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Autore: Gaia Bessie    29/12/2021    1 recensioni
Il Ministro Granger ha convinto il Mondo Magico ad adottare, con le opportune modifiche, alcune tecnologie Babbane.
In questo contesto, Rose Weasley-Malfoy si trova a condurre un'intervista televisiva a uno dei pochi Mangiamorte sopravvissuti, Rodolphus Lestrange.
[Dal testo]: Scorpius sospira, alza le spalle e glielo dice con semplicità – non avresti dovuto accettare l’incarico, va tutto a rotoli da quando lo hai fatto: forse, è meglio che i segreti di Rodolphus Lestrange muoiano con lui.
Rose non risponde – ha in mente le clip che ha appena rivisto e le tremano le mani mentre seziona una fetta di arrosto.
[Rodolphus/OC | Rose/Scorpius | Partecipa alle iniziative "A corde di Acquaviola" e "Regali di inchiostro" organizzate dal gruppo Facebook "L'angolo di Madama Rosmerta"]
Per Sev.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rodolphus Lestrange, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Per Sev,
Non dirò niente, se non che spero di sorprenderti.


«Rose, di grazia, potresti venire a tavola?» Scorpius batte ansiosamente il piede sotto il tavolo, facendo ondeggiare un’insalatiera in precario equilibrio. «Almeno oggi puoi fare uno sforzo? È Natale».
Rose Weasley-Malfoy sospira, passandosi una mano in fronte, con aria sconcertata mentre s’alza dal divano per raggiungere il tavolo da pranzo, accarezzando i capelli color tramonto di sua figlia al passaggio, prima di piombare a peso morto sulla propria sedia.
«Scusami» mormora al marito, con un sorriso mesto. «Ma tutto questo è semplicemente sconvolgente».
Scorpius sospira, alza le spalle e glielo dice con semplicità – non avresti dovuto accettare l’incarico, va tutto a rotoli da quando lo hai fatto: forse, è meglio che i segreti di Rodolphus Lestrange muoiano con lui.
Rose non risponde – ha in mente le clip che ha appena rivisto e le tremano le mani mentre seziona una fetta di arrosto.
 
L’era dell’informazione
 
Yesterday I died, Tomorrow’s bleeding
I fall into your sunlight
The future’s open wide, beyond believing
To know why hope dies
(Shattered, The Age of Information)
 
Una voce fuori campo: Rodolphus Lestrange, clip prima… tre, due, uno, azione!
 
La telecamera inquadra due poltrone gemelle, gentilmente offerte dalla casa di riposo di St. Oswald, con un velluto blu dolorosamente rattoppato – Rose Weasley, elegantissima nel proprio completo da Strega tortora, occupa quella meno vicina alla telecamera: non è lei la protagonista e, questo, l’ha ben chiaro quando sorride e fa cenno al cameramen di avvicinarsi.
«Buongiorno, signor Lestrange» cinguetta, sorridendo amabilmente (e senza un briciolo di disgusto) all’uomo sprofondato nella seconda poltrona. «La ringrazio per averci concesso quest’intervista».
Rodolphus Lestrange, il volto sfigurato da una densa mappa di rughe e cicatrici, sospira stremato: non dice che è stato cordialmente invitato dalla direzione del St. Oswald, prima, e dal Ministero in seguito,  a partecipare al documentario del governo sui crimini di guerra promosso dal delegato per la Memoria. Di tutti i prigionieri ad Azkaban, è uno dei pochi sopravvissuti.
Qualcuno ha fatto quel che Voldemort aveva insegnato loro: s’era preso talmente spago da impiccarcisi; altri, invece, non erano sopravvissuti all’onta del rovesciamento di fortuna e, uno dopo l’altro, i loro piccoli cuori anneriti avevano ceduto. Il Ministero non era mai riuscito a spiegarselo, l’incremento di mortalità nei condannati alla reclusione a vita per crimini di guerra: nemmeno quando diversi influenti Medimaghi avevano decretato che, a volte, il cuore può cedere senza condizioni cliniche pregresse.
La Stampa aveva ipotizzato, con tono di romantica nostalgia, che forse quei condannati erano morti per il troppo dolore causato da Azkaban.
Rodolphus Lestrange s’è mostrato collaborativo, da quando lo hanno trasferito, per via della demenza che gli annacqua la mente come olio nel gin, in una casa di riposo per Maghi e Streghe – e, quando gli hanno chiesto di depositare i propri ricordi, prima che andassero perduti, ha detto semplicemente di sì.
«Buongiorno» grugnisce, grattandosi la barba ben curata (ma non da lui). «Signorina…».
«Weasley, Rose Weasley».
«Weasley» borbotta lui, perplesso. «Sì, ricordo. I Weasley».
«Bene, Rodolphus. Se non le dispiace, inizierei con una domanda molto semplice» cinguetta Rose, il viso impiastrato di trucco che la dona una certa aria perennemente stralunata. «Vorrei che, per iniziare a ricordare il contesto in cui ci muoveremo, potesse parlarmi di sua moglie».
Lui incespica, cerca di richiamare alla mente quella figura mitologica – Bellatrix Black – ma, quando un nome gli rischiara il viso, è quello sbagliato.
«Alexandra?» domanda, perplesso. «Lei come fa a saperlo, mi scusi?».
«No, Rodolphus» lo corregge Rose, dolcemente. «Si sta sbagliando: il nome di sua moglie era Bellatrix, Bellatrix Black».
Ma l’anziano scuote il capo, con convinzione, e continua a dirlo: mia moglie si chiamava Alexandra, ne sono certo – pensa che non mi ricordi il nome di mia moglie, signorina Weasley?
Il regista, alle spalle di Rodolphus, fa cenno alla troupe di interrompere le riprese: funziona così, con la demenza. A volte le giornate sono buone, altre volte è impossibile ragionare: e, Rodolphus Lestrange, continua a scrutare l’intervistatrice con aria truce, sfidandola a contraddirlo.
Si spengono le luci, il cameramen sbadiglia domandando a gran voce un doppio espresso senza zucchero, Rose si stiracchia sulla poltrona, stirando per bene la schiena (e sentendo un pericoloso crack del tessuto del proprio completo).
«Mia moglie si chiamava Turner» insiste Rodolphus Lestrange, torcendosi le mani nodose. «Alexandra Turner. Alex. Chieda a lei, se non mi crede».
Rose alza un sopracciglio rosso, incuriosita e, sporgendosi leggermente verso di lui, glielo domanda: dove la posso trovare?
Lui non esita nemmeno per una frazione di istante.
«Vivevamo in Provenza» sussurra, pensieroso. «Sì, una tenuta vicino a un vitigno. E c’era anche un ulivo mezzo stecchito, me lo ricordo: e quando Roland aveva compiuto sei anni, si è spaccato il naso cercando di arrampicarvisi».
«Roland?» domanda Rose, prendendo mentalmente nota del nome. «Può spiegarsi meglio, signor Lestrange?».
«Mio figlio, il primogenito, Roland» risponde Rodolphus, con ovvietà. «Il mio orgoglio, il mio pupillo: ho voluto bene anche ai suoi fratelli, ma…».
«Mi sa dire che fine ha fatto sua moglie, i suoi figli? Perché nessuno ne parla?».
Lui pare pensarci, quietamente.
«Alex è sempre stata riservata, ha lavorato al Ministero per un bel po’, sa?» commenta, ringalluzzito. «Quando mi hanno catturata era andata a portare i bambini a Hogwarts: una fuga lunga anni, questo non lo raccontano a voi marmocchi dei vincitori!».
Rose si alza, calma, sorridendogli con cordialità – non lo dice, ma ogni rotella del suo cervello gira furiosamente e non le lascia scampo: dopotutto, è ancora figlia di Hermione Granger, quando si allontana con una scusa e un mezzo sorriso. Nel cortile della casa di riposo, evoca il proprio patronus, una volpe delle nevi così chiara da sembrare respiro condensato nel gelo.
«Scorpius, oggi non posso andare a prendere Ria dai nonni» sussurra, cercando di non tradire l’eccitazione che prova. «Puoi andare tu?».
La richiamano, facciamo un altro tentativo: Rose si ridipinge in viso il sorriso con il rossetto rosso, scrolla i lunghi capelli rossi e se lo dice – si torna in scena.
 
***
 
Ha fatto quel che sua madre la ha insegnato a fare quand’ha imparato a distinguere le a dalle o: è andata nella prima biblioteca disponibile e si è messa a studiare – documenti, necrologi, perfino la lista degli iscritti a Hogwarts: ma, a quanto pare, Alexandra Turner e i suoi figli sono dei fantasmi nel panorama del Mondo Magico.
E la cerca, spasmodicamente: se glielo domandassero, Rose non saprebbe dire perché si sia buttata con tale energia nella ricerca della seconda moglie di Rodolphus Lestrange – è la banalità del male, si dice, per quanto ti disgusti lo vuoi conoscere sempre.
Lo accenna a suo marito, Scorpius non comprende: storce la bocca e le ricorda che sono stati i Mangiamorte sopravvissuti a uccidere sua madre, davanti ai suoi occhi. Non esistono Mangiamorte pentiti, le ricorda in un sibilo, solamente chi è riuscito a scappare.
«Potrebbe essere importante, per la mia carriera» commenta Rose, quietamente. «Se questa signora avesse qualcosa da svelare su tutti gli anni di fuga di Lestrange… sarebbe un bel contributo, sai? Per la memoria».
Ma Scorpius Malfoy scuote il capo, con ostinazione.
«Quella di tua madre è un’ossessione» commenta, acido. «Nessuno di noi sani di mente vuole ricordare».
Hermione Granger è divenuta Ministro della Magia che aveva malapena trentacinque anni e, mandato dopo mandato, s’è confermata il miglior leader che il Mondo Magico abbia mai avuto – è stata lei, una decina di anni fa, a spingere per adottare alcune tecnologie Babbane, rivisitate per permetter loro di funzionare con la Magia: la televisione, ad esempio, è divenuta oggetto d’arredamento (e di divertimento) in quasi ogni casa di Maghi e Streghe.
Papà sarebbe stato fiero di te, le dice spesso Ron Weasley, con un sorriso divertito – ci sarebbe andato pazzo, per la felevisione… televisione, Ronald, per cortesia!
È stata sempre Hermione Granger a introdurre l’Ufficio della Memoria, dedicato al ricordo dei crimini compiuti durante la seconda Guerra Magica: il processo non le è bastato, ha dichiarato quando le hanno domandato perché. I processi non insegnano e io vorrei che le persone imparassero che è stato e non dovrà succedere mai più.
«Io vorrei che Ria, un giorno, sapesse cosa è successo ai suoi nonni» commenta Rose, senza scomporsi. «Con la consapevolezza che mai riaccadrà nuovamente».
Scorpius non la contraddice – sono poche, le volte, in cui realmente s’impunta per far cambiare idea alla propria moglie: ha sposato Rose perché lei l’ha assillato e corteggiato per così tanti anni che, all’alba del loro ventesimo compleanno (sono nati a sei giorni di distanza) non ce l’ha fatta più e si è scoperto innamorato di lei.
L’unica volta in cui si è impuntato, facendo valere la sua opinione, è stato in occasione della nascita della loro unica figlia: Rose era stata chiara – la devo spingere fuori io, quindi il nome lo scelgo io. Scorpius si era rifiutato di sottostare a quell’ennesima prepotenza e, quando la neonata aveva aperto quegli occhietti ancora ciechi, a lui era parso di rivedervi il verde di quelli di sua madre.
L’avevano chiamata Astoria – Ria – Malfoy perché Scorpius aveva detto a Rose che voleva così e che, piuttosto, sarebbe fuggito via con la neonata. Ma l’avrebbe chiamata come sua madre – era giusto così.
Era stata anche l’unica volta in cui Rose aveva chinato il capo e aveva ceduto, in un sussurro sconfitto: e così sia. Avevano detto che sarebbe stata un maschietto, non avevo un nome pronto per una bambina.
Scorpius sa che ha mentito, ma non le ha mai voluto domandare com’avrebbe voluto chiamare la piccina, non ne ha mai avuto il coraggio (d’altronde, la sua assenza è sempre stata prerogativa di famiglia).
«Fai come ti pare» commenta, passandosi una mano tra i capelli biondissimi. «Oggi puoi andare tu a prendere Astoria dai nonni? Helen mi ha mandato un Patronus, oggi abbiamo una riunione con il Caporedattore».
Scorpius lavora come giornalista alla Gazzetta del Profeta – invero, è un lavoro che detesta visceralmente, da quando hanno cancellato la rubrica letteraria per sostituirla con quella di gossip spicciolo sulla crème de la crème del Mondo Magico: Scorpius l’aveva ricevuta in eredità e, nei cinque anni che aveva trascorso lavorando sui commenti della nuova acconciatura di Cassandra Notte o sul  nuovo marito di Diane Zabini, aveva imparato a odiare ogni singola lettera contenuta in quei commentari.
«Certo» risponde Rose, pronta a sacrificare le proprie ore in biblioteca. «Sai, mia mamma le sta insegnando a leggere».
Scorpius annuisce, mordendosi la lingua per non ricordare a sua moglie che Ria ha solamente quattro anni e dovrebbe correre e giocare, e non stare con la nonna a cercare di decifrare i caratteri rotondi delle fiabe Babbane.
«Fantastico, tesoro. Alla cena ci penso io?».
È una domanda retorica – Rose detesta visceralmente cucinare e, ultimamente, trascorre le proprie serate appollaiata sul divano con in grembo un libro preso in prestito, alla ricerca dei cognomi Turner e Lestrange nella miriade di registri ministeriali. Ha lavorato al Ministero, la signora Turner – di lei non rimane nemmeno traccia sbiadita: dov’è, vive ancora?
«Sarebbe fantastico» sussurra, passandosi una mano tra i capelli rossi. «Domani mi devo alzare presto, continuo le riprese con Lestrange».
Scorpius annuisce, serio. «Fai attenzione».
Lo dice come se Rodolphus Lestrange fosse ancora un temibile Mangiamorte e non un anziano signore con le giunture gonfie e la memoria sbocconcellata dalla demenza – fai attenzione: se guardi a lungo nell’abisso, finirai per permettergli di guardare dentro di te1.
«Faccio sempre attenzione, tranquillo» risponde Rose, con noncuranza. «Tuo nonno ha lavorato al Ministero, non è vero?».
Scorpius annuisce, senza porsi domande in merito – capita spesso che sua moglie balzi da un argomento all’altro, senza reale cognizione.
Rose sorride, tornando a chiacchierare del più e del meno: Alexandra Turner è nascosta da qualche parte nella memoria del mondo e, ne è sicura, Lucius Malfoy sarà la chiave di volta per resuscitarne qualche ricordo.
 
***
 
Una voce fuori campo: Rodolphus Lestrange, clip seconda… tre, due, uno, azione!
 
Rodolphus Lestrange, quel giorno, è calmo come acqua cheta – si guarda attorno, con attenzione, ma non pone domande: è un giorno buono. Quando ha visto Rose e la troupe varcare la soglia della casa di riposo, a ghignato, mostrando due incisivi mancanti, e ha domandato: lei è una che non si arrende mai, signorina Weasley, non è vero?
Rose ha sorriso – da sposata mi chiamo Malfoy – e s’è seduta sulla propria poltrona, incrociando le gambe e facendo cenno al cameramen di cominciare con le riprese.
«Vorrei che parlassimo di sua moglie, oggi» dichiara, calma. «Bellatrix».
«Conosco il nome di mia moglie» ribatte Rodolphus, con un sorriso irritato sul volto. «Non ho bisogno che lei me lo ricordi. E, comunque, di Bellatrix sapete già tutto quanto: è scritto nei vostri dannatissimi archivi, no?».
«Siamo a conoscenza dei crimini commessi da sua moglie, sì. Ma vorremmo conoscere il suo punto di vista, sa, per fare chiarezza».
Rodolphus Lestrange sospira, si accarezza la barba grigia con un sospiro. «Ci siamo sposati perché era giusto così» dichiara, quieto. «Perché, quando eri giovane e Purosangue come lo eravamo noi, potevi obbedire solamente a due persone: la tua famiglia».
«E…?» sussurra Rose, curiosa.
«L’Oscuro Signore».
Rodolphus ride, mostrando nuovamente i due denti mancanti. «Non creda a ciò che si dice in giro» commenta. «A quei tempi, i Purosangue erano tutti favorevoli alle politiche dell’Oscuro: non tutti erano Mangiamorte ma, più o meno silenziosamente, pensavano tutti quanti che avesse ragione».
«Lei però lo era per davvero» suggerisce Rose, per incitarlo a continuare. «Favorevole a quelle politiche. È per questo che ha sposato sua moglie?».
«Avrei voluto Narcissa» ammette lui, divertito. «Avevo chiesto in sposa lei, o in extremis Andromeda: ma Malfoy si mise in mezzo e Andromeda fuggì con un Nato Babbano… i miei genitori mi dissero: “ti accontenterai, perché una Black non si rifiuta mai”. E così le misi un anello al dito e pronunciai le promesse».
Rose fa cenno alla propria assistente di passarle la propria cartella con le foto del matrimonio: ne estrae una, i bordi spiegazzati dal tempo, e la porge a Rodolphus.
«Me l’ha data la signora Malfoy» spiega, indicando Narcissa vestita da damigella, in un angolo della foto. «Direttamente dall’album del matrimonio tra lei e Bellatrix».
Rodolphus annuisce, concentrandosi su quei volti: li indica, nominandoli uno alla volta – com’era piccola Cissy, Malfoy, i genitori della sposa. Lo vede qui, questo posto vuoto al tavolo degli sposi?
Il Signore Oscuro ha comandato il matrimonio ma non si è mai presentato.
«Come mai Voldemort non si presentò?» domanda Rose, calma. «D’altronde, già ai tempi Bellatrix era la sua migliore Luogotenente».
«Lei sa di Delphini» l’accusa Rodolphus, calmo. «Era nella cella accanto alla mia, ad Azkaban, mi ha raccontato tutto: lei è a conoscenza della sua esistenza».
«Cosa c’entra Delphini Black?» domanda Rose, perplessa. «Ai tempi non era nata».
«Saprà bene, credo, che i bambini non li cucinano gli Elfi Domestici» risponde lui, divertito. «Delphini era stata un patto, sì, un’unione di Arti Oscure. Ma è stata concepita esattamente come io o lei abbiamo fatto con i nostri figli».
Rose annuisce, distrattamente, tornando a indicargli alcuni volti sulla fotografia: nell’assenza del Signore Oscuro, i Black risplendono fulgidamente – Narcissa, biondissima  e sorridente, Regulus scuro e affascinante, giovanissimo; Druella dai polsi sottili, carichi di bracciali, il marito imbronciato al suo fianco (Meda era stata la sua preferita ma, alle altre figlie, non l’ha confessato mai).
La famiglia Lestrange, con i genitori dello sposo in prima linea, appare più defilata – la madre, Philomène, non dedica nemmeno un sorriso al fotografo, severa nel proprio abito verde bottiglia.
«Il Signore Oscuro non mi ha mai perdonato quella decisione, presa da lui» commenta Rodolphus, pensieroso. «Ci ha proibito di avere figli, lo sapeva? Pensava che Bellatrix non fosse fatta per la maternità… non per i miei figli, almeno».
Rose fa per domandare, ma lui la interrompe scuotendo il capo.
«Non pensi mai che fosse amore» commenta, serafico. «Il loro era un incontro di Magia Oscura, un compromesso, un’affinità mentale che, sul finire, è diventata bisogno e possessione. Ma amore mai. Non aveva torto, Potter, quando ha dichiarato che l’Oscuro Signore non era in grado di amare».
«E lei quindi acconsentì a sposare l’allora signorina Black» lo interrompe Rose, cercando di ricondursi alla tematica dell’intervista. «Non ci sono molte testimonianze, della vostra vita dopo il matrimonio».
Rodolphus sorride, a malincuore, stringendo le labbra in una smorfia di malcelata insofferenza.
«Certo che no» commenta, quieto. «Abbiamo vissuto separati, i primi tre anni di matrimonio: lei stava completando il proprio addestramento con il Signore Oscuro, io sono stato lasciato a casa».
Rose vorrebbe chiedergli di più ma, il suo sguardo, cade inevitabilmente su una giovane donna ritratta nella foto, di fianco a Rabastan Lestrange. Occhi scuri e capelli scuri, un viso composto e raffinato, che guarda il fotografo quasi come a sfidarlo dall’estrometterla da quella fotografia.
«E lei chi era?» domanda, incapace di fermarsi. «La giovane tra suo fratello e Regulus Black: non credo di conoscere il suo viso».
«Certo che no» commenta Rodolphus, atono. «Alexandra è sempre stata un tipo riservato: immagino che sia fuggita da Londra, dopo la Guerra».
«Alexandra?».
«Una vecchia famiglia Purosangue, i Turner» completa Rodolphus, quieto. «Nobile lignaggio, il loro. La figlia sposò Barty, me lo ricordo ancora, quante gliene ha fatte passare! Quando penso che il mio matrimonio fosse infelice, devo sempre ricordarmi che quello di Alexandra Turner lo era molto più del mio».
Rose non gli chiede di spiegarsi, sebbene la curiosità le stia masticando le ossa, ma riporta il discorso sul matrimonio con Bellatrix Black.
Eppure, anche quando le luci si spengono e Rodolphus Lestrange viene riaccompagnato in camera sua da un inserviente, lei lo sente lì, ancorato alla pelle.
Lo sguardo deciso di Alexandra Turner non le lascia scampo.
 
***
 
Quando Scorpius torna a casa, trova la moglie intenta a sfogliare febbrilmente un libro sulle antiche famiglie Purosangue dal 1774 ad oggi: Rose ogni tanto alza il capo, occhieggiando alla figlia che gioca con un pupazzetto di un unicorno in un angolo, facendolo parlare con l’Albero di Natale del salotto e con tutte le decorazioni.
«Tesoro, sei tornato!» esclama Rose, con un sorriso contento. «Ho preparato io, la cena, alla fine. Ti andrebbe un bicchiere di Vino Elfico?».
Scorpius non mangia la foglia – si siede accanto a lei, con sguardo serio, e glielo domanda: cos’è che mi devi dire, Rose?
«Vorrei parlarti un attimo di una questione» risponde sua moglie, in tono leggero. «Spostiamoci in cucina, ti va?».
Traina suo marito fino alla cucina, chiudendo la porta e borbottando un Muffliato per sicurezza, in modo da impedire alla piccola Ria di udire quella conversazione.
«Sono stata dai miei, oggi» commenta, con tono casuale. «Sai, ti avevo raccontato che mamma stava insegnando alla piccola a leggere, no?».
Scorpius annuisce, serio, mentre sua moglie prende un grosso respiro – ha una linea di preoccupazione che le squarcia la fronte come una ruga.
«Mamma pensa che Ria sia dislessica» sussurra Rose, a capo chino. «Fa fatica a leggere: oggi Ria le ha detto che le parole le ballano sulla pagina e lei non le riesce a capire».
«E quindi?» domanda Scorpius, calmo. «Se Astoria è dislessica, faremo i dovuti esami e, ad Hogwarts, seguirà i programmi adatti a lei».
Rose sospira, ha le lacrime agli occhi.
«Avrei dovuto accorgermene io» mormora, passandosi una mano sul viso, scoprendolo bagnato. «Non mia madre. Io».
Scorpius non risponde – tutto, per non dirle che pensa spasmodicamente che abbia ragione: Rose, fin dal principio, è stata il genitore assente e, al contempo, il poliziotto buono: quella delle caramelle fuori pasto, dei dolci a cena e delle punizioni condonate. Ma, di passare del tempo madre-figlia, non ne ha passato mai troppo.
«Non è un dramma, Rose: molti Maghi di successo erano dislessici. Qualcuno sostiene che anche Silente lo sia stato, sai?».
Ma a lei non basta, come consolazione – tira su col naso, premendosi le dita sugli occhi per smettere di piangere.
«Mi chiedo se sono veramente una brava mamma, per Ria» sussurra, con voce rotta. «O se sto rovinando tutto quanto per il mio stupido lavoro».
Scorpius sospira, le passa una mano tra i capelli, scompigliandoglieli leggermente.
«Nessuno nasce padre o madre, Rose» sostiene dolcemente. «Penso sia normale, nel nostro caso, poter sbagliare. Qualche volta».
Lei annuisce, asciugandosi le ultime tracce di lacrime e mascara che le colano in volto, disegnandole lineamenti sempre nuovi.
«Ria starà bene» sussurra Scorpius, calmo. «Io non glielo farò mai pesare e nemmeno tu: è una bambina felice, continuerà a esserlo».
Rose sospira, quando lui si sporge per abbracciarla, facendo attenzione a non rovesciare quel calice di vino che lei gli ha messo in mano prima di cominciare la discussione.
«Grazie» mormora, nascondendo il volto nell’incavo della sua spalla. «Solo… a volte penso che tutti meriterebbero una madre come la mia, o come la tua».
Scorpius ride.
«Mia madre cantava alle sei di mattina, svegliandomi sempre» sussurra, malinconico. «Era la prima cosa che faceva, riscaldare la voce. E poi litigava con papà perché diceva che le verdure sono il male del mondo e che, se non le volevo, potevo benissimo non mangiarle».
Lei ride, di rimando, ma un senso di inquietudine continua a scavarle dolorosamente il petto.
 
***
 
Una voce fuori campo: Rodolphus Lestrange, clip terza… tre, due, uno, azione!
 
«Buongiorno signor Lestrange» Rose Weasley sorride amabilmente, nel proprio completo lilla. «Oggi vorrei che parlassimo di un argomento che mi sta, personalmente intendo, molto a cuore: Delphini Black».
Le sta a cuore perché, se non fosse stato per lei, Albus Potter sarebbe meno stato meno instabile e tormentato – il senso di colpa, che per anni l’aveva silenziosamente divorato, non gli era mai stato fatale solamente per la tenacia con cui i suoi parenti e i suoi amici s’erano ostinati a tenerlo in vita, nutrendolo di promesse e speranze. Finché non ci aveva creduto.
Dopo quella cotta per Delphi, Albus non si era innamorato mai più di nessuno o nessuna, preferendo scavare nella sua mente un bunker fatto di resistenza ai propri sentimenti.
Anche il rapporto con suo padre, fatto di dolcezza e comprensione, sul lungo andare si era deteriorato – Harry Potter aveva dovuto fare i conti con la propria incapacità di penetrare l’animo del figlio, scadendo in una perenne insofferenza che, sul finire, aveva logorato entrambi. Solamente Ginny Weasley resisteva ai malumori del figlio, sperando che fosse una fase.
Ma, Albus Severus Potter, dal proprio viaggio attraverso il tempo, non si era ripreso mai: Rose lo aveva visto, di recente, vagare per casa in occasione del matrimonio di Louis, gli occhi pieni di lacrime – quando gliel’aveva domandato, del perché di quel pianto, la risposta l’aveva gelata: perché non so permettermi di crescere, Rosie.
«Delphini Black» commenta Rodolphus, scandendo bene le parole. «Sì, mi ricordo di lei. Una bambina caruccia, ma piangeva continuamente».
E piangeva, spiega, perché sua madre la trattava come la delusione che era – un patto rotto, una promessa mancata e, sul finire, un esperimento riuscito male (malissimo): l’unica che passava minuti, no ore, china su quella culla era Narcissa. Lucida di pietà, madreperlacea di comprensione, rimaneva a cullarla anche dopo che si era addormentata e la teneva con la testolina sopra la sua spalla, la mano che le tirava una ciocca di capelli biondissimi.
A volte, mi chiedo perché Delphini abbia scelto di cercare suo padre attraverso il tempo quando, se solamente avesse avuto per davvero bisogno d’amore, avrebbe trovato in Cissy Malfoy la madre che le era mancata: no, no, non me lo dica – lo immagino bene: non era figlia d’amore, non avrebbe potuto amare.
Ride.
Per un sacco di tempo, ho pensato che mia moglie gli avesse somministrato l’Amortentia – non perché l’amasse, ma voleva averla con sé, come se quel bisogno di possesso gli corrodesse le vene fino a sciogliergliele: non l’ho mai capita, l’essenza del loro patto oscuro, penso che nessuno la capirà mai. Nemmeno chi guarderà questo documentario, signorina Weasley: mi perdonerà se non la chiamo Malfoy, ma l’unica signora Malfoy che conosco si chiama Narcissa.
«Lei sapeva che Delphini Black, prima di coinvolgere i figli di Harry Potter e Draco Malfoy nel proprio piano, aveva cercato di mettersi in contatto con lei?» domanda Rose, con aria professionale. «Lei era ad Azkaban, in quel periodo. Ricorda?».
Rodolphus annuisce, si prende il proprio tempo per elaborare una risposta.
«Ricordo» ammette, infine. «Mi hanno catturato poco prima di lei e, quando la sbatterono nella cella di fianco alla mia, mi disse che aveva provato a farmi evadere».
«E lei che ne pensa?».
«Che non si può più evadere da Azkaban – il mondo, lì fuori, non è più fatto per quelli come noi».
«E come comunicavate?» domanda Rose, curiosa. «Ad Azkaban non sono previste visite tra detenuti, o sbaglio?».
«Le stanze non sono insonorizzate: parlavamo attraverso un buco del muro, prima che la scoprissero» spiega. «E, poi, mi insegnò il codice morse».
Finché, un giorno, i pugnetti sulla parete erano cessati – Rodolphus aveva scoperto dopo che, la giovane figlia di sua moglie, s’era impiccata con le lenzuola pochi giorni dopo aver scoperto che, da Azkaban, non ci sarebbe uscita mai più (come lui).
«L’ha mai vista?».
Rodolphus scuote il capo, costernato. «No» ammette. «La intravedevo dal buco nel muro. Aveva i capelli di Narcissa, gli occhi di Bella».
«Avrebbe voluto dei figli suoi?» domanda, con dolcezza. «Parla di Delphini con molto affetto».
«Io ho avuto dei figli miei» risponde lui, lapidario. «Tre. Roland, il primogenito e… come si chiamavano gli altri?».
Rose sospira, mentre Rodolphus si perde in quel vaneggiamento – Roland, mio figlio maggiore, sì, me lo ricordo bene: che è andato ad Hogwarts con sua madre e io non l’ho rivista mai più, sì.
Parlo con affetto di Delphini Black perché, dopo che mi avete tolto i miei figli, era l’unico bambino di cui avrei mai potuto rivendicare la paternità (sebbene fittizia).
«La ringrazio, signor Lestrange» conclude Rose, con un sorriso cordiale. «Per oggi abbiamo finito. Domani le chiederò qualcosa degli altri Mangiamorte, la ringrazio per la sua pazienza».
Rodolphus non la sente – continua a farneticare: e ricordo quel giorno in cui Alexandra ha insistito per raccogliere lavanda e, allora, lei e il piccolo Rabastan sono tornati con i panieri pieni (Rabastan! Ecco come si chiamava mio figlio minore!) e l’hanno essiccata insieme a Orion, il figlio maggiore di Alex.
Mi è sempre piaciuto questo, di lei: siamo partiti da punti opposti ma, sul finire, ci siamo ritrovati insieme – due matrimoni infelici, due vite rovinate: e ci siamo ricostruiti, insieme.
«Non è ancora riuscita a trovarla, non è vero?» schiamazza Rodolphus, divertito. «So che la sta cercando: non la troverà, si fidi di me».
Il sorriso di Rose è glaciale.
«La ringrazio per la sua collaborazione, signor Lestrange».
 
***
 
Azkaban è meno fredda di com’era stata, quand’ancora era regno dei Dissennatori – Rose vi si addentra senza paura, tra i lamenti dei detenuti (chi vi risiede da anni, ormai, ha perso la voce): Rodolphus Lestrange aveva ragione, pensa distrattamente. Le pareti non sono insonorizzate.
La cella di Lucius Malfoy si trova alla fine di un corridoio, confinante con una stanza vuota, che non viene occupata mai – si teme per lui quel che non s’è temuto per Delphini: che se gli dessero corda, riuscirebbe a impiccarsi.
Un Auror la scorta fino alla cella e, con un gesto pigro della bacchetta, incatena con un fascio di luce Lucius Malfoy al letto: non che potrebbe sopraffarla, pensa Rose, sembra stanco e fragile come una foglia secca – la morte della moglie, l’anno scorso, gli ha dato il colpo di grazia: si dice in giro che, insieme alla notizia del matrimonio di Draco Malfoy con Astoria Greengrass, gli abbia spezzato il cuore.
«Buongiorno, signor Malfoy» Rose si siede su una sedia, evocatale dall’Auror, con un sorriso gentile. «Mi chiamo Rose Weasley, vorrei farle alcune domande».
«So chi sei».
Lucius Malfoy le rimanda uno sguardo disgustato – il terzo colpo di grazia: il giorno in cui suo figlio è andato a trovarlo (rarissime, quelle volte) per dirgli che Scorpius, suo nipote, avrebbe sposato una Weasley. Draco gli era sembrato tranquillo, Lucius aveva sospirato e s’era chiuso in una spirale di odioso mutismo.
«La trovo bene» mente Rose, senza staccarsi dal viso quel sorriso. «Come si sente oggi?».
«Fammi le tue domande» sibila Lucius, guardandola con astio. «E poi vattene. Pensavo che, dopo l’intervista per quello squallido documencoso, aveste finito con me».
Una collega di Rose s’era presa l’onere di intervistare il capofamiglia dei Malfoy – aveva resistito fino alla fine, poi s’era dovuta mettere in aspettativa: esaurimento nervoso, ansia, attacchi di panico.
«Sa, io mi sono occupata delle interviste a Rodolphus Lestrange» continua lei, calma. «E mi chiedevo se lei non avesse dei ricordi riguardo alla sua seconda moglie».
Lucius ride, fino a farsi male ai polmoni.
«Allora è vero» constata. «Alla fine gli ha ceduto il cervello».
«Intende dire che Rodolphus Lestrange ha mentito?» domanda Rose, incerta. «Che è un falso ricordo?».
«Oh, no. Intendo dire quel che ho detto: alla fine gli ha ceduto il cervello».
«Si spieghi».
Lucius sospira, vorrebbe muoversi ma è così fermamente legato al proprio letto che lo sforzo si rivela inutile.
«Io e Rodolphus l’abbiamo sempre pensata similarmente» commenta. «Proteggi te stesso e la tua famiglia, il tuo nome e la tua dignità. In quest’ordine».
«In che modo Rodolphus non avrebbe protetto sua moglie?».
«Ha idea di cosa vuol dire chiamarsi Lestrange, di cosa vuol dire chiamarsi Malfoy?» domanda Lucius, ironicamente. «Oh. Sì, dovresti saperlo».
«Lei sa dove posso trovarla?» domanda Rose, torcendosi le mani. «Alexandra Turner. Sa se ha un recapito o qualcosa, se posso scriverle…».
Lo fa ridere, di densa ironia che lo soffoca come un singulto improvviso.
«Salazar mi maledica, se dico che somigli terribilmente a quella Sanguesporco che hai per madre» commenta, divertito. «No, non penso abbia un recapito. Penso che si sarà sepolta dalla vergogna nel mezzo del nulla francese e, allora, forse la troverai lì se riuscirai a battere tutta Parigi per trovarla».
«Parigi?».
«Era il loro sogno, quand’ancora Bellatrix era troppo viva per realizzarlo» commenta Lucius, serafico. «Insieme, a Parigi2: ma Bellatrix è morta e Rodolphus è un vecchio rimbambito, cosa pensi che ne abbiano ottenuto?».
 
***
 
Una voce fuori campo: Rodolphus Lestrange, clip quarta… tre, due, uno, azione!
 
«Signor Lestrange, come sta oggi?» Rose si accomoda alla sua solita postazione, con un sorriso incoraggiante. «Vuole qualcosa da bere?».
L’uomo scuote la testa, pensieroso, non dice una parola – chissà in che ricordi si sta perdendo, se gli manca qualcosa (qualcuno) o pensa a una casa a Paris dove non ha messo mai piede. Non ne ha avuto il tempo.
«Oggi vorrei farle qualche domanda sugli altri Mangiamorte» prosegue lei, quietamente. «Vogliamo iniziare da Rabastan Lestrange?».
«L’Oscuro signore è morto» sibila Rodolphus, oltraggiato. «E mio figlio ha a malapena due anni: come pensa che possa essere un Mangiamorte?».
Rose sospira – oggi è un giorno brutto: sembra che lui non riesca a comprendere le sue parole, quasi gli scivolassero addosso nel turbinio ronzante della mancanza di comprensione.
«Parlavo di suo fratello».
«Mio fratello è morto».
Rose sospira, passandosi una mano tra i capelli, cercando di non mostrare la propria disperazione alle telecamere.
«Lo so» ammette, conciliante. «Non le va proprio di parlare di lui?».
Silenzio – Rodolphus non risponde, si perde a contemplare l’aria che lampeggia di sfere di luce: sembra non aver traccia, nella memoria, di suo fratello minore.
«Barty Crouch jr?» domanda allora Rose, sfogliando con calma i propri appunti. «Lucius Malfoy ha dichiarato che lei era stato il mentore di Barty».
«Barty, sì» ringhia Rodolphus, improvvisamente partecipe. «Se solamente sapesse quanto l’ha manipolata, quanto l’ha fatta soffrire… Alexandra è sempre stata incline al perdono, lo trovava più elegante di una sana vendetta».
Rose sospira, scuote il capo, fa cenno di terminare le riprese – mia moglie, Alexandra: le avrei cancellato tutti quei ricordi, se me lo avesse permesso, ma diceva che la sofferenza fortifica e, allora, se li è tenuti tutti insieme a quel figlio di padre bastardo. Io non l’ho perdonata mai, per questo, ma per amor suo sono stato zitto.
«La ringrazio, signor Lestrange» sussurra Rose, stancamente. «Riprenderemo domani, va bene?».
«Tu la devi trovare» risponde Rodolphus, gli occhi sgranati nelle luci sfarfallanti che l’abbagliano. «La devi trovare e dirle che per me conta ancora tutto quel che c’è da contare, hai capito?».
Rose sorride, malinconica – in un mondo in cui il sangue è quel che conta di più, è l’amore che ti fa ammattire e ti rosicchia i bordi della mente, rendendoti libero di dire quelle parole che ti sono germogliate dentro negli anni.
«Mi dia un segno» sussurra. «Un indizio, qualcosa!3».
Rodolphus ci pensa e borbotta così piano che, le parole, escono con i suoni smangiucchiati e non si riescono più a distinguere tra di loro.
«Le piacevano da morire i servizi da tè e quella serie di anticaglie noiose che piacevano anche a mia madre» commenta, piano. «Aveva detto che, se fosse andata male al Ministero, avrebbe aperto un negozietto di antiquariato a Parigi».
Rose sospira, si alza sapendo di non avere alcun indizio fra le mani e, con un cenno di saluto, si allontana a grandi passi.
La voce di Rodolphus Lestrange la segue.
«L’avrebbe chiamato Le salon de thé».
 
***
 
Sala da tè.
Un buffo nome, per un negozio d’antiquariato – Rose prende una Paassaporta per Parigi e, chiedendo indicazioni in un buffo francese scolastico, riesce finalmente a trovare il negozio di Alexandra Turner, imboscato tra una pâtisserie e un salone di bellezza, con la vetrina macchiata di pioggia e mille servizi da tè esposti.
Quando entra, uno scampanellio di uno scacciapensieri la fa sobbalzare, insieme alla voce di un uomo – maman, una cliente!
«E allora vai ad accoglierla, Roland, mi domando a volte se non ti abbiano cresciuto i lupi» borbotta un’anziana signora, con i capelli raccolti in un elegante chignon sale e pepe. «Buongiorno, cherie, posso esserle utile?».
«Parlo con Alexandra Turner?» domanda Rose, sorridendo dolcemente. «Mi chiamo Rose Weasley, ultimamente ho avuto occasione di parlare con suo marito e…».
«Non ho più un marito» risponde la signora, atona. «Ma, se vuole, posso mostrarle qualche servizio da tè. Questo con le passiflore, ad esempio…».
«Mi riferisco a Rodolphus Lestrange, signora Turner».
Le mani le tremano lungo una teiera decorata a foglie e fiori, costringendola a rimetterla a posto con un sorriso nervoso.
«Non so di cosa stia parlando» insiste Alexandra, con un sorriso cordiale. «Ora, se vuole scusarmi, se non ha intenzione di comprare niente…».
«Maman! Non potresti ascoltare cos’ha da dire?» sussurra un giovane uomo, con aria stanca. «Mi chiamo Roland, Roland Lestrange. Ti prego, raccontami quello che hai da dire».
Rose sospira.
«Vorrei farvi vedere dei filmati» sussurra. «Avete un laptop?».
 
***
 
 Una voce fuori campo: Rodolphus Lestrange, clip quarta… tre, due, uno, azione!
 
«L’avrebbe chiamato Le salon de thé… E vorrei che le dicessi, quando la troverai, che mi dispiace di essermi perso tutta la nostra vita insieme» sussurra Rodolphus, per un attimo consapevole. «Che l’ho amata veramente e, fosse dipeso da me, non avrei mai scelto di farmi portare via da lei».
 
Il video s’interrompe, non c’è una quinta clip – hanno mandato un Patronus dalla casa di riposo: Rodolphs Lestrange è morto oggi.
 
***
 
Alexandra Turner sorride, di fronte allo schermo statico del computer – le passa tutta la loro vita davanti: Barty, Regulus, Bellatrix, Narcissa, Orion, i loro figli. E Rodolphus, Rodolphus che scopre Regulus a baciarla quand’ancora era una bambina, Rodolphus infelice nel proprio matrimonio, Rodolphus in primavera che sorride e dice che sì, la vuole.
«Grazie» mormora, in un sussurro.
Rose sorride – tornerà a casa, quel giorno, e darà un bacio in fronte a Ria, promettendole d’essere la madre migliore possibile.
Lascerà il lavoro: dopo aver raccontato i frammenti della storia di Rodolphus Lestrange, si dice, non avrà poi molto altro da dire al mondo.
Va bene così.
 


1Riadattata da Nietzsche, Al di là del bene e del male
2Dal cartone animato "Anastasia"
3Come sopra

Ciao, sono tornata dopo secoli di silenzio. Sì, sono cotta come una pera, sì non so come farò a recuperare tutti i regali che devo fare, assistetemi con il pensiero.
Detto ciò. Segnalo che Alexandra Turner e i suoi figli non mi appartengono, ma sono personaggi inventati da Severa Crouch, ma mi sono permessa di prenderli in prestito per farle una sorpresa (spero sia gradita).
E niente. Buone feste a tutti, ci vediamo tra qualche ora (spero) con un altro regalo.
Un bacio,
Gaia
   
 
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