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Autore: Fiore di Giada    01/01/2022    2 recensioni
[Partecipante al contest "Ombre trasparenti", indetto da 6Misaki sul forum di EFP]
No, non si piangeva per un criminale, che solo nella morte era riuscito ad afferrare un estremo, doveroso bagliore di dignità.
Per quanto encomiabile, non emendava le sue atroci colpe.
Eppure, perché il ricordo faceva ancora tanto male?
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Guerre mondiali
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Nome (EFP e forum): Evil Lady Nanto/Fiore di Giada
Titolo della storia: il peso della purezza
Prompt e fiore scelto: ethos/cipresso
Genere: introspettivo, malinconico, angst
Note (facoltative): il personaggio è modellato sulla figura del grande meridionalista molfettese Gaetano Salvemini e le storie si possono definire sovrapponibili, se non fosse per alcuni cambiamenti. Per esempio, il terremoto citato nel racconto è quello di Reggio Calabria del 1907, non quello terribile del 1908, che devastò le due regioni con centomila morti. In quest'ultimo, catastrofico sisma Salvemini perse moglie, cinque figli e sorella.
I figliastri di Salvemini sono di origini francesi (essendo figli di primo letto della sua compagna), mentre nella storia sono franco - irlandesi.
Ho scelto come fonte di ispirazione la storia di questo grande meridionalista, perché, con la sua scelta di non intervenire per salvare il figliastro, che si era compromesso con il regime di Vichy, Salvemini ha mostrato un senso di giustizia adamantino, ferreo. Un'etica che, forse, sarebbe necessario riscoprire senza concessioni. Ma questa è solo una mia opinione.
Il cipresso, qui, rappresenta il lutto, perché la scelta di Salvemini ( e quella del mio personaggio) non è stata affatto facile e si è portato il peso del dolore per tutta la vita. Spero di avere onorato bene la memoria di questa vicenda.
Il cognome “Selvaggi” è un altro omaggio ad un maestro di scuola lucano, Gennaro Selvaggi, che fu ammazzato dal fuoco fascista durante la terribile strage di Via Niccolò dell'Arca a Bari. (ed è una zona da cui passo spesso, quando vado a Bari), definito da Vito Maurogiovanni “un lucano burbero, ma dal cuore d'oro”.

Questa storia partecipa al Contest "Ombre Trasparenti" indetto da 6Misaki sul forum di EFP. 


A passo rapido e deciso, Armand si avvia verso il patibolo.
Il vento, gelido, increspa il suo cappotto e scompiglia i suoi lunghi capelli scuri.
Il suo sguardo azzurro non si abbassa, fiero, ostinato, risoluto. Non vuole dare alcuna soddisfazione ai suoi carnefici.
In quei lunghi, terribili anni di guerra, ha lottato per un ideale.
Ha sbagliato, ne è cosciente, ma non può rinnegare le sue azioni.
Sereno, lascia che lo leghino, poi, con un gesto cortese, rifiuta la benda. Desidera morire fissando negli occhi il plotone di esecuzione.
Loro devono vedere il suo desiderio di affrontare le conseguenze delle sue azioni scellerate.
I soldati, come un unico, sinistro meccanismo, si posizionano davanti a lui, le armi tese.
Armando attende, il cuore fermo.
Risuonano gli spari . I proiettili, implacabili, attraversano le sue carni.
Con uno scatto, alza la testa. La vita zampilla col sangue dal suo corpo dilaniato, ma vuole catturare un frammento di cielo grigio.
Poi, un nero velario copre i suoi occhi e il suo cuore cessa di battere.

Con un lungo grido, Francesco Selvaggi aprì gli occhi e si alzò a sedere sul letto.
Per alcuni istanti, rimase immobile, lo sguardo verde stralunato e l'ampio petto scosso da ansiti. Di nuovo, aveva sognato la tragica e dolorosa fucilazione di suo figlio Armando.
Si passò una mano tra i folti capelli bianchi, umidi di sudore, poi il suo corpo nerboruto si irrigidì, come fosse fatto di marmo. Quel terrificante, sanguinoso conflitto, innescato dalla bruciante e folle ambizione della Germania nazista, si era concluso con la sconfitta dell'Asse.
Pur essendo italiano, era felice di un tale risultato, anche se deprecava le sofferenze della popolazione civile.
Per lui, il fascismo era un abominio e non vi era alcuna possibilità di trattativa, pena la perdita di credibilità.
Si alzò dal letto e, per alcuni istanti, camminò a piedi nudi attraverso la camera da letto. Quegli anni erano stati tempestosi, ma era riuscito a non farsi incantare dalle sirene dell'opportunismo e del fanatismo.
Pur di restare fedele ai suoi ideali socialisti, non aveva esitato a rompere amicizie antiche, nate e cresciute negli anni giovanili.
Sospirò ancora e le lacrime tremarono nei suoi occhi verdemare. Erano state scelte dolorose, che gli avevano dilaniato l’anima, ma non si era mai pentito di avere seguito il sentiero accidentato e irto della virtù.
Si avvicinò all’ampia finestra della sua camera, che dava su un ampio giardino, circondato da due lunghe file di cipressi, velati dalla luce argentea della luna.
Un debole vento soffiava tra le foglie degli alberi, facendole ondeggiare lievi ora a destra, ora a sinistra.
Di nuovo, deboli singhiozzi strinsero il cuore dell’uomo. Solo, in quella casa vuota, poteva piangere il suo dolore di padre.
Le sue scelte, pur inevitabili, avevano lasciato imponenti lacerazioni nel suo cuore.
Scosse la testa. Armando, in fondo, era pur sempre il primogenito della sua amata Violet, la sua seconda moglie.
Con lei, coraggiosa e colta donna irlandese, aveva creduto di potere conoscere la primavera di un nuovo focolare, dopo la distruzione della sua prima famiglia.

Le convulsioni, inarrestabili, scuotevano la terra.
Gli edifici si sbriciolavano, come fossero fatti di sabbia,seppellendo persone e animali sotto il loro peso.
Lampi balenavano nel cielo grigio e i loro cupi brontolii si mescolavano ai boati del terremoto.
Sconvolto, si aggirava nella città di Reggio Calabria e, testardo, continuava a scavare, gli occhi arrossati dalla polvere e dalle lacrime. Doveva trovare sua moglie, suo fratello e i suoi tre figli.
Non potevano confondersi coi poveri corpi che continuavano a emergere dal mare di detriti e rovine, come i resti di un naufragio.
La speranza, che animava il suo corpo lesionato, si era dovuta arrendere alla crudele realtà.
Prima, aveva estratto il corpo privo di vita di sua moglie Marina.
Ancora prima di averla veduta in viso, aveva riconosciuto i suoi lunghi e riccioluti capelli neri.
Era distesa a pancia in giù e, sotto di lei, giaceva il corpo privo di vita di suo figlio Gastone.
Le lacrime si erano congelate nei suoi occhi. Marina era una donna gracile, eppure si era frapposta, come uno scudo, tra le pietre, che cadevano inesorabili, e il corpo del loro secondogenito.
Voleva dargli la possibilità di vivere.
Ma non era stato sufficiente, perché erano morti schiacciati entrambi.
Non si era però arreso. Suo fratello Michele era con lei e, spesso, quando lui non era presente, visitava la loro casa.
Forse, lui e gli altri suoi due figli erano vivi.
Anche questa speranza, ben presto, si era infranta, come un bicchiere di vetro che cade sul pavimento.
Michele aveva cercato di proteggere il suo ultimo figlio col suo corpo imponente.
Ma non era servito a nulla.

Sei arrivata tu, Violetta… – sospirò. Per non farsi annientare dal tarlo malefico del dolore, aveva ripreso il suo lavoro di giornalista e insegnante.
Non voleva pensare ai volti di suo fratello, di sua moglie e dei suoi tre figli, sporchi di calcinacci e sangue.
Si era allontanato dalla Calabria, il cuore pesante d’angoscia. In quel momento, avvertiva l’inderogabile necessità di un mutamento d’ambiente.
La Calabria era una splendida regione, per quanto straziata da condizioni d’arretratezza ataviche, ma gli ricordava i suoi famigliari morti.
Se fosse rimasto a Reggio Calabria, il suo cuore non si sarebbe liberato dalle sabbie mobili della disperazione e del lutto.
Ne era sicuro, sarebbe ritornato, ma aveva bisogno di ricostruire la sua esistenza, prima di riprendere la sua missione.
La sua penna, limpida e vigorosa, era stata apprezzata negli ambienti libertari della Toscana.
Lì, aveva conosciuto Violet Kelly, una splendida e colta donna irlandese, vedova di un suo caro amico francese e madre di due figli, Brigida e Armando.
Quella donna, dai folti capelli rossi e dagli splendenti occhi celesti, era stata per lui un’amica fidata, d’una intelligenza sublime.
E i suoi due figli gli erano diventati cari e aveva donato loro nomi italiani.
In loro non vedeva solo il riflesso di Violetta e del suo amico, Jules Dubois, morto di tubercolosi da diverso tempo, ma anche dei ragazzi splendidi, a cui donare il suo affetto paterno.
Brigida aveva mostrato, oltre il suo splendido aspetto di irlandese, un’intelligenza vivace ed era appassionata di scienze e mineralogia, mentre Armando aveva rivelato, oltre i suoi occhi verdi, così simili a quelli di Violet, un’ardente passione per la storia, l’arte e la politica.
Credeva, in loro, d’avere trovato un nuovo focolare.
Emise un gemito strozzato. La guerra, con la sua crudeltà, aveva frapposto tra lui e Armando una barriera feroce, che aveva distrutto anni e anni di premure.
Il suo amato figlio si era schierato col regime di Vichy, al contrario di Brigida e Violet, che erano entrate nella Resistenza francese.
Le due donne della sua vita avevano mostrato ben più carattere di Armando, che pure si considerava un uomo.
Mentre loro si affannavano nella Resistenza e lottavano, lui si godeva le delizie dello stato di collaborazionista, ne era ben sicuro.
E, per questo, aveva deciso di troncare ogni rapporto con lui, pur sentendo il cuore dilaniato da migliaia di lame arroventate.
Presto, però, la storia avrebbe presentato il conto.

La penna, leggera, scivolava sui fogli. Si era conclusa la guerra da pochi mesi e tutto sembrava incerto, precario, sospeso.
Per questo, aveva bisogno di perdersi nelle parole, affinché potessero essere utili agli studenti e alle studentesse futuri.
Di scatto, era entrata Violet, gli occhi rossi di lacrime, e si era prostrata ai suoi piedi, il corpo scosso da singhiozzi.
Che cosa succede? – le aveva domandato, stupefatto.
Lui… Lui sarà condannato a morte… Lo hanno processato… Ti prego… Parla con gli americani… – lo aveva supplicato, la voce vibrante d’affetto materno.
Il gelo aveva invaso il suo cuore e la realtà, crudele, spietata, inflessibile, aveva illuminato la sua mente, come la forte e gialla luce d’un riflettore. Violet era affranta perché il suo primogenito era stato processato e condannato a morte, tramite fucilazione.
I vincitori non gli perdonavano il suo passato di collaborazionista.
E lui non poteva fare a meno di concordare con loro.
Quante volte Armando aveva incitato allo sterminio dei diversi con i suoi quadri?
Aveva pervertito il suo tocco d’artista in nome di ideali disgustosi.
No. Non lo farò. – aveva risposto, serio, implacabile, deciso.
Violet aveva alzato lo sguardo e aveva fissato i suoi occhi ardenti, disperati, su di lui.
Non puoi… Non puoi farlo… Hai detto che gli vuoi bene anche tu… – aveva sussurrato.
L’aveva afferrata per le spalle e l’aveva sollevata, poi l’aveva aiutata a sedersi su una sedia.
Violet, rifletti: con che coraggio possiamo chiedere la grazia per lui? Io, te e Brigid abbiamo combattuto contro il nazifascismo e abbiamo rischiato la vita, anche se in modi diversi. Lui, invece… Lui invece l’ha favorito. E non lo doveva fare. – aveva cominciato.
Violet aveva provato a parlare, ma poi aveva taciuto, come se le parole si fossero dissolte sulle sue labbra.
Ci sono problemi che superano i nostri sentimenti. Noi abbiamo fatto delle scelte. Lui ne ha fatte altre. E determinate decisioni si pagano, anche con la vita. E noi non possiamo disonorare il sangue di chi è morto, solo per non soffrire. Sarebbe ingiusto. Gli auguro di morire da uomo. – aveva detto, ferreo. In realtà, in quel momento, avvertiva un macigno sul cuore, ma non doveva lasciarsi intenerire dalle lacrime di Violet.
Lei si lasciava trascinare dal suo amore materno e dimenticava il sangue dei ragazzi morti, anche a causa delle sue parole.
Non comprendeva quanto un dipinto potesse manipolare le menti.
Infatti, non erano solo pistole, coltelli e fucili a distruggere vite umane.
L’arte, piegata a fini così deplorevoli, si insinuava come un serpente nelle menti delle persone e le portava a compiere atti immondi e ad aderire a credenze surreali.
No, Armando non meritava alcun perdono.
Aveva provato ad abbracciarla, ma lei, di scatto, l’aveva allontanato e gli aveva piantato uno sguardo ardente d’odio e rabbia.
Ti detesto, stronzo! Non voglio più vederti! Come tu hai ucciso me, io ucciderò te. E sarà una morte ben più atroce! – aveva ringhiato.


E hai mantenuto la parola, Violetta… – mormorò Francesco, gli occhi lucidi di lacrime. Si era vendicata per il suo rifiuto e aveva distrutto il loro legame.
Aveva voluto punire la sua intransigenza, condannandolo alla solitudine.
L'amore materno e fraterno aveva trasformato due donne splendide e generose in demoni della vendetta, incapaci di vedere oltre i loro egoismi.
Questo era doloroso per lui, ma non aveva potuto non rispettare le loro volontà.
Mentre lui si era trasferito a vivere a Potenza, in Basilicata, lei e Brigida erano rimaste in Francia.
Pur avendo conosciuto il peso della lotta resistenziale, erano abbacinate dal loro amore e avevano scaricato su di lui l’esito tragico della vita di Armand.
Lui voleva bene a quel giovane artista, ma non poteva, in nome di un sentimento egoistico, dimenticare i tanti, troppi giovani morti in nome della libertà e della dignità umana.
Loro meritavano molto più rispetto di suo figlio, perché non si erano lasciati incantare dalle sirene dell’autoritarismo e del potere.
Quei giovani, di cui serbava i nomi nel cuore e nella mente, si erano formati sui suoi scritti.
Eppure, quanto fa male… – sussurrò.
Non riuscì a trattenere un singhiozzo e si strinse le spalle con le braccia. Con quale diritto poteva soffrire per il suo figlio disgraziato?
Tanti, troppi genitori avevano perduto i loro ragazzi e i loro cuori erano sepolti in tombe di pena e tormento.
No, non si piangeva per un criminale, che solo nella morte era riuscito ad afferrare un estremo, doveroso bagliore di dignità.
Per quanto encomiabile, non emendava le sue atroci colpe.
Eppure, perché il ricordo faceva ancora tanto male?

   
 
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