Libri > Good Omens
Segui la storia  |       
Autore: Neamh Moonstar    25/12/2021    1 recensioni
Dio non muore, non sbaglia e non abbandona.
Dio non crea il caos tra gli angeli in cielo, né lascia quelli sulla Terra soli tra le lacrime e il sangue.
Dio non parla e non risponde.
Giusto?
(Considerabile come un seguito di: "Quell'angolo di infinito" ma leggibile separatamente).
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio, Gabriele, Morte
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Dilogia sotto le stelle'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ed eccole di nuovo: le stelle. La figura era dietro di lui, stavolta: gli stava sistemando le ali con gesti svelti ed esperti. Chiacchieravano del più e del meno, come se si conoscessero da sempre. Di cosa? Non avrebbe saputo dirlo. Le parole nei sogni scompaiono, si volatilizzano e perdono di senso. L'atmosfera era meravigliosa, però: un balsamo per l'anima e ormai suo unico rimedio al dolore che gli procurava tornare alla realtà.

Prima o poi, però, ti svegli e tutto ritorna. La cosa buona, è che a destarlo fu l'unica voce che avrebbe voluto sentire.


    «Ehi, angelo. Odio disturbarti, ma questa la devi vedere!»


    Strofinandosi gli occhi e sbuffando al ritorno di tutte le sensazioni che ormai incorniciavano la sua assurda situazione, Aziraphale si mise a sedere con un'espressione confusa stampata sulla faccia fredda e assonnata: «Cosa c'è?» Chiese con un filo di voce.


Crowley aveva spostato la tendina dell'unica finestra della stanza, posta davanti al letto. Nel farlo, aveva scoperto il buio della notte, illuminato dalla flebile luce di un lampione da qualche parte sulla strada sottostante.

    L'angelo lo guardò ancor più stranito di prima: «Cosa c'è di strano?»

A giudicare dall'espressione stralunata dell'altro, c'era decisamente qualcosa che non riusciva a capire.


    «C'è di strano,» riprese il demone, tirando nervosamente fuori il cellulare dalla tasca, «Che sono le otto del mattino, Aziraphale. Le otto del mattino!» Esclamò, girando lo schermo perché potesse vederlo.


L'angelo sussultò.

Quello spiegava molte cose, ma allo stesso tempo non spiegava assolutamente niente.


Buttando distrattamente il dispositivo sul materasso, Crowley si mise a passeggiare ansiosamente avanti e indietro, tornando velocemente ad essere il ritratto del nervosismo. I suoi bei capelli rossi erano ridotti ad un ammasso spettinato a furia di essere strapazzati; aveva la camicia ancora mezza sbottonata, le mani ancora macchiate di chiazze marroncine e la faccia distrutta di chi non doveva aver passato la migliore delle nottate. 

Aziraphale guardò la sedia accanto al letto con aria mesta, sentendosi più in colpa che mai. Era quello il motivo per il quale avrebbe tanto voluto smaterializzarsi e comparire altrove: un pensiero che stava ricominciando a spingere sempre più nella sua mente. 

Come se non bastasse, sembrava che il mondo intero avesse deciso di smettere di girare, lasciandoli nel buio di una notte eterna. L'angelo si chiese se anche quello non fosse colpa sua. Perché era tutta colpa sua, vero?

In fondo era lui quello a metà tra il cielo e la dannazione eterna; lui che non La sentiva più, lui quello nei casini - tanto per cambiare-, lui che doveva necessariamente aver fatto qualcosa per far succedere tutto ciò. Perché Dio non abbandona, non sbaglia e non ti lascia soffrire senza motivo. 

Sì, doveva per forza essere lui il problema. Magari l'aveva fatta arrabbiare così tanto da farLe decidere che quella doveva essere l'unica punizione accettabile. Magari se l'era presa quando se n'era andato ufficialmente dal Paradiso, o magari era proprio colpa di tutto l'affetto che Le era stato tolto in favore di una creatura delle tenebre.

Sentì una scia calda e sottile scendergli giù dalla guancia e raccolse a sé le ginocchia, lasciando che il vuoto iniziasse a mangiarselo. La sua vista si oscurò di nuovo, ma che importanza faceva? Era l'unica cosa che un essere indefinito e inutile come lui avrebbe-


    «Ehi!» Urlò una voce, nel panico.

Quella voce, quella che da sola sapeva farlo sentire meglio.


Aziraphale si passò le dita sugli occhi, cercando di riprendersi. In fondo, se voleva che Crowley smettesse di impanicarsi e di stare così tanto in ansia per lui, doveva provare a metterci del suo e non lasciarsi andare alla disperazione.

Più facile a dirsi che a farsi quando ogni fibra del tuo essere è sballottata tra il piano più alto e quello più basso dell'universo.


**


«Ti ho spaventato, vero? Non volevo urlare, scusami,» prese a dire Crowley, mentre cercava di far sparire le nuove macchie di sangue da sotto gli occhi dell'angelo.


Di cosa ti scusi? Non dipende da te.


    Come se gli avesse letto nel pensiero, Aziraphale scosse la testa: «Non è colpa tua. È la situazione ad essere un po'...» si fermò un attimo a cercare la parola adatta, poi fece semplicemente spallucce e riprese a guardare in basso.

E dire che il suo angelo trovava sempre le parole giuste. Ne conosceva così tante e le esponeva come una sorta di vanto, portandolo ad alzare gli occhi al cielo. Faceva tutto parte del loro gioco: una tacita e scherzosa guerra a turni.


    Non appena il morbido volto angelico fu nuovamente pulito, Crowley vi poggiò entrambe le mani, costringendo delicatamente Aziraphale a guardarlo. «Hai ragione, ma non devi andare in panico, ok? Se tu cerchi di stare calmo, io cerco di stare calmo. Ci stai?»

L'angelo annuì e Crowley lo strinse di nuovo a sé perché sapeva che ne avevano bisogno entrambi, così come quella notte avevano avuto bisogno di intrecciare le dita su quel bus dopo una settimana che chiamare frenetica è dire poco. Era necessario, rassicurante e sì: nonostante le circostanze, era stupendo.

Il modo in cui Aziraphale si sciolse nel suo abbraccio gli fece capire che stava facendo la cosa giusta, almeno per il momento. Qualche tempo prima avrebbe detto che quella roba affettuosa non era da lui, il che in realtà era vero - in parte. L'unica eccezione si stava adesso aggrappando al bavero della sua camicia, affondando la fronte ghiacciata sul suo petto mezzo scoperto. 

Attese con tutta la pazienza che non aveva mai avuto che l'altro si allontanasse, ma non accadde. E per quanto la cosa non gli dispiacesse - anzi, avrebbe voluto fossilizzare quel momento e renderlo infinito - il suo ormai inarrestabile inconscio ruppe la calma.


C'è un problema da risolvere.


Si può strangolare un pensiero? Perché in quel momento Crowley l'avrebbe fatto volentieri. Che poi, più che un pensiero sembrava una specie di sesto senso: c'erano stati momenti in cui aveva anticipato gli eventi. A quel punto le cose erano due: o stava finendo di impazzire del tutto, o qualcosa non quadrava.

Ma non aveva tempo di pensare a se stesso, adesso. 

    Si staccò lentamente dall'angelo, prendendogli le spalle: «Meglio?»


    Con un sorriso e un cenno del capo, l'altro si strinse un po' nelle ali. «Sì, grazie.»


Ottimo. Ora potevano tornare seri.

    Incredibilmente, fu Aziraphale a prendere in mano la situazione. «Gli eventi devono essere collegati, immagino,» disse, giocando distrattamente con una delle sue piume cenerine.


Crowley non poteva che essere d'accordo.

Si alzò dal letto e andò a dare un'occhiata fuori dalla finestra: per le strade la gente aveva già iniziato a girare con le torce accese, in preda alla confusione più totale. Altro che apocalisse: questo era quasi peggio. Almeno la fine del mondo te l'aspetti; questo invece sembrava più una specie di stupido scherzo.

    «Va bene, domanda: cosa ferma il mondo e fa succedere-» si girò verso l'angelo, indicandolo con entrambe le braccia, «Questo?»


    L'altro ovviamente non poté che fare spallucce. «Non ne ho idea» disse mesto. «E se la situazione dovesse peggiorare?» Chiese poi, torturandosi le dita. «Insomma; prima io, poi il mondo intero, e poi?»


Calmalo.


    «Ehi,» ammonì il demone. «Piano. Ricorda cos'abbiamo appena detto.»

Aziraphale era sempre stato un piccolo e rotondo fascio di ansie e preoccupazioni. Nonostante ciò, finora era sempre riuscito a domarle bene: quel comportamento non era normale. Uno moralmente forte come lui non si sarebbe mai fatto prendere dal panico così facilmente: la situazione lo stava decisamente distruggendo.


E allora tu distruggi la situazione.


Esatto, inconscio-barra-sesto senso. Anche se la verità era che, in momenti come quello, Crowley si sarebbe buttato volentieri in un angolino a piagnucolare. 

Ma ehi, se l'angelo aveva bisogno di aiuto, lui accorreva: era quella la regola.


    Aziraphale annuì, come se stesse cercando di scendere a patti con se stesso: «Scusa, hai ragione.»


    «Certo che ce l'ho,» rispose scherzosamente Crowley, andando a ributtarsi sulla sedia. «Adesso, per quanto odi l'idea, dobbiamo partire dall'inizio.»


Bravo.

Grazie, lo so.


    «Devi descrivermi la situazione nei particolari, tutto. Tipo, come i sospettati di un omicidio nelle serie tv.»


Aziraphale non poté fare a meno di sorridere. A quel punto iniziò con calma a parlargli di ciò che era accaduto mentre conversavano al cellulare, ed effettivamente al demone non piacque per niente. A detta del biondo, il senso di vuoto era semplicemente arrivato e Lei aveva deciso di fare armi e bagagli, per poi sparire metaforicamente dalla sua vista. Nulla che già non avesse immaginato.

La domanda principale era: perché? 

Una cosa era certa: arrivarono alla conclusione che Aziraphale e il pianeta erano entrambi a metà di un processo. Uno in mezzo al passaggio tra Paradiso e Inferno, l'altro in mezzo al passaggio dalla notte al giorno.

Cosa significasse, beh, quello era un mistero. Era come se il meccanismo stesso dell'esistenza si fosse bloccato.


    «Stavo pensando ad una cosa,» intervenne l'angelo, «Ma non ti piacerà.»


    Rassicurante. «Sarebbe?»


    «Gli ex-capi devono per forza saperne qualcosa, non credi?» 


    In effetti era ovvio. Tutto ciò che accade sulla Terra finisce necessariamente in mano agli angeli e ai demoni, i quali se ne occupano poi nella maniera che più li aggrada, sfruttando le situazioni. Il che significava... «Dovremmo chiederglielo, dici?» Crowley affondò lungo lo schienale, sbarrando gli occhi e scuotendo la testa: «Dubito mi accoglieranno con un abbraccio e un sorriso sulle labbra.»


    Aziraphale inclinò la testa: «No, ma hanno sviluppato un certo timore nei nostri confronti. E poi, che significa: "mi accoglieranno"? Io non ti faccio andare fin lì da solo.»


    «E io non ti faccio scendere da quel letto, angelo. Già è tanto se mi allontano da te.»


    L'altro incrociò le braccia, stizzito e deluso: «Vorrei rendermi utile, una volta tanto.»


    «Ti renderai utile avvisandomi se qualcosa non va. A proposito,» disse Crowley facendo comparire il cellulare dell'angelo nella sua mano e poggiandoglielo sul comodino, «Tieni il mio numero pronto, va bene?»

Si alzò, prendendo dolcemente il braccio di Aziraphale e aiutandolo a mettersi su un fianco. L'angelo non era felice, se ne rendeva conto, ma doveva accettare la cosa.


Resta vicino.


E avrebbe tanto, tanto, tanto voluto; ma non poteva. Che odio. Era stato così per secoli: "voglio ma non posso"; quel capitolo doveva essere già bello che chiuso.

    «Faccio presto, ok?» Disse, prendendo le fredde mani di Aziraphale tra le sue. «Dai, lo sai che sono una scheggia. Sarò qui tra un secondo.»

Il biondo prese a guardarlo con una serietà e una supplica infinite. Dannati occhietti azzurri; quasi quasi se lo portava e lo costringeva a stare in macchina. In effetti non era malaccio come idea. 

Ma no, era troppo rischioso. Il poveretto non riusciva nemmeno a mettere le sue ali al sicuro, e il Paradiso - o peggio, l'Inferno - avrebbe potuto approfittare di quel momento di debolezza per fargli del male. Era fuori questione.

    «Dai, non fare così,» lo pregò, rivolgendogli un'occhiata di finto rimprovero. Poi un'idea si fece strada nella sua mente, portandolo a irrompere in un sorrisetto furbo: «Sai, mi è venuta un'idea.» 


Aziraphale non rispose. Semplicemente, aggrottò appena la fronte, braccia ancora incrociate e sguardo fisso.


    «Potrei - ma è solo un'idea, eh- provare a vedere se quella brava pasticcera ha voglia di lasciar perdere la situazione della notte eterna per un attimo e, sai, provare a darmi un vassoio di quella roba zuccherosa che ti piace tanto.»

Lo disse con noncuranza, allacciandosi la camicia e ripulendosi le mani.


Davanti a lui, l'altro si era messo a guardare altrove, mordicchiandosi un labbro e torturando nervosamente l'orlo di una delle coperte.

Crowley sorrise, facendo finta di togliersi un pelucchio dalla manica. Tre, due, uno-


    Aziraphale cedette: «E va bene. Ma non farti ammazzare, dico sul serio.»


    Bingo. «Pf, l'hai detto tu, no? Hanno paura. Andrà alla grande.»

E visto che l'altro era tutto fuorché convinto, Crowley si disse che: "ora o mai più". Si abbassò, gli stampò un bacio sulla fronte e si rialzò veloce come una molla, facendo comparire un nuovo paio di occhiali. «Ci vediamo dopo!»

Non si fermò ad assaporare l'espressione sicuramente interdetta dell'angelo, per quanto avesse voluto. 


Semplicemente uscì al freddo di quell'assurda notte, si assicurò che la libreria fosse ben chiusa e si infilò in macchina. Prossima destinazione: l'ultimo posto in cui sarebbe mai voluto tornare.

Quella volta fu un po' più difficile farsi strada nel traffico di gente confusa e preoccupata, ma di nuovo: non che per lui fosse un problema. Fece brutalmente spostare chiunque gli sbarrasse la strada e in un attimo fu davanti all'edificio che tanto avrebbe voluto buttare giù.

Scese dal suo beneamato bolide quasi con un balzo, superò la porta scorrevole e si bloccò.

Qual'è la perfetta conclusione di una mattinata - sempre che si potesse definire tale - del cacchio? Ovvio: ritrovarti davanti a qualcuno che ti sta sullo stomaco, per non dire altro.


A pochi metri da lui, sguardo sconvolto e capelli ancor più sconvolti, c'era Gabriel.

    «Tu...» ringhiò l'arcangelo, socchiudendo quegli assurdi occhi viola che si ritrovava. Diede subito una veloce occhiata dietro di sé, come se avesse paura che qualcuno potesse comparire alle sue spalle.


    Crowley allargò le braccia, sogghignando internamente: «Io. Che sorpresa, eh?»


L'altro si irrigidì e prese a marciare verso di lui. Il demone pensò subito a come far atterrare un pugno su quel perfetto faccino da ebete, ma qualcosa lo fermò.


Stai calmo.


Lo "stare calmo" lo portò ad essere afferrato per un polso da quelle manacce schifose. Tante grazie, inconscio.


    L'arcangelo prese a trascinarlo, tornando nuovamente verso le scale mobili. La sua voce tremante si ridusse ad un sussurro: «So che c'è il tuo zampino, bestia. Non so cos'abbiate combinato tu e quel traditore, ma dovete mettervi fine.»


Sentire quel velo di terrore nascondersi sotto quel fare stoico, rese Crowley schifosamente felice. Mai aveva visto l'espressione sorniona di "Gabe" ridotta in briciole, ma gli avrebbe volentieri scattato una foto da guardare nei momenti bui.

    «Hai appena superato il numero massimo di cazzate,» gli disse, un'espressione tra l'offeso e il divertito. «Non so di cosa stai parlando.»


Superarono le porte del Paradiso a passo svelto. La presa di Gabriel si fece più forte e il suo sguardo più preoccupato, intanto che si addentravano nel fastidiosissimo biancore di quell'attico immacolato.

    «Te lo dico subito di cosa sto parlando,» disse l'arcangelo scoccandogli un'occhiataccia.


Quando arrivarono a quello che Crowley chiamava "il quartier generale", la loro corsa finì. Davanti a loro si aprì una scena surreale e il demone, nonostante gli sforzi, sbarrò gli occhi e irruppe in una risata.


   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: Neamh Moonstar