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Autore: Gaia Bessie    29/12/2021    4 recensioni
Prima oblitera il biglietto, un abbonamento che tiene nascosto nel portafoglio di pelle marrone riposto nei blue jeans, maglietta bianca e un sorriso strafottente quando allunga le mani per igienizzarsi le mani con il dispenser dell’autobus – è giallo, gli sibila il suo gemello, ma non ti fa schifo? – per poi sistemarsi la mascherina sul naso.
Shoujou tiene la musica alta, nelle cuffiette (una non funziona, l’altra sì) e batte il tempo di una canzone immaginaria sul ginocchio, tra i mille lividi dell’allenamento di pallavolo.
Qualche volta si chiede cosa succederebbe se provasse a parlarci, ma non lo fa mai.
[AtsuHina | Scritta per l'iniziativa "Regali di inchiostro" organizzata sul gruppo Facebook "L'angolo di Madama Rosmerta"]
Per Cora e Frei.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Atsumu Miya, Shouyou Hinata
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Per Fiammi e Frei,
Spero di strapparvi un sorrisetto, dato che la mia passione per le barzellette non era cosa nota.



Il lunedì legge un libro di Baudelaire, sempre lo stesso, seduto appena dietro l’autista: Shoujou non sbircia mai ma, al terzo lunedì, gli cade l’occhio – tiene una rivista di cucina incastrata tra le pagine e, quando s’accorge che anche lui se n’è accorto, gli fa l’occhiolino e si posa un dito sulle labbra, facendogli cenno di non dire niente.
Lo intravede, seduto sempre allo stesso posto, dalle retrovie dell’autobus: il ragazzo dai capelli color del grano, secchi per la decolorazione, si siede e apre il proprio libro.
Prima oblitera il biglietto, un abbonamento che tiene nascosto nel portafoglio di pelle marrone riposto nei blue jeans, maglietta bianca e un sorriso strafottente quando allunga le mani per igienizzarsi le mani con il dispenser dell’autobus – è giallo, gli sibila il suo gemello, ma non ti fa schifo? – per poi sistemarsi la mascherina sul naso.
Shoujou tiene la musica alta, quando è il suo turno di salire sul bus, nelle cuffiette (una non funziona, l’altra sì) e batte il tempo di una canzone immaginaria sul ginocchio, tra i mille lividi dell’allenamento di pallavolo.
Qualche volta si chiede cosa succederebbe se provasse a parlarci, ma non lo fa mai.
 
La gallina e il tribunale
 
Ma ora ti penso e lo sai
Cosa mi passa per la testa
 
Il lunedì legge Baudelaire e, quando deve avvalorare la finzione, ogni tanto si volta verso il suo gemello e gli snocciola su due piedi una o due frasi che Shoujou non sente e, allora, deduce che si tratti del verso di una poesia o della cottura dei muffin al cioccolato di cui stava leggendo.
Il mercoledì si mette con i piedi stesi sul sedile di fronte a sé e posiziona il portatile sulle ginocchia e scrive, scrive furiosamente – Shoujou non lo domanda, ha iniziato a tacere più spesso da quando Daichi gli ha spiegato cosa voglia dire riservatezza, ma a volte vorrebbe chiedergli se non stia scrivendo quelle poesie che non legge mai.
Il venerdì, poi, arriva sempre vestito a festa: Suga gli ha detto che alla Queen Mary organizzano il venerdì universitario e, quando Shoujou gli ha chiesto di che giorno, il ragazzo s’è messo a ridere, scompigliandogli i capelli color tramonto. E il ragazzo biondo arriva con una cravatta legata in testa e sembra un po’ brillo, con gli occhi spalancati verso le viscere del bus: giocherella con l’elastico della mascherina, chiede al suo gemello se per caso non abbia dell’altro vino.
È in quell’occasione che, un venerdì che somiglia al precedente e somiglierà anche al successivo, scopre il suo nome – suo fratello lo urla, cercando di fargli recuperare quel minimo di decenza che ogni essere umano dovrebbe preservare.
Atsumu.
Atsumu Miya.
Se lo immagina a scriverlo sui documenti d’ammissione all’università, alla fine di un compito per casa e sui propri quaderni tutti blu, con i quadretti perché le righe non sono abbastanza precise. Se lo immagina a studiare lettere o, perché no, filosofia: uno che è intelligente, ma non si applica mai, eppure riesce senza sforzo.
Studia lettere o filosofia perché gli hanno detto che era la strada per lui ma, quando ha del tempo libero, adora impastare torte e infornare biscotti: conosce a memoria tutti i tempi di cottura e, quando gli manca il sale, allora è un disastro – come pensi che possa venire, un buon dolce, se non gl’insegni il significato del suo opposto?
E gli piace il burro di arachidi: lo adora per davvero, Shoujou ne è convinto – il lunedì smangiucchia dei cioccolatini con la nocciolina dentro e, quando il mercoledì torna senza aver pranzato, sbocconcella un toast burro d’arachidi e marmellata. Forse d’uva, forse di fragola.
È altissimo – alto come una pertica ma non altrettanto sottile e, quando cammina molleggiando sui talloni e con i pollici nella tasca dei blu jeans, qualche ragazza si volta sempre: vorrebbe chiedergli come fa. A piacere per un sorriso, senza dire una parola (e rovinare tutto quanto): l’ha chiesto a Nishinoya che, occhieggiando ad Asahi, gli ha risposto. Si chiama charme.
E così Shoujou ha appreso una parola in francese che non userà mai, se non per associarla ad Atsumu Miya e, allora, lo guarda in silenzio mentre racconta una barzelletta a un signore con la coppola in testa e spiccato accento straniero – lo sa cosa ci fa una gallina in tribunale?
No?
Va a deporre.
Cala il silenzio, Shoujou trattiene un risolino che, altrimenti, sentirebbero tutti quanti – Atsumu alza le spalle e torna a sgranocchiare il proprio spuntino: ha le briciole di toast sulla maglietta, uno schizzo di marmellata (uva, decisamente uva. Frutti di bosco?) e suo fratello continua a porgergli un pacchetto di fazzoletti, sperando che capisca l’antifona.
Non la comprende. E, impara il giorno in cui sente l’altro Miya borbottargli una risposta acida, Atsumu non comprende nemmeno il sarcasmo: annuisce, sorride mostrando i denti perfetti, ma non risponde mai. O non comprende il sarcasmo o semplicemente non gl’importa e, allora, lo guarda mentre si pettina i capelli con la mano, incrostandosela di gel e briciole di toast.
È un disastro ambulante ma, ogni volta che si volta e ne incrocia lo sguardo, a Shoujou viene immediatamente da sorridere e, per far sorridere qualcuno in quel modo, devi saper ridere per davvero (o avere molto da piangere).
Lo chiede anche a Kageyama, se secondo lui non potrebbe andare a parlarci, un giorno – Tobio stringe le labbra e, offeso, scuote il capo: si può sapere cosa ci trovi?
Shoujou non glielo sa spiegare, che è il ritmo insostenibile dei giorni che, trascorrendo, gli regalano sempre qualcosa di nuovo di lui e che, nonostante tutto, sa di avere una mano di carte che è inevitabilmente monca di qualcosa.
Non glielo sa spiegare – che, alla sera, ne pronuncia il nome come fosse una divinità in catene e, allora, quasi s’aspetta di vederselo comparire davanti con un sorriso (anche se non succede mai, nelle sue preghiere notturne lo vede sempre).
E, adesso che sa il suo nome, evocarlo alla mente è sempre più semplice ed immediato, quando chiude gli occhi e i sogni gli colorano come ombretti le palpebre.
Si chiama Atsumu.
Atsumu Miya.
 
***
 
Il martedì si presenta da solo con un pallone sottobraccio e si siede nelle retrovie, insieme a dei ragazzini di seconda media di cui sembra il leader indiscusso: Atsumu non si volta mai a guardarlo ma, un giorno che è martedì e lo sente schiamazzare più del solito, si volta e lo trova a fare un comizio sulla pallavolo a tre dodicenni intenti a guardarlo pieni di scetticismo – gesticola con quel pallone tra le braccia come se ne valesse della sua vita e, quando fa per mimare una schiacciata, l’autista suona un colpetto di clacson e gli urla di sedersi e fare il bravo. Lui mette il broncio, ma si siede comunque.
Lo vede con la coda dell’occhio, seduto proprio dietro l’autista: un ragazzino con i capelli che gli tramontano in capo e un’energia considerevole, mentre continua a bisbigliare a quei ragazzini.
Quand’è salito ha obliterato il biglietto, nascosto nella cover del cellulare che tiene sempre in mano (aspetterà una telefonata da qualcuno?), poi ha estratto dalla tasca dei pantaloncini sportivi – ed è dicembre e fa un freddo cane – una confezione di igienizzante per le mani, occhieggiando preoccupato a quello offerto dal trasporto urbano. Ha giocherellato con l’elastico della mascherina nera, con aria pensierosa, mentre s’avviava al proprio posto un po’ camminando e un po’ saltellando, la musica così alta nelle cuffiette che chiunque poteva sentirla al suo passaggio.
Qualche volta Atsumu si domanda cosa potrebbe mai succedere se allungasse la mano e lo salutasse, ma poi alla fine non lo fa mai.
 
***
 
Il martedì si presenta da solo con un pallone da pallavolo sottobraccio e, mentre insiste sullo spiegare i vantaggi di quello sport a una manica di bambini troppo cresciuti, mima un bagher o un palleggio con aria ispirata e borbotta qualcosa – Atsumu non lo sente, nel casino dell’autobus, ma sospetta che faccia parte dell’orazione in favore della squadra di pallavolo locale: sa che esistono, ma non ha mai assistito nemmeno a una partita.
Il giovedì arriva a testa china, seguito a ruota da altri due o tre amici, dove uno che somiglia ad un Samurai si fa trainare da un piccoletto con la cresta e, un ragazzo dai capelli corti e scuri, continua a borbottare prediche sul comportamento del rosso e così via: sono confusionari, casinisti – bellissimi. Atsumu vorrebbe prendere suo fratello e andare a sedersi con loro, chiedere al bruno cos’abbia fatto il rosso di così grave da meritarsi un pubblico cazziatone, ma alla fine gli manca sempre il coraggio.
Il sabato, poi, arriva con gli occhi impastati di sonno, all’ultimo autobus della sera: Osamu, ridendo, ha ipotizzato che crolli di stanchezza in palestra e, allora, corra dietro all’ultimo bus per non rimanere appiedato. Lo segue, correndogli dietro, un ragazzo dai capelli neri come l’ala di un corvo – è in quell’occasione (un sabato che è identico al precedente e al successivo) che, nel sentirlo chiamare con aria irata, Atsumu scopre il suo nome.
Shoujou.
Shoujou Hinata.
Se lo immagina a tratteggiarlo sulla prima pagina del proprio diario segreto, sul contratto part-time a un Supermercato in periferia e sulle mille etichette che ha attaccato ovunque (zaino, portacolori, perfino sulla maglietta). Se lo immagina a correre dietro una palla tutto il giorno e, perché no, saltare i compiti alla sera perché troppo stanco: è stupido come una zappa, potrebbe dire di lui il suo amico con i capelli come piume nere, non capisce niente né si impegna per farlo.
Gioca a pallavolo ma lui non è la pallavolo – è quel sorriso spontaneo che gli viene su quando ne parla, il gesto con cui convulsamente mostra come si schiacci una palla.
E odia a morte le bevande energetiche all’arancia, scopre il martedì in cui il suo amico-Samurai gli porge la borraccia e Shoujou sputa il liquido giallastro tutt’intorno.
È minuscolo – una personcina in miniatura e, allora, Atsumu non si spiega come faccia a fare tutto quel casino da solo: quando urla qualcosa, mezzo autobus si volta e, allora, anche Atsumu si sente legittimato a farlo.
Adora cantare, odia ballare: a volte si sente a disagio con il suo essere così piccolo e, allora, sul sedile si tira dritto e si sente gigante, di fianco ai suoi amici che (giganti) lo sono per davvero, rispetto a lui. Qualche volta tira la manica del suo amico e borbotta qualcosa, ma Atsumu non ha abbastanza fantasia da indovinare cosa gli stia effettivamente dicendo. Forse un discorso serio, forse una barzelletta.
Sai cosa ci va a fare una gallina in tribunale?
Va a deporre.
È l’unica battuta di cui ha memoria, la ripete a tutti fino allo sfinimento, e non se lo sa spiegare, non ne è in grado: perché continua a guardarlo come se potesse spiegargli la vita e molto altro, come se ci fosse una divinità in quel corpicino minuto. Solamente perché ne conosce il nome.
È che, adesso che sa che un nome tutto suo lo ha (ne dubitava), rievocarlo in mente è come ripercorrere ricordi pieni di sole: lo dice a Osamu che sbuffa, rimettendogli tra le braccia i Fiori del male, rischiando di far cadere l’opuscolo sulle torte in pasta di zucchero, e gli intima di mettersi a studiare, ma studiare per davvero.
Atsumu finge di leggere uno o due versi – ma niente, il pensiero è sempre lì: al piccoletto seduto in piccionaia, con le gambe scomposte e il sorriso come una ferita aperta, mentre gesticola animatamente e cerca di convincere chiunque abbia attorno che il suo futuro sia lì, nella pallavolo.
Lo ripete sottovoce, cercando di non farsi sentire da Osamu.
Si chiama Shoujou.
Shoujou Hinata.
 
***
 
Mercoledì Shoujou compie diciassette anni e si presenta in autobus con una corona di cartapesta in capo e un piatto con una fetta di torta – solo.
Atsumu increspa le labbra ma, anche quel giorno, non gli dice una parola che sia una.
 
***
 
Giovedì Atsumu non si presenta.
Shoujou rimane a guardare il posto vuoto accanto al gemello Miya, sconsolato, ma il biondo non si materializza.
 
***
 
Venerdì torna.
Lo vede mentre sta obliterando il biglietto, già seduto al proprio posto, i capelli biondi incrostati di gel e un sorriso sul bel volto – tradimento: è salito una fermata prima e non ha senso, non è come ogni giorno, non.
Hinata gli passa affianco – stranamente silenzioso – ma Atsumu lo prende per una manica, gettandogli in mano un pacchetto regalo e un biglietto.
«Ieri ho preso la metro» si giustifica, grattandosi il capo.
Shoujou abbassa lo sguardo: si ritrova in mano una scatolina chiusa con un fiocco e un numero di telefono.
Sorride, mentre va a sedersi in piccionaia, stringendo quel pezzetto di carta al petto.
 
 
E oggi prendo la metro
Per portarti un regalo un po' strano
Che se sorridi è così, così, così
che tutto torna umano
(Sangiovanni, Raggi gamma)

Questo Fandom ormai è un porto sicuro, per me.
So che posso mancare per mesi ma, quando torno, sono a casa.
Spero che sia così anche per chi, coraggiosamente, legge queste storie.
Buone feste,
Gaia
   
 
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