystel emanava un'aria di maggiore maturità grazie a… Dora non avrebbe saputo dirlo con certezza. Grazie al suo sguardo, forse, o al modo in cui si muoveva. Tinefein aveva il corpo di una donna adulta, e sapeva un sacco di cose come gli adulti, ma il suo desiderio di isolarsi ricordava un po' quello di alcune ragazze adolescenti che Dora aveva visto in paese.
La bambina decise per un approccio cauto.
§Ne hai circa venti?§
§Ne ho circa sessanta§
la corresse la mezzadrow, senza abbandonare il sorriso. §Posso occuparmi di questo posto anche senza la mamma. Sono adulta adesso.§
"Circa che cosa?" Balbettò Dora, dimenticando che l'altra non poteva sentirla. Non si era aspettata una risposta del genere. Rimase a fissare il vuoto per alcuni minuti mentre la donna metteva a bollire le bucce di patata. La mezzadrow aveva saggiamente deciso di approfittare dello stordimento della bambina per portarsi avanti nel lavoro.

***


Luel aveva il pregio di saper vedere il lato positivo in ogni situazione, o almeno così pensava lui. In realtà era più che altro incapace di preoccuparsi di qualunque cosa e questa non era esattamente una virtù. La causa era in parte il suo sangue fatato, in parte la sua giovane età, ma soprattutto una ingenua fiducia nel mondo e un totale disinteresse per le necessità degli altri. Luel sapeva che in qualche modo del cibo sarebbe continuato a finire nel suo piatto ogni giorno, forse non sarebbe più stato buono come all'inizio dell'inverno però a lui non importava molto. Per la gente era difficile da credere - perché è opinione comune che le creature fatate siano dedite ad ogni tipo di piacere ed eccesso - ma alcune di loro sono in realtà molto selettive, e Luel ne era un esempio. Era goloso di dolci, ma tutto ciò che non era dolce gli risvegliava lo stesso grado di interesse: quasi nullo. Non era in grado di apprezzare davvero la differenza fra un galletto ruspante al forno e un piatto di semolino sciapo, e non gli interessava che altre persone invece quella differenza la sentissero. Non era un problema suo, quindi non era un problema.
Luel era contento che si stessero esaurendo le scorte, perché significava che il magazzino si stava svuotando di quei brutti sacchi di iuta e di quelle casse pesanti piene di orribili cipolle. Quando il magazzino si svuotava, per poche decine di giorni ogni inverno, l'ex presbiterio del tempio di Chauntea tornava a sembrare ciò che era stato nei tempi d'oro, la parte più sacrale di una chiesa. Luel non era religioso, le fate non lo sono quasi mai, ma sapeva apprezzare la bellezza. Non che ci fosse chissà quale opera architettonica da ammirare, il clero di Chauntea è pragmatico e avaro di orpelli, ma sul fondo del tempio avevano qualcosa che un bardo non poteva che amare: un organo a canne. Il suono che produceva sembrava venire direttamente da un altro luogo, era come se la voce di un dio, o del mondo stesso, o dello spirito del vento, si piegasse ai desideri di chi sapeva suonare e cantasse per chi sapeva ascoltare. Era una cosa intima, un suono potente che ti entrava dentro e faceva vibrare l'anima; come le percussioni, ma in modo più elegante. Luel non conosceva nessun altro strumento la cui musica ti entrasse dentro come quella di un tamburo, ma senza ricorrere al facile escamotage di imitare il battito del tuo cuore. Ai tamburi piaceva vincere facile, e per questo lui non li apprezzava molto, li considerava rozzi e barbarici.
Il bardo, da parte sua, era più un tipo da violino o da strumenti a fiato. Entrambi quegli strumenti avevano il pregio di conferirgli un'aura interessante mentre suonava, qualcosa che affascinava le persone ma le teneva anche a distanza. Non come gli strumenti a corde pizzicate che sua sorella Amber amava così tanto. C'era qualcosa nei liuti e negli yartig che comunicava 'sono simpatico, sono approcciabile, sono il tipo di bardo che suona in taverna per qualche moneta', e non era l'idea che Luel aveva di se stesso.
"Mamma, non pensi che potremmo spostare quelle casse un po' più a destra?" Propose, indicando gli ingombri che ancora bloccavano la visuale sull'organo a canne.
"Oh, chi si vede" lo salutò Krystel, che però non lo stava davvero guardando. Era impegnata a frugare in alcuni sacchi che, dal rumore, dovevano contenere noci o qualcosa del genere. "Sei qui per dare consigli o per dare una mano, Luel?"
Il mezzofolletto sentì una goccia di sudore freddo scivolargli lungo il collo. Stava correndo il rischio di dover lavorare, un'altra di quelle cose che nella sua ottica si applicavano solo agli altri.
"Pensavo solo che, visto che ormai c'è spazio per spostare le casse e i barili altrove, sarebbe carino liberare l'organo. Potremmo cominciare le nostre serate musicali, i bambini ne sarebbero contenti."
"Oh, i bambini. Ne sarebbero contenti. Sono colpita dall'altruismo del tuo cuore!"
Luel aveva quasi ventitré anni e ormai sua madre non cascava più nella sua manipolazione. Quando era piccolo riusciva a rigirarsela come voleva, ma ormai aveva perso i più grandi privilegi dell'infanzia: essere dispensato dal lavoro ed essere considerato innocente a discapito di qualunque sua birboneria.
Crescendo era maturato, in un certo senso, non gli interessava più molto fare scherzi. Però non era ancora entusiasta di sobbarcarsi certe responsabilità, in particolare il lavoro. Non amava fare le pulizie anche se gli piaceva vivere nel pulito, non pensava che fosse degno di lui dover spostare pesi, e più di qualsiasi altra cosa odiava il lavoro nell'orto e all'aperto in generale. Dover aiutare a riorganizzare il magazzino non era proprio in cima alla lista delle cose che odiava di più, però si piazzava fermamente sul podio delle prime tre.
"Percepisco che non sei d'accordo, mamma. C'è un motivo per cui non vuoi che cominciamo a suonare l'organo?"
"Sì, c'è un motivo" spiegò, emergendo dal grosso sacco di iuta con una manciata di noci tra le dita. "I ragazzini che sono qui da diversi inverni sanno che quando iniziamo a suonare l'organo ogni sera è perché il magazzino si è svuotato e il cibo sta finendo, ma di solito questo significa anche che la primavera è quasi arrivata. Sanno che è un modo per sollevare i loro spiriti nei giorni precedenti al commiato, quando le loro famiglie vengono a riprenderli o mandano qualcuno per portarli a casa. Se cominciassimo a fare questa cosa a mezzinverno finiremmo solo per creare il panico, i bambini penserebbero che non possiamo più nutrirli e che vogliamo mandarli via anche se c'è ancora la neve sulle strade. Quest'anno non possiamo permetterci di liberare l'organo a canne non appena inizia ad essere raggiungibile, purtroppo dovremo fare proprio il contrario."
Luel rivolse a sua madre uno sguardo strano, obliquo. "Stai dicendo che dovremmo mentire a dei bambini?"
"Sì" rispose lei con candore. "È la via di minor resistenza, ed è per il loro bene. Comincerò a creare il cibo con la magia e mescolarlo a cibo vero, aiutami a pensare a dei piatti creativi" ordinò.
L'espressione preoccupata di Luel si distese in un sorriso. Dare consigli e aiutare in cucina erano compiti facili, poteva andargli molto peggio.

I bambini ospiti alla locanda da quel giorno cominciarono a mangiare polpettone sempre più spesso, a volte accompagnato da patate, o dalle poche verdure che erano rimaste dallo scorso autunno. Spesso quel cibo era un po' insipido ma Tinefein aveva messo a disposizione tutte le sue erbe commestibili per dargli un qualche sapore. Non era mai facile identificare gli ingredienti di quel polpettone, però era decente e nessuno si alzava da tavola affamato, quindi nessuno faceva domande. Alla fine dell'inverno la quantità saziava più della qualità.



**********
[1] "Cosare" è riconosciuto come un vero verbo, anche se solo per uso familiare, nel dizionario Treccani online

   
 
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