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Autore: laisaxrem    28/12/2021    1 recensioni
Un gruppo di nukenin ha tentato di assassinare Gaara... due volte. Per catturarli prima che ci tentino per la terza volta, il Kazekage chiede supporto a Konoha. Kakashi decide immediatamente di mandare degli ANBU a sostegno di Suna ma, a causa della mancanza di un numero sufficiente di iryō-nin, è costretto a chiedere a Sakura di entrare temporaneamente negli ANBU.
Genere: Angst, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Genma Shiranui, Sabaku no Gaara, Sakura Haruno, Yamato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'This Is Us'
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Chapter 3: Ride with the Moon in the Dead of Night

 

DATA: Venerdì 15 Gennaio 1681

TITOLO: This is Halloween - Marilyn Manson

 

Yamato-taichō suonò alla sua porta alle 16:00 in punto, proprio come aveva annunciato la sera precedente e Sakura gli aprì immediatamente chiedendogli di attendere un attimo mentre controllava per l’ultima volta di aver chiuso tutte le finestre e svuotato il frigorifero, poi uscirono e Sakura chiuse la porta alle sue spalle con quel brivido che la percorreva sempre quando partiva per una missione pericolosa.

Non si soffermò troppo a pensarci e seguì Yamato giù per le scale. Entrambi, notò, indossavano la classica divisa da chūnin di Konoha e si diressero al Quartier Generale dei jōnin in un quasi totale silenzio, lo zaino in spalla, le armi che tintinnavano leggermente nelle sacche. Era una condizione stranamente rassicurante.

Mentre saltavano da un tetto all’altro, Sakura si trovò di nuovo immersa nei propri pensieri, proprio come era stato negli ultimi due giorni. In particolare il suo pensiero fisso erano gli ANBU e se quella missione poteva essere l’inizio di una sua permanenza definitiva nelle Squadre Speciali.

Non è che non ci avesse mai pensato, in passato, anzi. C’era stato un periodo, dopo il ritorno di Naruto, dopo il blitz fallimentare nel covo di Orochimaru, in cui aveva considerato l’idea di unirsi agli ANBU.

Tsunade-shishō non aveva praticamente più nulla da insegnarle come iryō-nin e trovarsi faccia a faccia con Sasuke l’aveva sconvolta e indotta a rivalutare i progressi che aveva fatto negli ultimi anni. L’idea di unirsi agli ANBU era nata una notte in cui non riusciva ad addormentarsi. Era da sola nella sua casa di famiglia (i suoi genitori erano tornati per l’ennesima volta a Hana no Kuni, dove risiedeva buona parte del clan Haruno, e le avevano chiesto di passare qualche notte ogni tanto in casa loro per occuparsene), cosa che non le dispiaceva affatto. Si era concessa un lungo bagno nell’enorme vasca (probabilmente la cosa che le mancava di più da quando era andata a vivere nel suo appartamento da chūnin) e poi si era seduta sul letto della sua vecchia camera con solo un paio di slip addosso e in grembo un romanzo che aveva appena comprato in libreria. I suoi genitori sarebbero inorriditi nel vederla così; ritenevano sconveniente per una giovane di buona famiglia come lei dormire praticamente nuda… il che lo rendeva ancora più appetibile. Quando ancora viveva lì era libera di mettersi comoda solo quando loro erano fuori casa per qualche festa o per qualche viaggio d’affari fuori dal Villaggio.

Comunque quel giorno aveva letto ben poco, del suo romanzo, troppo persa nei suoi pensieri e nell’analisi degli avvenimenti. Era stato in quell’istante che le era passato per la mente l’idea di entrare negli ANBU. Sapeva che il tipo di addestramento che veniva seguito dai membri della Squadra Speciale era completamente diverso rispetto a quello dei normali shinobi di Konoha e per un momento aveva pensato che potesse darle quel che le mancava per raggiungere finalmente Naruto e Sasuke e per riportare a casa il ragazzo che amava.

Ne aveva anche parlato con Tsunade, qualche giorno dopo, sperando che la sua shishō le desse gli ultimi pezzi del puzzle che l’avrebbero convinta a compilare la domanda. Ma Tsunade l’aveva guardata un attimo, aveva scosso il capo ed era tornata a lavorare con un semplice “se questo è ciò che vuoi”. Sakura aveva chiesto spiegazioni quella stessa sera, a cena da Tsunade e Shizune (passava così tanto tempo a casa loro che una delle stanze in più era diventata sostanzialmente sua), chiedendo cosa le mancasse per poter diventare un ANBU e la sua shishō l’aveva guardata, gli occhi lucidi per l’eccesso di alcool. E poi aveva detto una cosa che Sakura ancora serbava gelosamente nel cuore. “Non ti manca niente, ragazzina, niente. Ti ho addestrata io, dopotutto”, aveva grugnito, gli occhi ambrati piegati in un’espressione decisa. “Saresti un’ottima aggiunta per gli ANBU. Ma non è quella la strada giusta per te… E non è così che riporterai a casa quell’idiota di un Uchiha. Ma se davvero vuoi diventare un ANBU io ti sosterrò”.

Sakura aveva riflettuto su quelle parole per giorni mentre scrutava il modulo per la richiesta di assegnazione agli ANBU… ed infine l’aveva gettato via per poi correre al Campo d’Addestramento dove Lee e Tenten la attendevano per la loro sessione settimanale di taijutsu. Non ci aveva più pensato da allora (il fatto che meno di un anno più tardi era scoppiata la Quarta Guerra Ninja aveva assorbito leggermente la sua attenzione).

Il suo rimuginare s’interruppe quando giunsero al Quartier Generale dei jōnin e Sakura seguì Yamato fino all’entrata segreta. Attraversato il tunnel percorsero i corridoi che già le sembravano fin troppo familiari ed arrivarono nella stessa stanza della sera precedente. Stavolta però c’erano solo due persone al suo interno.

«Ehi, Rosina! Ben tornata», l’accolse l’uomo che era stato esaminatore durante il suo primo esame Chūnin.

«Genma-san», lo salutò lei, chinando appena il capo mentre seguiva Yamato all’interno e si chiudeva la porta alle spalle.

«Oh, su, su, chiamami solo Genma», l’incitò lui con un sorriso. «Mi fai sentire vecchio»

«Tu sei vecchio, Shiranui», giunse la risposta di Yūgao che occupava l’armadietto alla sua destra.

Sia lei che Genma si stavano cambiando e notando che anche Yamato stava procedendo a levarsi la divisa ordinaria, Sakura scelse uno degli armadietti vuoti e iniziò a fare altrettanto, piegando con cura il gilet e la maglia a maniche lunghe per poi indossare la maglia e l’armatura leggera distintiva degli ANBU. Fino a qualche anno prima si sarebbe sentita in imbarazzo a spogliarsi davanti al suo taichō e a due sconosciuti, ma quei tempi erano finiti già da un pezzo.

Quand’ebbe finito riordinò i suoi abiti e li ripose con cura sul ripiano di legno dell’armadietto. Quando si voltò aveva gli occhi di Yūgao e Genma su di lei… bè, sulle sue braccia, e Sakura non sapeva se stessero guardando i muscoli o le cicatrici.

«Gli allenamenti con Tsunade sono davvero tosti come pensavo eh», constatò lei, occhieggiandola come se non volesse fare altro che punzecchiarle i bicipiti con un dito (e Sakura si sentì arrossire un poco).

«Però il culo che fanno venire è da primo premio», l’uomo fischiò e le strizzò l’occhio. «E mi farei volentieri schiacciare contro il muro da quelle braccia».

«Genma, cosa ha detto Kakashi-senpai riguardo al modo di rivolgersi ai colleghi?» giunse il rimprovero di Yamato che si avvicinò a Sakura con una spada corta stretta in mano. «Questa è la tua ninjatō», disse, porgendogliela.

«Non sono per niente abile con le armi da taglio», confessò Sakura senza prendere l’oggetto. Sapeva di dover mettere in chiaro ogni suo punto debole se voleva collaborare al meglio con i suoi nuovi compagni.

«Non importa. Molti di noi non lo sono ma è comunque parte della divisa e scoprirai che può salvarti la vita, in certe situazioni».

«Speriamo che non lo scopra, eh taichō?» ribatté Yūgao, facendole l’occhiolino.

«Sì, speriamo», concordò lui con un sospiro. Ma tutti loro sapevano che era una possibilità da non trascurare. «Allora, abbiamo solo pochi minuti per prepararti. Ascolta con attenzione».

«Yosh!»

***

Alle 16:30 precise la porta si aprì su quattro ANBU in divisa completa, la maschera in mano ed uno zaino in spalla. Sakura ricevette un’altra serie di occhiatacce da Hinoto e Tatsu ma l’arrivo di Kakashi e Shikamaru rese più facile ignorarle.

L’Hokage li scrutò uno ad uno, con calma, prima di parlare.

«Non abbiamo ricevuto aggiornamenti rispetto al briefing di ieri, perciò otterrete nuove informazioni solo quando giungerete a Suna», comunicò loro, ed una punta di fastidio era evidente nel suo tono di voce calmo. «Mi aspetto rapporti regolari secondo il protocollo. Il Kazekage ha garantito che avrete una zona del palazzo a vostro uso esclusivo in cui potrete avere tutta la privacy che vi serve, ma al di fuori di quel luogo dovrete seguire le regole di segretezza. Tanuki, sei stata informata riguardo i protocolli?» chiese Kakashi, fermando lo sguardo su di lei.

«Sì, Hokage-sama», rispose lei, formale.

Non era proprio tutta la verità, ma Yamato-taichō aveva detto che le avrebbe spiegato il resto durante i tre giorni di viaggio verso Suna. Ovviamente le aveva spiegato le cose fondamentali, come i gesti in codice tipici degli ANBU, o i protocolli in caso di attacco di un nemico lungo la strada, ma il resto sarebbe venuto man mano.

«Bene», annuì Kakashi, poi tornò a rivolgersi a tutta la squadra. «Allora radunate le vostre cose e partite».

«Hai!»

«Buona fortuna».

***

Quando si lasciarono alle spalle le mura del Villaggio, il sole era già tramontato e l’oscurità avanzava rapida nascondendo la loro corsa. Era tipico degli ANBU viaggiare il più possibile di notte e le missioni durante i mesi invernali garantivano loro più tempo per agire con il favore delle tenebre. E vista la natura di quella missione particolare, Sakura pensò che era una fortuna.

Certo, questo voleva dire anche un maggiore rischio di infortunio e quindi la necessità di tenere un passo di marcia più contenuto, ma erano bastati poco più di cinquecento metri per far capire a Sakura che sarebbe rimasta indietro rispetto ai suoi compagni, se non avesse fatto qualcosa.

Perciò, mentre balzava da un ramo ad un altro, Sakura concentrò un po’ del suo chakra negli occhi. In pochi secondi la sua vista si schiarì, come se una lampada fosse stata accesa nel bosco. Non era come correre alla luce del sole ma era sufficiente per farle allungare il passo.

Yamato doveva essersene accorto perché accelerò appena il ritmo e Sakura sorrise.

***

Corsero per più di quindici ore, facendo solo una manciata di brevi pause per reidratarsi ed ingollare una barretta energetica. Infine, quando il sole era ormai alto sopra l’orizzonte, Yamato segnalò loro di fermarsi.

Erano ancora nella foresta, nel mezzo del Paese del Fuoco, perciò il rischio di incontrare qualche minaccia era relativamente basso, ma appena il loro taichō scelse il posto in cui si sarebbero accampati, Yūgao e Rō si affrettarono ad applicare tutte le misure di sicurezza necessarie e tutti iniziarono a sistemarsi per le poche ore di riposo che si sarebbero concessi.

Alla luce del sole Sakura scrutò i suoi compagni e fu allora che notò che Tatsu stava evitando di utilizzare la mano destra nonostante fosse la sua mano dominante.

«Hayabusa, ti sei ferito?» gli chiese avvicinandosi e stendendo la mano per afferrargli il braccio… che venne tolto rapidamente dalla sua traiettoria.

Sakura guardò l’uomo sollevando le sopracciglia (non che lui avrebbe potuto vedere la sua espressione infastidita, visto che indossavano la maschera).

«Hayabusa», giunse la voce di Ichiro. «Sento odore di sangue. Falle dare un’occhiata».

«Sì, taichō», borbottò lui e le porse il braccio, che Sakura afferrò immediatamente.

«Bè, cazzo», imprecò mentre iniziava a far scorrere il chakra nel corpo di Tatsu.

«Cosa c’è?» chiese Yamato, che le fu accanto in pochi istanti.

«Niente, sta esagerando, è solo una scheggia», minimizzò l’ANBU, scrollando le spalle e trattenendo malamente un sibilo. Bè, certo che gli faceva male. Quello stupido idiota.

«Avresti dovuto chiedere immediatamente l’assistenza di Tanuki. Sai bene che si possono infettare», lo rimproverò il loro taichō. «Sarebbe quella? È piuttosto grande», chiese, evidentemente riferendosi alla dozzina di millimetri di legno che spuntavano dalla pelle di Hayabusa.

Sakura scosse il capo.

«Quella è solo la parte visibile, il resto è penetrato nei tessuti», sibilò mentre continuava ad usare il chakra per analizzare la situazione. «Da quant’è che ti sei ferito?» chiese, alzando gli occhi sull’uomo che fremeva sotto alle sue mani.

«È solo una scheggia», ripeté lui in un borbottio.

Innervosita, Sakura strinse appena il braccio e al contempo spinse il chakra più a fondo, senza preoccuparsi di farlo con delicatezza, sospingendo leggermente verso l’esterno la scheggia. Tatsu sobbalzò.

Yamato mosse il capo per fissarlo per poi rivolgersi a lei.

«Hai detto che è solo la parte visibile?»

«Sì. Sono circa quindici centimetri… Mmm… Facciamo diciotto».

«Che diavolo… Puoi estrarla senza dover operare?»

Lei annuì. Non che fosse la procedura classica o la migliore, ma erano in missione e avrebbero dovuto accontentarsi. Perciò sibilò a Tatsu di restare immobile e procedette ad avvolgere la scheggia di legno con il suo chakra per evitare che durante l’estrazione si spezzasse. Una volta che si fu assicurata che non ci fossero altri pezzi di legno più piccoli piantati nella carne, Sakura afferrò l’estremità che sporgeva e tirò lentamente mentre con l’altra mano bloccava il braccio tremante di Tatsu. Quando anche l’ultimo millimetro fu estratto dalla palle, Sakura controllò di nuovo che non ci fossero resti di legno o di sporco e poi sigillò la piccola ferita che aveva iniziato a sanguinare.

Nel frattempo il resto della squadra si era avvicinata e quando Sakura buttò a terra la scheggia Genma fischiò.

«È praticamente un senbon taglia media», constatò, chinandosi per afferrare l’oggetto. Aveva sollevato la maschera sulla testa, quindi la sua espressione a metà tra l’incuriosito e il disgustato era chiaramente visibile a tutti.

«Potrà utilizzare il braccio?» chiese Ichiro, anch’egli senza maschera, che scrutava il suo sottoposto con un po’ di fastidio.

«Sì. Ho curato i tessuti e ripulito la ferita. Non avrà conseguenze», assicurò Sakura, prima di alzare la testa per guardare Tatsu (perché erano tutti così dannatamente alti?). «Ma lascialo riposare fino alla partenza. E la prossima volta interrompi la corsa, cazzo», aggiunse in un borbottio, andando a posizionare il suo sacco a pelo accanto a quello di Yūgao.

***

Mangiarono insieme, accompagnando le barrette energetiche con una semplice (e un po’ insipida) zuppa fatta con erbe e funghi che avevano trovato nel sottobosco.

«È ora di dormire. Tanuki ed io faremo il primo turno di guardia», annunciò Yamato quando tutti ebbero finito il pasto. «Hihi e Marēyamaneko il secondo, Uma e Tora il terzo e concluderanno il giro Tsuru e Hayabusa».

Sakura annuì. Sapeva che i turni di guardia in una missione ANBU erano tipicamente da due ore ciascuno; ciò significava che avrebbero dormito circa sei ore a testa e sarebbero stati pronti a ripartire prima che facesse buio, dopo aver mangiato di nuovo.

Appena ricevuti gli ordini, gli altri sei iniziarono a prepararsi per dormire… Bè, sostanzialmente posizionarono le armi accanto e sotto al loro giaciglio, per poi accoccolarsi nei sacchi a pelo. Sakura fece a malapena in tempo ad andare a sedersi accanto al fuoco con Yamato, che un russare lieve si levò nella quiete della foresta.

«Dannato. Come fa a dormire così?» borbottò Yūgao, lanciando un’occhiataccia a Genma mentre si rigirava un po’, nascondendo la testa sotto al tessuto imbottito.

Sakura trattenne la risata ed estrasse dalla sacca che portava legata in vita un libro arancione.

Non ebbe bisogno di guardarlo per sapere che Yamato aveva inarcato le sopracciglia.

«Icha Icha Paradise? Davvero?» sussurrò, mentre i respiri dei loro compagni iniziavano a farsi più pesanti.

Sakura scrollò le spalle.

«Ci sono pochi libri abbastanza piccoli da poter essere portati in una missione di questo tipo», spiegò mentre apriva il volume e posava il segnalibro sulla roccia accanto a sé. «E poi è un buon intrattenimento per riscaldare una fredda giornata di Gennaio», aggiunse, scoccandogli un occhiolino e facendolo ridacchiare.

«Kakashi-senpai sarà contento di saperlo».

«O forse no, perché non lo saprà mai, giusto?»

«Non posso fare promesse».

Sakura gli lanciò un’occhiataccia ma all’ennesima risatina scrollò le spalle e tornò a leggere mentre Yamato iniziava a pulire meticolosamente le armi che aveva con sé.

Era passata poco più di mezz’ora quando Sakura sollevò gli occhi dal suo libro ed iniziò a scrutare il suo taichō cercando di decidere se porgli la domanda che moriva dalla voglia di fargli.

Infine cedette, chiudendo Icha Icha e posandoselo sulle gambe.

«Yamato-taichō, posso farti una domanda un po’ personale?» iniziò piano, tenendo la voce bassa per non svegliare gli altri.

L’uomo sollevò lo sguardo dal kunai che stava affilando e qualcosa di simile al panico gli percorse rapidamente i grandi occhi a forma di mandorla.

«Certo», disse infine in tono piatto.

«“Tenzō” è il tuo vero nome?» chiese Sakura, ponendo la domanda che le frullava in testa da mesi. «Perché ho notato che Kakashi spesso ti chiama così e ho pensato che “Yamato” fosse solo un nome in codice», s’affrettò a spiegare sentendo dentro di sé la strana urgenza di giustificarsi in qualche modo.

«In effetti è così. Tsunade-sama mi ha assegnato questo nome quando ho dovuto accompagnarvi in quella missione nel Paese dell’Erba e poi è rimasto».

«Oh. E “Tenzō”…»

«Non è… propriamente il mio nome. È una lunga storia».

Sakura annuì ma non insistette. Sapeva della Radice e che Yamato ne era stato parte; sapeva di come Danzō avesse strappato loro di dosso ogni cosa, compresa la loro identità, e sapeva delle cicatrici mentali che questo aveva lasciato su ognuno di loro. Se l’uomo avesse voluto raccontarle la sua storia lei sarebbe stata felice di ascoltare, ma fino ad allora avrebbe accettato il silenzio.

«Posso chiamarti così anch’io?» chiese dopo qualche secondo e la sorpresa sul volto di Yamato era quasi comica.

«Non durante questa missione», s’affrettò a rispondere l’uomo, le guance che s’imporporavano appena.

Sakura sorrise. Ora capiva perché Kakashi si divertisse tanto a stuzzicarlo.

«No, ovviamente no… Ma quando siamo al Villaggio?»

L’uomo parve pensarci un po’ su mentre si rigirava in mano il kunai. Infine annuì brevemente con un: «Immagino di sì».

«Se ti mette a disagio non lo farò, assolutamente», s’affrettò a rassicurarlo Sakura. Non voleva superare una linea e ferirlo, davvero. «Perdonami, io –»

«Sakura», l’interruppe lui, posandole una mano sul braccio. «Ho detto che va bene. Non l’avrei detto se non fosse vero».

«Sicuro?»

«Sicuro».

Sakura sorrise e riprese a leggere mentre Yamato… Tenzō continuava ad occuparsi meticolosamente delle sue armi.

Quando svegliano Rō e Hinoto, poco più di un’ora più tardi, e i due presero il loro posto come sentinelle, Sakura si sdraiò nel suo sacco a pelo e nonostante la luce del giorno che filtrava tra gli alberi si addormentò in fretta.

 

  
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