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Autore: Gaia Bessie    30/12/2021    1 recensioni
Helena ha messo un confine.
Sono venti passi – si volta, corre via.
Solo venti passi – non torna mai indietro.
Helena ha messo un confine: lui non lo comprende, ma lo rispetta.
Non può fare altro.
[Helena/Barone | Partecipa all'iniziativa "Regali di inchiostro" organizzata sul gruppo Facebook "L'angolo di Madama Rosmerta"]
Per Legar.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Barone Sanguinario, Cosetta Corvonero, Helena Corvonero
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Per Legar,
Sa di insonnia, di sclero e di inquietudine. Ma, da qualche parte, ci sono un po' di pezzi di una storia che conosci (e so che ti diverte trovare me che cito me stessa) e, probabilmente, anche di me.
Grazie per esserci sempre.


 
(Senza) Confini
 
 
Helena ha messo un confine.
Sono venti passi – si volta, corre via.
Solo venti passi – non torna mai indietro.
Helena ha messo un confine: lui non lo comprende, ma lo rispetta.
Non può fare altro.
 
***
 
C’è un tempo che cola via come rugiada e non lascia traccia, al mattino, quando Helena deve risciacquarsi dal viso il rossore del giorno precedente e ridisegnarsi il viso con un belletto sempre diverso: sua madre, seduta alla finestra in vetro veneziano, sospira e le dice non ne hai bisogno, bambina.
Helena, nella specchiera incrinata (una spazzola l’ha colpita, due sere fa, in un impeto di rabbia), si vede e non sorride. Ha le dita macchiate di rosso carminio, se le picchietta sulle labbra, sugli zigomi, si disegna in viso una bellezza che vede solamente sua madre.
Corinna sospira, guarda fuori dalla finestra – Salazar vaga per il cortile, le braccia dietro la schiena e non un pensiero in testa: da quando è tornato dal suo viaggio attorno al piattume del mondo, è cambiato. Inquietudine ne ridisegna i lineamenti al pari del belletto di sua figlia, non voluta e non riconosciuta, e quando Corinna gli parla lui non risponde mai in lingua conosciuta dall’uomo: borbotta qualcosa nella strana lingua dimenticata dei Pitti1, scuote il capo e le dice dimentica.
Ha portato con se un uomo.
Alto e spigoloso come un fuso, l’ha presentato come il Barone Maledetto, perché macchiatosi dello sterminio di tutta la propria famiglia: un uomo che osa tanto dev’esser per forza nobile, se non di cuore e d’animo, nel sangue – e sapessi quanto ne ha versato, Corinna!
Madama Corvonero ha socchiuso gli occhi, neri come carbone, e silenziosamente gliel’ha detto – non lo voglio vicino a nostra figlia, Salazar, non osare. Ha osato.
Ha osato e ha detto al Barone di seguire Helena come fosse la sua ombra ultraterrena: temo sempre che possa venirle in mente di fuggire via di qui, strisciando tra le ombre come la misera biscia che è. Bada, non c’è mai niente di buono nell’invischiarsi con le donne: io ho chiuso gli occhi per un istante, mi ha partorito un’inutile femmina.
Corinna ha chinato il capo e s’è morsa la lingua, Helena ha continuato a pettinarsi nella specchiera, come mossa da fili invisibili: padre, ha mormorato senza traccia di rimprovero (e di qualunque altro sentimento), padre.
Salazar ha schioccato la lingua: non chiamarmi padre, ha sibilato. Io sono il tuo creatore e il tuo signore, padre mai, padre puoi chiamarlo Godric, se ti va.
«Io non fuggirei mai di qui» bisbiglia Helena, posando la spazzola sulla toeletta. «Non sono come voi».
Godric direbbe che le manca il coraggio, Tosca che è troppo gentile, sua madre che non è abbastanza acuta da opporsi. Ma è la voce di Salazar che le rischiara i pensieri con una risata, mentre le carezza il capo senza alcun residuo di dolcezza.
«Siete esattamente come me» commenta, quieto. «Ma non ve ne riuscite a rendere conto: da oggi, dipendete dal Barone – la sua volontà è la mia: vedete di non dimenticarlo mai».
Helena china il capo: da quel giorno, istituisce il confine.
Quando li lasciano soli, con Corinna che osserva sua figlia come se stesse per perderla per sempre (e così è), Helena lo traccia con risolutezza: io qui, tu lì. Venti passi di distanza, se mi vuoi seguire, ma ricordati che non mi prenderai mai.
Lui non risponde, china il capo. Per un momento, deve pensare che non sia muto, perché una fanciulla di quindici anni non potrebbe mai ammutolire un uomo adulto – ma poi alza lo sguardo, ha gli occhi di un azzurro che inquieta.
Helena ci si rivede dentro, come immersa in una foresta di ghiaccio: il capo eretto, il collo teso ma, lì nella piega rossa della bocca, una scia di terrore che non le lascia scampo. Ha imparato a temere le persone nel momento in cui suo padre le ha spiegato ch’era cosa buona e giusta aver sempre paura di lui, ha imparato a temere gli uomini il giorno in cui ha visto Ser Godric minacciare di pugnalare al petto sua madre, se non l’avesse accolto nel proprio letto: Corinna aveva ceduto con un sospiro offeso, di ricavarne non ne aveva ricavato niente – nemmeno amore, amore mai.
Corinna Corvonero s’è regalata per amore, ma l’amore non le è stato restituito: e, adesso che Salazar ha scoperto che la chiave di volta per la vita eterna è la morte ingloriosa, cosa rimarrà di lei? Un ricordo frantumato tra le crepe dello specchio, le minacce da ubriaco di Godric, la quieta pazienza con cui Tosca canticchia per i corridoi nel castello, intonando la ballata della serpe e della rosa.
La rosa punge, ma il serpente avvelena – chi pensi che soccomberà, se non Corinna dai polsi sottili e la volontà altrettanto fragile?
«Non abbiate paura» tossisce l’uomo, con voce roca, accento barbaro e straniero. «Vostro padre mi ha condotto qui per proteggervi».
Helena ride, un suono amaro e spezzato che potrebbe lacerarla come un pensiero perduto o parole da dimenticare.
«Proteggermi da chi?» sussurra, ha la voce che sa di lacrime. «Da cosa?».
Il Barone non le sa rispondere – china il capo, la mano sul pugnale che porta alla cintola come se qualcuno potesse attaccarla in quel momento, e tace: che sia silente, più che maledetto?
Helena si alza ed esce dalla stanza in un turbinio di gonne color zaffiro. Il Barone conta fino a venti, prima di seguirla.
 
***
 
Helena ha messo un confine.
Sono venti passi – diciannove.
Solo venti passi – diciotto.
Helena ha messo un confine, ma in lui ribolle il coraggio della propria gente.
Diciassette.
 
***
 
Capisce che l’ama che è inverno e non c’è spazio per i boccioli, sotto la neve che senza posa cade su Hogwarts: Helena si rende conto che la segue con lo sguardo, quando si muove, ma non per sorvegliarla da sé stessa – ha l’attitudine del predatore, il Barone Maledetto, la guarda e si lecca le labbra come se in lei intravedesse il sapore che potrebbe avere il suo sangue.
Capisce che l’ama quando si rende conto che, da ombra lontana, ha preso ad avvicinarsi passo dopo passo, rubandole spazio e respiro (si domanda se, in un giorno che è a diciassette passi di distanza) non vorrà rubarle anche un bacio.
Ne ha il terrore – l’amore è sofferenza, le ha svelato sua madre lavandosi via dalle gambe l’essenza di Godric Grifondoro, l’amore non ti ripaga: virtù e conoscenza, Helena, ricordatelo sempre.
Corinna Corvonero s’è disincantata all’alba dei suoi trent’anni: è stata promessa sposa bambina, promessa sposa di una promessa che s’è infranta. Lei forse non avrebbe voluto abbandonare il proprio nome, ma Salazar Serpeverde non s’è nemmeno mai mostrato propenso a offrirle il suo.
Helena ha imparato gli svantaggi del non averlo, un nome proprio, come non ha mai avuto un padre che non fosse un’ombra sfuggente. E, adesso che un’ombra meno sfuggente la segue, si trova a guardarsi dietro le spalle per verificare che il Barone non infranga il divieto dei venti passi.
Non lo fa mai – così le sembra, almeno.
Un giorno, poi, quando la rugiada si cristallizza in lacrime di ghiaccio, Helena glielo domanda.
«Continuerete a seguirmi per tutta la vita, non è vero?».
«Non so se esistono altre vite, oltre questa» risponde lui, serafico. «Se avessi la certezza che ci fossero, vi seguirei anche in quelle».
Helena sospira – in capelli neri le colano sul volto come sangue rappreso, una ferita al cuore che non sa come fare a riparare: non me, vorrebbe dirgli, vi prego non amate me (l’amore è distruzione, bambina: Corinna ha cantato questa ballata sopra il suo capo, da piccola. L’amore è ferita),
«Era esattamente ciò che più temevo» sussurra, riprendendo a camminare.
«Vi darei una vita onorevole, se non un nome» risponde lui, arditamente, avanzando di un passo. «Tutto ciò che potreste mai volere dalla vita: una casa, amore, una famiglia insieme».
Lei sorride, enigmatica.
«Sedici» commenta, indicando il pavimento.
Lui non comprende, finché lei non s’alza la gonna sopra le caviglie e muove quattro passi in avanti. Fa per seguirla, ma Helena riprende a camminare.
 
***
 
Helena ha messo un confine.
Sono venti passi – quindici.
Solo venti passi – quattordici.
Helena ha messo un confine, ma è linea spezzata dai suoi stessi sentimenti.
Tredici.
 
***
 
Helena si fa inquieta – allo scoccare dei suoi sedici anni, dice a sua madre: datemi in moglie, io devo andare via di qui.
Corinna non comprende – hai tutto, figlia mia, che bisogno avresti di un marito? – e la liquida con un sorriso dolcissimo e un cenno del capo: siamo donne, Helena, dobbiamo rimanere per non soccombere in un mondo che è fatto a immagine e somiglianza degli uomini.
Il Barone, in piedi alle sue spalle, comprende – sta cercando un modo per fuggire da lui.
«Perché non mi amate?» le grida, alle spalle, inseguendola per i corridoi che portano alle sue stanze. «Io vi amo, Helena, con tutta la passione che ho in corpo».
Lei non gli sa rispondere: dicono che l’amore si restituisca a chi amor richiede, ma lei non ama mai nessuno. Di certo, non lui.
Il Barone spalanca le braccia, percorre qualche passo (dodici), ma Helena gli volge le spalle e corre via sulla scia di un grido muto.
Io vi disprezzo, non dimenticatelo mai.
 
 
***
 
Helena ha messo un confine.
Sono venti passi – undici.
Solo venti passi – dieci.
Helena ha messo un confine, ma non basta nemmeno a lei.
Nove.
 
***
 
Helena fugge via e non torna più.
Sua madre si consuma di pianto sul proprio telaio, desolatamente vuoto, e nessuno sa consolarla – nemmeno quando Ser Salazar è sparito ha pianto in quel modo (occhi lucidi su un rosario di pietre preziose, così sia ha detto, che Dio l’abbia in gloria).
Lo supplica – vi prego, andatela a cercare.
Lui non si fa supplicare – otto passi di distanza, anche se adesso Helena è persa chissà dove: la troverò, Madama Corvonero, ve lo giuro sul mio onore.
Corinna sorride e gli pone una mano in capo, come un figlio, benedicendolo silenziosamente (lei che è la più santa di tutti): portatela da me e l’avrete in moglie, ve lo giuro.
Il Barone china il capo – ha quella promessa ricamata nel cuore, sotto il farsetto, e la ripercorre con le dita ogni sera, fino ad addormentarsi. Sogna ogni notte: la vede sorridere sapendo che, a lui, non ha sorriso mai.
 
***
 
Helena ha messo un confine.
Sono venti passi – sette.
Solo venti passi – sei.
Helena ha messo un confine, ma è stata sua madre colei che l’ha violato.
Cinque.

*** 

La trova.
Vorrebbe non averla trovata mai.
Perché, per quanto lui possa provare ad azzerare le distanze, Helena rimarrà sempre lì: venti passi davanti a lui, sempre pronta a correr via e scomparire nel nulla.
Arriva a quattro passi, prima di scattare – la tiene tra le braccia: non l’amore che aveva desiderato, non l’abbraccio che avrebbe voluto.
Helena adesso è impronta impressa nella memoria del mondo e a lui rimane solamente che sfaldare il ricamo che Madama Corvonero gli ha intessuto in petto.
 
***
 
Helena ha messo un confine.
Sono venti passi – tre.
Solo venti passi – due.
Helena ha messo un confine, lui inizia a rispettarlo. A volte.
Uno.

*** 

Cerca di parlarle – lei rifugge fa ogni sguardo – ma, il giorno in cui Helena ha parole da rivolgergli, è solamente odio che le storce i tratti in una smorfia.
Smette di cercarla – diviene un fantasma muto e mugolante, a lei non parla più: incute timore, guadagna rispetto. Corinna Corvonero aveva ragione: amore mai.
Finché non se la trova davanti, un giorno che non conta niente per la storia del mondo, ma non per lui.
«Mi dispiace, Helena».
«Era esattamente quel che temevo».
Il barone s’avvicina, fa per toccarla – ma lei si ritrae, sdegnosa, affonda le unghie nella carne tremula (trasparente) delle braccia.
«Helena».
«Venti passi, non dimenticatelo mai».
Ritorna indietro – non andrà avanti mai più.
 
***
 
Helena ha messo un confine.
Sono venti passi.
Solo venti passi.
Ma, per un momento soltanto, sono stati.
Zero.
 

1I Pitti, tribù nomade che si scontrò contro la conquista romana della Britannia, furono gaelizzati e inglobati dagli Scotti ai tempi dei fondatori.

Altre informazioni: la questione del Barone Maledetta l'ho presa in prestito da un'altra mia storia, Tre volte nominato, che però non costituisce né un MM né è legata in nessun modo alla trama di questa OS.
Detto ciò, spero che vi sia piaciuta.
Un abbraccio,
Gaia
   
 
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