Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Spoocky    31/12/2021    0 recensioni
Post 2x12. Erwin è stato ferito gravemente da un gigante in una battaglia per salvare Eren. Levi ed Hange si prendono cura di lui nei giorni immediatamente successivi.
La storia è dedicata a Snehvide e partecipa all'Easter Advent Calendar del gruppo Hurt/Comfort Italia - Fanart & Fanfiction
Genere: Angst, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith, Hanji Zoe, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Disclaimer: vedasi capitolo I.

Buona lettura ^^

Moblit si aggirava circospetto nei vicoli di Trost.
Hange gli aveva disegnato una mappa indicativa del percorso da seguire ma, per quanto fosse abituato ad interpretare i suoi scarabocchi, la realtà del distretto era notevolmente più complessa di quanto scritto sul foglietto che aveva in mano.
Era tanto concentrato sul seguire le indicazioni che inciampò in un gatto e per poco non finì lungo e disteso per terra.
Il felino soffiò indignato nella sua direzione e s’infilò in un vicoletto, sfuggendo alla sua vista.
Il giovane attendente si scrollò di dosso lo spavento e si guardò intorno. Con enorme sconcerto si rese conto di non avere la più pallida idea di dove fosse.
Solo, appiedato, senza il dispositivo di manovra tridimensionale per poter studiare la cittadina dall’altro, Moblit aveva solo il biglietto scarabocchiato di Hange a cui fare riferimento.
Con un sospiro rassegnato, se lo rimise sotto gli occhi, cercando di cavarne qualcosa.

Trovò quello che stava cercando quasi per caso.
La stradina dov’era inciampato nel gatto era in discesa e dava su una piazzetta con una piccola fontana.
Sulla destra, s’affacciava una bottega in legno verde con una vetrata piena di piante, barattoli e fiale di vari colori e dimensioni.
Accanto alla porta, cigolando nella brezza mattutina, un’insegna con scritto “Apotecario” e un fiore identico a quello che Hange gli aveva disegnato sul retro della mappa approssimativa.
Per fortuna di Moblit, il caposquadra disegnava meglio di come scriveva.
Ripiegò con cura il biglietto e lo ripose nel taschino della giubba, per cavarne invece una lista di cose da comprare.
Poi entrò con passo deciso nel negozietto.



Levi diede un ultimo spintone alla schiena di Hange e si chiuse la porta alle spalle, perentorio.
Rimase qualche minuto con l’orecchio teso, pronto a captare qualsiasi suono prodotto dal caposquadra che tornava sui suoi passi e ricacciarla in corridoio.
Non sentì nulla che facesse anche solo presagire una minaccia simile, e si rilassò un poco: la quattrocchi di merda non poteva fare niente di utile se era tanto stanca da mettersi a russare accanto al suo paziente e, non da ultimo, iniziava anche a puzzare. Aveva bisogno di farsi un bagno, e subito: non era igienico restare in quelle condizioni nella stanza di un ferito.
Soprattutto, però, aveva bisogno di tranquillità per portare a termine il compito che si era imposto.
Per prima cosa, chiamò un’infermiera e le chiese una bacinella d’acqua calda.
Poi s’avviò al capezzale di Erwin.

Il Comandante sembrava dormire profondamente, ma più probabilmente era svenuto: stremato per l’attacco che lo aveva appena sconvolto. Non era certo un sonno sereno, visto che gli occhi gli si muovevano erratici sotto le palpebre chiuse ed il suo respiro era rapido e superficiale e gli zigomi, che ormai sporgevano dopo i giorni di privazioni, erano di un rossore malsano, in netto contrasto con il pallore del resto.
Il Capitano gli posò le nocche su una tempia per saggiarne la temperatura, ma subito le ritrasse con disappunto: scottava ancora per la febbre.
Standogli così vicino notò l’alone giallastro lasciato dal sudore sulla federa, e storse il naso. Non gli piaceva per niente quella situazione e ancora meno gli andava a genio il fatto di non poter cambiare le lenzuola. Erwin aveva un bisogno disperato di riposare, non solo per recuperare almeno un poco le forze, ma soprattutto perché, mentre dormiva o era incosciente, non sentiva dolore. Sarebbe stato crudele, da parte sua, scuoterlo e svegliarlo, anche solo per mettergli addosso delle lenzuola fresche.

C’era qualcos’altro, però, che poteva fare per lui.
Aveva appena finito di predisporre tutto l’occorrente quando vennero a portargli la bacinella ancora fumante.
Levi la prese dalle mani dell’infermiera senza dire una parola, le sbatté la porta in faccia e andò a posarla sul comodino accanto al letto del comandante. Si sfilò la giacca ed arrotolò le maniche della camicia fino al gomito, prima di saggiare la temperatura dell’acqua: calda ma non bollente. L’ideale per quello che doveva fare.
Prese delle salviette di spugna dal comodino e le intinse nella bacinella prima di posarle sul viso e sul collo di Erwin. Non erano l’ideale, con la febbre così alta, ma gli avrebbero ammorbidito la pelle e reso il lavoro di Levi più facile. Li lasciò in posizione solo il tempo necessario a terminare gli ultimi preparativi.
Una volta rimossi gli asciugamani caldi, spalmò le guance di Erwin con il sapone, creando uno spesso strato di schiuma, prima di passare il rasoio. Chino su di lui, cercando di ignorare il respiro che gli arroventava la pelle del collo, passò con cura la lama affilata sulla sua pelle, togliendo con delicatezza la ricrescita della barba lasciata incolta negli ultimi giorni. Per qualche miracolo, Erwin rimase immobile mentre finiva di raderlo e riuscì a portare a termine quel compito senza troppi problemi.
Non appena ebbe terminato, pulì con cura il viso del ferito dal sapone e preparò un impacco freddo che gli stese sulla fronte e sugli occhi, strappando un sospiro di sollievo alle sue labbra esangui.

Dopo avergli lavato il viso ed il collo gli pose un catino vuoto sotto la testa e, facendo attenzione a non fargli andare l’acqua negli occhi, gli bagnò i capelli con una spugna. Li lavò con abbondante sapone, massaggiandogli con cura il cuoio capelluto, e li risciacquò reggendogli la nuca con la mano.
Passò poi al torace ed al braccio sinistro, scoprendo di volta in volta lo stretto necessario per le operazioni di pulizia e avvolgendolo con asciugamani per non bagnare il letto.
Il moncone del braccio destro e la schiena li aveva già lavati con l’aiuto di Hange al momento di cambiare la medicazione. Impossibile farlo da solo: Erwin avrebbe sofferto troppo.
Gli lavò con cura le gambe, massaggiando in profondità i suoi muscoli contratti e strofinandole per favorire la circolazione. Non provò particolare imbarazzo nel dover lavare le sue parti più intime: le aveva già viste diverse volte durante le missioni e, all’insaputa del diretto interessato, si era occupato in altre occasioni della sua igiene intima mentre era impossibilitato e costretto a letto.
Procedette con la calma ed il tatto che una parte così delicata richiedeva, assicurandosi poi di asciugare scrupolosamente ogni piega della pelle, per evitare la formazione di piaghe.
Quando ebbe terminato, avvolse Erwin nelle coperte, rimboccandogliele attorno alle spalle.

Il comandante tremava ancora, ma i suoi non erano, non potevano essere brividi di freddo.
Non uniti ad un respiro così rapido e superficiale, in cui l’aria sembrava inciampare tra i denti scoperti dalle sue labbra esangui. Non insieme ai sussulti che scuotevano tutto il corpo del comandante ed i suoi lamenti. No, non era freddo.
Era dolore crudo e violento, che aveva strappato di dosso ogni parvenza di dignità al comandante, costringendolo a mostrarsi in tutta la sua umana fragilità. C’era ben poco che potesse fare per alleviare la sua sofferenza e, a quel punto, era chiaro che impacchi freddi e carezze non erano lontanamente sufficienti. Anzi: si erano accorti di non poterlo nemmeno toccare più di tanto perché stava talmente male che anche solo carezzargli la mano lo faceva urlare di dolore.

Levi detestava quel senso di forzata impotenza.
Non era da lui restare seduto a vegliare in silenzio su qualcuno che soffriva oltre ogni sua capacità di aiuto. Gli ricordava dei momenti orribili della sua infanzia che aveva giurato a sé stesso di non ripetere mai più.
Eppure, in quel momento non poteva fare altro che sedere al capezzale di Erwin, rinnovare meccanicamente l’impacco fresco sulla sua fronte, tergergli il sudore e, ogni tanto, stringergli la mano o parlargli piano, cercando di tranquillizzarlo e farlo sentire meno solo.
Non poteva sapere quanto fosse utile quello che stava facendo, il tormento di Erwin sembrava ripetersi sempre uguale davanti ai suoi occhi, senza nessun apparente miglioramento, per quanto piccolo.
Poteva solo vegliarlo in silenzio e sperare che non gli venisse un’altra crisi come quella di poco prima, perché da solo non avrebbe saputo cosa fare per aiutarlo.
 


Proprio in quel momento, ad insaputa di Levi, Moblit stava salendo di corsa le scale che portavano al laboratorio dove si era ritirata Hange.
Gli infermieri del reparto l’avevano costretta a farsi una doccia e a mangiare qualcosa. Quando la trovò aveva ancora i capelli umidi e un vassoio disordinato in bilico su una pila di libri in un angolo di una scrivania.
“Caposquadra Hange! Ho quello che mi aveva chiesto.”
La donna, che era a un metro da terra sul precario equilibrio di una scala a pioli, balzò a terra, portandosi dietro tre volumi rilegati che precipitarono sul pavimento con uno schianto, e accorse dall’assistente al settimo cielo: “L’hai trovato! L’hai trovato!”
Lui fecce appena in tempo a produrre un sacchetto da una tasca dell’uniforme prima che lei glielo strappasse di mano e lo osservasse con una luce inquietante negli occhi. Addirittura, le tremavano le mani per l’emozione mentre, con pochi agili movimenti, scioglieva lo spago che sigillava il sacchetto, liberando nella stanza un intenso profumo d’erbe.
Moblit trattenne a stento uno starnuto, ma lei parve galvanizzarsi, ispirando a pieni polmoni direttamente da sopra il sacchetto: “Bravissimo, Moblit! Ero certa che ci saresti riuscito!”

Senza aggiungere altro, corse subito dall’altra parte del laboratorio dove stava facendo sobbollire dell’acqua in un pentolino.
Borbottando tra sé e sé, si servì di un misurino per versare nel liquido una dose generosa della mistura che Moblit le aveva procurato. Mescolò vigorosamente il tutto e abbassò la fiamma, lasciando il tutto a cuocere a fuoco lento.
Versò altre erbe in un mortaio e prese a pestarle con forza, mescolandole a quella che sembrava polvere d’argilla.
Se tutto fosse andato come previsto, quella mistura avrebbe agevolato significativamente la convalescenza del comandante.
  
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