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Autore: Neamh Moonstar    02/01/2022    1 recensioni
Dio non muore, non sbaglia e non abbandona.
Dio non crea il caos tra gli angeli in cielo, né lascia quelli sulla Terra soli tra le lacrime e il sangue.
Dio non parla e non risponde.
Giusto?
(Considerabile come un seguito di: "Quell'angolo di infinito" ma leggibile separatamente).
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio, Gabriele, Morte
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dilogia sotto le stelle'
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La sua memoria corse come un cavallo impazzito a dirgli che aveva un ribelle da contrastare. Molto bene, allora: quel bastardo - per quanto fosse solo una delle tante ombre che popolavano quella battaglia lontana nel tempo - ci avrebbe dovuto pensare due volte prima di infilzare il suo angelo come uno spiedino.

Quando lo vide in lontananza, sorridente come un bimbo al quale hanno lasciato un regalo enorme sotto l'albero di Natale, Crowley sentì la rabbia ammontare e si mise a correre.

    Sorpassò Morte, in piedi in disparte, con un: «'Giorno!» E si buttò a capofitto contro l'assassino, sbalzandolo via dal petto di Aziraphale e facendolo sbattere contro il terreno in procinto di aprirsi per mangiarselo. «Questa è la parte in cui Cadi,» gli disse, allontanandosi con uno slancio e lasciando che la voragine se lo portasse via.

Primo problema risolto, di nuovo.


    «Sei stato veloce,» commentò il mietitore.


Il demone lo ignorò, buttandosi a capofitto sull'angelo che si era messo a fissarlo con gli occhi sbarrati. La spada fiammante del ribelle spuntava fuori dal suo petto come la sua controparte mitica spuntava dalla roccia, riducendolo a un bianco e flebile corpicino sanguinante.

    Raccogliendolo con tutta la cura dell'universo, Crowley gli fece poggiare la testa sulle ginocchia. «Sono arrivato, sono qui,» disse, la voce rotta dall'ansia e dalla frenesia del momento.


    L'altro sbattè le palpebre più volte, un po' per mettere a fuoco e un po' perché non era sicuro di ciò che stava vedendo. «Crowley?» Chiese. La sua luce sfarfallò violentemente, e lo sforzo di parlare contribuì a far scorrere altro sangue dorato fuori dalla sua bocca. «Sei davvero tu?»


    «Già,» disse l'altro, osservando stranito le sue ali candide e soffiandosi via una ciocca rossa dalla faccia. «Qualcuno qui tiene davvero tanto alla rappresentazione, a quanto pare.»


    Scoccò un occhiata a Morte che, in tutta risposta, fece spallucce. «Non faccio io le regole, serpente dell'Eden.»


    Il demone scosse la testa, mentre Aziraphale si fece scappare una leggera risata - salvo poi romperla con una fitta di dolore marcata da uno strozzato: «Ahia...»


Fai presto.

Giusto, giusto.


    A dirla tutta, Crowley non sapeva bene che cosa fare. Sapeva solo che aveva un'idea, e vi si aggrappò come fosse l'unico leggero filo al quale era appesa la sua intera esistenza. Sorresse l'angelo mettendogli un braccio dietro le spalle, sforzandosi di sorridere. «Bene, ora non so quanto tu sappia di questa storia, ma-»


    Il biondo alzò una mano per zittirlo dolcemente. «Eri tu, vero? Eri tu sotto quelle stelle.»


    L'altro annuì e - accidenti, stava per piangere di nuovo. «Non ci crederai mai, ma ho parlato con Dio e mi ha detto che tutto questo è successo per... diciamo, "colpa" Sua,» disse, passando la mano libera su quelle guance rigate di bordeaux e oro.


    «Ah sì?» Si meravigliò Aziraphale, inclinando appena la testa. «Oh, beh...» disse, la voce ridotta ad un filo. «Non fa niente, io La perdono.»


    «Sai anche tu quello che so io, eh?» Chiese Crowley.

Sentì il suo intero essere avvampare, e si rese conto solo in quel momento che la confusione attorno a loro si era spenta, lasciandogli quegli attimi di intimo spazio.


L'angelo annuì. Ormai era quasi irriconoscibile con la faccia macchiata di sangue, così come inguardabile era il suo petto ferito lì: all'altezza del cuore. 

Assurdo quanto quell'immagine fosse forte e significativa. In fondo, eoni prima era morto nel tentativo disperato di cercare l'amore della sua esistenza in mezzo al marasma di tradimento e morte che la Guerra aveva portato. Il tutto era finito con il suo cuore spezzato in due; moralmente e fisicamente.


    «Beh, a questo punto c'è una cosa che devo dirti,» iniziò Crowley, che già sentiva le sue capacità comunicative ricominciare a picchiare la sua lingua. Come accidenti doveva porre quel discorso? Non aveva nemmeno il tempo di pensarci dato che il suo angelo gli stava letteralmente morendo tra le braccia (di nuovo); solo che stavolta non ci sarebbe stata Dio a salvarli. Stavolta Aziraphale sarebbe semplicemente finito sotto la falce di Morte per non tornare mai più.


Perché quel conflitto aveva portato a qualcosa che, ora come ora, il demone non si sarebbe mai sognato di fare così di slancio. Aveva portato ad una confessione, e lo sapevano entrambi.

Lo avevano portato a stringere forte quella luce alata per dirgli che lo amava. Lo amava più di quanto amasse Dio. Che lo aveva amato sin dal primo momento senza un perché, senza preamboli, senza starsi a chiedere da dove venisse quel sentimento. Era l'unico "perché" del quale non gli interessava. Lui amava quell'angelo perché sì. Punto.

Perché sì.


E adesso? Dio aveva faticato tanto per rimetterli assieme. Perciò, la chiave di lettura di tutta quella storia - per metterla in termini che Aziraphale avrebbe adorato - doveva essere quella: il "ti amo" a cui l'angelo non aveva mai risposto, poiché la sua luce si era spenta prima che potesse farlo.

Doveva essere stata quella la fine e l'inizio di tutto. Le parole che avevano portato l'Altissima a voler cambiare tutto per salvarli.


    «Perciò, uhm,» riprese Crowley guardando un po' a terra, un po' verso il cielo, un po' verso Morte - che sicuramente prima o poi si sarebbe sbattuto una mano in faccia - insomma, un po' ovunque tranne che verso i cerulei e sorridenti occhi dell'altro.

Porca vacca, doveva muoversi.


Tu puoi, amor mio. Tu puoi.

Non si sarebbe mai abituato all'idea del Grande Capo che tifava per loro. Pazzesco.

Era passato dal volerLa cacciare al volere che restasse mentalmente attaccata a lui per supportarlo.


    «Perciò,» respiri profondi. Tanti, inutili, imbarazzati. «Io ti amo. Ecco. L'ho detto... di nuovo.»

Chiuse gli occhi perché aveva improvvisamente paura. Aveva paura di aver sempre provato sentimenti a senso unico. Aveva paura di rimanere deluso e - ancor peggio - aveva paura che la storia si ripetesse e che le sue parole rimanessero nuovamente vuote, senza risposta e senza speranza di trovare compimento.

    «Che ne pensi?» Chiese infine, schiudendo una palpebra per scrutare il volto distrutto ma pur sempre stupendo dell'angelo. Che razza di domanda fosse, non lo sapeva neanche lui.

Ormai aveva perso la testa. Era innamorato pazzo e stava facendo la figura del perfetto imbecille in un momento serio.


    Ma Aziraphale sorrise. Sorrise tanto da illuminarsi come un faro nella notte, nonostante le condizioni in cui versava. «Cosa ne penso?» Sussurrò, dolorante ma felice. 

Si picchiettò debolmente un dito sulle labbra, facendo finta di pensarci. Un sorrisetto furbo, ma dolce e morbido come le nubi, ruppe il suo dolore.


Da qualche parte nella mente di Crowley, Dio si mise a ridere. Vedi tu se non si metteva a fare l'adorabile bastardo che era anche in quella situazione al limite, accidenti a lui.


    «Penso proprio che la cosa sia reciproca,» concluse poi l'angelo, più raggiante che mai. 


Il rosso sbarrò entrambi gli occhi perché si rese conto di non essere preparato. Ad un eventuale rifiuto sarebbe semplicemente andato da Morte a chiedergli se potesse gentilmente mettere fine alla sua inutile esistenza; facile e veloce. Ma a quel punto, sia la sua mente che la sua intera e buia anima si erano fermate a guardarsi, facendo spallucce e chiedendosi come reagire a quella situazione.

    «Tu, cioè- io e te. Tu... Ah, sì?» Chiese, incespicando. Aveva le guance in fiamme e le lacrime che facevano a gara per precipitare in picchiata giù dal suo volto.


    Aziraphale annuì, come se quella domanda avesse avuto il benché minimo senso. Poi si strinse un po' nelle spalle, improvvisamente mesto. «So che ci sono state volte in cui ti ho fatto credere il contrario,» disse. «E mi dispiace. Ho avuto paura per così tanto tempo che, non appena abbiamo avuto la possibilità di dirci tutto, ho voluto che le cose facessero da sé. Non volevo rovinare ciò che stavamo costruendo, capisci?»


E Crowley capiva. Capiva eccome.

Annuì, poiché erano le stesse preoccupazioni che lui stesso si era fatto per secoli e secoli; le stesse che lo avevano mangiato negli ultimi due anni (quasi tre).

Anche se era vero, accidenti. L'angelo lo aveva fatto penare per secoli, lasciandolo cuocere in quel minestrone di sentimenti; portandolo spesso a mettere in dubbio quell'amicizia che forse non era solo quello.

Anche lui, però, quante volte avrebbe voluto avvicinarsi di più e non lo aveva fatto? Quante volte avrebbe voluto fare sue quelle mani morbide, ritraendosi? Quanto tempo avrebbe dovuto aspettare prima che fossero pronti entrambi a fare un passo avanti?

Ma nella vita - nell'esistenza, nel loro caso - non si è mai pronti. Bisogna buttarsi.

    «A-alla fine Dio non ha sbagliato,» disse, ancora tremante. «Alla fine ci ha veramente dato una spinta. Cioè - diciamo anche che ci ha catapultati nell'occhio del ciclone. Ma ha funzionato.»


    «Beh,» disse Aziraphale in un sussurro. «Ovvio: Dio non sbaglia mai.»


Non si era sbagliata su di loro, questo era certo.

Crowley poteva quasi sentirlo: il potente ed inebriante calore di quel rapporto. O forse era lui che ormai - poteva figurarselo alla perfezione - doveva essere diventato color vino rosso a causa dell'imbarazzo. Un piacevole imbarazzo, ovviamente.

    Fissò la luce ormai intermittente del suo amato e quegli occhi ormai mezzi socchiusi ma carichi come non mai di gioia. «Hai ragione. Come sempre,» disse, sapendo che c'era solo un'ultima cosa da fare. L'unica che ancora restava sospesa nell'aria, paziente, in attesa di essere compiuta.

L'unica che avrebbe potuto sbrogliare i fili e far tornare il sole. L'unica rimasta tra le cose che il demone avrebbe sempre tanto, tanto, tanto, tanto voluto fare.

Un gesto così umano e così inutile per due creature eterne come loro. Inutile poiché tanto non sarebbe mai bastato a riassumere ciò che provavano.

Eppure era lì, che chiedeva di essere fatto e che pregava di esistere. Lì che spingeva come un matto perché se lo meritavano: meritavano di farlo per sancire una volta per tutte la loro unione.


Fallo.


Circondando il suo angelo nel gesto più dolce che gli fosse possibile - e che ben poco si addiceva ad uno come lui, Crowley avvicinò il suo volto rigato di lacrime a quello luminoso, seppur imbrattato, dell'altro.

Non dovette pensarci due volte: un po' perché non aveva tempo di farlo e un po' perché sapeva che non c'era nulla a fermarlo, quella volta.

Così baciò le dolci e morbide labbra di Aziraphale che, prontamente, ricambiò - posandogli debolmente una mano sulla guancia scarna e prendendo ad accarezzarla.


Il tocco fu lieve, dolce, caldo e semplicemente perfetto. Vi si sciolsero entrambi, sperando che fosse il primo di molti e sapendo che sarebbe stato l'unico del suo genere.

Si staccarano appena per riprendersi, perché era così che facevano: si allacciavano e si slacciavano, si amavano e si stuzzicavano, si assomigliavano ed erano assolutamente diversi in tutto. Ma andava bene così.

Andava bene così.


Presi nel momento, non sentirono la terra sparire sotto di loro, accompagnata dal cielo. Non sentirono Morte fare dietrofront e allontanarsi. Non sentirono la realtà in cui si trovavano disfarsi, né sentirono la cristallina, dolce e gioiosa risata di Dio in lontananza.

Non c'era niente se non loro, in quel momento. Niente se non le loro labbra che si cercavano a vicenda, chiudendo una storia che si era aperta ancor prima che la Terra vedesse la luce.

Non appartenevano a nessuno se non l'uno all'altro.


Il tutto si dissolse lasciando, per un attimo, solo loro. Loro che da soli avevano fatto crollare le certezze più basiche: prima la dualità su cui si poggiavano l'universo e l'umanità, poi l'Apocalisse e alla fine persino Colei che tutto può. 

Anzi, no. Non "tutto": quasi tutto. 

L'unica cosa che davvero tutto poteva, era l'amore tra quei due. Loro erano l'eccezione.

E le creature che più amava in tutto l'universo.

   
 
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