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Autore: Neamh Moonstar    29/12/2021    1 recensioni
Dio non muore, non sbaglia e non abbandona.
Dio non crea il caos tra gli angeli in cielo, né lascia quelli sulla Terra soli tra le lacrime e il sangue.
Dio non parla e non risponde.
Giusto?
(Considerabile come un seguito di: "Quell'angolo di infinito" ma leggibile separatamente).
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio, Gabriele, Morte
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dilogia sotto le stelle'
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Era solo e stava gridando.

Il terreno era aspro e rotto; lame fiammanti si scontravano senza pietà e l'aria era intrisa di sangue fresco e zolfo. Attorno a lui c'erano innumerevoli pozze dorate sovrastate da esanimi corpi bianchi e angeli che si scontravano tra di loro, infilzandosi a vicenda e strillando. 

Ricordava quel giorno: se lo ricordavano tutti. Lui, dal canto suo, ricordava di non aver mai alzato la lama. Sapeva di aver girato per il campo di battaglia come un fantasma, finendo occasionalmente sotto tiro. Quel suo comportamento lo avrebbe messo in cattiva luce a scontro terminato: era soprattutto per quello che gli arcangeli non lo avevano mai visto di buon occhio. Lo consideravano una debole, piccola, tremante fiammella alata incapace di difendere ciò in cui crede.

Non ricordava di star cercando qualcuno, però. Non si era fatto molti amici in Paradiso: era stato uno degli ultimi a nascere, e solitamente scambiava poche parole con quei pochi angeli dal chiacchiericcio facile. Di certo, non aveva legato con qualcuno tanto da rischiare di morire per trovarlo in mezzo allo scontro.

Eppure stava gridando un nome, facendo saettare lo sguardo a destra e a manca. Di tanto in tanto guardava i morti riversi a terra, alla ricerca di qualcosa; altre volte ancora osservava i ribelli venire risucchiati dalla terra che si apriva sotto di loro. Dov'era?

Ma dov'era chi? La figura, forse: quella che lo coccolava sotto le stelle. Ma non sapeva nemmeno come fosse fatta... sapeva solo che perderla avrebbe significato la fine dei suoi sogni e l'inizio dei suoi incubi.


Continuò a vagare sconsolato. Sentiva un leggero dolore alla gola, nonostante non avesse ancora un corpo: sicuramente colpa di tutta la voce che stava consumando alla ricerca di- di chi?


Qualcosa di pesante gli piombò sulle spalle, buttandolo a terra.


**


Crowley aveva deciso di passare il tempo appiccicato alla finestra. Sobbalzava ad ogni ombra che vedeva passare sul marciapiede, interrompendo continuamente i suoi ragionamenti. Il suo piano in caso di emergenza - per ora - era fermare il tempo, prendere Aziraphale e scappare il più lontano possibile.

Sapeva di dover trovare qualcosa di più consistente, ma era preda di un blocco. Aveva troppe preoccupazioni e quando ciò accadeva, si ritrovava sempre a fare le cose d'istinto. Fuggire via era il suo istinto migliore: quello che balzava fuori nelle situazioni peggiori.

Va bene che la libreria era paragonabile ad un bunker, ormai - ma ciò non eliminava l'assurdità e l'imprevedibilità della situazione. Tutto sarebbe potuto accadere: doveva stare in campana e cercare di individuare ogni possibile pericolo prima che il pericolo individuasse loro. 


Di tanto in tanto, per rilassarsi, dava qualche veloce sguardo alle stelle.


Te le ricordi?


Se le ricordava eccome. Quell'angolino dove stava la Stella Polare l'aveva fatto lui - nel senso che ci aveva messo gli astri. Era rimasto l'ultimo pezzo di cielo ancora vuoto, e aveva deciso di renderlo il più luminoso e visibile possibile: uno dei pochi ricordi positivi che conservava del periodo precedente alla Caduta. Tutto il resto aveva preferito dimenticarlo, come il suo vecchio nome - il che era pratica comune: nessun demone voleva portarsi dietro il fardello dell'identità che aveva volutamente rinnegato.

Non che gliene importasse qualcosa. Anche se a dirla tutta, lui non avrebbe mai voluto rinnegare niente: erano stati gli altri a spingerlo.


E la tua curiosità.


Come se quella da sola potesse costituire un problema. E poi, non era colpa sua se Dio si aspettava di fare grandi progetti senza spiegare niente a coloro che avrebbero dovuto aiutarLa a compierli. Non ci si può comportare così e aspettarsi il silenzio, no? Prima o poi qualcuno si alza e inizia a curiosare, a chiederti e a pretendere spiegazioni. 

E a Crowley le spiegazioni non erano mai arrivate, così come non erano arrivate a nessuno. L'unica risposta che avevano ricevuto era stata una guerra finita con ali bruciate ed angeli morti. Ricordava di averne parlato con Aziraphale una sera, e aveva scoperto che - in qualche modo - il biondo era riuscito ad uscirne senza spillare una goccia di sangue. Doveva odiarla proprio quella spada.

Ma poi perché diamine si ritrovavano sempre a parlare di quelle cose?


Fa parte della vostra esistenza, in fondo.


Nemmeno si conoscevano all'epoca. In poche parole: non era stato un periodo interessante; anzi, alle volte Crowley si sentiva come se non lo avesse mai vissuto. Poco male.


Aveva appena ripreso a guardare la strada, quando venne distratto da un leggero mugugno alle sue spalle. Si voltò così velocemente da farsi venire male al collo, e in mezzo secondo fu accanto al letto. Scostò le coperte per controllare che Aziraphale stesse bene e tirò un ipotetico respiro di sollievo nel vederlo rilassato. Pareva anche star meglio: non fosse stato per il fatto che sembrava un ghiacciolo, la scena sarebbe sembrata più inusuale che altro.

Inusuale e dannatamente tenera.


Diede un'occhiata a l'ora, decidendo di lasciare all'angelo un'ultima mezz'oretta di calma. Sarebbe dovuto tornare a controllare fuori, ma ormai aveva messo un braccio sul materasso e ci aveva poggiato sopra la testa, iniziando a sfiorare quelle morbide e rotonde guance fredde con un leggero sorriso stampato in faccia. Quando si perdeva in quei gesti, si sentiva come se non fosse mai successo niente; gli davano la possibilità di lasciar perdere tutto il male a cui aveva assistito in quei quasi due giorni.


Rimase dieci minuti buoni concentrato solo sulle carezze, finché non vide il volto dell'altro iniziare lentamente a corrugarsi. Non fece in tempo a reagire che l'angelo si era già portato le ali sul volto, riprendendo a balbettare sottovoce.

Fantastico, ci mancava solo quello. Maledetti incubi: avrebbe dovuto farseli raccontare, anche se forse non sarebbe cambiato molto. Certamente era meglio che tenersi tutto dentro, cosa in cui l'angelo era bravissimo.

    Con il panico che già ammontava dentro di sé, Crowley spostò le piume grigiastre e affondò le mani tra i riccioli e le tempie dell'altro: «Ehi, che c'è, cosa succede?» Chiese in un soffio. 

L'unica risposta che ricevette furono altri due incomprensibili rantoli. 


Lascialo stare, solo per un attimo.

Ma vaffanculo.


Non ci pensava neanche ad allontanarsi, anzi: lo tirò a sé, in una mezza scrollata. Doveva rassicurarlo in qualche modo, farlo calmare o svegliarlo in quell'istante in modo da interrompere qualsiasi cosa lo stesse turbando.

Un moto istintivo lo portò a baciargli la fronte, poi le guance, poi-


Due mani gli strinsero le spalle e lo respinsero, spingendolo all'indietro.

Aziraphale aveva sbarrato gli occhi, mettendosi a fissare il pavimento come se avesse appena assistito alla scena più terrificante e grottesca della sua esistenza.


Nella mente del demone iniziarono ad avvinghiarsi i pensieri più disparati: aveva esagerato, vero? Aveva decisamente esagerato. Non avrebbe dovuto, cazzo, cazzo, ca-


Non sei stato tu.


    Le fredde mani dell'altro si aggrapparono alle sue spalle, stringendogli la camicia così forte da rischiare di strapparla. «Scusa...» balbettò. Fu allora che sul suo petto iniziò a formarsi una larga chiazza scura.


    Crowley capì di doversi ricomporre e subito. «Calmati, stai giù,» disse, chiedendosi dove diamine avesse messo la testa. Non era quello il momento di lasciarsi prendere dalle smancerie, accidenti a lui e a quella stupida-


Calmati.


Esatto, lei. Iniziava a volersela strappare di dosso a mani nude.


Avresti dovuto aspettare.


    «Ehi, fai male...»


Quel tono tremante lo fece tornare alla realtà, dove scoprì di aver alzato il maglioncino dell'angelo con una veemenza nervosa.

    «Scusami. Faccio piano stavolta, promesso.»

Si mise a sistemare la misteriosa ferita, chiedendosi per l'ennesima volta perché ci fosse e perché cavolo non stesse guarendo. Era rimasta la stessa linea vermiglia del giorno prima.


Non sparirà così.


E come? Lasciando che l'angelo venisse mangiato dagli incubi? Lasciando che morisse di paura? Lasciando che sanguinasse come un, come un- 


    «Crowley,» lo chiamò debolmente Aziraphale, intanto che lavorava. «Stai bene?»


Tipico. Oh, tipico. Mai una volta che quel pazzo pensasse a sé stesso: aveva uno spirito di conservazione pari a zero.

    «Dovrei essere io a chiederlo a te.»


    «L'hai già fatto,» rispose l'altro con un leggero sorriso. «E stai mugugnando.»


    Maledetta vocina. Stava prendendo il sopravvento. «È solo nervosismo, lascia stare. Piuttosto: che ti è successo?» Chiese, facendo comparire bende e panni puliti. «E stavolta non scappi: dimmelo e basta.»


    «È solo un incubo,» rispose Aziraphale, tirandosi una delle coperte fin sopra alle spalle. «Non ha importanza. Dovremmo parlare di quello che sta succedendo, piuttosto.»


Ha molta importanza, invece.


Certo che ne aveva. Eppure, vero era che la "questione Dio" doveva permanere la priorità. Magari, adesso potevano ragionarci assieme e provare a cavare un ragno dal buco.

    Con uno sbuffo, Crowley decise che ciò che diceva il suo angelo era decisamente più importante di quello che asseriva il suo inconscio - o voce rompi palle interiore, che dir si voglia. «Va bene, ma vieni qui,» disse allargando le braccia e aspettando che l'altro si avvicinasse un po'. Voleva avere il permesso stavolta. «Tremi come una foglia.»

Non dovette aspettare molto per stringere quella fragile e fremente figurina che, anche stavolta, parve afflosciarsi tra le sue braccia.

Come poteva lasciarlo andare? Aveva sempre e costantemente bisogno di avere qualcuno accanto. Da solo avrebbe semplicemente continuato a soffrire ininterrottamente.


**


L'ipotetico pomeriggio, divenne un'ipotetica sera. L'ipotetica sera, un'ipotetica notte. L'ipotetica notte, un ipotetico nuovo giorno. Il cielo al di fuori permase scuro e costellato di piccole luci biancastre. Il tempo stesso esisteva ormai solo negli orologi e nell'abitudine delle persone. 

Aziraphale provò a non pensare a ciò che aveva visto dopo che il suo sogno lo aveva scaraventato sull'aspro terreno del campo di battaglia. Provò più volte a staccarsi da quell'abbraccio e prendere in mano la situazione, ma non ci riuscì. Inoltre, dopo un po' sentì Crowley rilassarsi contro di lui, allentare la stretta e poggiare pigramente la testa sulla sua. Decise quindi che ora toccava a lui lasciarlo dormire e intervenire nel caso fosse successo qualcosa.

Magari non era la cosa giusta da fare, ma gli diede il tempo di fare pace con la sua testa e ragionare. Per questo arrivò presto ad avere una piccola idea che non era granché, ma era decisamente qualcosa. E avere anche solo "qualcosa" in quel marasma di freddo, caldo, dolore e vuoto, era una vittoria non da poco.


    Quando sentì l'altro alzare la testa, raccolse ogni fibra di se stesso e sorrise: «Buongiorno. Sarai felice di sapere che forse so da dove potremmo iniziare.» 

    Si sedette, sgranchiendo un po' le ali e dando una sistemata alle piume che aveva involontariamente piegato. «Stai meglio?»


    «"Stai meglio"? Continui a chiedere se io- cioè, non- pf, vabbè. Lascia stare,» bofonchiò l'altro passandosi le mani sugli occhi. «Perchè diamine non mi hai svegliato?»


    «Perchè non sarebbe stato giusto e perché non volevo,» rispose l'angelo, facendo spallucce. «Allora, vuoi sapere a cosa ho pensato?»


    Crowley alzò gli occhi al cielo, non senza farsi scappare un mezzo sorrisetto: «Ovvio, che domande. Dai, spara.»


Il cerchio che teneva nascosto sotto al tappeto al piano di sotto gli era veramente stato utile giusto un paio di volte nel corso del tempo. Alla fine veniva sempre Gabriel a controllare come andassero le cose o, nell'evenienza, era lui stesso a fare una capatina in Paradiso. Inoltre, la prima - e unica - volta che aveva provato a chiamare Dio, era finita male. Va bene, era finita malissimo.

    Perché allora avrebbe dovuto funzionare quella volta? Bella domanda. Di nuovo: non era granché come idea, ma, come disse Crowley: «Sempre meglio che starsene con le mani in mano. A giudicare da quello che mi ha detto Gabe, ho come l'impressione che il Paradiso non abbia fatto che rompere le palle al Metatron nelle ultime ore.»


    «Sì, ma stavolta lo chiameremo noi.»


    «Sarà divertente stuzzicarlo,» disse l'altro con un sorrisetto divertito. «Magari riesco a tirargli fuori qualche dettaglio.»


    «Ne saresti perfettamente capace. Ci hai mai parlato?» Chiese Aziraphale, prendendo una coperta, tirandosela sulle spalle e iniziando a sgusciare fuori dal letto.


    «No, ma- che stai facendo?» Lo riprese Crowley, alzandosi e piantandogli le mani sulle spalle.


   L'angelo alzò un sopracciglio: «Vengo di sotto con te? Non vorrai mica attivare quell'affare da solo, vero?»


    «Guarda che so come si fa. Non sono nato ieri.»


    Il biondo si ritrovò, suo malgrado, a ridacchiare con la mano pronta davanti alla bocca: «Ma se sono più le volte in cui ci sei finito dentro ad uno di quei cerchi.»

La gente fissata con le evocazioni demoniache doveva darsi una bella calmata. Ci fu un periodo assurdo in cui il povero demone venne richiamato per ben tre volte nel giro di una settimana dalla stessa inesperta cricca di giovani umani. 


    «Appunto!» Esclamò Crowley, leggermente contrariato. «Dovrei saperne più di te. Ora stai buono qui, mentre io vado di sotto.»


Aziraphale non fece nemmeno in tempo a replicare che l'altro gli aveva già messo una tazza bollente in mano. Si beccò uno sguardo da: "Dico sul serio. Non ti muovere". Quasi sentì quelle pupille oblunghe e quelle iridi dorate perforarlo da parte a parte.

    «Va bene, va bene,» disse infine, stringendosi nelle spalle. 


Con un "mh", il rosso uscì.

L'angelo aspettò di sentire quei passi affrettati arrivare in fondo alle scale, posò il tè sul comodino, e si alzò lentamente. Prese una seconda coperta - anche se sapeva bene che sarebbe stata completamente inutile, e aprì la porta con una calma infinita.

Subito venne accolto dal fruscio del tappeto che veniva spostato e dall'incedere frenetico e ansioso dell'altro, il quale stava balbettando qualche lamentela all'aria, abitudine che aveva preso da quando era iniziato il disastro. Era già alla terza imprecazione di fila.

    Con uno scuotere di testa, Aziraphale si poggiò al corrimano con le braccia incrociate e alzò la voce: «Ho nascosto le candele nel cassetto della scrivania.»


    In quattro pesanti passi, Crowley comparì sotto di lui: «Sei un bastardo.»


    «Non me le facevi usare. Che altro avrei dovuto fare?»


    Il demone si sbattè una mano in faccia: «No, non per quello! Cioè, anche per quello - tu e la tua maledetta idea di "atmosfera". Dico: che ci fai qui?»


    «Tecnicamente,» precisò Aziraphale alzando un dito, «Non sono di sotto, quindi non puoi dirmi niente. Terzo cassetto dal basso.» Concluse con un sorriso, poggiando una guancia sul palmo della mano.


    L'altro strinse i pugni, farfugliò qualche lamentela e gli puntò un dito contro: «Sappi che un po' ti odio.»


    «Sì lo so, ora vai.»

Seguì il suono dei cassetti che sbattevano e sorrise amaramente ai versi di scontento. 

    «C'è anche l'accendino. Lo hai visto?»


    «Sì, e sappi che sto per tiratelo addosso.»


Sapeva quanto la storia dell'incendio avesse lasciato Crowley leggermente traumatizzato - e per "leggermente" si intende "davvero tanto", e un po' si sentì in colpa. Ma ormai non poteva fare altrimenti e avrebbe comunque trovato il modo di farsi perdonare, come sempre.


Fece per chiedere come stesse andando, quando udì un fruscio alla sua sinistra.

    «Finalmente ci rivediamo, luce alata,» parlò una voce profonda, ruvida e stranamente echeggiante.


Aziraphale si fece scappare un sussulto, indietreggiando velocemente e finendo dolorosamente con la schiena martoriata contro la parete. Sapeva bene di chi si trattava: l'ultima volta che si erano incrociati, era stato due anni prima.

    «Che ci fai qui?» Chiese, alla alta e scura figura davanti a sé.

Dal piano di sotto arrivò il suo nome, seguito da una corsa che piombò alla base delle scale.


Morte strinse la falce tra le dita ossute. I suoi occhi vuoti si posarono sull'angelo, inespressivi ma allo stesso tempo carichi di apprensione.

    Pronunciò due parole. Semplici ma piene di importanza: «Dobbiamo parlare

E in un attimo il mondo attorno a loro sprofondò nel buio. Non quello della notte, ma una melma nera, pesante e silenziosa.


   
 
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