Libri > Good Omens
Segui la storia  |       
Autore: Neamh Moonstar    28/12/2021    1 recensioni
Dio non muore, non sbaglia e non abbandona.
Dio non crea il caos tra gli angeli in cielo, né lascia quelli sulla Terra soli tra le lacrime e il sangue.
Dio non parla e non risponde.
Giusto?
(Considerabile come un seguito di: "Quell'angolo di infinito" ma leggibile separatamente).
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio, Gabriele, Morte
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Dilogia sotto le stelle'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Aziraphale rimase inebetito a fissare il vuoto per chissà quanto tempo. Si sfiorò la fronte più volte, quasi riassaporando il tocco di quelle labbra sottili che si posavano sulla sua pelle gelata. Avrebbe voluto racchiudere quel leggero calore e conservarlo prima che sparisse, in modo da stringerlo a sé durante il breve periodo di solitudine.

Era stato strano. Uno "strano" positivo, però.

Si rese conto che non gli dispiaceva affatto. Si ritrovò a sorridere e, in parte, a ridere di sé stesso. Si era sempre auto-considerato un solitario, e in effetti era sempre stato un amante della calma, della privacy e del tempo per sé. E adesso? Adesso stava disperatamente sperando nel tocco e nei baci dell'altro.


La verità era che - non appena Crowley era uscito, il freddo, il bruciore e il dolore avevano ripreso a martellarlo. Forse avrebbe dovuto chiamarlo: in fondo, era l'unica cosa che gli era stata chiesta di fare.

Ma no: il demone si era spinto nel cuore di quella nottata inusuale per indagare ed aiutarlo. Mentre lui, ridotto ad uno straccio, poteva solo starsene lì a soffrire nella sua assurda posizione. L'ultima cosa che voleva era mettersi a piagnucolare. Seppur non più del tutto, era pur sempre un angelo: era abbastanza forte da sopportare la situazione per un po'.

O almeno, così sperava.

Si chiese se alla fine - fermo restando che il disastro in cui si trovava fosse risolvibile, il processo si sarebbe effettivamente concluso con lui che faceva il fantomatico "giro di sotto". Una volta che hai iniziato a Cadere, puoi solo scendere, no?


Si passò le mani sulla faccia, avvolgendosi nelle ali e chiedendosi se non fosse il caso di distrarsi. Avrebbe voluto continuare a leggere il libro che aveva lasciato a metà, ma la sola idea di farlo comparire accanto a lui gli fece venire mal di testa. Si sarebbe accontentato di uno dei volumi già presenti nella stanza - anche se la maggior parte di essi erano stampati vividi nella sua memoria.

Con una lentezza terribile, si costrinse a sgusciare fuori dal letto per avvicinarsi ad un'ordinata pila di vecchi libri. Ne prese uno che non toccava da un po' e diede un'occhiata al di fuori: le stelle brillavano come nei suoi sogni, e il cielo era così bello e luminoso da contrastare terribilmente con il caos di gente confusa e ansiosa che si stava formando al di sotto. 

Preso dalla curiosità e dalla preoccupazione, aprì la finestra per osservare meglio l'andazzo ma l'aria fredda del primo inverno lo colpì così forte da costringerlo a richiudere le imposte e fare due passi indietro. Pessima, pessima idea.


Usando le sue ora perlacee ali come fossero un sostituto del plaid, Aziraphale tornò sotto le coperte, deciso a lasciarsi momentaneamente le circostanze alle spalle.

Per un po' ci riuscì. Era sempre bello perdersi tra le parole stampate, anche se non era nelle sue solite capacità di concentrazione e isolamento.

Capì di essere arrivato al limite quando si ritrovò a strofinarsi gli occhi stanchi. Non se ne stupì: ormai anche fare la minima azione era diventato faticoso. Muoversi era un dramma e i suoi pensieri, per qualche motivo, andavano sempre ad annidarsi in un angolino buio e tetro, dove iniziavano a sussurrargli che sarebbe stato meglio se fosse sparito. Senza di lui, il mondo avrebbe ricominciato a girare e le cose sarebbero tornate come prima; Crowley non si sarebbe più dovuto fare in quattro per nessuno, e Dio avrebbe smesso di essere tanto arrabbiata.

Fortunatamente, aveva un lato logico pronto ad arare quelle convinzioni. Prima di tutto, Crowley non lo vedeva come un peso; e dato che non sentiva più Dio, non poteva sapere se si fosse effettivamente alterata con lui. Le opzioni erano tutte aperte.


Guardò il cellulare, leggermente preoccupato. Vero era che Inferno e Paradiso avevano praticamente iniziato a temerli; nonostante ciò, Aziraphale decise che la prudenza non è mai troppa. Prese il dispositivo che tanto detestava e si mise faticosamente a scrivere:

    "Come sta andando?"

Aspettò pazientemente la risposta, poggiando l'aggeggio bluastro sul letto e raccogliendo le ginocchia. 

Rimase infagottato, circondato a sé stesso e avvolto nel silenzio. Alla fine si ritrovò involontariamente a pensare a quel bel cielo notturno. La figura che vedeva spesso nei suoi sogni e che tanto amava avere accanto: si chiese se non fosse Dio. Magari il suo essere martoriato lo stava spingendo a pensare che potesse ancora volergli bene.


    «Scusa, non volevo svegliarti.»

Oh, eccola. O "eccolo", non avrebbe saputo dirlo. Non faceva differenza: era così felice di sapere che fosse lì, con le mani sempre affondate nei suoi riccioli.

    «Torna a dormire, prometto che faccio piano questa volta.»

C'erano le nuvole sotto di loro e le sue ali erano ancora bianche. Perché tornare alla realtà quando lì si stava così bene? 

    «Non preoccuparti,» si ritrovò a rispondere. 

Sorrise mentre la figura riprendeva ad accarezzargli la testa con amore. Sì, voleva restare lì per sempre.

Ma nulla è per sempre.

Quando quel dolce tocco sparì, al suo posto arrivarono una serie di clangori. Sembravano spade che cozzavano, seguite da urla lancinanti di rabbia e dolore.

Era solo.


Si svegliò di colpo, senza capire quando si fosse addormentato in primis.

Era finito di schiena sul cuscino, e tanto gli era bastato per balzare a sedere, subito colto dal lancinante e ormai familiare bruciore alla schiena.


Come se non bastasse, il cellulare stava squillando. 

Ancora mezzo confuso, l'angelo lo prese tra le mani tremanti e - con un respiro profondo di assestamento - rispose.


**


Non c'era angelo del Paradiso che non stesse andando in panico. Tutti non facevano altro che sbattere l'uno contro l'altro, strillarsi contro, gesticolare impazziti e mettersi le mani nei capelli. Era una scena meravigliosa: regnava il caos più totale e quegli stronzetti di bianco vestiti stavano finalmente assaporando un po'di sana giustizia.

Crowley faticò seriamente a smettere di ridere. Era troppo divertente: sembravano uno sciame di api impazzite. Davvero, quasi ci stava fare un video.


    «Smetti di fare l'imbecille!» Tuonò Gabriel, seppur standogli a qualche metro di distanza. Il suo timore era la ciliegina su quel disastro di torta, e rendeva il tutto ancor più esilarante.


    «Vedi di calmarti,» rispose il demone, ricomponendosi a stento. «Magari fossi stato io. Sembrate dei perfetti scemi.»

Se il suo inconscio fosse stato una persona, in quel momento avrebbe scosso la testa. 

    «Piuttosto, perché tanta confusione?»

Domanda stupida: c'erano abbastanza motivi per dare di matto. Ma dal preoccupare un solo arcangelo al far impazzire tutto il piano di sopra, ce ne voleva.


    Gabriel strinse i pugni. Era leggermente sbiancato, segno inequivocabile del fatto che la paura stava prendendo il sopravvento. «Scommetto che il tuo angelo non se n'è nemmeno accorto, vero? Sicuramente era troppo preso a ingozzarsi.»


Calmati.


    In effetti, il pugno che Crowley avrebbe voluto dargli poco prima aveva già iniziato a formarsi, sbiancandogli le nocche: «Bada a come parli, Gabe. Ricorda chi hai davanti,» disse, enfatizzando l'ultima parte con un sibilo.


    «Le tue sguazzate nell'acqua santa sono l'ultimo dei miei problemi, bestia!» Esplose l'arcangelo, ormai nel panico come il resto dei suoi sottoposti. «Dio è sparita!»


Quelle tre parole piombarono addosso al demone come un meteorite. Rimbombarono come un eco, infrangedosi in mille pezzi per poi ricomporsi e tornare ad espandersi come un palloncino pronto a scoppiare.

    «Come sarebbe a dire?!» Esclamò.


    «Mi hai sentito. Nemmeno il Metatron sa che pesci pigliare!»

Come se quelle parole fossero state una specie di formula magica, le luci dell'attico iniziarono a sfarfallare. L'intermittenza portò le urla ad intensificarsi, poi si stabilizzò, lasciando il Paradiso un po' più al buio.

    «E chi credi che prenderà la palla al balzo?» Continuò Gabriel, gli occhi ora più lilla che altro. «I tuoi ex-colleghi, ecco chi.»


La mente di Crowley prese a galoppare - anzi, no; prese a sfrecciare come una macchinina degli autoscontro, andando a sbattere a destra e a manca nella sua testa. Ora tutto era chiaro: sembrava che l'intera esistenza avesse perso un pezzo perché era proprio così. Non era una metafora, era la pura realtà.

L'universo era ridotto ad un orologio senza meccanismi, ad un corpo senza cuore o una testa senza cervello. E tutto ciò che Lei pensava in cielo, si riversava sulla Terra: tutto era influenzato dalle Sue intenzioni. Il giorno e la notte si alternavano grazie a Lei, e il suo angelo-

Doveva tornare da lui.

    «Beh, Gabe, mi dispiace per voi,» disse, cercando di liquidare l'arcangelo. «Ma io non c'entro niente.»

Fece per fare dietrofront, ma l'altro lo afferrò di nuovo.


    «Non sei di certo venuto qui per una riunione di famiglia, no?»

Nel tono di Gabriel si sentiva ora una punta di scherno. Quel dannato deficiente si meritava una sberla ora più che mai.

    «È successo qualcosa, non è vero? Da quando tu e Aziraphale non girate appiccicati l'uno a l'altro, eh?»


Non farlo.


    Con uno strattone, Crowley si liberò da quella stretta forte e viscida. «Non sono cazzi tuoi.»


Gabriel scosse la testa. Sembrava esattamente come il demone lo aveva visto il giorno dello scambio: se la stava facendo sotto, mantenendo però la sua plastica compostezza. Aveva persino lo stesso cazzo di sorrisetto irritante che si ergeva sopra la sempre più crescente preoccupazione.

    «Non mi stupirei nello scoprire che ci avete condannati tutti, fermando l'Apocalisse. Avete fottuto l'intero Paradiso solo per scambiarvi qualche bacetto.»


Ti prego, no.


Niente da fare: quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Finalmente il pugno riuscì ad atterrare proprio sul naso dell'arcangelo, spedendolo a terra e riducendolo ad un'agonizzante figurina grigia che grondava sangue dalle narici.

    Crowley non si era mai sentito meglio in vita sua. «Te l'avevo detto che non erano cazzi tuoi.»

Detto ciò, tornò indietro, passando in mezzo al caos come se questo non esistesse.


Le sue gambe si muovevano da sole, spinte da quella che si rese conto essere l'effettiva gravità della situazione. Su una cosa mister stronzetto aveva ragione: se Dio non c'era, a farla da padrone restava solo la sua controparte non esattamente benevola. Gli venivano i brividi solo al ricordarlo mentre usciva fuori dall'asfalto della base aerea di Tadfield. 

Non appena anche solo un demone si fosse accorto della situazione, tutto sarebbe inevitabilmente crollato nel giro di poco tempo. La Terra sarebbe caduta in mano al male assoluto e le parole di Nietzsche avrebbero avuto un senso: "Dio è morto".

Ma Dio è immortale per definizione, no? Non può semplicemente sparire e lasciare i suoi angeli alla mercé del caos, del sangue e del dolore. O meglio: per quel che gli riguardava, poteva anche farli cadere, farli soffrire tutti.

Tutti tranne uno.


A quel punto, fare una capatina all'Inferno era fuori discussione. Volò in macchina e tirò fuori il cellulare; un ipotetico colpo al cuore accompagnò la notifica di un messaggio non letto.

    "Come sta andando?"

Ovviamente Aziraphale era preoccupato. Non era passata che una mezz'oretta, ma - di nuovo - l'idea di avvicinarsi ai quartier generali non era mai allettante. Anzi, dopo quella faccenda, Crowley era adesso convinto al cento per cento di non volercisi più avvicinare. Mai, mai, mai più.


Decise di far partire una chiamata. Mise il vivavoce, partì e pregò, beh... Qualcuno, che l'angelo rispondesse. 


Tranquillo.


    Con un paio di fruscii, la risposta arrivò. «Hai fatto?» Chiese una voce rauca, stanca e sofferente.


    «Già e ho una notizia sia buona che terrificante. Passo a prendere quelle cose e arrivo, ok?»

Mentre parlava, si chiese come avrebbe fatto a spiegare il fatto senza mandare il poveretto in paranoia.


    «Va bene. Non traumatizzare la poveretta: dev'essere rimasta scombussolata da tutto quello che sta succedendo.»

Figurati se l'angelo non si metteva a preoccuparsi della salute mentale della pasticcera. Non era di certo lei quella ferma a letto con le spalle in fiamme, accidenti a lui.


    «Farò del mio meglio,» rispose Crowley, alzando gli occhi al cielo. «Sembri distrutto. Cosa c'è?»


    «Il solito,» rispose l'altro. Stava ovviamente facendo il vago, e la cosa non andava affatto bene.


    «Quando torno mi dici tutto,» impose. «Va bene?»

Svoltò verso la pasticceria, scoprendola incredibilmente aperta. Era anche bella affollata: gli umani si stavano decisamente riunendo alla ricerca di protezione e conforto, soprattutto nei posti che normalmente usavano per incontrarsi e prendersi qualcosa di buono. Presto il mondo non avrebbe parlato d'altro che di quello strano ed inquietante fenomeno, e il demone non sapeva se preoccuparsi del caos che si sarebbe creato, o fare appello alla capacità che l'umanità aveva sempre avuto di adattarsi alle situazioni. Il problema è che adattarsi alla notte era una cosa; sopravvivere ad un mondo in mano al male, beh...


    «Va bene, anche se il tuo tono mi preoccupa,» aveva risposto Aziraphale nel frattempo. «A dopo.»


    «A dopo. Faccio presto.»

Chiuse la chiamata e andò a fare quel che doveva.


    L'umana che gestiva il posto lo conosceva bene. Anzi, quando lo vide entrare si mise una mano sul cuore, preoccupata: «Signor Crowley, sono felice di vederla, sa? Ha visto che sta succedendo?»

Il demone non poté che stare al gioco, sfruttando la situazione per chiederle se - magari - non potesse riempire leggermente di più il solito vassoio. Inutile dire che bastò nominarle il suo dolce e gentile cliente preferito per farla sorridere e convincerla che sì, certo che poteva mettere due pasticcini in più. E poi - oh? Si era ammalato? Povero caro. Certo che poteva abbassare un po' il prezzo; in fondo era una situazione particolare.

Altro che "traumatizzare", era stato anche fin troppo facile. 


Dannata nottata e ancor più dannata mezza Caduta. Se non fosse stato per loro, il pugno a Gabriel e il profumato sacchetto sul sedile del passeggero avrebbero reso quella giornata semplicemente perfetta. 


Non avresti dovuto.


    «Ma finiscila. Se lo meritava ed era da troppo tempo che volevo farlo. E poi che vuoi che sia? Si sarà già curato a quest'ora.»

Arrivò a Soho, parcheggiò quasi finendo con una ruota sul marciapiede e scese con il suo fumante bottino tra le mani. 

Ad un passo dall'entrata della libreria si bloccò. Aveva di nuovo parlato ai suoi pensieri, vero? Si chiese se esistesse uno psichiatra infernale, perché ne aveva decisamente bisogno.


Dovresti provare ad ascoltare.


    Con uno sbuffo, aprì la porta. «Ascoltare chi, te? No, grazie. Anzi: se sparissi mi faresti un piacere.»


Capiresti.


    «Come ti pare.»

    Salì agilmente gli scalini ed entrò nella cameretta al piano di sopra. «Indovina chi è riuscito a farsi dare due dolci in più?»


    Sul letto, Aziraphale si strofinò gli occhi e sorrise: «Davvero?» Chiese. Poi si fece improvvisamente serio: «Non l'hai spaventata o che, vero?»


    «Ma se era aperta,» spiegò Crowley aprendo la busta e iniziando ad avvolgere uno dei pasticcini in un tovagliolo che prima non era assolutamente lì. «E ti saluta. Quando le ho detto che ti sei beccato "l'influenza" si è messa a chiedermi se non fosse il caso di esagerare con lo zucchero a velo.»

Sul serio, però: era una fortuna che nessuno di loro due potesse avere il diabete. O la carie. O un infarto, a quel punto.


    L'altro tornò a sorridere: «È sempre così gentile. Devo andare a ringraziarla quando posso.»

Vederlo stare bene fece andare Crowley in brodo di giuggiole. Quella facciotta soddisfatta era un raggio di sole tra le nubi, letteralmente: la vera forma di Aziraphale era composta perlopiù da luce, e alle volte - quando l'angelo era particolarmente felice - poteva quasi vederla. A proposito: forse avrebbe dovuto controllarla, ma glielo avrebbe chiesto più tardi. Ora voleva solo che si godesse la colazione in pace.


Prima di accomodarsi alla solita sedia, andò velocemente a preparare il tè e tornò al suo posto, assicurandosi di mettere l'altro il più possibile a suo agio.

    «Tutto bene?» Chiese, più spesso di quanto avrebbe voluto. 

Ad ogni "mhmh" detto a bocca piena ed ogni annuire, l'ansia si fece meno stretta.

In ogni caso, le domande di rito erano d'obbligo: schiena? In fiamme, ok. Mani? Ghiacciate, e la tazza bollente non sembrava aiutare. Petto? Dolorante, va bene. Quella ferita era ancora in cima alla lista di: "cose da tenere assolutamente d'occhio".

    «Hai dormito?»

Lui lo sapeva meglio di chiunque altro che, quando hai un problema, dormirci su è la migliore delle soluzioni - soprattutto se il secolo che stai vivendo ti fa schifo e hai voglia di saltarlo del tutto. All'angelo la pratica non era mai piaciuta: lo costringeva ad abbassare completamente la guardia e non se lo poteva permettere; o almeno, così gli aveva sempre detto.


    Aziraphale annuì mesto: «Sì, credo di aver avuto un mezzo incubo.»


    «Beh, quando capita a me ti costringo a sorbirti tutte le mie lamentele. Ora puoi vendicarti,» scherzò Crowley, nonostante la notizia l'avesse effettivamente turbato. Ci mancava solo che il suo angelo non riuscisse a riposarsi.


    L'altro fece una mezza risata: «Magari dopo. A te com'è andata?» Chiese, strofinandosi le braccia. «Da quel che ho capito, non è una situazione semplice, eh?»


Non che si aspettasse il contrario. Nessuno dei due se l'aspettava - ma adesso che era costretto a scendere nuovamente a patti con la situazione, il demone si sentì schiacciato dal peso della paura. L'angelo era imprevedibile: e se si fosse spaventato? Già il crollo emotivo che aveva avuto prima che si separassero non era stato un buon segno.

Non sapeva nemmeno come iniziare la conversazione. "Ehi, lo sai che ho dato un pugno in faccia al tuo ex-capo?"


Meglio di no.


    «Beh,» disse infine. «Cerchiamo di metterla sul piano positivo. Dio non manca in te: manca dappertutto.»

Wow. Era quello il piano positivo? Che schifo.


Aziraphale sbarrò gli occhi. Per un po' non disse niente: si mise semplicemente a fissare il vuoto, la fronte che si corrugava e stendeva a ritmo dei suoi pensieri. Aveva preso a giocherellare nervosamente con una piuma, abitudine che di solito riversava sui bottoni della giacca quando il nervosismo se lo mangiava. 

    «Come sarebbe a dire?» Balbettò infine.

Una sottile striscia rossastra gli si era formata tra gli occhi e le palpebre, segno inequivocabile che stava per mettersi di nuovo a piangere.

    «E dov'è, allora?»


    Crowley scosse il capo, armandosi dell'ormai immancabile pezza bagnata. «Non lo so. So solo che ha lasciato il Paradiso in subbuglio, la Terra al buio e te a soffrire.»

Per un attimo, sentì quella maledetta vocina fare capolino da qualche parte nella sua testa, ma - per la prima volta da quand'era comparsa - riuscì a ricacciarla indietro.


    «Ma non ha senso,» continuò l'altro, con un filo di voce. «Non ha nessun senso. Non lo farebbe mai,» una striscia bordeaux e oro rotolò giù per la sua guancia. «Dev'esserLe successo qualcosa.»


    Ripulendolo, il demone lo circondò con un braccio: «Può essere,» rispose, non del tutto convinto. Dio era capacissima di lasciare il mondo in mano a chi ci viveva. Aveva un modo di fare tutto Suo e nessuno riusciva a capire quale fosse, ma soprattutto: aveva la brutta abitudine di fare le cose senza spiegarle.

Crowley se lo ricordava bene. 

    «Beh, però,» aggiunse, «Questo significa anche che non sei tu il problema.»


    Aziraphale si sciolse nella sua stretta, poggiandosi a lui come fosse l'unica colonna portante del pianeta. «Ne sei sicuro?» chiese tristemente.


    «Sicuro? Ne sono sicurissimo, angelo. Ne sono dannatamente sicuro.»

Per quanto fossero solo parole, sembrarono fare effetto. Tanto bastava, per il momento.

    «Ah, sai che ho dato un pugno in faccia a Gabe?»


Crowley.

Cosa? È il modo migliore per risollevare l'atmosfera.


    Dopo un paio di secondi di silenzio, Aziraphale si portò una mano alla bocca, soffocando una risata: «Davvero?» Chiese. Aveva quell'espressione da: "Non dovrei ridere: dovrei dirtene quattro. Ma ammetto che immaginare la scena è stato fantastico".


Crowley: uno, voce rompi palle: zero.


    «Già,» ammise il demone, trionfante. «Situazione a parte, è stato divertente. Magari la prossima volta impara a lavarsi la bocca con il sapone.»


    «Oh, no.» L'angelo mise su un'espressione contrariata, rimettendosi composto e guardandolo serio: «Perchè, che ti ha detto?»


Ci volle un po' per convincerlo che, davvero, non era niente. Era adorabile quando faceva così: pronto a mettersi contro chiunque provasse a dire "cose poco carine" al suo demone. Tranne quando si arrabbiava davvero: lì sì che faceva paura, accidenti. Mai far arrabbiare un angelo: essere inceneriti dalla luce divina è una fine che nemmeno la peggiore creatura dell'universo si meriterebbe.


Alla fine, decisero che avrebbero pensato a qualcosa verso sera. O meglio, lo decise Crowley.

Aziraphale avrebbe voluto sistemare le cose il prima possibile, ma ogni goccia di sangue che versava lo riduceva in briciole. Quelle poche lacrime non erano state da meno: non faceva altro che passarsi le mani sugli occhi e si vedeva che al momento pensare era off-limits per lui.

Farfugliò qualcosa sul fatto che non avevano tempo, che chissà cos'avrebbero fatto al piano di sotto. E aveva ragione, aveva assolutamente ragione, come sempre.

Alla fine si addormentò di nuovo. 


Questo posto è sicuro.


    «Se parli della libreria e dei demoni, sì: non possono entrare. Tranne me, chiaro. Piccola protezione che ho voluto-»

Ecco, l'aveva fregato di nuovo.

    «Non ti avevo chiesto di sloggiare?»


Non posso. Devi ascoltarmi.


    «Passa quando tutto questo sarà finito, allora.»

Ancora non era sicuro di cosa si trattasse; se fosse tutto frutto della sua immaginazione - assolutamente possibile - o se fosse effettivamente qualcos'altro... o qualcun altro.

Nah. I demoni posseggono, non vengono posseduti. Non che impazzire completamente fosse un'idea altrettanto allettante...


Si mise distrattamente a giocherellare con i riccioli dell'angelo. Era quasi rilassante, e poi: segretamente aveva sempre voluto farlo. 

Passò lentamente le dita in mezzo a quelle volute bianche e perfette, chiedendosi perché quei gesti gli sembrassero così familiari e rassicuranti. Magari era solo una sua impressione; un modo per sentirsi meglio in mezzo al marasma che stava avvenendo attorno a loro.


È bello, non è vero?


Lo era. Lo era davvero.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: Neamh Moonstar