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Autore: Musical    25/12/2021    1 recensioni
"Tata?"
"Cosa c'è, mio piccolo Hellspawn?"
"Posso avere la papera, per favore?"
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nanny Ashtoreth, Warlock Dowling
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Nanny?”
“Cosa c’è, mio piccolo Hellspawn?”
Warlock, immerso in una vasca da bagno, indicò una paperella di gomma che si trovava su una mensola, troppo lontana per lui da poterla prendere da solo.
“Posso avere la paperella, per favore?”
Nanny Ashtoreth, con le maniche del vestito arrotolate, in modo da non bagnarle mentre lavava Warlock, lanciò un’occhiata alla paperella in questione e poi al bambino, che la stava guardando implorante.
“Quante volte ti ho detto che non devi implorare le persone a fare quello che vuoi, mh?”
Warlock inclinò la testa, come se stesse facendo un ragionamento molto importante, e così era, per un bambino di cinque anni.
“Brother Francis ha detto che bisogna sempre dire ‘per favore’, ‘cortesemente’, questo tipo di parole per essere un bravo bambino.”
Nanny Ashtoreth cominciò ad insaponare i corvini capelli di Warlock, giusto per non far vedere un leggero rossore che imporporava i suoi zigomi.
“Brother Francis è rimasto ai vecchi modi, alquanto antiquati, di comportamento. E poi, quelle sono regole che tu non devi mai seguire. Un giorno, saranno gli altri a doverti chiedere ‘per favore’, ‘per cortesia’, dovranno chiederti gentilmente qualunque cosa, e sarai te a decidere chi fare contento e chi condannare. Quindi, un bambino importante come te non dovrà mai dire quelle parole, ma solo una! La più potente di tutte, che ti farà avere tutto quello che vuoi.”
Il bambino non aveva capito molto del discorso che le aveva detto Nanny Ashtoreth, gli adulti erano soliti parlare troppo, ma la cosa più importante l’aveva capita e, pieno di curiosità, fece la domanda che Nanny Ashtoreth aspettava.
“Qual è?”
“‘Io voglio’.” lo sguardo di Warlock fece optare Nanny ad andare avanti col discorso. “Ogni volta che dirai queste parole, tutto si realizzerà, la realtà si piegherà ai tuoi desideri. Qualunque essere dovrà obbedirti se non vorrà subìre delle pesanti conseguenze.”
“Ohhhhhh!”
“Proprio così. Quindi, come devi dire?”
“Voglio la paperella.”
Nanny si voltò verso la paperella, osservando se il giocattolo di gomma si muovesse anche di qualche centimetro per volere dell’Anticristo, ma non si mosse; tornò a guardare il bambino, desideroso più che mai d’avere la sua paperella.
“Con più convinzione, Warlock. Lo devi davvero sentire.”
“Voglio la paperella!”
No, appurò Nanny Ashtoreth, l’Anticristo doveva ancora esercitarsi.
“Dal profondo del cuore, Warlock.” gli sussurrò, toccando il punto esatto dove batteva il piccolo e giovane cuore. “Urla, se vuoi, la realtà deve obbedire ai tuoi desideri.”
“VOGLIO LA PAPERELLA!” il bambino alzò le mani al cielo, schizzando il pavimento, i muri e la stessa Nanny.
Tuttavia, nonostante gli sforzi di Warlock, la paperella rimase ferma al suo posto, sorridendo serafica al bambino, le cui guance stavano cominciando ad essere bagnate da lacrimoni.
“Perché non viene?”
A quel punto, Nanny decise d’alzarsi e prendere lei stessa la paperella, evidentemente i poteri dell’Anticristo dovevano ancora svilupparsi, oppure la paperella si era mossa leggermente e lei non s’era accorta. Il viso di Warlock s’illuminò alla vista del giocattolo di gomma, iniziò ad aprire e chiudere le manine, ma Nanny non gli diede subito la paperella, rimase in attesa, allontanandosi anche dalla presa di Warlock.
“Nanny!”
“Quali sono le parole magiche che devi dire?”
Warlock la guardò un secondo, non capendo a cosa si riferisse Nanny, ma poi si ricordò e con un sorriso enorme esclamò: “Voglio la paperella!”
E con una smorfia soddisfatta, che solo chi conosceva bene Nanny Ashtoreth poteva paragonarla ad un sorriso, gli diede la desiderata paperella, osservando come Warlock strinse forte a sé il giocattolo.
“Bravo il mio Hellspawn!”
I due continuarono il bagnetto allegramente, con Warlock che faceva tante domande e Nanny che rispondeva a tutto. Solo quando Nanny stava asciugando il bambino, Warlock fece una domanda particolare.
“Nanny, ma tu e Brother Francis siete come mamma e papà?”
Ashtoreth alzò il volto, le ciglia aggrottate. “Chi ti ha detto questo?”
Warlock abbassò il capo, cominciando a torturarsi qualche dito.
“Nessuno.” mormorò mogio mogio. “Come si fanno i bambini?”
Ashtoreth cominciò a pensarci seriamente, come se anche lei si fosse posta la stessa domanda e ancora non avesse trovato la risposta.
“Non posso dirtelo.”
“Perché no?”
“Perché” — Nanny si guardò un attimo intorno, cercando una fonte d’ispirazione, poi i suoi occhi celati dagli occhiali da sole si fermarono sull’oggetto che Warlock teneva ancora in mano — “le papere hanno le orecchie.”
“Davvero?” si voltò il bambino con un’espressione stupita e meravigliata.
“Sì, altrimenti come fanno a sentire le altre papere?”
“Ma questa è solo un giocattolo”, fece notare il bambino, ma Nanny Ashtoreth fu lesta a rispondere, premendogli leggermente il naso.
“Fa’ attenzione, non dubitare della loro intelligenza. La paperella che hai in mano è sì un giocattolo, ma potrebbe avere qualche microfono e traduttore nascosto che registra tutto quello che diciamo.”
“Come fanno vedere in Spy Kids?”
“Esattamente.”
Warlock sembrò pensarci per qualche minuto, constatando che Nanny poteva avere ragione, ma avrebbe dovuto chiedere a Brother Francis i suoi pensieri a riguardo. “Però, perché non posso sapere come nascono i bambini?”
Nanny Ashtoreth sospirò, sempre affascinata dalla curiosità dei bambini e dalla loro caparbietà di continuare a chiedere sempre.
“Perché le papere vogliono sapere tutti i nostri segreti per conquistare la Terra. A loro piace scoprire nuove cose sugli esseri umani. Ma c’è una cosa che non devono mai sapere, altrimenti per noi sarà la fine.”
“E cioè?”
“Come nascono i bambini. È il nostro segreto più prezioso, per questo non bisogna mai parlare di queste cose di fronte alle papere, o a qualsiasi cosa abbia la forma di una papera.”
Il piccolo Warlock osservò per qualche minuto, in silenzio, il suo giocattolo, studiandolo da ogni angolo alla ricerca di qualche microcamera o microfono. Nanny Ashtoreth lo lasciò fare, dandogli tutto il tempo necessario, poi il bambino fissò intensamente gli occhi della papera di gomma e assunse un’espressione battagliera.
“Non saprete mai i nostri segreti!”
“Bravo il mio Hellspawn!”
Il tono minaccioso fece sorridere orgogliosa Nanny, che prese il giocattolo di gomma e lo posò sul mobile e portò via Warlock per portarlo in camera, era ora d’andare a dormire dopotutto.
Quando Warlock si mise sotto le coperte e Ashtoreth aggiustò il cuscino, il bambino chiamò un’altra volta la sua Nanny.
“Dimmi Warlock.”
“Quando sarò grande, potrò dire alle papere di scomparire per sempre?”
“Certo! Potrai fare molto di più, tutto dipende da quello che desideri.”
Warlock osservò bene la donna. “Posso decidere anche cosa succede alle persone?”
“L’unico limite che avrai sarà la tua immaginazione”, gli rispose Nanny dopo aver annuito.
“Allora, quando sarò grande, voglio desiderare che tu e Brother Francis diventiate come mamma e papà!”
Ashtoreth si fermò un secondo, prima di sedersi sul materasso per cantare la sua ninna-nanna. Perché l’Anticristo era fissato con questa storia di lei e Brother Francis? Dato che era l’Anticristo, riusciva a percepire cose che altri demoni non riuscivano a fare? Doveva stare attenta a come doveva comportarsi in futuro con Brother Francis, non voleva rischiare seimila anni d’amicizia clandestina per un bambino che ancora non era in grado d’utilizzare i suoi poteri. Rammentando, poi, che i bambini non ricordavano niente prima dei dieci anni, Ashtoreth sorrise diabolica: anche se stava parlando con l’Anticristo, era pur sempre un bambino, anche lui avrebbe dimenticato i suoi primi dieci anni di vita.
“Quando sarà il momento, sarai capace di fare qualunque cosa tu voglia.”
E, prima che Warlock potesse chiedere altro, Nanny Ashtoreth gli fece presente che era ora d’andare a dormire; con immenso piacere da parte del bambino, Nanny gli cantò la sua ninna-nanna personale.


“Sul serio, mio caro?”
“Perché no? Sono il male assoluto! Hai visto come mi guardava?”
Aziraphale volse lo sguardo sulla malcapitata papera che aveva avuto la sfortuna d’incrociare il proprio cammino con quello di Crowley; più di una volta l’angelo s’era domandato il motivo dietro quest’ostilità nei confronti delle papere. Tuttavia, Aziraphale era convinto che, se fosse stata una cosa davvero seria, Crowley non avrebbe esitato a parlargliene. Di conseguenza, l’angelo aveva sempre sorvolato su questa antipatia, si limitava di tanto in tanto a riprendere il demone.
Una volta che aveva terminato le molliche di pane, Aziraphale insieme a Crowley andò a sedersi sulla loro panchina.
“Hai notizie di Anathema e Newton?”
“Chi?”
“La ragazza del libro.”
“Ohh! Ha mandato un sms, il loro figlio dovrebbe tornare dalla luna di miele tra un paio di giorni.”
Aziraphale si dimenò sulla panchina, entusiasta nel sapere che presto avrebbe saputo le impressioni che il figlio dei suoi due umani preferiti aveva avuto della Scozia, un posto incantevole a suo dire.
Era trascorso un po’ di tempo dall’Armaggeddon’t, Newton ed Anathema avevano ormai cinquant’anni, avevano messo su famiglia a Tadfield e, di tanto in tanto, Aziraphale e Crowley andavano a trovarli, in ricordo dei vecchi tempi. Anathema offriva loro sempre una buona tazza di tè insieme a dei biscotti fatti con una ricetta di famiglia, l’angelo li adorava e tentava ogni volta quale fosse l’ingrediente segreto. Inutile dire che Crowley s’offriva volontario per scoprirlo attraverso un piccolo miracolo demoniaco, ma ogni volta veniva fermato da Aziraphale. Non ci sarebbe più stato gusto nel mangiare quei biscotti assolutamente divini.
“Sai di cos’avrei voglia, caro?”
Crowley voltò la testa nella sua direzione, in attesa di sapere quello che aveva in mente. Aziraphale stava per dire la sua idea, quando la risata cristallina di una bambina attirò la sua attenzione.
“Papà, andiamo a trovare la mamma?”
La bambina, dai capelli castani, veniva seguita da un giovane uomo distinto dai capelli mori, di media lunghezza.
“Non accettano le visite prima delle dieci.”
“Ma io la voglio vedere!”
Quello che sembrava essere il padre prese in braccio la bambina, portandola vicino al laghetto.
“La vedrai, tranquilla. Nel frattempo, puoi imparare a parlare con le papere. Guarda un po’” l’uomo cominciò a fare qualche verso che ricordava lo starnazzare delle papere, ma gli animali non gli prestavano molta attenzione, l’umano non aveva portato con sé alcuna briciola di pane. La situazione risultò molto divertente agli occhi della bambina, che si mise a ridere.
“Mi piace la bambina!” asserì Crowley.
“Non ti sembra familiare?”
“Me la ricorderei!”
Aziraphale non gli rispose, strinse leggermente gli occhi, quando scorse il volto dell’uomo inspirò sorpreso, portandosi una mano davanti alla bocca.
“Warlock.”
“In effetti, la bambina ha i suoi stessi modi.”
“No, guarda! È Warlock!”
Crowley dedicò una maggiore attenzione all’uomo, facendo caso in quel momento della sua pelle chiara, dei suoi occhi di ghiaccio, di quelle leggere occhiaie — nate per le troppe ore trascorse davanti ai videogiochi — essersi fatte più evidenti, ma non avevano spento lo sguardo vispo e vigile di quel bambino ormai cresciuto.
“Lo sai” — fece l’uomo, ignaro d’essere osservato da due entità soprannaturali — “che le papere in realtà ci spiano?”
“Non è vero, papà!”
“Ti dico di sì. Ti ho raccontato di quella volta che ho rischiato di far loro scoprire come nascevano i bambini?”
In quel momento, la bambina gli prestò la più totale attenzione.
“Come nascono i bambini?” gli domandò. Ma Warlock fu abbastanza lesto da mettere l’indice davanti alla sua bocca, facendole capire di tenere basso il tono della voce, e cominciò a sussurrare.
“Shhh! Non ci devono sentire! È il nostro più grande segreto! Non devono scoprirlo per nulla al mondo come nascono i bambini!”
“Come mai no?” domandò con un filo di voce la bambina.
“Perché altrimenti conquisterebbero la Terra, e noi non vogliamo questo, vero?”
La bambina, un po’ titubante all’inizio, si convinse non appena una papera starnazzò nella loro direzione, come se si fosse arrabbiata perché lei e il suo papà avevano scoperto il loro segreto. La bambina guardò stupita il papà.
“Che ti avevo detto? Loro ci ascoltano!” le disse rimettendola a terra, in modo che la piccola potesse correre libera.
“Chi te l’ha detto?”
Fu in quel momento che Warlock sorrise al ricordo di una donna dai capelli rossi che indossava sempre gli occhiali da sole.
“Una vecchia amica.”
Warlock considerava tale Nanny Ashtoreth, una buonissima amica, insieme a Brother Francis, anche se entrambi scomparvero quando Warlock compì undici anni e si trasferì con i genitori in America. Ricordava tutte le avventure che aveva vissuto in loro compagnia, i loro strani battibecchi, i loro insegnamenti… Quelli furono gli anni migliori della sua infanzia. Chissà che fine avevano fatto, se si erano sposati, oppure avevano continuato a frequentarsi come semplici amici, oppure erano soltanto colleghi di lavoro e, una volta terminato il contratto, avevano preso strade diverse, senza più rivedersi.
Un po’ gli sarebbe dispiaciuto, se fosse finita in quel modo. Warlock ricordava ancora quando, da bambino, desiderava che Nanny e Brother Francis si mettessero insieme; aveva persino organizzato per loro una finta cena a lume di candela, e i due impacciati cominciarono a mangiare e bere, mentre Warlock faceva il sommelier, cameriere, cuoco e il padrone del ristorante. Che pazienza avevano avuto quei due a sopportarlo, solo ora se ne rendeva conto.
Sua figlia, che aveva preso a correre per il parco, ritornò presto indietro da Warlock, abbracciandolo di slancio e cogliendolo di sorpresa.
“Hey, cos’è successo?”
“Ci sono due uomini spaventosi laggiù, papà.”
“Dove? Dove sono?”
La bambina indicò con la manina un punto alla loro sinistra, Warlock alzò lo sguardo e vide, seduti su una panchina, due uomini che li stavano fissando, gli sembrava che avessero la sua stessa età, e avevano un’aria familiare. L’uomo a sinistra aveva i capelli biondi ed era vestito con abiti color panna, l’altro, invece aveva capelli rossi, era vestito di nero e indossava degli occhiali da sole, anche se era una giornata nuvolosa. Non credeva fosse possibile, Brother Francis e Nanny Ashtoreth avrebbero avuto più o meno ottant’anni, tuttavia prese la presenza di quelle due persone come un segno divino. Brother Francis sarebbe stato orgoglioso di lui.
“Li conosci?” domandò la bambina, notando il leggero sorriso sul volto del padre.
“No, ma mi hanno ricordato due persone a cui volevo bene.” porse la mano alla figlia, facendole un cenno col capo. “Andiamo all’ospedale?”
Il voltò della bambina s’illuminò di nuovo. “Sì! Andiamo a trovare la mamma e Frannie!” Non afferrò la mano di Warlock, preferì correre verso l’uscita del parco.
“Va’ con calma, Ash, altrimenti arrivi in macchina sudata.”
Prima di raggiungere la figlia, Warlock rivolse un’ultima occhiata a quei due uomini, sorrise, passandosi una mano per asciugare gli occhi lucidi, guardò anche il cielo dove, era certo, perché Brother Francis glielo aveva sempre assicurato, Dio lo avrebbe ascoltato.
“Grazie.”
Perché, anche se non poteva rendere realtà tutto quello che desiderava, nonostante Nanny Ashtoreth gli avesse promesso il contrario, percepire che quel suo desiderio infantile s’era realizzato gli donò una serenità che non riusciva a spiegarsi.
“Papà, andiamo!”


“Credi che ci abbia riconosciuto?”
I due continuarono a sorvegliare Warlock andare via con la figlia.
“Non penso. Credo che neanche si ricordi di noi.”
Aziraphale prestò attenzione a Crowley e sorrise intenerito alla vista davanti a sé.
“Stai piangendo.”
“Io non” — Crowley si voltò di scatto, pronto ad afferrare Aziraphale per il colletto della giacca, ma lo sguardo ovvio che aveva il suo angelo lo fece desistere e ammettere quello che non avrebbe mai detto anni prima — “ha chiamato sua figlia Frannie.”
“E Ash la più grande. Quanto sono dolci gli umani.”
“Dei maledetti sentimentalisti.”
Aziraphale non riuscì a trattenere una risata, conscio del vero soggetto nella frase del demone.
“Cena all’Ivy? Offro io.”
Aziraphale non voleva sentire parole diverse.
“Così mi tenti, mio caro.”
I due sorrisero, prima che Crowley s’alzasse dalla panchina e galante tese la mano, Aziraphale accettò elegantemente l’invito e s’alzò. Stava per dire qualcosa, ma Crowley l’anticipò poggiando la fronte sulla sua, abbassando le palpebre e respirando l’odore dell’angelo.
“Grazie per la sorpresa, angelo.”
Aziraphale strinse le mani di Crowley e si sentì abbastanza audace da sfiorare il naso di Crowley con le proprie labbra.
“Non so di cosa tu stia parlando, tesoro.”
Crowley rise di gusto alla finta innocenza di quel maledetto e stupendo angelo.
Erano pochi gli umani a cui Crowley s’era davvero affezionato… Certo, amava l’umanità, ma aveva sempre cercato di mantenere un certo distacco… Il più delle volte ci riusciva, ma c’erano delle bellissime eccezioni, e Warlock era tra queste.
“Lo sai,” Aziraphale si frappose nei suoi pensieri mentre uscivano dal parco, “ho impiegato mesi nel fargli capire che le papere sono esseri meravigliosi, ma quella tata… Ha sempre avuto una forte influenza su di lui. Ho miseramente perso.” esalò un finto sospiro affranto.
“Io, invece, ho ideato le migliori dimostrazioni per fargli capire che l’amore è sopravvalutato, ma niente… Quel giardiniere riusciva sempre a mettermi i bastoni tra le ruote.”
“L’amore vince sempre” dichiarò solenne Aziraphale con un sorriso soddisfatto.
“Non dirlo di fronte alle papere.”
“Perché mai, caro?”
“Non lo sai? Hanno le orecchie, e potrebbero usare le parole che diciamo contro di noi.”
Mentre Crowley appoggiò un braccio sulle spalle del suo angelo, per avere un sostegno mentre rideva, Aziraphale sbuffò divertito.
“Tu e la tua avversione alle papere.”
E ridendo si apprestarono ad entrare nella Bentley, non prestando attenzione a qualche papera starnazzare perché il suo piano di conquista era sfumato.

   
 
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