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Autore: Fran Truth    30/12/2021    0 recensioni
Crowley non si aspetta più nulla dalla vita: una laurea in astronomia presto ridotta a un hobby solitario e notturno, il lavoro come insegnate di fisica, il sabato sera al bar con gente sconosciuta. Una routine fiacca e maniacale rotta solo da qualche pomeriggio in compagnia di Anathema, sua collega e vicina di casa, e nulla più. Finché una telefonata dall’Italia non rompe tutti gli schemi, perché la figlia di sua sorella Helen, morta quasi sedici anni prima, è rimasta orfana e senza parenti. Isotta si vede così costretta a lasciare Trieste, il mare e Ilenia, il suo primo e ancora fragile amore.
Aziraphale credeva di aver finalmente trovato il suo equilibrio, barattando il mondo esterno con quello dei suoi libri, ma a un certo punto si ritrova a soffocare nella sua stessa bolla. Preso da un impellente desiderio di sfuggire a quella solitudine, pubblica un annuncio di lavoro alla porta della sua libreria. Isotta coglie quella che sembra una piccola possibilità di ripartire, ammaliata da quell’angolo di mondo che odora di carta e tè, una luce in fondo a quel tunnel di delusione. Quel fioco bagliore si avvicina sempre di più e, infine, illumina tutti e tre.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il fischio del bollitore riecheggiò in tutto l'appartamento e la vaga melodia di una carola si mescolava nella magra folla sotto le finestre. Aziraphale, con già indosso la camicia buona, rispondeva in fretta alla manciata di messaggi di auguri che facevano vibrare il suo vecchio cellulare. Si fecero sentire alcuni colleghi, tra cui Daniel, che gli promise di passare il ventisette, e i suoi clienti più longevi. Passò una buona mezz'ora a chiacchierare con Camilla, intenta a preparare la tavola con lo schiamazzo del suo bambino in sottofondo. Fece i salti di gioia quando scoprì che Aziraphale non avrebbe trascorso il Natale in solitudine. A momenti, parve più contenta lei che Aziraphale stesso.

Concluso il giro di telefonate, si aggiustò – per quella che credeva essere la decima volta – il papillon di tartan e indossò la giacca beige delle feste. Rientrò in cucina e si passò una mano su tutto il viso per assicurarsi di aver passato il rasoio a dovere, si sistemò il gilet mentre preparava il tè e bevve a piccoli sorsi cercando il paio di scarpe adatto. Mancava meno di un'ora, ma i minuti avevano come deciso di rallentare.

Indossò il miglior paio di scarpe che aveva e, sempre con la tazza in mano, si diresse nella dispensa del retrobottega, verso la credenza dei vini. Tirò fuori i bianchi di migliore qualità e li osservò finché la tazza non fu vuota. Optò per uno Chardonnay e infilò la sottile bottiglia dentro al cappotto. Aspettò un altro quarto d'ora, in attesa di un'eventuale chiamata dai suoi fratelli che però non giunse. Si vestì, avvolse la sciarpa intorno al collo e uscì.

Londra era in festa e le strade più vuote del solito. Da ogni finestra uscivano grida, canzoni e auguri e il fumo degli arrosti inondava il plumbeo cielo inglese. Le lucine rosse e gialle brillavano sulle porte e sui balconi e le corone di agrifoglio decoravano le serrande chiuse dei negozi. Per la prima volta, il suo cuore era insolitamente calmo nel giorno di Natale.

Raggiunse Camden Town all'ora prefissata. Suonò al citofono e due squilli dopo gli rispose una voce femminile dall'accento americano. «Buongiorno?»

«Buongiorno» rispose. «Sono il signor Fell. Isotta...»

«Ah, lei! Arrivo subito ad aprirle, il tasto non funziona più. Aspetti un secondo.» Seguì un bip sommesso.

Una serie di passi veloci si bloccò davanti alla porta e la serratura scattò. Gli aprì una donna giovane che non doveva avere più di ventisette o ventotto anni, con la pelle ambrata, lunghi capelli scuri e due occhi neri incorniciati da un paio di occhiali tondi tartarugati.

Aziraphale allungò la mano. «Anathema?»

Rispose alla stretta e sorrise. «Si ricorda! Buon Natale, signor Fell.»

«Certo! Aziraphale va bene, per favore.»

Anathema annuì e gli fece cenno di seguirla.

I corridoi del condominio erano gelidi e assaporare il calore dell'appartamento di Isotta fu come bere ambrosia. Un fitto vociare si confondeva con un rumore assiduo di pentolame, mestoli, coltelli che battevano sul legno e una playlist di canzoni natalizie. Aziraphale si asciugò i piedi sullo zerbino, appese il cappotto e Anathema lo annunciò a gran voce.

Crowley era vicino al tavolo, impegnato ad apparecchiare le posate, e smise subito di parlare con un ragazzo più giovane accanto a lui. Entrambi appoggiarono piatti e forchette e si avvicinarono.

«Buon Natale» disse Crowley. Gli strinse la mano e Aziraphale rispose sorridendogli.

«Grazie per l'invito.»

«Figurati.»

Ripeté gli auguri con il ragazzo accanto a Crowley. «Newton, piacere» disse a mezza voce, arrossendo.

«Aziraphale.»

«Su, vieni» Crowley gli indicò il tavolo. «Mettiti comodo.»

Aziraphale lo seguì e appoggiò il bianco sul tavolo. «Ho portato del vino... Spero vi piaccia il Chardonnay.»

«A noi piace tutto, Aziraphale» disse Crowley. «Grazie mille, non serviva.»

«Solo un piccolo pensiero.»

Crolwey lo guardò sorridente, poi recuperò le posate.

Aziraphale si avvicinò a Isotta. Lei controllò il forno, appoggiò il coperchio sulla pentola e si sedette davanti a lui. «Spero abbia fame.»

«Di sicuro mi mancano molte cose, ma la fame no» rispose. Allungò una mano e le sfiorò i soffici boccoli castani. Emanavano un dolce profumo di argan. «Hai dei capelli meravigliosi, oggi.»

Isotta sorrise e scosse con leggerezza la testa. «Grazie. È stata Anathema a consigliarmi l'argan.» Si avvicinò a lui e la sua espressione si fece cupa. Aprì la bocca per parlare, ma tacque guardando altrove.

«C'è qualche problema, cara?» le sfiorò il braccio.

Isotta scoccò un'occhiata agli altri, intenti a chiacchierare vicino al divano. «Ho cercato di chiarire le cose con Ilenia» mormorò. «Si è un po' calmata e abbiamo risolto un po' tutto, ma mi ignora da tre giorni. Non ha risposto agli auguri.» Appoggiò la guancia sulla mano. «Ho paura di aver fatto una cavolata. A rimanere qui, dico.»

«Tesoro» Aziraphale le portò un minuscolo boccolo ribelle dietro all'orecchio. «È troppo presto per dirlo, non hai ancora deciso niente. Inoltre, hai tutto il diritto di passare le feste con i tuoi cari.» Le diede un buffetto sulla spalla. «Avanti, è Natale. Avrete molto tempo per chiarire, ora divertiti. E fai attenzione all'arrosto, il sugo si sta consumando.»

Isotta rise e si alzò. «Spero proprio di no. È la cosa che mi viene meglio.»

Il piano cucina era disseminato di pentolame, piatti e utensili. Una grossa ciotola di patate al rosmarino giaceva fumante accanto a un piatto colmo di antipasti e affettati. In forno cuocevano una teglia di lasagne e l'arrosto dorato. «Hai fatto tutto tu?»

Isotta indossò i guanti per controllare il forno. «Quasi. Mio zio mi ha aiutato con le lasagne.»

Mentre infilava uno stuzzicadenti dentro la teglia, Anathema si avvicinò al piano cucina. Felpata come una gatta, allungò una mano verso la ciotola di patate e ne rubò due, facendo l'occhiolino ad Aziraphale con l'indice sulle labbra e fuggendo silenziosa com'era venuta.

«Ti ho vista, eh» disse Isotta. Aziraphale ridacchiò e Anathema fece spallucce gustando le patate.

Un tocco improvviso sulla spalla lo irrigidì. Crowley era dietro di lui con un affabile sorriso sul volto. «Niente Ritz, quest'anno?»

«Niente Ritz» rispose Aziraphale. Isotta si allontanò. «Per nessuno, credo.»

«La nostra ragazza è mille volte meglio, credimi.»

«Non ne dubito.» Lanciò un'occhiata alle portate pronte. «Sei riuscito ad applicare lo stencil, alla fine? Quello di Keats.»

Crowley mugugnò gettando la testa all'indietro. «Sì, un maledetto parto, sembrava non aderire mai. Ma almeno Isotta è stata contenta come una Pasqua. Non era di buon umore, questi giorni.»

«Sì... ho notato.»

«Almeno si sta facendo qualche amico. Vino?»

Lo guardò con una bottiglia mezza piena di vino rosso. Aziraphale tentennò, poi agitò le mani aperte davanti a sé. «No no, grazie, n-non sono un grande amante del rosso.»

Crowley alzò le spalle. «Tranquillo, tranquillo.» lo guardò di sbieco con il bicchiere in mano. «Va tutto bene?»

Aziraphale si sistemò il farfallino. «Sì! In formissima.»

Se fosse stato con i suoi fratelli, avrebbe detto di sì seduta stante piuttosto che sorbirsi i loro discorsi sulla sua mancanza di gusto o scortesia, buttando giù quell'intruglio che mal sopportava. Crowley, invece, gli servì della birra e sedettero uno di fronte all'altro.

«È un po' strano per me, sai» disse Crowley. «Non festeggiavo un Natale con qualcuno da due anni. Fa effetto avere così tanta gente in casa.»

Aziraphale fermò il bicchiere a pochi millimetri dalle labbra. «Mi... mi dispiace sentirlo.»

«Nah, alla fine è solo un giorno. Passa come tutti.»

«La tua famiglia? Non vi sentite?»

«I miei genitori non ci sono più. Sì, non siamo granché fortunati, in famiglia. Mia sorella è meglio che se ne stia dov'è.» Bevve un lungo sorso. «Capisci cosa intendo, no?»

Aziraphale si lasciò a un sorriso liberatorio. «Sì, perfettamente.»

«Ti hanno detto qualcosa? Sul fatto che non sei andato da loro, dico.»

Aziraphale fece ondeggiare il bicchiere. «Nulla, a dire il vero, non li ho nemmeno sentiti. Ho avvisato mia cognata, che è molto distaccata, e ha semplicemente detto che avrebbe riferito. Forse farò loro uno squillo questa sera, oppure domani.»

Crowley trangugiò il poco vino rimasto nel bicchiere. «Come fai?»

«Cosa?»

«A tenere così tanti contatti con qualcuno che non sopporti.»

«Non è che non li sopporto» disse Aziraphale, guardando il pavimento. «Non scorre molto buon sangue, ma è pur sempre la mia famiglia.»

Crowley si limitò ad annuire e fare spallucce. Aziraphale si chiese come potesse sapere dei rapporti tanto freddi con i suoi fratelli, visto che non gli aveva detto più del necessario, poi posò lo sguardo su Isotta che parlava con Anathema e Newton accanto al piccolo albero di Natale ed ebbe il sospetto che, forse, avesse detto a suo zio dell'episodio in libreria. Spaventata com'era, probabilmente si era lasciata andare. Se era vero, Crowley sapeva più di quel Aziraphale volesse lasciar trapelare. Dopotutto, però, era una sorta di emarginato anche lui. Non avrebbe causato danni.

Il campanello fece voltare tutti verso la porta. Isotta si precipitò al citofono. «Sì?» disse, poi sorrise, parlò in italiano e aprì la porta.

Crowley si voltò verso di lei. «Chi è?»

«Roberto e la sua famiglia» rispose. «Passano per un saluto.»

Anathema e Newton si avvicinarono incuriositi all'entrata. Crowley posò il bicchiere e Aziraphale, a distanza di sicurezza, lo seguì.

Isotta aprì a un uomo sulla cinquantina, seguito da una donna ben vestita della stessa età. Dietro di loro spuntò un ragazzo di circa vent'anni, con gli stesso capelli neri e ricci del padre. Si alzò una serie di "ciao" e auguri in italiano e Isotta salutò tutti e tre con due baci sulle guance. L'uomo – Roberto – la strinse in un rapido abbraccio.

«Buon Natale!» Roberto e sua moglie si lanciarono in una rapida serie di strette di mano. Lui si presentò a tutti con un gran sorriso, sua moglie si limitò a un delicato cenno del capo.

Aziraphale rispose agli auguri e ricambiò il sorriso. Si sorprese nel trovare la sua stretta leggera, in confronto ai grossi muscoli sotto la camicia. «Non ci conosciamo, suppongo?»

«Aziraphale. Sono un amico di famiglia.»

La piccola folla si era dileguata. Isotta parlava con Anathema e il giovane, mentre la signora – di cui colse il nome, Annamaria – porgeva una scatola conica di color blu brillante a Crowley.

«Voi conoscete Isotta, immagino.»

«Certo» rispose Roberto. «Viene a fare la spesa da noi, qualche volta. Gestiamo l'alimentari in fondo alla strada.»

«Siete qui da molto? Se posso chiedere.»

«Ventidue anni» rispose. «Veniamo da Roma, ma mia suocera veniva da un piccolo paese in Cornovaglia.»

Isotta e Crowley versarono alcuni calici di vino e li offrirono agli ospiti. Roberto diede una lieve pacca sulla testa a Isotta quando le passò accanto.

«Quando avete il volo?» chiese lei.

«Il ventisette» rispose Roberto.

«E siete rimasti qui per le feste?» domandò Anathema.

«In realtà avevamo prenotato per il ventiquattro» continuò Annamaria. Aziraphale colse un sottile rimasuglio dell'accento della Cornovaglia. «Ma è stato annullato per problemi atmosferici. Staremo con la famiglia della ragazza di Alessio» e indicò suo figlio con la testa, che arrossì sotto i riccioli neri.

«E tu? Niente mare quest'anno?» chiese Roberto.

Isotta si incupì un istante, ma recuperò il sorriso. «Meglio andarci d'estate, ché 'sto anno la bora è più forte del solito.»

Non si scambiarono molte altre parole: Annamaria indicò picchiettò il dito sul polso e Roberto posò il bicchiere.

«Purtroppo dobbiamo andare, si è fatto tardi.» Ripeterono gli auguri e Roberto accarezzò con foga i capelli a Isotta. Lei rise sistemandosi i boccoli.

«Buon Natale ancora» gli disse.

Scambiati di nuovo gli auguri, la famigliola lasciò l'appartamento. Isotta, Newton e Anathema iniziarono a preparare gli antipasti ai gamberi e Aziraphale chiese a Crowley dove fossero i servizi.

Gli indicò il piccolo corridoio. «Seconda a sinistra.»

Aziraphale si diresse verso il bagno e chiuse la porta dietro di sé, sopprimendo qualunque rumore provenisse dall'esterno. Il bagno era piuttosto piccolo, tipico degli appartamenti della zona, e in fondo era incastrata con fortuna una lavatrice.

Ai lati dello specchio, due scaffali aperti non lasciavano spazio a dubbi su quante persone vivessero nella casa. Se da una parte erano sparpagliati trucchi (Aziraphale contò sei tipologie diverse di mascara, ma non c'era molto altro), spray rigeneranti per capelli secchi e spazzole, dall'altra una schiera di dopobarba, lacche e deodoranti da uomo formavano mucchietti di metallo che baluginavano alla luce del lampadario scolorato a forma di delfino. Sarebbe anche stato carino, con una pitturata.

Uscito dal bagno, udì un borbottio leggero, femminile. Si sporse una delle porte che prima era chiusa e ora era del tutto aperta. Isotta guardava il cellulare, ma il suo viso era coperto dai boccoli. Quando si voltò, spalancò gli occhi nell'incontrare lo sguardo di Aziraphale.

«Scusa, cara» le disse e una vampata di calore gli salì al viso. «Non volevo disturbarti.»

«No, non c'è problema.»

Aziraphale si appoggiò allo stipite con le mani in tasca. «Ancora Ilenia?»

Isotta abbassò lo sguardo. «Volevo vedere se aveva risposto.»

«Vuoi un consiglio?»

Isotta annuì.

«Spegni quella diavoleria e vieni di là. Almeno per oggi, non preoccupartene.»

Isotta inclinò la testa e ridacchiò. «Sì, credo che lo seguirò.»

Aziraphale le sorrise. «Posso vedere lo stencil di tuo zio?»

«Lei lo sapeva? Certo, venga, venga.»

Aziraphale entrò piano nella camera da letto di Isotta, come un uomo che, entrato in chiesa, cerca di non far rumore. A primo impatto assomigliava a un giardinetto nascosto. Sul soffitto erano dipinte una miriade di foglie verdi che lasciavano soltanto un foro circolare in centro, come il principale angolo di sole di una radura. Altre foglie sparse cadevano lungo le mura senza criterio e alcune erano semicoperte dalla bacheca ricolma di foto in fondo a destra, o dalla scrivania in disordine – un vero disordine, non immaginava che Isotta potesse curare così poco la sua scrivania – accanto alla porta.

«Prima che mio zio venisse qui, ci vivevano due studenti di botanica» spiegò Isotta. «Però è davvero carino.»

«Infonde una bella atmosfera» disse Aziraphale. Posò poi lo sguardo sulla porzione di muro accanto alla fitta libreria, dove un dolce corsivo formava i raffinati versi di Keats.

«È davvero ben fatto» disse Isotta accarezzando una parola. «Quando me lo ha fatto vedere credevo lo avesse dipinto.»

«Pare davvero pittura» rispose Aziraphale. «Tuo zio ha belle idee.»

«Su quello non posso dire niente. A volte ha questi colpi di genio. Gli avevo detto che non volevo nulla per Natale e invece si è improvvisato imbianchino.»

Aziraphale rilesse in fretta la poesia. Non era tra le più conosciute di Keats e, in generale, non sapeva granché di quel particolare scritto, ma a pelle gli donava una sensazione di giusto, qualcosa che s'intonava alla perfezione con la cameretta e la sua proprietaria. Sì, Crowley aveva avuto un vero colpo di genio.

Si guardò intorno, posando lo sguardo sul letto - dalla biancheria verde, naturalmente – e sulla libreria di medie dimensioni che affiancava lo stencil. I volumi erano radunati con cura in cinque file, suddivisi per lingua. Quattro volumetti presentavano caratteri cirillici.

«Hai libri in russo?» le chiese.

Isotta gli sorrise e si piazzò davanti alla libreria, estraendo due libriccini. «Solo alcuni. Ho una raccolta di fiabe russe e qualche classico molto ridotto. Non sarei in grado di leggere Bulgakov o Tolstoj in originale integrale.»

«Tolstoj è abbastanza tosto anche per me – in inglese, s'intende. Ma Bulgakov, nonostante la mole, scorre come acqua. Hai letto "Il Maestro e Margherita"?»

Isotta estrasse un volume corposo dalla seconda fila, in italiano. «È qua da un po', ancora intonso. Ma ho letto "Cuore di cane", anche se l'ho lasciato in Italia. In generale ho letto solo romanzi brevi.»

«Non dovresti evitare i mattoni, cara. Perderesti la maggior parte dell'essenza della letteratura russa.»

«Lo so, lo so. Ultimamente però sto leggendo qualche romanzo contemporaneo.»

Aziraphale storse il naso e le diede una pacca leggera sulla testa.

«Avanti, signor Fell, bisogna comprendere anche l'essenza della letteratura moderna» disse scimmiottando un forte accento londinese.

«Certo, tesoro, certo.»

«Non mi sembra molto convinto. Perché non riprova Ammaniti?»

«Ho tentato, a dire il vero, ma non mi convince per nulla. Troppo crudo, troppo asciutto.»

«Vorrà dire che pescherò qualcosa dal cappello.»

«Accetterò la sfida, ma sappi che perderai.»

«Intanto spero di vincere quella del suo stomaco» si avviò verso la porta. «Andiamo, le lasagne credo siano pronte, ormai.»

Aziraphale la seguì con il sorriso sul volto. Aiutò gli altri a preparare gli antipasti e Isotta tirò fuori la teglia fumante dal forno, lasciandolo acceso per l'arrosto e aggiungendo un po' d'acqua al sugo.

«Su, siediti» disse Crowley, dandogli un colpetto sulla scapola. «Fai come se fossi a casa tua.»

Prese posto al tavolo circolare, tra Crowley e Newton, che gli sorrise con l'innocenza di un bambino. Al capo opposto, Isotta aveva iniziato a servire le lasagne. Solo a sentirne l'odore, Aziraphale cancellò dalla sua testa l'incontro con la bilancia.

Prima di mangiare, brindarono col il vino che aveva portato. Isotta tossicchiò dopo il primo sorso e Anathema la prese in giro colpendola sulla schiena. Ridacchiarono mentre Isotta scolò un intero bicchiere d'acqua cercando di trattenere le risate.

Aziraphale si godette un altro sorso e lasciò andare le tensione del corpo sulla sedia. "Va tutto bene", si disse. E per la prima volta, non sentì la mancanza della sua libreria.

   
 
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