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Autore: Pol1709    29/12/2021    2 recensioni
Bentrovati a tutti.
Questa storia è la continuazione de "Il Cavaliere e la Strega", ma si svolge nell'epoca di Oscar. Quest'ultima, dopo aver detto addio alla Guardia Reale, a Conte Fersen ed aver litigato con André (il famoso episodio della camicia strappata...) passa un periodo di riposo in Normandia prima di prendere il comando delle Guardie Francesi di Parigi. Lì viene coinvolta, a causa di una vecchia avversaria, nella caccia a una antica e potentissima arma, inseguita dagli agenti inglesi e affiancata da una antica nemica/amica.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Britannia – Primo secolo d. C.
La battaglia era stata persa. Era stato, a dire il vero, un massacro senza fine. Le legioni non si erano fermate nemmeno di fronte ai lamenti dei feriti e chi si arrendeva veniva incatenato in attesa di essere crocifisso. I resti della Nona Legione rastrellavano le campagne distruggendo villaggi e uccidendone indiscriminatamente gli abitanti. A Sud, dopo la notizia della vittoria del console Paolino, il generale comandante della Seconda Legione, che aveva disobbedito agli ordini di unirsi al resto delle truppe, si diede la morte gettandosi sul suo gladio. Il suo secondo, subito dopo aver ordinato la cremazione del corpo, diede l’ordine di muoversi verso Nord, per ricongiungersi al resto dell’esercito e prendendo, come Gavino aveva previsto, i britanni in una mortale tenaglia.
La Regina degli Iceni era morta. Gavino l’aveva trovata a terra, accanto al cadavere di Una e a quello di un ufficiale romano, ma, per non lasciare che il suo corpo venisse issato nell’accampamento nemico come un macabro trofeo, lui e un gruppo di fedelissimi l’avevano portata nel luogo, per il momento, più sicuro della Britannia: Avalon.
 
Gavino percorse il corridoio e si trovò in un’ampia sala senza tetto, vide in fondo una piccola figura in piedi attorniata da altre sacerdotesse e si avvicinò. Mise un ginocchio a terra e porse alla Dama del Lago una spada. La giovane Ailish strinse le labbra – E’ la spada della Regina? –
Lui annuì e lei, con un cenno, congedò le altre donne. Quando rimasero da soli Ailish si avvicinò e si abbassò verso di lui – Hai anche… - disse piano.
Lui la guardò e annuì, abbassò la mano e da una tasca dei pantaloni e ne estrasse la pietra rossa – La Regina me l’aveva affidata prima della battaglia, nella convinzione che avessimo trionfato mi aveva ordinato di riportarla qui dopo la vittoria –
Ailish aggrottò la fronte, poi sorrise ed annuì mettendogli una mano sulla spalla – Sei un uomo fedele, mio giovane guerriero – disse e prese la pietra. La rigirò tra le dita e sospirò – E’ un momento triste. Anche il mio amico Giuseppe ci ha lasciato, morto nel suo letto chiedendo la grazia del suo dio. Ma lui aveva ragione: l’odio genera odio, la paura accresce la paura e la vendetta chiama solo altra vendetta…Come dissi a Boudicca, quello che stanno facendo i romani non è solo una lotta di conquista, ma l’annientamento della nostra esistenza, delle nostre tradizioni e della nostra storia. Che cosa dobbiamo fare? Resistere? Combattere? Accettare il nostro destino o scatenare questa…Cosa…Quali ne siano gli effetti –
Gavino la guardò sorpreso, la Dama del Lago le stava forse chiedendo un parere? Strinse le labbra – La mia Regina ha provato a opporsi al destino, ma non ci è riuscita. Abbiamo distrutto tre città, le abbiamo assediate e abbiamo massacrato e stuprato i loro abitanti, come, se non peggio dei nostri nemici e ci dobbiamo forse stupire se ora loro ci vogliono annientare? –
Ailish socchiuse gli occhi – Le sacre leggi vietano ad Avalon di usare l’arma. Questa è una decisione che spetta agli eroi di Britannia, come Boudicca…E come te, mio giovane guerriero. Sei un uomo fedele e vedo dai tuoi occhi che sei onesto. A te la decisione! – disse e aprì il palmo della mano porgendogli la pietra.
Gavino deglutì e guardò la ragazza negli occhi, poi guardò la pietra. La tentazione di prenderla e vendicare la sua Regina, il suo popolo e Una era molto forte. Alzò una mano, ma poi si fermò a pochi centimetri da quella pietra che sembrava pulsare. Ripensò alla sua promessa sposa, Una, alla sua fresca bellezza e alla sua serenità prima di quel giorno maledetto in cui arrivarono gli esattori romani. Poi pensò a come era cambiata la dolce ragazza che amava; era diventata fredda, rabbiosa, crudele, spietata, pervasa da un odio che sembrava inestinguibile. Avrebbe potuto prendere la pietra, ma poi, cosa sarebbe accaduto? Avrebbe vinto? Se si, cosa sarebbe successo? I britanni sarebbero tornati a scannarsi tra di loro come prima dell’arrivo di Roma? Qualcuno lo avrebbe ucciso per prendergli l’arma oppure e quest’ultima opzione era la più terrificante di tutte: lui l’avrebbe usata per conquistare il potere assoluto?
Tremando allungò la mano e chiuse quella di Ailish sulla pietra. Sospirò – Non ne sono degno e non sono pronto per un simile potere –
Ailish annuì – Nessuno lo è! Nemmeno gli altri capi tribù della Britannia, alcuni consumati da impossibili vendette ed altri smaniosi di inginocchiarsi alle legioni e ai lussi di Roma…E la pietra, nostro malgrado, rimarrà qui…Hai fatto la tua scelta guerriero. Che gli dei salvino la Britannia e noi tutti –
Gavino sospirò, ma si sentì leggero come non mai – Tu sei al sicuro Mia Signora. Avalon è inattaccabile e, finché l’isola sacra esisterà, anche la nostra storia esisterà. Cercherò, per quanto mi è possibile, di salvare la Britannia intera dalla furia di Roma, ma prima…Devo chiederti un favore Mia Signora. La Mia Regina mi ha svelato il segreto della pietra e desidero onorare lei e sua figlia, colei che sarebbe stata mia sposa –
La Dama del Lago aggrottò la fronte – Cosa hai in mente? –
 
Dopo aver reso l’ultimo omaggio a Boudicca e Una, Gavino congedò i pochi guerrieri che erano rimasti con lui e rimase da solo. Aveva un’ultima missione da compiere, la più difficile. Sentì dei corvi gracchiare su un albero, alzò lo sguardo e li vide con la testa incassata al corpo, tristi e spenti. Sorrise mestamente e spronò il cavallo al passo verso la sua destinazione.
Dopo qualche giorno, dalla cima di una piccola collina, ammirò infine la sua meta: aveva sempre ammirato le capacità costruttive dei romani e si era sempre chiesto come un popolo così intelligente e laborioso potesse anche essere crudele e spietato. Passò lo sguardo sulle linee geometriche perfette delle mura in legno dell’accampamento, nelle trincee profonde e lungo le opere difensive con i legionari che incessantemente, come formiche, correvano da un posto all’altro. Il campo dove si rifugiava la legione dopo la marcia o dopo la battaglia era una delle massime opere dell’ingegno militare e lui, come guerriero, non si stancava mai di osservarlo e invidiarlo. Una cosa che stonava con quella magnifica dimostrazione di forza guerriera era la lunga fila di pali che fiancheggiava l’ingresso, quello che i romani chiamavano Porta Praetoria, formando un colonnato.
Gavino spronò il cavallo e, a mano a mano che si avvicinava, poteva sentire il fetore di carne morta e di escrementi e capì che quei pali non erano un elemento decorativo e nemmeno difensivo: si trattava di un’altra dimostrazione dell’ingegno romano, croci alle quali erano inchiodati gli sconfitti della sfortunata battaglia. Si strinse nelle spalle, la crocifissione lo aveva sempre impaurito. Essere inchiodato vivo a due assi di legno e lasciato per giorni all’aperto nudo senza cibo o acqua era terribile. E poi, quando i carnefici si sarebbero stancati, la croce sarebbe stata piegata e le sue gambe fracassate a martellate. Poi sarebbe stato rimesso al suo posto e il peso del suo corpo, privato del sostegno delle ossa dei suoi arti inferiori, lo avrebbe lentamente soffocato. Era, di certo, il metodo di esecuzione degno di coloro che si arrogavano di essere i padroni del mondo.
Sentì gli occhi diventare lucidi al solo pensiero di quanti di quelli che conosceva o con cui aveva scambiato una parola, un sorriso, con cui aveva combattuto fianco a fianco, si trovavano moribondi su quei pali. Avvicinandosi al campo vide dei legionari impegnati con una fila di prigionieri incatenati l’uno all’altro per il collo; tirò lentamente le redini, inspirò profondamente e scese dalla sella. Con rapidi movimenti tose le briglie e la sella lasciando tutto a terra e mandò via il cavallo, libro, almeno lui, si disse. Prese la spada di Boudicca e la tenne tra due mani, come per offrirla a qualcuno e si incamminò verso l’ingresso del campo con passo fermo e deciso. Ai suoi lati poteva sentire i lamenti e le urla dei suoi vecchi compagni d’arme crocifissi, ma non si girò, se avesse riconosciuto qualcuno di loro la sua forza sarebbe venuta meno. Un gruppo di legionari, finalmente, lo notò e avanzò verso di lui con facce bellicose e lo afferrarono con braccia robuste.
 
All’interno della grande tenda del Praetorium, il centro di comando del campo, era in corso una riunione dello stato maggiore romano. Il generale comandante della Ventesima Legione, più anziano del suo collega della Quattordicesima, bevve un sorso dalla coppa d’oro e soffocò una smorfia. Non era Falernum, ma vino gallico, buono anch’esso, ma non certo paragonabile all’ambrosia che bevevano a Roma. Si passò una mano sul ventre e sospirò. Si disse che era inutile, alla sua età, farsi costruire l’ennesimo pettorale nuovo per nascondere la pancia. Da giovane aveva sempre criticato chi, tra gli alti ufficiali, lasciava le legioni per andare a sedersi sui freddi gradini di marmo del Senato, ma, dopo aver visto quel letamaio pieno di pericoli che era la Britannia, gli sembrava un destino invidiabile.
Il suo collega della Quattordicesima, invece, molto più giovane, non si faceva problemi con il vino: balzò in piedi su una panca e sollevò la mano con la quale teneva il calice – E…Alla fine li abbiamo circondati! E si sono messi a pregare i loro dei del cavolo, immagino! Ma a noi che importava? Ho guardato un centurione, lui ha guardato me, ho dato l’ordine e siamo andati all’attacco! Un massacro vi dico! Erano come pecore al macello! Magari tutte le battaglie fossero state come quella…Ci…Ci hanno tolto il piacere della vittoria! – disse e scese con gli applausi dei tribuni. Ridivenne serio e guardò verso il console, seduto in un angolo mentre uno schiavo greco gli ravvivava i boccoli grigi con un ferro caldo: - Ma questo nulla toglie al tuo prossimo trionfo a Roma, console! Se Cesare ha ancora la Britannia lo deve a te! – disse e alzò il calice imitato dagli altri.
Paolino sorrise amabilmente e alzò una mano – Ti ringrazio Decimo! Antonio, per favore, riassumici di nuovo la situazione attuale –
Un giovane tribuno batté il pugno sul petto – La Nona Legione…Quello che ne resta, ovviamente, sta ancora perlustrando i dintorni, ma stanno uccidendo troppi civili…La Seconda Legione sta avanzando verso di noi, ma lentamente, stanno prendendo di mira ogni villaggio che incontrano –
Il generale della Ventesima sospirò – Dobbiamo richiamare la Nona. Se abbiamo vinto lo dobbiamo anche al loro valore, ma adesso stanno esagerando con le vendette. Devi subito ricostruire la loro unità e assegnargli un generale, console. E la Seconda Legione…Se volevano una battaglia potevano essere al nostro fianco contro la cagna degli Iceni –
Il comandante della Quattordicesima bevve un sorso e indicò il suo collega con il calice – Giusto! Che si sbrighino quei tiratardi! Se vogliono fare qualcosa ci sono le nostre latrine da pulire. Per Giove Tonante! –
Paolino sbuffò leggermente. C’erano un’infinità di problemi da gestire anche nella vittoria. I prigionieri erano troppi e le crocifissioni andavano a rilento. I suoi legionari volevano la vendetta e si scagliavano contro ogni britanno che vedevano, fossero anche donne, vecchi o bambini; c’erano tre città da riprendere e da ricostruire, una legione da rifondare e un’altra che vagava per la Britannia in cerca di riscatto per l’onore perduto. Come se tutto quello non bastasse la sua missione per stanare i druidi e le sacerdotesse di quella terra aveva dovuto essere sospesa e non poteva certo essere ripresa in quelle condizioni. Se non altro, si disse, a Roma lo aspettava un trionfo. Il Senato sarebbe stato fiero di lui anche se qualche rappresentante della plebe non avrebbe mancato di rimarcare che tra le prede di guerra non c’era la Regina degli Iceni attaccata al suo carro trionfale o nessuna parte del suo corpo a testimoniare che era morta. E per quello che riguardava Nerone, lui aveva parlato solo una decina di volte con l’Imperatore, ma quello sembrava più preoccupato delle sue doti canore e di artista che del resto dell’Impero. Dopo gli eccessi di Caligola e il governo alquanto incolore di Claudio, che aveva solo portato a compimento l’invasione della Britannia pianificata dal suo predecessore, Roma aveva bisogno di un governo saggio e forte. Sospirò e poi scrollò le spalle. Si ripeté in mente un detto che stava andando molto in voga nell’Urbe: morto un Imperatore, se ne faceva un altro.
In quel momento entrò un centurione, si mise di fronte al comandante e si batté il pugno sul petto – Console! Le nostre guardie hanno preso un britanno all’ingresso del campo. Si è consegnato a noi e chiede di parlare con te –
Il comandante della Quattordicesima sbuffò – Se facciamo parlare ogni barbaro non la finiamo più di starcene in questa latrina di paese. Che lo crocifiggano e finiamola! –
Il centurione si avvicinò a Paolino e si piegò verso di lui – Console! Ha notizie della cagna degli Iceni –
Il console fece un gesto fermando lo schiavo e si alzò in piedi – Portatelo qui! –
Poco dopo due legionari portarono Gavino e lo fecero inginocchiare davanti al console. Paolino aggrottò la fronte vedendo che parte del suo volto era tumefatta. Guardò il centurione che l’aveva avvertito che, a sua volta, scrollò le spalle – Gli uomini non sono andati per il sottile, ma, tra un grido e l’altro, ha detto di sapere che la Regina dei barbari è morta – disse e gli diede un calcio – Coraggio! Fagliela vedere! –
Gavino alzò lo sguardo e alzò le mani porgendo la spada di Boudicca al comandante romano.
 
Inghilterra – Anno 1787 d. C.
Morgana piegò la testa infastidita dal rumore dello sparo. Oscar sorrise dopo aver piantato una pallottola nell’albero e si mise a ricaricare l’arma. L’ultima visione che aveva avuto non aveva riguardato Boudicca, ma il suo luogotenente il che rendeva chiaro che si stava avvicinando alla fine della storia della pietra rossa; forse anche della sua avventura in quel paese straniero.
Sospirò. Sapeva anche che, dopo le visioni, sarebbe rimasta l’immagine del centurione romano Tito e il suo ghigno crudele e sadico. Ma erano arrivate al cerchio di pietre, finalmente. Un solitario complesso di megaliti in una pianura circondata da foreste lontano da ogni centro abitato e, dovendo aspettare la notte e la luna piena avevano deciso di allestire un accampamento in un bosco poco distante e, più per noia che per altro, Oscar aveva deciso di mostrare alla Duchessa di Cornovaglia le meraviglie della tecnica moderna.
Oscar ricaricò velocemente l’arma, la puntò decisa contro l’albero e fece fuoco un’altra volta, colpendo la corteccia. Morgana strinse le labbra – Un’arma molto potente…Una piccola catapulta in miniatura e…Dimmi: non è come quella che mi hai puntato contro quando ci siamo conosciute a Tintagel? –
Oscar sorrise debolmente – Proprio come quella! Ma in quell’occasione non sono riuscita ad usarla. Vuoi provare? – disse porgendogli l’arma carica. L’altra la prese delicatamente, Oscar si mise dietro di lei e le alzò il braccio ricordando le lunghe e noiose lezioni con suo padre, ma anche quelle più piacevoli con la piccola Rosalie, la sorellastra di Jeanne de Valois. Oscar chiuse un occhio e fissò quello aperto sull’asse del braccio di Morgana – Impugnala bene…Non avere fretta…Mira con calma e respira. Esattamente come una lancia o una spada quest’arma è un’estensione ed una parte del tuo braccio, è come una delle tue dita, dove indichi…Lei punta e dove tu vuoi che colpisca…Colpisce! – disse e mosse il dito della Duchessa sul grilletto. Il cane della pistola si messe in avanti facendo scattare la pietra focaia e accendendo la polvere da sparo che, con la sua detonazione, fece partire il piccolo proiettile.
Il colpo colpì l’albero e Morgana rimase a bocca aperta – Si infila nella corteccia…E non riesco ad immaginare l’effetto che deve fare in un corpo umano! Ce ne sono molte di queste armi in quest’epoca? –
Oscar sospirò – In effetti ce ne sono anche troppe! E anche di molto più potenti, alcune possono demolire le mura di un castello –
Morgana girò la pistola tra le mani – Le mura di un castello…Colpire il nemico da lontano, come un fastidioso arciere…E dov’è l’onore di un combattimento corpo a corpo? –
L’altra sorrise – Oh! C’è ancora! Quando non puoi ricaricare l’arma nella mischia la puoi prendere per la canna e trasformarla in un randello. Le armi più lunghe, che si chiamano fucili, possono essere usate come lance se gli infili accanto alla bocca della canna una lama chiamata baionetta, poi ovviamente ci sono armi più grosse, come obici o mortai che colpiscono all’interno delle mura di una fortificazione e non dimentichiamo i pesanti cannoni che infliggono un’infinità di danni nelle battaglie campali –
Morgana aggrottò la fronte e le porse la pistola tenendola con due mani – Un’arma tremenda! Ma non degna di un guerriero come te Lady Oscar. In effetti credo che tu, come me, preferisca la spada. Uno strumento preciso ed elegante; più adatto ad epoche civili. Questa tua…Pistola…Come la chiami, non rende nessuno un guerriero, ma solo un assassino. Chiunque, anche un bambino, potrebbe impugnare quella…Cosa…E uccidere. Non mi meraviglia che in questo mondo siate regrediti ad uno stato di barbarie – disse e si indicò la spada al fianco – Questa è l’arma di un guerriero! –
Oscar sospirò piano, le convinzioni di quella donna erano un muro invalicabile. Eppure quello che diceva aveva un senso. Si, lei preferiva di gran lunga la spada. Amava stringerla in mano e sentirla parte del suo corpo. La sensazione che provava nei combattimenti gli dava una sensazione di potenza inimmaginabile, fino alla vittoria sull’avversario. E pensò, ancora una volta, ad André: ai loro duelli da bambini e da adulti nel parco di Palazzo Jarjayes. E, ancora una volta, si sentì tradita ed umiliata dal suo comportamento in quella sera maledetta. Sentì nelle orecchie il suono della camicia strappata e rabbrividì. Volse lo sguardo e vide, con la coda dell’occhio, una figura seminascosta dietro un albero. Poteva essere uno dei loro inseguitori, ma i suoi abiti, il grande elmo crestato ed un ghigno beffardo lo qualificavano come Tito, il centurione. Chiuse gli occhi per un attimo e la figura sparì. Si strinse nelle braccia come se avesse freddo e guardò Morgana che, intanto, aveva estratto la sua spada a lama larga.
La Duchessa di Cornovaglia la guardò e sorrise – La tua spada sembra più uno spiedo! Non nego che sia robusta, la mia lama l’ha assaggiata ad Avalon, ma non mi ci vedo a maneggiarla –
Oscar si rilassò e sorrise debolmente – Posso…Posso provare a tenerla in mano? –
Morgana aggrottò la fronte e poi, con un rapido movimento, gli porse la spada porse tenendola per la lama. Oscar alzò una mano e, non senza esitazione, prese l’elsa ricoperta di nero cuoio e alzò l’arma per osservarla. La lama era molto larga, a doppio taglio e anche quando si trovavano ad Avalon aveva desiderato provare ad impugnarla. Era così diversa dall’elegante spada che era abituata ad usare e notò che, stranamente, nonostante sembrasse massiccia, non pesava poi molto. Controllò il taglio e vide che era affilato alla perfezione. Provò un crampo allo stomaco pensando che la manutenzione della sua spada era sempre stata delegata ad André e che, da molto tempo, lui non la controllava. La alzò e vide che era perfettamente dritta; impugnò l’elsa a due mani e l’alzò sopra la testa.
Per un attimo si immaginò in una lucente armatura dei tempi antichi mentre combatteva contro il nemico. Si ricordò delle miniature medioevali che aveva visto nella biblioteca di Palazzo Jarjayes: guerrieri impavidi che armati di scudo e spada affrontavano ogni pericolo per l’onore, per la gloria e per l’amore. Diede due fendenti laterali immaginando di colpire l’avversario e pensò al fratello di Morgana, quel grande Re delle leggende che aveva inventato il codice della cavalleria. Pensò a quanto sarebbe stato meraviglioso far parte della cerchia della Tavola Rotonda, parlare di avventure ai limiti dell’impossibile con altri cavalieri e partire per lunghe e pericolose ricerche. Si ricordò di quello che gli aveva detto padre Philby a Glastonbury: non stava facendo anche lei una cerca come gli antichi cavalieri? Non stava forse cercando un tesoro nascosto da secoli? E alla fine di tutto…Avrebbe mai trovato davvero sé stessa e quale era il suo posto nel mondo?
Persa in quei pensieri vide di fronte a sé il centurione romano, con gli occhi luminosi ed un ghigno diabolico. La sua bocca si aprì con un orrido fetore di aglio: “Ti sto aspettando, barbara!”. Oscar lanciò un affondo con la spada di Morgana e la figura svanì. Lei scosse la testa e sentì la mano della Duchessa che toccava le sue strette all’elsa della spada.
Morgana sorrise debolmente – Avrai tempo per affrontare i tuoi demoni, Lady Oscar – disse e prese la spada rinfoderandola con un gesto elegante e rapido. Alzò una mano e Oscar sentì la sua spada uscire dal fodero e poi volare in aria per essere impugnata dall’altra. La Duchessa sorrise e guardò l’arma, più leggera della sua. Con una mano sola lanciò un fendente laterale e poi la guardò di nuovo – Com’è possibile combattere con una spada del genere. Sembra così fragile, eppure è talmente robusta che ha resistito ai colpi della mia lama – disse e guardò Oscar aspettandosi una risposta che però non arrivò.
Morgana sorrise di nuovo – I miei poteri sono attivi qui, in prossimità del cerchio di pietra ed è un bene! Non dovremo nasconderci da quei misteriosi uomini di cui parli e nemmeno dall’esercito dell’usurpatore che occupa il trono che spetta di diritto a mio fratello Artù. Sento la vicinanza delle antiche rocce, sento la sua essenza fluire dentro di me…Ed è magnifico! – disse con un ghigno che a Oscar non piacque per nulla.
Oscar strinse le labbra – Tu devi avere un’idea di cosa sia quell’arma. Hai detto che è talmente potente da distruggere un intero esercito in un colpo solo…Come mai è possibile? –
Morgana tentennò lentamente, lasciò la spada di Oscar che fluttuò in aria e volò direttamente nel fodero della sua proprietaria. Sospirò – Non ne ho la minima idea! Ma esiste! E’ questo quello che conta! E tu…Tu che vivi in quest’epoca più moderna e con più…Tecnologia…E…Uguaglianza…Della mia povera epoca…Tu che idea ti sei fatta? –
Oscar tentennò, ma in verità non gli era mai importato di cosa fosse quel misterioso marchingegno e non gli importava nemmeno in quel momento. Si era imbarcata in quell’avventura per il gusto del viaggio, dell’avventura e, perché no, anche del pericolo. Un’arma in grado di distruggere un esercito, se fosse caduta nelle mani sbagliate, sarebbe stato un disastro e non solo per la Francia. Morgana strinse le labbra e la guardò – Vuoi forse dire che non la consegneresti al tuo re? Che non la useresti? Anche contro la Britannia? – disse e piegò leggermente le dita della mano destra.
Oscar sentì un prurito al collo e cercò di non toccarselo. Sorrise nervosamente – Adesso stai diventando paranoica! E, dopotutto, nemmeno tuo fratello ha saputo o voluto usarla –
Il volto della Duchessa cambiò e divenne triste – Mio fratello…Lui…Lui è sempre stato un sognatore. Un uomo buono fondamentalmente che voleva vedere sempre il bene nelle persone…E non aveva visto il male in suo figlio Mordred. Immagino che non abbia voluto usare l’arma perché credeva, in un qualche modo, di poterlo salvare e condurre dalla sua parte…Ma sai anche tu com’è finita –
Oscar annuì “Come Boudicca, che aveva una fiducia immensa nel suo popolo e nella sua forza, del resto” pensò e guardò in cielo – Dobbiamo aspettare ancora la luna e quindi…Possiamo riposare –
Morgana aprì la bocca, come per replicare, poi annuì – Va bene – disse solo.
Oscar si sedette a terra con la schiena appoggiata ad un albero e sospirò. Alzò la testa e sorrise debolmente “La cerca sta per concludersi. Forse vedrò la fine della storia della Regina guerriera…O forse l’ho già vista e questo significa…Che resterò da sola con i miei incubi”. Sospirò e chiuse gli occhi.
 
Britannia – Primo secolo d. C.
Il console Paolino aggrottò la fronte osservando la spada che Gavino gli stava porgendo – E quest’arma che cos’è? –
Gavino sospirò – E’ la spada della Mia Regina. Voleva che la consegnassi a te una volta morta e ti chiede di liberare il suo popolo –
Decimo, il generale della Quattordicesima Legione, sorrise e poi rise sguaiatamente – Ahhhhahhahh! La cagna è morta…E vuole che noi lasciamo stare il suo popolo? – disse e tirò il calice sulla testa di Gavino che si piegò, ma non emise alcun gemito. Il comandante della Ventesima si alzò lentamente e sospirò – Come ti chiami? –
Gavino alzò lo sguardo e lo fissò – Mi chiamo Gavino e sono…Ero un amico della Regina –
Il generale avanzò di un passo – Dicono che Boudicca si sia vendicata dei romani che l’hanno frustata e hanno abusato delle sue figlie… E’ vero? – disse nel silenzio generale.
Gavino annuì – Ero a caccia con altri guerrieri e, quando siamo tornati, abbiamo visto la nostra Regina appesa ad un palo con la schiena rovinata dalle frustate e i legionari che…Stavano… - disse e piegò la testa, poi la rialzò di scatto – E li abbiamo uccisi tutti quei maiali! Perché lo meritavano! –
Il generale guardò il console – E hanno fatto bene! I nostri legionari non dovevano in alcun modo arrecare danno ad un fedele alleato di Roma che stava pagando i tributi –
Decimo socchiuse gli occhi – E allora!? Adesso puniamo i legionari perché si sono divertiti un po'? – ringhiò.
Paolino strinse le labbra – Quello che hanno fatto quei legionari era…Sbagliato! Ma quello che è successo dopo è stata una deliberata rivolta contro Roma ed anche quello merita la morte, non ne convieni, barbaro? –
Gavino sospirò e guardò il console – Siete arrivati qui con le vostre navi e con le vostre insegne del lupo e dell’aquila a pretendere la nostra terra…Avete ucciso i nostri padri, stuprato le nostre madri e le nostre sorelle e reso schiavi i nostri fratelli…Costruite in un giorno e in una notte intere città per il vostro esercito e palazzi di pietra e marmo per il vostro popolo…Vi divertite e vederci morire nelle vostre arene e ci deridete quando ci danno in pasto alle fiere…Avete sconfitto un’armata immensamente più grande della vostra…Non c’è limite alla vostra potenza e alla vostra grandezza…E non ci è permesso nemmeno di vendicarci! – disse guardando il comandante della Quattordicesima – Non ci è permesso di piangere per i nostri morti! – disse guardando il comandante della Ventesima – Non ci è permesso di vivere in pace nemmeno se eseguiamo i vostri ordini – disse guardando di nuovo Paolino.
Decimo lo guardò stralunato, poi volse lo sguardo verso uno dei suoi tribuni, sorrise e poi rise di nuovo provocando uno scoppio di ilarità generale. Anche il console sorrise, ma non il comandante della Ventesima che continuò a fissare Gavino inginocchiato a terra. Il console alzò una mano fermando le risate – Fate venire il druido! – ordinò.
Un legionario uscì e poco dopo rientrò tenendo per un braccio un uomo e mettendolo di fronte al prigioniero. Gavino riconobbe subito Norag, il druido della sua tribù. Quest’ultimo abbassò lo sguardo, ma Gavino non trovò niente di meglio da fare che sorridere. Paolino si avvicinò – Quest’uomo dice che questa è la spada della cagna degli Iceni…E’ vero? –
Norag osservò l’arma nelle mani del console e annuì – E’ la sua…E’ vero…Non se ne sarebbe mai separata, se non da morta –
Il comandante della Ventesima sospirò – Quella maledetta è morta! Che Plutone la spedisca nel Tartaro! –
Paolino annuì, estrasse di qualche centimetro la lama e poi, con un colpo secco, la rinfoderò. Ovviamente non c’era nessuna garanzia che quella maledetta donna fosse morta, ma almeno aveva qualcosa da mostrare al Senato e a Nerone. E, prima di lasciare la Britannia per godere del suo trionfo, c’erano ancora molte cosa da fare. Guardò i suoi uomini – Abbiamo vinto! La Regina dei barbari è morta e Roma, come sempre, vince! – disse e si avvicinò al tavolo – Antonio! Ho dei nuovi ordini: prima di tutto quello che resta della Nona Legio vada a sud a riunirsi con quegli idioti della Seconda e poi, invece di venire a intralciarci, che vadano a ovest e che riprendano le città di Verulamium, poi Londinium e Camulodunum. Non dovrebbero avere problemi, ma se troveranno resistenza che uccidano tutti. Che ci spianino la strada e noi li seguiremo portando doni e la pace di Roma alle tribù che si prostreranno a noi. Quindi lavatevi le terga, perché verranno baciate da dei re! – disse provocando le risate dei suoi uomini. Tossì per richiamare l’attenzione e continuò: - Per ricostruire una legione e tre città ci servirà molto denaro, ovviamente chiederemo dei nuovi tributi, ma abbiamo centinaia di prigionieri che saranno venduti come schiavi in Britannia, in Gallia, in Iberia e in Italia, uomini che serviranno nelle miniere e che saranno buoni gladiatori, si spera…Poi riprenderemo la lotta contro i loro maledetti sacerdoti e cominciate con il crocifiggere questo druido traditore –
Il volto di Norag sbiancò e allungò le mani, ma venne trattenuto dalle robuste mani di due centurioni: - Signore…Ho fatto quello che mi avete chiesto…Perché mai dovrei morire come questi…Come questo traditore – disse indicando con la testa Gavino.
Paolino strinse le labbra – Questo barbaro si è comportato come un uomo, come un guerriero e questo noi sappiamo rispettarlo. Tu invece…A quanto dicono, druido, ti sei gettato ai piedi dei miei legionari baciandoglieli e implorando pietà e dicendo che li avresti aiutati a catturare molti ribelli. Hai tradito la tua fede, il tuo popolo e ti aspetti che creda che ci servirai fedelmente? Avrai tempo di riflettere e pregare i tuoi insulsi dei inchiodato alla croce…Eseguite! –
Gavino sentì Norag farfugliare ancora qualcosa mentre gli ufficiali lo trascinavano voi. Sospirò e poi guardò di nuovo i romani. Il comandante della Ventesima si avvicinò a Paolino – Perdonami console. Se i prigionieri devono essere venduti come schiavi, allora ti chiedo di affidarmi quest’uomo: è coraggioso e sembra forte, ne farò un ottimo gladiatore e ovviamente te lo pagherò al giusto prezzo –
Paolino inspirò profondamente – Sei un buon soldato e la tua legione ha combattuto bene. Tienitelo pure! E ovviamente mi pagherai il giusto prezzo! –
Il generale batté un pugno sul petto e chinò la testa, poi fece cenno a due legionari di prendere Gavino ed uscirono dalla tenda. Fece pochi passi ed arrivarono all’alloggio del generale, non grande come quella del comandante supremo, ma egualmente bella. Due guardie drizzarono i pilum al passaggio del loro comandante e guardarono di sottecchi il prigioniero.
Una volta all’interno il romano congedò i soldati e lui e Gavino rimasero da soli. Quest’ultimo si guardò attorno, vide un manichino su cui era appoggiata la corazza lavorata con la spada e un grande elmo crestato e, lì accanto, un tavolo in legno decorato a motivi floreali con sopra delle pergamene e delle tavolette di cera, in un lato vide il busto in marmo bianco di un uomo dallo sguardo deciso e fiero. Il generale si avvicinò ad un bacile di bronzo sorretto da un tripode, vi immerse le mani e le passò sul viso: - E’ il divo Tiberio – disse indicando il busto – Ho iniziato la carriera militare al suo comando. Ero poco più di un bambino con i gradi di tribuno e me la sono fatta sotto alla prima battaglia contro i germani, guerrieri terribili e feroci…Eppure ora sono qui, al mio ultimo incarico – aggiunse girandosi a guardarlo – Capisci bene la mia lingua? –
Gavino annuì – La comprendo –
L’altro sorrise debolmente – Sono Lucio Valerio Dolabella, comandante della Ventesima Legio Valeria Victrix, il tuo nuovo padrone. Verrai a Roma con me –
Gavino aggrottò la fronte, ma l’altro sorrise – Oh! Ti piacerà! Roma è…Roma! Dai tempi di Cesare Augusto è diventata una sorta di crocevia e rifugio per ogni sorta di gruppo o credo religioso…Gli egiziani con il culto di Iside, i greci con quello di Artemide…I galli e i germani con i loro dei infernali…E poi ci sono questi cristiani…Al contrario di tutti gli altri che parlano di sangue e sacrifici, quelli parlano di perdono, amore e pace…Ci pensi? Un mondo in pace…Sarà la vecchiaia, ma credo che sia molto bello –
Gavino annuì – Si…Sarebbe davvero un bel mondo –
Lucio si sedette pesantemente sulla sedia dietro la scrivania – Una volta abbandonata la vita militare mi ritirerò nella mia villa sul colle Esquilino, con i miei figli e i miei nipoti e mi dedicherò alla vita del contadino. Ho molti terreni intorno a Roma, lo sai? Al commercio e all’importazione dei prodotti della Gallia e della Britannia e, ovviamente, a quella di lanista, addestratore di gladiatori, ho una scuola alle porte della città –
Gavino annuì – So chi sono i gladiatori e so benissimo che questa è una condanna a morte –
Lucio appoggiò i gomiti sulla scrivania, unì i polpastrelli delle mani e lo guardò attento – E’ una possibilità di sopravvivere che ti sto dando. Vedi amico mio barbaro: dopo Augusto e Tiberio abbiamo avuto un pazzo come Imperatore, a cui poi è succeduto uno scrittore scialbo e debosciato…E adesso abbiamo al governo questo Nerone, di cui non so nulla, ma spero che i posteri non parlino di lui come un pazzo o un tiranno. Perché Roma ne ha bisogno, tutto l’Impero ne ha bisogno. Perché Roma non è solo le legioni e le conquiste e gli intrighi e gli omicidi. Roma è la grandezza, è la visione di un mondo unito in pace e in armonia –
Gavino sorrise debolmente – Un mondo in pace…La vostra pace! Non certo quella dei popoli sottomessi –
Lucio strinse le labbra – Qualcuno che governi questo mondo in pace deve pur esserci! E non credo che ne siano capaci i tuoi britanni e nemmeno quei cristiani di cui ti ho parlato. Parlare di pace è una cosa, ma questa deve essere mantenuta! E solo la forza della spada può farlo: se vuoi la pace, britanno, preparati alla guerra! –
Gavino sospirò – Hai detto che potrò sopravvivere –
L’altro annuì – Non solo! Se combatterai bene, se vincerai, se ti renderai l’idolo del popolo, allora potresti anche riprendere la tua libertà. Ma dipende solo da te –
Un luccichio attraversò gli occhi di Gavino che sorrise – E allora portami a Roma –
 
Gavino lasciò la Britannia e vide la grandezza e la maestà di Roma nei suoi palazzi di marmo, nel suo foro, nel palazzo del Senato, nelle sue terme, nei suoi teatri e soprattutto nelle sue arene dove combatté come gladiatore. Vide gli eccessi e le manie perverse di Nerone che colpirono alche Lucio Valerio, colui che lo aveva portato in Italia. Vide il grande incendio di Roma e aiutò, insieme agli altri gladiatori e alle milizie cittadine, il popolo a domare le fiamme. Vide come il popolo accusò Nerone e come Nerone accusò i cristiani di aver appiccato il fuoco. Si rifiutò di ucciderli nell’arena e rimase impietrito nel vedere quelle persone che si inginocchiavano a pregare invece di combattere contro altri uomini o contro le belve.
Vide la caduta di Nerone e la nascita di una nuova dinastia. Diventò il campione di Vespasiano e il gladiatore preferito del suo successore Tito e solo poi, all’inizio del regno di Domiziano, riacquistò finalmente la sua libertà, mentre altri gladiatori e altri schiavi erano destinati a morire nel nuovo grande e mastodontico anfiteatro che sarebbe diventato il simbolo stesso di Roma; la grande struttura che il popolo della città chiamava Colosseo.
Dopo aver rinunciato a diventare a sua volta un addestratore di gladiatori, dopo aver rinunciato a onori e a ville e a denaro, dopo aver donato quello che aveva guadagnato come gladiatore al capo dei cristiani, gli unici, tra i tanti che popolavano Roma, che gli erano sempre sembrati puri e fedeli a sé stessi, lasciò la città. In un giorno di inizio primavera, con solo una sacca e il rudio, la spada di legno intarsiato che simboleggiava la sua riconquistata libertà, Gavino di Britannia prese la via Aurelia che poi si sarebbe congiunta alla via Julia Augusta in Gallia. Andava verso nord, andava verso la Britannia, tornava, finalmente, a casa.
   
 
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