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Autore: crazyfred    26/12/2021    0 recensioni
[FRANCESCO & EMMA] Non è proprio una storia continua ma una raccolta di one shot, dove alcuni capitoli potrebbero essere raccordati, altri meno, che raccontano la vita della nostra banda di matti andando avanti e indietro nel tempo, gironzolando attorno agli eventi della fanfiction "Noi Casomai". Una raccolta di piccoli quadri di vita più che di eventi in sé.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Commissario Nappi, Emma, Francesco
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Have yourself a merry little Christmas



colonna sonora

 
“Sarei dovuto venire io a prendere Leo …” “Ma per favore … e chi la spalava tutta la neve attorno a casa? Comunque non ti preoccupare, i bimbi stanno uscendo adesso. 10 minuti e sono a casa.” “Allora sappi che trascorrerò i prossimi 10 minuti in apnea”
Emma alzò gli occhi al cielo, esasperata, chiudendo la telefonata.
Ogni volta che il paesaggio a San Candido e dintorni si imbiancava, tra Emma e Francesco era sempre la stessa storia: l’una rivendicava la sua indipendenza e l’altro pativa per l’ansia di non riuscire ad avere tutto sotto controllo. Quell’inverno, fino a quel momento, era stato abbastanza clemente con la vallata, ma le rare incursioni nevose a quote più basse sapevano, come in quei giorni, farsi notare e dare fastidio. Al loro maso, tanto per dirne una, si accedeva tramite una stradina privata che bisognava mantenere pulita se non si voleva rimanere isolati.
In attesa davanti all’uscita atleti del palaghiaccio, Emma aspettava solo che Leonardo uscisse dalla lezione di hockey per tornare a casa, ma ogni volta che si metteva in auto da sola di sera Francesco andava nel panico: era il suo secondo inverno in montagna ed era una brava guidatrice, di certo non avrebbe messo i suoi figli in pericolo, ma Francesco era Francesco e sapeva di doverlo prendere come veniva, con tutto il pacchetto di manie ed apprensioni di chi si portava ancora, nonostante tutto, un grosso peso sul groppone. Andava meglio, molto meglio, ma era sempre lì. A lei il compito di alleggerire il carico e lo faceva molto volentieri.
“Mamma! Mamma!” Leo tra la piccola folla di bambini, le corse incontro urlante e aggrappandosi al suo giaccone iniziò a saltellarle incontro, strattonandola leggermente. “Amore fai piano …” Avvolta dal caldo parka, la piccola Sole se ne stava comodamente nel marsupio, abbracciata al petto della madre, cullata dal movimento della sua camminata, ma gli occhioni spalancatissimi. A lei di hockey, strade notturne o cumuli di nevi importava poco: l’importante era avere il latte della mamma a disposizione quando voleva, un pannolino asciutto sempre pronto e le braccia forti e calde del papà dove addormentarsi alla sera. “Non sono caduto neanche una volta oggi!” affermò il bambino orgogliosamente. Le lezioni di hockey erano, per i bimbi alle prime armi come lui, più un’introduzione ai fondamentali del pattinaggio. Il disco e i bastoni sarebbero arrivati più in là. “Ma davvero? Sei stato bravissimo!!!” Emma finse stupore: era rimasta a seguire la lezione dagli spalti, ma il bambino, concentrato a far bene, non se n’era accorto. “Adesso torniamo a casa che papà ci sta aspettando”
Mentre si allontanavano con l’auto da Dobbiaco per tornare a San Candido, il centro abitato illuminato e con le strade pulite lasciava il passo alla vallata innevata e a strade buie, sulle quali si incrociava solo qualche camion di tanto in tanto. Al buio e con la neve che copriva tutto, i suoi soliti punti di riferimento erano difficili da trovare. Emma era prudente alla guida e cercava di non pensare che, in fondo in fondo, Francesco forse aveva ragione, che non era stata una buona idea avventurarsi all’imbrunire da sola fuori dal paese: una buona idea sarebbe stata parlare del più e del meno con Leonardo, così da non pensarci troppo, se solo non si fosse addormentato sul suo rialzino già a metà strada. Il cartello di benvenuto a San Candido e il leggero traffico di auto e di autobus che andavano e venivano dai mercatini in centro la rinfrancarono. Superato il bosco, la piccola radura, con il maso e le luci calde accese in casa e la città sullo sfondo, illuminata quasi fosse un presepe, le fece tirare un sospiro di sollievo.
Luna, la lupacchiotta di casa, con le orecchie a punta ben alzate, l’aspettava sull’attenti, anche lei in apprensione, sull’uscio di casa, ululando anziché abbaiando, appena Emma uscì dall’auto. Attirato dal richiamo dell’animale, anche Francesco sbucò dalla legnaia di fianco alla casa con una cesta piena di legna da portare in salotto, per la stufa. Aperto il portone e lasciata la cesta sull’uscio, Francesco corse da sua moglie.
“Copriti santo cielo! È freddissimo!” il termometro dell’auto segnalava -5°, ma Emma faticava a crederci, probabilmente erano anche di meno, e suo marito aveva a malapena messo addosso la giacca della divisa sopra una tshirt nera. “Non ti preoccupare, non mi ammalo. È freddo secco. E poi ho appena finito qui fuori di spalare, sento caldo” “Se va beh, come no …” Emma aveva su il giaccone, la sciarpa, il cappello di lana e i guanti e già non sentiva più il viso. Lo braccò alla buona prima che potesse aprire la portiera dell’auto e, con un gesto repentino gli tirò su la cerniera del giaccone, stampandogli un bacio veloce e furbo sulle labbra, compiaciuta di averla spuntata “aiutami con i bambini. Dormono.” “Tutti e due?” Emma annuì vistosamente, fiera di quella piccola vittoria. Per Sole erano arrivate le colichette: era un angioletto e miracolosamente dormiva quasi tutta la notte, ma il pomeriggio per lei e per i suoi genitori si scatenava l’inferno, il più delle volte si placava solo per sfinimento. “Da domani giretto in macchina fino a Dobbiaco terapeutico” dichiarò Francesco, sorridendo sornione, prendendo in braccio Leo che biascicò qualcosa tra sonno e veglia a proposito della lezione di hockey. “Me lo racconti più tardi a cena, piccolo … adesso riposa” lo tranquillizzò il padre, baciandogli la guancia. Emma, con l’ovetto di Sole tra le braccia si trovò per un attimo a pensare, come potesse vedere loro quattro insieme ma dal di fuori, e sorrise, ma non solo per la battuta: erano passati quasi tre mesi dalla nascita della piccola, ma a lei talvolta sembrava fossero passati solo pochi giorni da quando era tornata da ben altro ospedale e ben altro ricovero. Anche vedere Francesco così tranquillo, nonostante quegli sprazzi di piccole ansie domestiche, era una gioia per i suoi occhi. Era successo tutto così in fretta che aveva ancora il sapore di un miracolo, un bel miracolo natalizio.
“Portiamoli in salotto” propose, chiudendo la porta di casa dietro di sé “è caldo”. Luna, furtiva, si intrufolò tra i loro piedi e corse a piazzarsi di fronte alla stufa accesa, dove le avevano riservato una cesta per le notti più fredde. Emma si trovò inondata non solo dal calore che la stube emanava e il legno della casa tratteneva ma anche dall’odore resinoso e penetrante dell’abete che da qualche giorno faceva bella mostra di sé in casa. Forse era solo suggestione, ma quando gli si avvicinava per annaffiarlo, era sicura di sentire anche gradevole odore di arance.
“Facciamo l’albero?” farfugliò Leonardo, sbadigliando, mentre la madre gli toglieva la giacca di dosso. L’albero, non molto alto ma folto e ben proporzionato, che avevano scelto in un piccolo vivaio locale, era ancora spoglio, ma già solo la sua presenza aveva portato il Natale in casa: ad Emma era sembrata una bella idea quella di avere un albero vero e, con il grande giardino, provare a prendersene cura e vederlo crescere, così da avere, anno dopo anno, un albero di Natale sempre più grande e bello. Emma accarezzò dolcemente la fronte del suo ometto, sistemando quella chioma folta che non riusciva mai a tenere a bada. “Lo facciamo, tranquillo …” Si ricordò dell’anno precedente, quando ancora non gli era concesso di passare con loro più di un paio di ore a settimana, quando per poterlo portare fuori dalla casa famiglia bisognava scomodare le alte sfere dei tribunali per permessi speciali. Il piccolo alberello malandato dalla neve e dal vento che avevano messo sulla terrazza della palafitta, decorato con qualche pigna e poche decorazioni in legno, sembrava la cosa più bella che avessero mai visto. Poter essere insieme per qualche ora, tutti e tre, come quella vera famiglia che ancora non potevano essere, valeva molto di più di ogni decorazione costosa e griffata che i mercatini e i grandi magazzini avevano in esposizione.
“Ugh … non mi abituerò mai al caldo di questa casa” si lamentò Francesco, riponendo il giaccone nel guardaroba all’ingresso. Non scherzava, a spalare la neve aveva sudato veramente. “Non mi dire che preferivi la palafitta piena di spifferi … e comunque io non mi abituerò mai a questo …” gongolò sua moglie, accennando provocante ai suoi bicipiti. Certo non prevedeva di trasformarsi nel personaggio di una soap opera anni ’50, ma fino a pochi mesi prima quella nuova routine, non troppo diversa da quando aveva pronunciato, più che convinta, il suo sì lo voglio, le sarebbe sembrata un’utopia. Forse il segreto risiedeva in quell’amore che per troppo tempo avevano cercato di rifuggire e ora non riuscivano più a tenere a bada, o forse, più semplicemente, in quel marito che sembrava rifiorito e che girava sempre per casa come fosse un bagnino californiano in piena stagione estiva, e in quei pensieri ridicoli da adolescente in piene turbe ormonali che, tutto sommato, la divertivano: scoprirsi ancora donna, oltre che madre, dopo la maternità, era una strana ma piacevole sensazione. A sentire la controparte però, le cose non è che andassero tanto meglio: anche Francesco aveva il suo bel da fare a resistere alle forme generose che la maternità aveva lasciato a sua moglie.
“Vieni con me” le disse, la voce roca, un sorriso obliquo di chi non ha in mente niente di buono. “Che vuoi fare?” La prese per mano e senza dire una parola la condusse su per le scale, ma a metà scalinata Emma si fermò “Francesco … i bambini!” “Io sistemo il baby monitor tu pensa all’acqua” Emma cercò di non dargli a vedere che nella sua mente si erano profilate ben altre aspettative, ma ormai era tardi: tra di loro, ormai, erano un libro aperto. “Signora Neri!” esclamò, tirandola a sé una volta arrivati in cima alle scale “Per quello bisogna aspettare la fine della fascia protetta, in seconda serata … accontentiamoci di un bel bagno caldo per ora” “Mi sembra un’alternativa più che dignitosa … ma fai in fretta, lo sai che i pisolini sono peggio delle bombe ad orologeria”
 
La vasca bianca, essenziale e contemporanea, era l’unico vezzo di design e lusso che si erano concessi nella loro nuova casa che, con attenzione, rispettava le linee e i materiali rustici e tradizionali della regione, incastonandosi perfettamente nel panorama circostante. Era la gioia di Leo che ci sguazzava come fosse in piscina, ma nei loro piani era stata pensata più come una piccola oasi personale, dove potersi rifugiare tra le onde leggere e rilassanti dei gettiti d’aria nell’acqua calda e il profumo degli olii essenziali; con il freddo e la stanchezza accumulati in quella giornata e i bimbi che dormivano al piano di sotto, quel tardo pomeriggio di inizio dicembre era proprio l’occasione perfetta per mettere in atto quella scappatella per la prima volta.
 “E comunque … tornando al discorso di prima” disse Francesco, tirando via un ciuffetto di schiuma dalla spalla nuda di sua moglie “certo che preferisco tutto questo … e questo” interrompendosi poi per posarle un bacio lì dove aveva tolto la schiuma “ma la palafitta è la palafitta. Avrà sempre un pezzo del mio cuore” “E del mio. L’importante è che il resto sia qui” “E dove vuoi che sia? È tuo…” “e di Leo” “e di Leo…e di Sole…e pure di Luna, anche se dobbiamo ancora pulire i suoi bisogni ogni tanto”
Emma si lasciò andare ad una risata spensierata e sonora, sprofondando un po’ di più nell’acqua calda e profumata della vasca. Quando aveva conosciuto Francesco, la cosa che più di tutte l’aveva conquistata era la sua capacità di farla ridere con poco, di punto in bianco, anche nei momenti più insospettabili. Lui, sempre così serioso, quasi al limite del pesante e del deprimente, con due parole riusciva a tirarla su il morale: sapeva ridere di sé e far ridere gli altri. Forse nemmeno se ne rendeva conto e forse allora gli pesava persino, conoscendolo, scoprirsi ancora in grado di poter essere felice e rendere felici gli altri; vederlo ora così libero di godersi quei semplici momenti di coppia, senza sentirsi in colpa per la sua felicità era una gioia per gli occhi e spingeva anche lei a lasciarsi andare sempre di più, a differenza del passato, quando si imponeva di contare fino a dieci, domandandosi se fosse il caso forzare la mano.
“E poi sta arrivando il Natale…non so tu ma io non vedo l’ora. Quest’anno ancora di più dello scorso anno”
Da fresca sposina, Emma aveva sentito lo spirito natalizio batterle forte nel cuore come mai prima in vita sua: il suo primo inverno a San Candido, la prima neve, l’emozione di trascorrerlo con Francesco, da marito e moglie, il batticuore e le speranze per il futuro lo avevano reso speciale ed indimenticabile. Nei giorni che avevano preceduto l’inaugurazione dei mercatini in centro, mentre i volontari e gli operai stavano allestendo le casette e le decorazioni, le era tornata alla mente la prima volta che aveva sentito il profumo dolce del brulé di mele e quello pepato dei dolci in vendita, il vociare della folla per le strade e il trambusto dei giorni di festa assieme agli amici.
Ma il Natale in arrivo era ulteriormente diverso e ulteriormente speciale: oltre alla famiglia che si era scelta, ora c’era anche la sua: con Francesco, Leonardo e Sole erano una famiglia a tutti gli effetti, non più solo nei loro cuori. Avevano una casa che portava il loro nome, e avrebbero aperto le sue porte a parenti ed amici per i giorni di festa. Tutto era diverso e tutto era nuovo: quel futuro che avevano sognato, è diventato il loro presente.
“Ho la netta sensazione che faticheremo a contenere l’entusiasmo di Leonardo. Siamo al 7 dicembre ed è già su di giri” commentò scherzoso il forestale. “Beh per forza, con San Nicolò, i mercatini e la neve è più facile. Qui sembra già Natale da un pezzo. E sarebbe anche l’ora di addobbare l’albero!” “Uff quante storie” “È in casa da una settimana … non capisco proprio perché vuoi aspettare così tanto?!” “Perché con mia madre lo addobbavamo il pomeriggio dell’8 dicembre, era la nostra tradizione. E ora che abbiamo una casa tutta nostra, volevo rispettarla”
Da piccolo, la madre metteva su un trentatré giri di canzoni natalizie e insieme a sua madre passavano il pomeriggio a decorare l’albero, ma poi, quando lei non c’era più, aveva continuato la tradizione da solo, sperando invano che suo padre riuscisse a ritrovare il calore delle feste che il lutto gli aveva portato via. All’arrivo di Marco, invece, era lui a non essere mai in casa per fare l’albero: riusciva a tornare per il cenone della vigilia, quando andava bene; se andava male, invece, il massimo del Natale a cui poteva ambire era una telefonata o una videochiama dal computer della base militare e la speranza di tornare a casa il prima possibile per festeggiare insieme, anche se in ritardo.
Emma dal canto suo si sentiva una stupida per non averci pensato: nei suoi ricordi d’infanzia c’era solo la decoratrice d’interni che sua madre ingaggiava ogni anno; tutto era bellissimo, le decorazioni sempre all’ultimo grido, ma per lei era come andare in un negozio: guardare e non toccare. Quando poi i suoi genitori si erano separati - le verrebbe persino da commentare con un finalmente - con suo fratello lontano, il padre sempre troppo occupato, e sola con gli zii e dei cugini troppo piccoli, il tempo per divertirsi a decorare l’albero di Natale lo sentiva passato da un pezzo. Solo ora stava ritrovando il piacere di farlo, perché vedeva negli occhi del suo bambino tutto quello che le era mancato e sentiva forte la gioia di trascorrere le feste con chi si ama. Il Natale, finalmente, non era più solo una festa comandata.
“Allora non vedo l’ora che arrivi domani … ti prometto che sarà un pomeriggio bellissimo” esclamò, intrecciando le sue mani con quelle del marito. “Tutti i giorni sono bellissimi da quando sei con me. So già che questo non farà eccezione” le disse Francesco, sussurrando. Sciolse le loro mani e con le sue risalì le braccia della moglie, accarezzandole. Si sentiva così fortunato ad averla nella sua vita e non per chissà quali motivi grandi o potenti; no, era grato che lei ci fosse per prendersi cura di lui nelle piccole cose, per aver donato di nuovo dignità alla sua vita buttata lì per troppo tempo così come veniva, proprio come un giardiniere fa con una pianta lasciata a sé stessa. Lui non era abituato ad esprimere i suoi sentimenti e non solo con le parole: sua moglie, poco alla volta, gli aveva insegnato la bellezza non solo del ricevere amore ma anche del dimostrarlo. E ora non sapeva più farne a meno.
Emma lentamente si mise in ginocchio dentro la vasca, girandosi verso l’uomo. Gli prese il viso tra le mani, scostando dal volto i capelli inumiditi da vapore e da qualche piccolo schizzo d’acqua. Quando iniziò ad accarezzarlo con il pollice, fu allora che ad entrambi si stampò un sorriso leggero e rilassato sul viso; quel piccolo gesto, semplice eppure pieno di forza, rinnovava le promesse che si erano fatti: di esserci sempre e, non solo guardarsi l’un l’altro ma, insieme, guardare verso la stessa direzione. Persi l’uno negli occhi dell’altro, vedevano riflessa quella direzione comune: la loro famiglia, la loro vita insieme.
“Io non ti merito” dichiarò Emma. “Non dire così … lo hai visto cosa ci è successo quando ci siamo separati e come invece tutto funziona quando siamo insieme” un tempo anche Francesco pensava di non meritare una come Emma, che fosse troppo per un giocattolo rotto come lui “guarda quanto è bella Sole … e quanto è cambiato Leo. Li abbiamo fatti noi. È la prova che io e te ci meritiamo eccome. Non ci può essere altra soluzione.” “Io ti amo” disse Emma, la voce che le tremava, gli occhi che si riempivano di lacrime.
Mentre ormai le sue labbra sfioravano quelle di Francesco, inspirandone il profumo e percependone la morbidezza, il baby monitor gracchiò, anticipando di poco un vagito acuto e bramoso e Leo che, svegliandosi, richiamava la loro attenzione. Emma allora, sospirando delusa, fu costretta a stampare un bacio frettoloso sulle labbra del marito prima di alzarsi e uscire dalla vasca, avvolta nell’accappatoio.
“Dai, lascia stare, vado io” la frenò suo marito. “Sono le sei” spiegò Emma, ridacchiando mentre guardava lo schermo del telefono “è ora della poppata e quella non la puoi fare tu. Rilassati ancora un po’ …”
 
Il pomeriggio successivo, dopo una mattinata trascorsa con lo slittino lungo il crinale della collina dove sorgeva il maso, tra le grida entusiaste di Leonardo, le raccomandazioni di Francesco e le spintarelle di Emma che incoraggiava il piccolo ad osare sempre un po’ di più sotto lo sguardo esterrefatto del marito, riscaldati e rifocillati, finalmente Emma, Francesco e il piccolo si riunirono attorno all’albero per decorarlo. Leonardo aveva saltato persino il pisolino pomeridiano tanto non stava più nella pelle; Sole no: la piccolina, inconsapevole di quanto stava accadendo, era beatamente assopita nel carrozzino, con Luna appisolata – ma di guardia - ai suoi piedi.
Dopo aver sistemato le luci, era il fatidico momento delle decorazioni. Emma le aveva scelte con cura; non voleva un albero opulento, di quelli patinati che le ricordavano sua madre e la sua infanzia, lo preferiva invece minimalista, un po’ in stile scandinavo: sobrio, delicato, naturale ma al tempo stesso caldo e accogliente. E la lana e il legno grezzo erano perfetti per ottenere l’effetto desiderato.
La prima a finire sull’albero fu la pallina che l’anno prima Emma aveva fatto personalizzare per Leonardo. Era in legno, semplicissima, con il disegno pirografato di una casetta stilizzata in mezzo agli alberi, dei fiocchi di neve e il suo nome che campeggiava, gigante al centro. Era costata pochi euro eppure nelle mani del bambino sembrava fosse fatta di madreperla o avorio, tanto maneggiava con cura il fiocchetto rosso annodato per appenderla all’albero.
Sistemata la sua pallina, come l’aveva orgogliosamente ribattezzata Leonardo, il bambino si tuffò nella scatola degli addobbi, rovistando attentamente. “Cosa fai Leo?” “Sto scegliendo…” “Piccolo le dobbiamo mettere tutte, non importa da dove cominciamo” gli fece notare il padre. “Ma io voglio trovare una per te e una per mamma …”
Emma avrebbe ancora potuto dare la colpa agli ormoni, che con l’allattamento giocavano ancora brutti scherzi di tanto in tanto e le rendevano l’umore ballerino, ma Francesco non aveva nessuna scusa: i lucciconi che sentiva spuntare negli occhi erano colpa di quello scricciolo che gli stava davanti, in ginocchio, riverso sullo scatolone e impegnato a cercare un addobbo natalizio da poter dedicare alla madre e al padre.
“ECCO!!! Questa è tua” disse al padre, porgendogli una decorazione a forma di stella, come le stelle che a lungo, l’estate prima, avevano guardato e studiato nelle notti serene, come quelle stelle che aveva messo sul soffitto della camera di Marco. “E questa è per te” Per la madre, invece, aveva scelto un angioletto che, di profilo, aveva un cuore tra le mani. “È bellissimo, piccolo, grazie” disse, chinandosi di fianco a lui. Chissà, forse lui la vedeva come il loro angelo custode, forse nella sua mente, più o meno consciamente c’erano ancora le immagini di quando lo aveva portato via, correndo all’impazzata, dalla furia del padre adottivo. Ma non poteva sapere che Emma custodiva nel suo cuore il ricordo di un vero angelo, l’angelo custode della loro famiglia, che nessuno di loro aveva potuto conoscere ma che avrebbe vegliato su di loro ogni giorno, lei ne era certa. “Sai che facciamo” decretò, cercando di ricacciare le lacrime “quando a fine Natale mettiamo via gli addobbi questi li prendo e ci scriviamo i nostri nomi, che ne dici? Così saranno per sempre gli addobbi di mamma e papà. Va bene” Leonardo, contentissimo per l’idea di Emma, annuì vistosamente. “E per Sole?” domandò. “Non ti preoccupare” disse Emma “ho pensato anche a lei”
Tirò fuori da un cassetto della credenza una scatolina trasparente; dentro c’era una placchetta in legno, con la scritta Il primo Natale di Sole incisa, l’anno e il disegno di Bambi in mezzo alla neve.
Emma lasciò che fosse il bambino a posizionarla, voleva che si sentisse incluso e mai sminuito rispetto a Sole. Era solo in affidamento, ma lei e Francesco lo sentivano in tutto e per tutto figlio loro. Leonardo passò poi in rivista ogni singola decorazione, correndo da una parte all’altra dell’albero per chiedere di essere lui a sistemarle.
Emma si era accorta, all’improvviso, che si era anche fatto buio fuori e bisognava accendere le luci. Avevano impiegato letteralmente tutto il pomeriggio per mettere una cinquantina di decorazioni, forse anche meno, ma ora capiva perfettamente perché Francesco aveva voluto aspettare un momento in cui potersi dedicare totalmente a quell’attività: quel pomeriggio non avevano solo decorato casa, ma avevano creato dei ricordi, dei momenti speciali di cui nessuno di loro si sarebbe più dimenticato. Lei di certo non lo avrebbe fatto e, a giudicare dai sorrisi e dalle risate di suo marito e suo figlio, nemmeno loro.
A volte era difficile rendersi conto che era successo davvero, che in meno di un anno era diventata madre, forse non per la legge ma di sicuro nel suo cuore, di due bambini: ma quel pomeriggio no, quel pomeriggio era semplicissimo.
“Mamma ho fame, posso fare merenda?” domandò Leonardo. “Ma certo. Lo sai cosa ho comprato?” domandò a bassa voce, ma sempre in modo che il marito la sentisse. “Cosa?” “Il Pandoro! Che ne dici se ci spalmiamo un po’ di Nutella?” “Mmmmm” “Emma è l’8 dicembre!” “Appunto!” “Eh…se cominci così, non so come ci arriviamo al 25…”
Ma sua moglie lo liquidò con una linguaccia, divertente e dispettosa, e portò con sé Leonardo in cucina, assicurandogli che non avrebbero lasciato nulla al padre, viste le sue rimostranze.
La piccola Sole, come si sentisse esclusa da quel quadretto familiare, appena Francesco rimase solo in salotto con lei, si svegliò dalla nanna. Non era agitata per fortuna, forse quello dei giorni passati era stato solamente uno scatto di crescita, come lo aveva definito il pediatra e ora avrebbero tutti riposato meglio di prima. Lo sperava sinceramente, non per sé, ma per la bambina e per Emma: lo distruggeva sempre vedere la prima piangere e la seconda tentare di calmarla, ogni volta in un modo diverso, ma invano, avvilita e stanca. Le dava il cambio ogni volta che poteva, ma comunque, e comprensibilmente, nessuno dei due riusciva a riposare di fronte a quei pianti estenuanti.
“Ben svegliata principessina!” esclamò l’uomo, curvo sulla navicella del carrozzino “sei sempre più bella amore mio”
Forse era solo il pensiero di un padre innamorato della sua piccolina, ma ogni volta che si svegliava le sembrava più grande e più bella, meno neonata arruffata, più bambolina rosea e paffuta. Non seppe resistere a quegli occhioni che gli sorridevano né alle braccine che si tendevano verso l’alto a reclamare di essere presa in braccio. 45 anni ed era in totale balìa di un batuffoletto di poco meno di 3 mesi, e gli andava benissimo così.
La calda tutina rossa di ciniglia era morbida e calda al tatto, ma non come le guanciotte rosse e accaldate della piccolina che si dimenava di fronte ai baci del suo papà. “Principessina mi dispiace” commentò Francesco, ridacchiando sornione “a mamma la mia barba piace quindi su questa cosa non ti posso proprio far vincere, dovrai farci l’abitudine …”
Spense la luce del salone, rimanendo di fronte all’albero illuminato dalle tante lucine gialle. La piccola rimase in silenzio, la boccuccia aperta in una piccola O e la fronte leggermente aggrottata, come cercasse di capire cosa aveva di fronte.
“Questo è un albero di Natale, la festa più bella di tutte. Vedrai che ti piacerà”
Ma quell’atmosfera così magica e pacifica per un attimo rabbuiò il forestale. Pensò al cenone della vigilia, al pranzo di Natale e al veglione di Capodanno. Un altro anno se ne andava, un altro alle porte e che Marco non avrebbe visto. Non sarebbe andato con loro, probabilmente sbuffando, al concerto di Natale a cui il padre era stato invitato come autorità, non avrebbero scartato i regali insieme, non avrebbero acceso gli scintillanti a mezzanotte, non avrebbe dato gli auguri ai nonni. Tutto questo Sole lo avrebbe vissuto per la prima volta e lui non c’era. Francesco era sereno e un po’ se ne sentiva in colpa, perché tutto quello che stava vivendo in quei giorni e che avrebbe vissuto durante le feste, non lo aveva mai dato completamente al suo ragazzo: troppo preso dalle sue missioni speciali e troppo freddo nel suo carattere per essere capace di manifestare appieno il suo amore paterno.
Era arrivato alla conclusione che nulla succedeva per caso, e forse quel sacrificio estremo e il dolore che ne era seguito erano serviti a farlo diventare un uomo migliore. Certo, si sarebbe dannato l’anima per dare ancora anche solo un Natale a Marco, ma forse senza quello che era successo non sarebbe mai diventato un buon marito per Emma e un padre migliore per Leo e Sole.
Prese tra le mani una stellina delle decorazioni e la sfiorò delicatamente: “Sai principessina, in cielo c’è qualcuno di molto speciale che ci ama.  Forse è per questo che in questa casa abbiamo un pezzetto di paradiso”
   
 
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