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Autore: Red_Coat    02/01/2022    1 recensioni
"Per tutto questo tempo ho passato ogni singolo giorno della mia vita cercando un modo per riunirmi alla mia famiglia. Per riavere mia madre e mio padre, e dire loro quanto mi siano mancati. Ho speso tutto quello che avevo ... pur di poterli salutare un'ultima volta.
Se sono arrabbiata?? Si. Decisamente. Mi fa rabbia che anche il più grande potere del mondo non sia in grado di far nulla per aiutarmi!"
Emilie Gold è l'unica figlia femmina del Signore Oscuro e della sua amata Belle. Cresciuta nell'amore, curiosa come sua madre e abile nella magia come suo padre, ben presto si renderà conto di quanto il tempo possa essere paziente medico e al contempo spietato nemico. E nel tentativo di rendere possibile l'impossibile, scoprirà quanto il prezzo della magia possa essere alto, e quanto il Maestro tempo possa realmente cambiare anche il più oscuro dei cuori.
(coppie: SwanFire; RumBelle. Questa storia è una rivisitazione degli eventi della serie, potrebbero esserci spoiler così come potrebbero esserci coppie canon mai nate o fatti importanti della trama mai accaduti. Il punto di partenza dalla fine della terza stagione.)
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Baelfire, Belle, Emma Swan, Signor Gold/Tremotino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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EPISODIO VI - Caccia al tesoro (seconda parte)

Presente,
Storybrooke.
 
Il mare era calmo quel giorno, mosso solo appena da leggere folate di un venticello gelido e umido, anticipo di un rigido inverno.
Per tutto il tragitto Emilie si era limitata a sorridere appena alle battute di Henry e rispondere stringata alle argomentazioni di suo fratello, camminando ricurva su sé stessa, gli occhi fissi sulla punta dei suoi anfibi neri e le mani sprofondare nelle tasche dei pantaloni.
Giunta a destinazione però i suoi occhi grigi si librarono verso l'orizzonte confuso tra cielo e mare e i suoi pensieri fuggirono, correndo verso le nuvole bianche che si ammassavano sopra la sua testa e perdendosi a volteggiare leggiadramente assieme ai gabbiani.
Trasse un profondo respiro, chiudendo gli occhi e ascoltando il dolce sciabordio dell'oceano.
Sorrise. Il sapore e il profumo della salsedine le riempì bocca e polmoni, mentre il vento le scompigliò la folta chioma nera.
 
«Lo sai, Henry» rivelò, tornando a guardare il nipote «Non avevi torto, prima. Quando mi hai detto che sarei un ottimo pirata»
 
Il ragazzino inclinò di lato il capo, come un cucciolo curioso.
 
«No?» chiese interessato «Sei stata un pirata?»
 
Emilie sorrise, alzò la manica del giubbotto che ricopriva il polso destro e mostrò fiera un tatuaggio dalla forma inconfondibile: Due tibie incrociate sovrastate da un teschio.
Lo vide sgranare gli occhi affascinato.
 
«Wow!! È stupendo!!» esclamò, sfiorando con le dita l'inchiostro nero sulla sua pelle liscia.
 
Baelfire, che nel frattempo le si era accostato, alzò le sopracciglia lanciando una rapida occhiata al tatuaggio.
 
«Mh. Questo spiega tante cose... anche come tu sia riuscita a trovarmi sull'isola che non c'è.» mormorò, cercando di non sembrare affatto sorpreso.
 
In realtà lo era eccome.
 
«Sei stata anche tu sull'isola che non c'è?!?» esclamò ancor più sbalordito Henry, che a quel punto non riuscì più a trattenere la curiosità «Come sei diventata un pirata?? Perché?? Lo hai fatto sempre per la tua missione?» seguitò a chiedere.
 
Emilie ridacchiò ma prima che potesse rispondere Neal aggiunse, sprofondando le mani nelle tasche e assumendo un tono leggermente sarcastico.
 
«Mh, si racconta. Ma soprattutto, eri consapevole dell'odio che papa nutre nei confronti dei pirati?»
 
Alzando ancora una volta le sopracciglia e sorridendole provocatorio. Emilie gli lanciò uno sguardo di fuoco, poi si aprì in un ghigno.
 
«Papa non odia i pirati.» precisò «Ne odia uno solo in particolare, ma non credo che tu voglio affrontare questo argomento ora. Sai già che perderesti.»
 
Baelfire annuì sgranando gli occhi.
 
«Oh, ma davvero?» replicò, ma prima che potesse aggiungere altro la ragazza fece roteare con impressionante rapidità il polso materializzando sul palmo della mano un globo d'acqua salmastra per poi lanciarglielo contrò, inzuppandolo dalla testa alla cinta dei suoi vecchi jeans.
 
Henry rise divertito e lo fece anche sua zia, di cuore, forsennatamente, fino a che le lacrime non le riempirono gli occhi e il fiato non le mancò in petto.
 
«Oh, Bae ehehehe!» annaspò, tornando a prendere fiato ma ricominciando a ridere subito dopo «Dovresti vedere la tua faccia ora! È troppo divertente!» disse, materializzando uno specchio e porgendoglielo.
 
Neal lo prese quasi strappandoglielo dalle mani e controllando sbigottito i capelli.
 
«Seriamente?? È questo il rispetto che porti a tuo fratello maggiore?» sbottò.
 
Quindi lanciò un occhiolino a suo figlio, e dopo aver abbandonato la sua giacca e lo specchio sulla sabbia cogliendola di sorpresa la prese di peso e corse a gettarla tra le onde, mentre lei urlava e rideva ancora più forte.
Si ritrovarono entrambi in mezzo ai flutti, a ridere come non ricordavano di aver mai fatto in vita loro, da veri fratello e sorella.
 
«Smettila di ridere di me!» le urlò lui lanciandole contro uno spruzzo d'acqua, ma mentre lo diceva rideva a sua volta senza riuscire a fermarsi.
«Scusami Bae!» ridacchiò ancora lei, riparandosi con le braccia dal suo attacco e fingendosi pentita solo per poter tornare a colpirlo ancora una volta a tradimento con un altro schizzo «Ma sei così ridicolo! Sembri un pesce lesso.»
 
Tornarono a sfidarsi, combattendo come due bambini che imparano a fare a botte. E mente lo facevano Henry li osservò con un largo sorriso felice, riprendendoli col cellulare di suo padre.
 
«Ma che sta succedendo?»
 
La voce di Emma lo riscosse. Si voltò e la vide avanzare verso di lui mentre con un sorriso sorpreso ma contento osservava i due fratelli darsele di santa ragione, ridere e schiamazzare.
 
«Sei venuta?» l'accolse contento.
 
Emma gli stampò un bacio sulla fronte e annuì.
 
«Ero convinta di trovare una situazione deprimente, invece...» ridacchiò «Spero solo che Mr. Gold non sia nei paraggi ora. Non aveva detto che voleva mantenere un profilo basso?»
 
Henry annuì ridacchiando a sua volta.
 
«Credo che ne avesse bisogno.» le disse «Si è intristita quando ha visto un'illustrazione nel libro. Probabilmente le mancano molto i suoi genitori.»
«E gli ultimi avvenimenti devono aver peggiorato la situazione...» prosegui la Salvatrice, annuendo.
 
Nel frattempo, i due fratelli avevano smesso di giocare e stavano ritornando insieme a riva.
Emilie era radiosa in viso, gli occhi brillavano e la tristezza in essi si era fatta un po’ meno pesante. Bae sorrideva a sua volta, tenendola sottobraccio e aiutandola a risalire il breve pendio che separava la spiaggia dal bagnasciuga.
Si guardarono negli occhi e per la prima volta si sentirono a casa, l'uno con l'altra.
 
«Emma!» la salutò Neal quando furono abbastanza vicini, lasciandole un delicato bacio sulla fronte, frattanto che Emilie si toglieva l'acqua in eccesso dai vestiti e dai capelli, strizzandoli a dovere e abbandonando stivali e giubbotto sulla sabbia accanto a quelli di suo fratello.
 
«Mio Dio, Neal. Sei fradicio!» osservò sorpresa la Salvatrice, cercando di non sembrare troppo divertita e al contempo di capire come poter rimediare.
 
Emilie tornò a ridacchiare, lui la guardò ridendosela a sua volta.
 
«Colpa sua.» rispose puntandole l’indice contro «Non si può mai avere una conversazione seria.»
 
Emilie gli rispose con una linguaccia, lui si finse offeso; guardandoli, madre e figlio si scambiarono un sorriso complice e annuirono.
 
«Facciamo una passeggiata, mamma?» esordì Henry «Il mare è stato agitato stanotte, voglio vedere se riesco a trovare qualche conchiglia.»
 
Emma acconsentì volentieri, prendendolo per mano.
 
«Posso sperare di ritrovarvi interi?» domandò divertita prima di lasciarli soli.
 
Alexandra alzò le mani e assunse un'aria innocente.
 
«Non posso garantirtelo.» ammiccò, regalando un sorriso a tutti stavolta.
 
La Salvatrice rivolse un ultimo sguardo innamorato a Neal, che le scoccò un occhiolino. Poi si avviò con suo figlio verso la spiaggia sottostante, lasciandoli liberi di parlare.
Ma prima che potessero farlo, Neal prese la sua giacca e l'appoggiò sulle spalle di sua sorella, che lo ringraziò facendo apparire sulla sua schiena una soffice coperta dello stesso beige dorato della sabbia sulla quale si ritrovarono seduti, uno di fianco all'altra ad ammirare la costa.
A dir la verità, all'inizio nessuno dei due parlò. Dopo aver riso con tutto il fiato che avevano in corpo, decisero entrambi di concedersi un lungo istante di silenzio ascoltando la voce del mare e lo stridio dei gabbiani.
Baelfire si avvicinò di più a lei, offrendole la spalla sulla quale Emilie poté poggiare il capo e lasciarsi andare a un attimo di tenerezza.
Quando alfine il silenzio si fece troppo pesante fu proprio Neal a romperlo, mormorando con commossa gratitudine.
 
«Non ti ho mai ringraziato per avermi salvato la vita. Con Zelena, soprattutto. Ma anche prima, sull'isola che non c'è. Non sarebbe stato altrettanto facile se non mi avessi fatto avere quel messaggio.»
 
Emilie senti le lacrime tornare a pungerle gli occhi.
Sorrise, commossa.
 
«Non devi ringraziarmi...» replicò, con voce tremula «Tu sei tutto per papa.» restando a guardare l'orizzonte fino a che lui, guardandola, non le chiese, serio.
«Quindi è solo per questo che lo hai fatto? Per far felice papa e concederci più tempo?»
 
Alzò gli occhi nei suoi, delusi e sperduti ma anche curiosi di capire. Si aggrappò al suo braccio come faceva da piccola con suo fratello Gideon quando voleva essere protetta, e scuotendo il capo sorrise di nuovo, amorevole.
 
«No. Non soltanto per questo.» ammise.
 
Poi, quasi d'improvviso, il suo sguardo tornò a perdersi e la tristezza e la malinconia ad annebbiare i suoi occhi grigi.
 
«Quando ero piccola, circa due anni o poco più, stavo sfogliando un libro di favole quando all'improvviso da quelle pagine cadde una foto...» raccontò, e Neal restò ad ascoltarla sentendo pian piano la drammaticità di quel racconto calare anche sul suo cuore «Eri tu. Così come sei adesso.»
 
Tutto gli fu più chiaro. Ogni cosa, e gli sembrò quasi di sapere come sarebbe finito quel racconto.
Sorrise, cercando di resistere alle lacrime che sentiva salire sempre più.
 
«Fu la prima volta che gli chiesi di raccontarmi di te, ma all'inizio non volle farlo. Non ci riuscì.» seguitò Emilie, e ad ogni parola Baelfire senti il cuore tremare come fosse fatto di burro «Era passato tanto tempo ormai, dal tuo sacrificio. Ma benché avesse raccontato a sé stesso di averlo accettato, quel dolore continuava ad affliggerlo come una spina nel cuore.»
 
Si fermò per dargli il tempo di riflettere e tornare ad empirsi i polmoni di quella rinvigorente aria fresca; lo senti tremare, e tornando a guardarlo lo vide sorridere con gli occhi lucidi e gonfi.
Sorrise a sua volta, abbracciandolo forte e venendo accolta a sua volta in una stretta il cui calore le ricordò quello degli abbracci di suo padre, il Tremotino eroe che aveva sacrificato sé stesso per il bene del suo peggior nemico.
 
«Fu la mamma a parlarmi di te» prosegui, non appena fu sicura che entrambi avessero recuperato le forze per farlo «Ma io continuavo a fare domande e alla fine papa dovette accontentarmi» fece una lunga pausa, la voce pericolosamente incrinata e il fiato corto.
 
Una smorfia di dolore apparve per un istante a deformare il suo viso.
 
«Non dimenticherò mai la fatica che fece... le lacrime che si sforzò di non versare... e quelle che invece gli sfuggirono, tanto copiose da spingermi ad abbracciarlo forte e cercare, in ogni modo di alleggerire il suo cuore» scosse il capo, mentre una manciata di lacrime sfuggì al suo controllo precipitando sul suo pantalone «Non ci riuscii... Mai... Era un peso troppo grande l'averti perso così... senza nemmeno essere riuscito a vivere la gioia di averti ritrovato.»
 
Neal batté le palpebre e scacciò le prime lacrime intrappolate tra le ciglia con un gesto veloce della mano.
 
«Perché...» domandò, dopo aver preso un lungo respiro «Perché gli chiedesti di me? Perché eri così curiosa?»
 
La vide sorridere, scuotendo le spalle.
 
«Perché sei mio fratello. E in cuor mio... quando ti vidi e poi mentre ascoltavo i racconti di papà... avrei tanto voluto incontrarti e dirti tutto ciò che ora sai.» sorrise tra le lacrime, schermendosi un po’ «Lo sai che siamo nati lo stesso giorno, io e te?»
 
Bae sorrise a sua volta, asciugandosi di nuovo gli occhi.
 
«Davvero?» domandò piacevolmente colpito.
 
La vide annuire, per poi tornare a guardare il mare e rivelargli, gli occhi che grondavano nuove lacrime.
 
«C'erano cose che né papà né mamma riuscivano a dirmi. Chi eri? Quanto ci assomigliavamo? Che fratello saresti potuto essere per me?? Ma anche se non ti conoscevo, ogni anno aggiungevo una candelina alla mia torta di compleanno, per te, e nell'esprimere il mio desiderio chiedevo sempre che tu, ovunque tu fossi, potessi vederci, ed essere felice insieme a noi.»
 
Lo vide sorridere, tra le prime lacrime. E stavolta non riuscì più a resistere all'impulso di stringerlo a sé, ringraziando il cielo di essere riuscita in quella missione impossibile.
 
«Sono tanto felice di averti conosciuto Baelfire. Tanto, tanto felice.»
 
Neal sorrise, sentendo il cuore empirsi di affetto e gratitudine per quella sorella che si era ritrovato ad avere.
Era quasi assurdo il modo in cui ci fosse riuscita, ma alla fine ce l'aveva fatta a farsi conoscere da lui, viaggiando indietro nel tempo, proteggendolo quando la speranza sembrava averlo abbandonato. E quel legame, la voce del sangue di cui parlava, ora la sentiva forte e chiara anche lui.
La strinse a sua volta, poi quando riuscirono a sciogliere quell'abbraccio le promise, guardandola negli occhi
 
«Anche io ne sono felice, Emilie. E ti prometto che cercherò di essere un bravo fratello maggiore per te. Il migliore che tu possa chiedere...» aggiungendo poi con un sorriso «sempre che a Gideon non dispiaccia.»
 
Emilie sorrise, asciugandosi le lacrime con le mani e scuotendo il capo.
 
«Non credo che se ne dispiaccia, no.» confermò.
 
Infine Neal tornò a stringerla tra le sue braccia e lei chiuse gli occhi, ascoltando il battito del suo cuore confondersi con lo sciabordio delle onde.
Sorrise.
 
«È buffo…» mormorò.
 
Bae le rivolse uno sguardo perplesso.
 
«Cosa?» domandò.
 
Ma la risposta che ricevette lo colpi in pieno petto.
 
«Niente...» sospirò Emilie «solo che... il tuo cuore batte allo stesso modo di quello di papà.»
 
***
 
Passato,
Castello Oscuro.
 
Nei giorni successivi, mentre Robin Hood e la sua banda proseguivano con i loro affari, Emilie trascorse la maggior parte del tempo chiusa nel laboratorio, tra provette e polverosi tomi scritti in lingue incomprensibili, a cercare di capire come superare le insidie poste a guardia di Cronos e appropriarsi del suo occhio.
In virtù dei precedenti col Signore Oscuro, e dell’integrità morale che affermava di possedere e che evidentemente aveva visto in lei, Robin di Lockslay le aveva promesso il sostegno dei suoi uomini nel caso fosse riuscita a mettere appunto un piano preciso, perciò non poteva perdere altro tempo.
Inoltre... le faceva bene dedicarsi a qualcosa di così complesso, per non pensare al nodo che sempre più spesso le si stringeva in gola ripensando a quanto le mancasse la sua famiglia e agli eventi che l'avevano portata a perderla, seppur sperava solo momentaneamente.
Alle volte cenava da sola nella sala da pranzo privata, e spesso per rilassarsi si concedeva lunghe passeggiate nei boschi vicini.
Fu durante una di queste che Mulan decise di accompagnarla.
Aveva appena nevicato, la foresta attorno al castello era diventata uno scenario spoglio e algido, seppellendo ogni colore sotto quella spessa coltre bianca.
Eppure Emilie la adorava anche in quel caso. Dovunque guardasse, regnavano pace e silenzio. Il sole raggiungeva rare volte quell'angolo di mondo in cui il Signore Oscuro aveva deciso di stabilirsi, ma quando lo faceva, specialmente nelle ore più calde del giorno, i suoi raggi dorati colpivano le stalattiti che penzolavano dai rami rinsecchiti degli alberi. In inverno perfino loro sembravano terrificanti senza foglie, ma il manto di neve che li aveva coperti donava loro un abito nuovo, quasi fossero tutti agghindati in attesa del gran ballo.
Perfino il grande salice sotto il quale lei e suo padre si erano fermati spesso a chiacchierare era vestito a festa, ed era il più bello di tutti.
I suoi lunghi rami ormai spogli erano ricoperti di ghiaccio e neve ancora fresca, sul tronco si erano creati diversi strati di ghiaccio che incontrandosi disegnavano romantiche forme e misteriosi ghirigori.
Con il cuore colmo di nostalgia e meraviglia, Emilie che ancora indossava le vesti di suo padre si fermò sotto di esso e puntò il naso verso lo squarcio di cielo azzurro che s'intravedeva tra le fronde.
Mulan le si fermò accanto e la vide portarsi la mano con la fede nuziale al cuore, stringendola con l'altra come a volerla proteggere.
Osservò i suoi occhi lucidi e guardò a sua volta il cielo, cercando di capire.
 
«Questo posto è importante per te?»
 
La ragazza sospirò, tornando a rivolgerle la sua attenzione e aprendosi in un commosso e largo sorriso.
 
«Era il nostro posto preferito.... mio e di... mio padre...» le rivelò «E stato qui che mi ha insegnato a danzare, come faceva con la mamma. Lo abbiamo fatto anche l'ultima volta che siamo stati qui...» ricordò, ma il sorriso si spense facendosi triste «È stato dopo che lei se n'era andata...»
 
Si guardò le mani, e tornò ad accarezzare l'anello che aveva simboleggiato quel legame.
Mulan sorrise comprensiva
 
«Doveva volerti molto bene.» osservò, rispettando quel suo momento.
 
Emilie sorrise di nuovo, ma senti le lacrime tornare a pungerle gli occhi e dovette reprimere a stento una smorfia di dolore.
 
«Lo amavo molto anch'io...» mormorò in un soffio, prima di decidere, tornando indietro sui suoi passi «Sarà meglio rientrare.»
 
La sua compagna di viaggio però la fermò.
 
«Posso capirti...» disse, cogliendola di sorpresa.
 
Si voltò a guardarla, ascoltando con interesse ciò che aveva da dirle.
 
«Da quando me ne sono andata non c'è giorno che io non pensi alla mia famiglia, a mio padre in particolare.» le rivelò, sciogliendosi e rivelando un'altra donna, diversa dalla indomabile guerriera a cui l'aveva abituata «È stato per salvargli la vita che sono diventata ciò che sono ora.» sorrise, quindi la raggiunse e le porse la mano «Sono stata onorata di essere una compagna di avventure per tua madre. Sarei altrettanto onorata di sostenerti, fino a che resterai con noi.»
 
Emilie la scrutò sorpresa, rimanendo per qualche istante ad osservare incredula quella mano e lo sguardo determinato di quella giovane donna.
Poi, rompendo ogni indugio, si sciolse a sua volta in un sorriso grato e accettò quell'amicizia ricambiando la stretta di mano.
 
«Ti ringrazio. Davvero, grazie.» mormorò arrossendo.
«Lo sai, tu le somigli.» le disse la guerriera «Non ho mai conosciuto tuo padre, ma non mi sorprende che ti volesse bene. Me la ricordi.»
 
Emilie ridacchiò, tornando a camminare insieme a lei verso casa, un passo dopo l'altro, sprofondando gli stivali nella neve fresca.
 
«Strano che tu lo dica» osservò «Sei la prima a farlo, in famiglia erano tutti convinti che io somigliassi di più a papà. E anche chi mi conosce per la prima volta lo pensa.»
 
Mulan sorrise a sua volta, porgendole una mano e aiutandola a scavalcare un enorme tronco caduto che bloccava il cammino.
 
«Da quello che ho sentito dire di tuo padre, credo sia semplice suggestione. Magari avrai molte cose in comune con lui, ma l'apparenza di certo appartiene a Belle.»
 
Ancora una volta Emilie arrossì, sentendo il cuore empirsi di uno strano, confortevole calore.
 
«E tuo padre invece? Che mi dici di lui, vive ancora?» s'interessò.
 
La guerriera si aprì in un sorriso appena accennato e annuì.
 
«Si, vivono entrambi» replicò «Ma sono molto lontani da qui. Ci scriviamo spesso.» le rivelò.
 
A quel punto, rischiando di essere invadente, la figlia di Tremotino sentì di dover chiedere.
 
«Perché non torni da loro? Cos'è che ti trattiene?»
 
Mulan si fermò a guardarla e dopo averci pensato su per un istante sorrise imbarazzata, alzando gli occhi al cielo.
 
«Vorrei renderli fieri di me» risolse «E tornare a casa solo quando avrò avuto modo di onorarli.»
 
Sorrisero entrambe, guardandosi negli occhi e scoprendosi simili.
 
«Sono sicura che loro saranno già molto fieri di te» le rispose la figlia di Tremotino «Ma è giusto che tu voglia trovare la tua strada.»
 
Ancora una volta la sua interlocutrice la stupì con un'affermazione a dir poco calzante.
 
«Spero che anche tu riesca a trovare la tua. E a regalare la felicità alla tua famiglia.»
 
Stavolta fu Emilie a fermarsi a guardarla, sorpresa. La vide sorriderle di nuovo e dopo un breve istante d'incertezza lo fece anche lei, scoccandole un occhiolino.
 
«Ci riuscirò, fosse l'ultima cosa che faccio in vita mia.» replicò determinata, riprendendo a camminare e concludendo tra sé.
 
"Devo solo riuscire a prendere quello stramaledetto Occhio e sarò di nuovo con te, papa. La nostra famiglia di nuovo unita, stavolta per sempre."
 
\\\
 
Dopo una settimana di lavoro passata a spulciare i libri, creare pozioni e tracciare mappe, finalmente Emilie riuscì a mettere a punto un piano adatto a sconfiggere l'interminabile serie di tranelli e prove poste a protezione di Cronos.
Era da poco sorta l'alba quando andò a riferire entusiasta a Robin Hood, due ore dopo tutta la combriccola era già riunita nel salone delle feste, attorno al grande tavolo sul quale con un abile balzo Emilie salì per farsi udire e vedere distintamente da tutti.
 
«Dunque...» esordì non appena fu sicura di avere l'attenzione di tutti, srotolando la mappa che aveva portato con sé e sulla quale erano stati sapientemente evidenziati il percorso da seguire e i pericoli da tenere a mente.
 
«Come potete vedere, la prigione di Cronos non è molto distante da qui.» spiegò «Oltre questa valle, a nord, appena fuori dalla foresta. Si tratta di una grotta posta alle pendici del monte appropriatamente chiamato Olimpo, unico accesso al regno degli dei.
Anche per questo motivo la strada è sbarrata da diversi ostacoli: i primi due sono facilmente superabili con un po’ d'impegno e qualche pozione curativa.»
«Di che si tratta?» domandò Little John, corrucciandosi.
 
Emilie osservò gli sguardi di tutti i presenti puntati su di lei. Erano pronti, ma ancora un po’ spaventati. Tutto sarebbe dipeso dalle notizie che avrebbero ricevuto, e non erano buone.
Quello fu il momento giusto per sfruttare un’altra delle preziose lezioni di suo padre, anche se stavolta non gli era stata impartita direttamente ma con l’esempio: finanche la più pessima delle novità poteva diventare accettabile se presentata con un po’ di sana ironia e tanta nonchalance, perciò decise che si sarebbe affidata ancora una volta a ciò che aveva imparato da lui, e in un battito di ciglia trasformò sé stessa nella sua degna erede, cambiando postura ed enfatizzando i gesti.
 
«Oh, beh. Un fiume costantemente in piena, la cui acqua alimenta il fiume delle anime in pena nell'oltretomba, e una foresta di rovi mortalmente velenosi. Bazzecole per gente abituata alla vita nei boschi.»
 
Un leggero brusio si levò dagli arcieri, che agitandosi presero a scambiarsi sguardi preoccupati.
Solo Robin Hood ed Ewan sembrarono non preoccuparsi eccessivamente.
Il primo perché aveva imparato a non sottovalutare mai la magia, e quella ragazza ne possedeva tanta non solo per via del suo legame col Signore Oscuro.
Il secondo... perché in quelle settimane mentre lei era assorta nei suoi studi era andato più volte a farle compagnia, e aveva imparato a conoscerla, e si fidava di lei.
Conosceva a menadito ogni incantesimo, ogni imprevisto che quel viaggio avrebbe potuto comportare. E ci teneva a finirlo, perché da questo dipendeva la sua intera vita.
Perciò non si sorprese quando la vide riprendere in mano la situazione battendo più volte il tacco dei suoi stivali sul legno del tavolo, per tornare a farsi ascoltare, e infine esclamare.
 
«Suvvia, non mi sembra il caso di agitarsi così tanto» minimizzò.
«Ma l'acqua del fiume delle anime perdute può uccidere all'istante. Che succederebbe se qualcuno di noi ci cadesse?» replicò uno degli astanti, un ragazzo dai capelli rossi che doveva avere qualche anno in più di lei.
 
Lei annuì solenne e alzò l'indice della mano destra, precisando.
 
«Hai ragione. L'acqua del fiume delle anime perdute può uccidere, ma quell'acqua non è ancora mortale. Lo diventa dal momento in cui varca le soglie dell'oltretomba. Se cadrete nel fiume Olimpo il massimo che potrete fare è morire affogati per la forza delle acque. O potrete anche salvarvi e guarire dalle vostre ferite.»
 
Stava mentendo. Spudoratamente. Se ne accorse Ewan, perché quello era uno dei punti dolenti del piano sul quale lei aveva promesso di riflettere.
 
«Mi farò venire in mente qualcosa.» aveva sentenziato sbrigativa, dopo averci riflettuto a lungo senza successo.
 
Non aveva avuto abbastanza tempo. Ma invece di esserne contrariato, il giovane arciere sorrise, osservando gli animi dei suoi compagni di brigata placarsi.
 
«E prima che voi possiate chiederlo, il problema dei rovi avvelenati potrà essere superato con un adeguato equipaggiamento e con questo...» aggiunse poi, facendo scomparire la mappa ed apparire stretta tra il pollice e il medio della mano destra una boccetta contenente del liquido semitrasparente, che brillava di una tenue luce opaca.
 
«È un antidoto che ho avuto modo di mettere a punto io stessa, grazie ad una parte del veleno che mio padre conservava nel suo laboratorio.» spiegò fieramente «Ognuno di voi ne avrà a sufficienza per sé, e se verrà a contatto con il veleno non dovrà far altro che ingurgitarne anche mezza boccetta soltanto.»
 
Stavolta fu lei a lanciare un occhiolino a Ewan, che le sorrise annuendo, fiero di lei.
 
«Qual è invece l'ultima prova.» domandò a quel punto Robin Hood, facendosi avanti.
«Oh, si...» ribatté lei, ridacchiando «Quale potrebbe essere? Un drago.» rise di nuovo «Nero, ovviamente.»
 
Ma stavolta non riuscì a sentirsi tranquilla, e non per il mormorio che tornò a levarsi dal suo pubblico.
C'era una cosa che non aveva mai avuto il coraggio di confessare a nessuno, nemmeno a suo padre: lei non aveva paura del Coccodrillo, né del buio o dei mostri sotto al letto.
Ma i draghi... quelle creature la terrorizzavano a tal punto da renderla incapace di pensare, muoversi e parlare.
E ora avrebbe dovuto affrontarne uno.
 
\\\
 
Nonostante i giusti dubbi, alla fine quasi tutti i membri dell'allegra brigata si convinsero ad aiutarla nella sua impresa.
Decisivo fu l'esortativo e comprensivo discorso che Robin Hood fece subito dopo di lei.
 
«Sappiamo bene che questa è una missione pericolosa, la più pericolosa che abbiamo avuto modo di affrontare sin d'ora. Non siete obbligati a unirvi a noi, siamo io e la mia famiglia ad essere in debito con Tremotino. Ma se lo farete, avrete la mia più profonda gratitudine e giunti a destinazione potrete appropriarvi di uno dei tanti tesori che Cronos custodisce nella sua grotta, a patto che non sia un oggetto magico.»
 
Rivolse uno sguardo ad Emilie, ancora in piedi sul tavolo, e lei annuì.
 
«I tesori di Cronos sono sicuri» confermò «Il difficile sta nel riuscire a raggiungerli e a uccidere il gigante. Una volta sconfitto il drago e messo a tacere il semidio, si dice che l'anima pura che sia riuscita nell'impresa potrà possedere tutto ciò che riuscirà a portar via»
 
Non stava mentendo. Certo la leggenda diceva molto altro, ma questo riguardava solo lei, quindi pensò bene di tenere tutto quel peso per sé stessa e fece segno a Robin di proseguire.
 
«Partiremo domattina, all'alba. Chiunque voglia rimanere qui è liberissimo di farlo. Avrete tutta una notte per pensarci. Domani, chiunque volesse unirsi si faccia trovare pronto in questo salone»
 
Fu una lunga notte che Emilie trascorse da sola, nella biblioteca del castello, a leggere e rileggere la leggenda sull'occhio di Cronos tormentando la fede nuziale di suo padre che portava al dito.
Si addormentò china su un libro di favole, la pagina aperta su quella che apparteneva alla sua famiglia, e sognò i suoi ricordi più belli, accompagnati dalla voce di suo padre.
 
«Raccontami una storia, papa. La favola della buonanotte» chiedeva la piccola Emilie, con la sua vocina dolce, al calduccio nel suo lettino.
«Quale vuoi che ti racconti?» rispondeva Tremotino, sorridendole tenero.
«Lo sai» replicava lei, con sguardo furbo «Quella di te e della mamma
«Ma l'hai sentita già tante volte.» tentava scherzosamente di dissuaderla suo padre, anche se il sorriso sul suo volto diceva tutt'altro.
«Ma mi piace.» insisteva lei «Dai racconta
 
Quindi il Signore Oscuro raccoglieva una conchiglia magica dal cassetto del comodino, e con un gesto della mano liberava i ricordi in essa imprigionati, dando loro un senso attraverso la sua voce.
Ascoltò tutto il racconto, e quando la piccola Emilie si addormentò nel suo sogno lei si svegliò, accorgendosi di avere gli occhi pieni di lacrime e un sorriso malinconico sul cuore.
Afferrò la sua bisaccia poggiata sul tavolo accanto a lei e ne trasse fuori quella stessa conchiglia, che aveva portato con sé come talismano e amico inseparabile. Come un carillon la cui dolce melodia metteva a nanna i mostri dentro al suo cuore.
Se la rigirò sognante tra le mani, poi la appoggiò sul tavolo e la risvegliò con lo stesso movimento delle dita che aveva visto fare tante volte al suo amato padre.
La luce dorata di quella dolce magia illuminò il buio e non appena le restituì le immagini della Bestia insieme alla sua Bella sorrise, lasciandosi cullare da quel silenzio così carico di amore.
Il tempo scorreva veloce davanti ai suoi occhi, in poco più di un battito di ciglia i giorni erano diventati anni, venti per la precisione, e Tremotino e Belle erano tornati a scambiarsi un dolce bacio d'amore di fronte a quel pozzo che aveva infine restituito tutta la magia non solo alla loro storia, ma a tutte quelle di Storybrooke.
Trascorse il resto della notte a vedere e rivedere quelle immagini, fino a che un'ora prima dell'alba Ewan non giunse a farle compagnia.
All'inizio, talmente assorta ad ascoltare quella sorta di rassicurante rammemoratore silenzioso, non si accorse neanche del suo arrivo.
Fu la sua voce a distrarla, riportandola alla realtà.
 
«Sei qui» disse, avanzando nel buio verso di lei «Ti ho cercata dappertutto. Ho seriamente rischiato di perdermi stavolta» la rimproverò senza troppa convinzione, sorridendole e andando a sedersi accanto a lei.
«Cos'è?» chiese quindi, affascinato da quell'oggetto che risplendeva di luce propria.
 
Emilie sorrise, tornando a tenerlo sul palmo della mano destra senza interrompere il flusso delle immagini.
 
«È una conchiglia magica» spiegò «Viene da molto lontano. Papà la usò per comunicare con mamma quando dovette allontanarsi da Storybrooke, e quando ero piccola consegnò ad essa il ricordo della loro storia d'amore... me la donò per il mio quarto compleanno, perché gli chiedevo sempre di raccontarmi la loro favola»
 
Quindi lo guardò, e vide nei suoi occhi una luce famigliare, la stessa che aveva lei ogni volta che Tremotino iniziava quel racconto.
Gliela porse, e lui dopo averla guardata per un istante sorpreso e titubante la prese delicatamente tra le mani, guardando quel film muto fino alla fine.
Mentre lo faceva, Emilie lo fissò senza perdersi nemmeno una sua espressione, scoprendo con estrema sorpresa lacrime alla fine del racconto. Per tutto il tempo, le sembrò quasi di guardarsi ad uno specchio ad ogni mutamento di espressone, ogni sorriso e ogni titubanza. E quando infine la conchiglia si spense e loro tornarono al buio, illuminato solo dalla flebile luce di qualche candelabro posto ad intervalli regolari dentro ad una nicchia sul muro, Ewan tornò a guardarla e la vide sorridere come se avesse appena assistito alla più stupefacente delle magie.
 
«Non sapevo che questa biblioteca fosse un regalo di tuo padre a tua madre» disse, guardandosi intorno «Pensavo esistesse già quando lei arrivò»
 
Tornò a rivolgerle la sua attenzione e incrociò i suoi occhi grigi meravigliandosi di quanta dolcezza e quanto calore riuscissero ad emanare ogni volta che parlava delle sue radici.
 
La ragazza sorrise, commossa.
 
«La costruì apposta per lei» gli rivelò «E quando se ne andò... non ci venne più. Non fino a che non si ritrovarono, a Storybrooke. A quel punto gliene donò un'altra, se possibile anche migliore. Credo sia ancora lì... assieme a... tutto il resto»
 
Smise di ricordare e raccontare. Se il passato la guariva, ricordare quel presente in cui loro non c'erano più le provocava ogni volta una ferita maggiore della precedente.
 “Hai mai pensato di ritornarci?“ avrebbe voluto chiedere, ma scrutandola capì che sarebbe stata una sofferenza inutile. Invece le sfiorò una guancia umida di pianto con una dolce carezza e osservò, con dolcezza.
 
«Loro... dovevano amarti molto»
 
Una lacrima rimase aggrappata alla pelle rugosa del suo indice. Emilie tremò incrociando quello sguardo così dolce e comprensivo, e di nuovo a quel tocco, come se quell'impercettibile calore avesse avuto il potere di sciogliere il gelo calato nel suo cuore. Si sentì all'improvviso... di nuovo a casa, e nei gesti teneri di quel ragazzo vide ancora una volta quelli di suo padre solo... stavolta molto più chiaramente.
Di nuovo, nel silenzio avvolgente di quelle stanze i loro cuori si riscoprirono più simili di quanto non credessero, e i loro visi compirono un altro piccolo passo verso il primo bacio del vero amore.
Ma, proprio com'era accaduto a suo padre, Emilie ebbe paura ed arretrò, alzandosi, riprendendosi la conchiglia e rimettendosi in spalla la bisaccia.
 
«È giunta l'ora» risolse sbrigativa, evitando il contatto con quegli occhi verdi «Dobbiamo prepararci» disse avviandosi verso le scale che conducevano al piano inferiore, fuori dalla biblioteca.
 
Poi però, a metà strada, parve ricordarsi di un dettaglio e si voltò a guardarlo, sorridendo quasi come a volersi scusare.
 
«Tu verrai... vero?»
 
Una domanda che le venne dal cuore e che fece senza rifletterci. Si morse la lingua mentre lo vide tornare a sorridere e annuire, felice di averla ricevuta.
 
«Verrò» confermò, alzandosi e avvicinandosi nuovamente a lei «Ti coprirò le spalle» le disse appoggiando le una mano su una spalla e scoccandole un occhiolino al quale lei rispose con un semplice sorriso, prima di tornare a voltarsi frapponendo altra distanza tra di loro.
 
Ma gioendo dentro di sé, per un motivo che ancora faticava a far accettare alla parte più spaventata e razionale di sé stessa.
 

Ewan

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Tre giorni dopo...
 
Era stata una giornata faticosa quella appena trascorsa, ma mai quanto quelle che l'avevano preceduta.
Dopo aver attraversato senza problemi la foresta innevata, di fronte a loro si era parato il primo ostacolo.
Un fiume dal letto ampio e profondo che tuttavia non bastava a contenere le sue acque impetuose, che rombavano con un ruggito frastornante e solo per volere delle divinità continuavano a rimanere dentro gli argini a loro predisposti.
 
«Non si può guadare!» aveva urlato Little John a Robin Hood, eppure la sua voce era giunta come lontana alle orecchie di Emilie, in piedi al loro fianco guardando quasi con sfida quell'ostacolo «Dobbiamo aggirarlo, trovare un'altra strada.» aveva ribadito l'uomo.
«Non ci sono altre strade!» aveva deciso di replicare allora lei, scuotendo il capo e guardandoli per un istante appena «Il fiume taglia in due la valle. L'unico modo per proseguire è attraversarlo.»
 
Robin era parso rifletterci, ma alla fine si era arreso all'unica idea sensata.
 
«Non conosci un incantesimo in grado di aiutarci?» aveva chiesto, anche un po’ dispiaciuto.
 
Sul volto di Emilie era apparsa una smorfia contrita.
 
«Non posso usare la magia!» aveva replicato «Il fiume è stregato, la respingerebbe. Dobbiamo inventarci qualcos’altro.»
 
Solo allora, mentre Robin Hood si era ritrovato a pensare a quanto fosse stato un bene l'aver lasciato Roland indietro al sicuro, assieme ai pochi che avevano rinunciato a quel viaggio, Ewan si era fatto avanti.
 
«Potremmo usare gli arpioni!» aveva proposto «Creare un ponte con delle corde e usarle per aggrapparci.» indicando i giganteschi pini al di là del fiume «Quegli alberi sembrano robusti e i rami sono in vista.»
«Mi sembra una buona soluzione.» aveva assentito Mulan, raggiungendoli.
 
Robin Hood e il suo compare però non erano ancora convinti.
 
«Non puoi neanche fare qualcosa per rafforzare le corde?» aveva domandato «Vorrei tornare a casa da mio figlio. E credo che anche i ragazzi siano dello stesso avviso.»
 
Emilie ci aveva pensato su per un breve istante.
La sua magia si basava su quella oscura, ma forse con una pozione...
A quel punto aveva iniziato a rovistare nella bisaccia e ne aveva tratto fuori qualche boccetta ricolma di un liquido azzurrino, mostrandola loro.
 
«Fortuna che ho pensato di portarle» aveva sorriso «Queste dovrebbero rendere le corde indistruttibili, ma basteranno solo per una e dovremo sbrigarci, gli schizzi d'acqua potrebbero influire sulla loro efficacia»
 
Robin Hood aveva sorriso, e prendendo in consegna dalle sue mani quei prezioso preparati aveva estratto dalla sua bisaccia una freccia arpione con già legata ben stretta una robusta corda.
 
«La lancerò io» aveva decretato, sorridendole «I ragazzi sono spaventati, sarà loro d'incoraggiamento.»
 
Per fortuna il piano aveva funzionato, anche se quando era arrivato il suo turno di oltrepassare, appesa a pochi centimetri da quelle rapide impetuose, il suo cuore aveva preso a correre forsennatamente e le mani avevano cominciato a tremare e a sudare freddo, costringendola fermarsi. I flussi sembravano volerla arpionare con i loro fluenti e gelidi artigli, più volte sfiorarono la punta degli stivali appartenuti a suo padre, facendole saggiare la loro morsa, ma nonostante tutto lei continuò ad avanzare.
Fino a che la paura non iniziò a riempirla di tremori, paralizzandola.
 
«Emilie!» le aveva allora urlato Ewan, dietro di lei «Tutto bene?»
 
"No, niente affatto!" avrebbe voluto urlare "Sono appesa per le mani ad una corda su un fiume in piena la cui acqua potrebbe uccidermi, sto per avere un attacco di panico, le mie mani sono talmente sudate che probabilmente mi scivoleranno via dai guanti e non dormo come si deve da quando siamo partiti! Ti sembra che vada tutto bene??"
 
Invece si era limitata ad aggrapparsi più forte, imponendosi di non guardare giù e trattenere il respiro fino a che non avrebbe toccato di nuovo terra.
Aveva chiuso gli occhi, si era concentrata e lentamente, una mano avanti l'altra, aveva finalmente iniziato a muoversi di nuovo.
Ci aveva messo un po', ma quando finalmente era atterrata sull'altra sponda del fiume si era sentita una vincitrice. "Bene, ora devo sono sconfiggere il maledetto drago." aveva pensato, deglutendo a fatica e correndo a sedersi su un masso per evitare di svenire davanti agli occhi di tutti, le mani tra i capelli.
Le gambe avevano preso a tremare, i muscoli delle braccia dolevano da morire e il cuore continuava a correre più in fretta del suo respiro.
Quando Mulan le si era accostata appoggiandole una mano sulla spalla lei era sobbalzata, lanciandole uno sguardo terrorizzato.
Senza farglielo pesare la guerriera le aveva porto la sua bisaccia.
 
«Sei stata molto coraggiosa.» l'aveva incoraggiata.
 
Ma dentro di sé accogliendo il gesto gentile della compagna di viaggio e ingollando tutto il contenuto della borraccia, con tragicomico umorismo pensò che il coraggio non era proprio l'ingrediente principe del suo DNA, e che comunque dopo quell'esperienza non avrebbe mai più voluto vedere un goccio d'acqua in vita sua, se non compostamente adagiata sul fondo di un bicchiere. Almeno l’istinto di conservazione avrebbe tanto voluto lasciarlo a suo padre e barattarlo col coraggio di Belle.
Anche Robin Hood aveva cercato di tirarle su il morale, ma limitandosi a lanciarle un sorriso fiero e un occhiolino.
Ewan aveva invece cercato di fare la sua parte con una frase un po’ banale, ma che in quel momento era suonata la più adatta.
 
«Tuo padre sarebbe fiero di te.»
 
Non l'aveva affatto confortata ma almeno era servita a ridare coraggio e quel pizzico di sana autoironia che servirono a rimetterla in carreggiata.
 
«Oh, se la missione riesce sì che dovrà esserlo» aveva replicato con un mezzo ghigno, appoggiando la mano sull'elsa del pugnale Oscuro che portava legato alla cintola e rialzandosi, pronta alla prossima mossa.
 
«Andiamo.» aveva deciso «Sfruttiamo quest'adrenalina finché è ancora in circolo e togliamoci definitivamente il pensiero.»
 
La foresta di rovi li aveva accolti due ore dopo, al tramonto, e non sarebbe stata altrettanto facile da attraversare non fosse stato per le lacrime di Roland.
Si, il piccolo Roland era stato la chiave per far sì che la falce di cui si era dotata fosse utile a troncare quei rami stregati una volta per tutte.
Come il lato oscuro di ogni uomo, quei fusti erano non solo letali ma anche impossibili da essere estirpati o spezzati, e ricoprivano tutta la valle per tre chilometri, fino alla base del monte Olimpo, che risplendeva in lontananza come la luce in fondo al tunnel.
L'unica cosa in grado di uccidere o spezzare completamente quei forti arbusti erano le lacrime di un bambino, le più innocenti al mondo. Oppure lacrime di pentimento, come quelle che si era ritrovata a versare ripensando a quanto avesse potuto fare ancora per evitare la morte di suo padre, se solo non avesse perso tempo prezioso facendo a botte con la sua oscurità e ingenuità.
Con le prime, catturate semplicemente ascoltando da Roland stesso il racconto di come fosse rimasto orfano di madre, bagnò la lama della sua falce. Mentre le seconde le versò tremante sulla lama del pugnale, già reso puro dalla lacrima di Anna.
Quindi si pose davanti alla carovana e iniziò a sferzare i rovi con la spada, le mani, le braccia e il viso sapientemente coperti da robuste protezioni in ferro ed elmo a muso di cinghiale.
Era pericoloso, stancante, ma lei non aveva voluto lasciare quel compito a nessuno.
 
«Vi sono grata per avermi accompagnata, ma questa è la mia missione. Devo essere io a sostenere le prove e battere il gigante, se voglio risultare meritevole di possedere l'Occhio.» aveva detto loro.
 
Perciò Ewan, Mulan e Robin non poterono che sostenerla quando la stanchezza prese il sopravvento o quando, colpita di striscio da una scheggia, era caduta a terra urlando di dolore.
Il fianco aveva preso a sanguinare, ma non era quello il problema.
Il veleno mortale stava già facendo effetto e per un interminabile istante, dopo aver chiesto con un filo di voce l'antidoto, aveva perso i sensi. Ritrovando ad attenderla suo padre, in quel limbo sottilissimo e scuro che precede la morte. La sua figura brillava, come fosse il suo unico raggio di sole.
La chiamò e dopo essersi voltata lo vide scrutarla sorpreso, e anche felice di vederla in un primo momento.
Ma durò davvero poco.
 
«Papa...» aveva mormorato, un filo di voce, gli occhi già appannati dal pianto.
 
Si sforzò di scacciare le lacrime affinché la sua vista tornasse limpida. Affinché potesse tornare a vederlo chiaramente. Ma fu fatica inutile.
 
«Cosa ci fai qui, Emilie?» si sentì chiedere da Tremotino, guardandolo avvicinarsi a scrutarla dispiaciuto e preoccupato, sfiorandole con una carezza la guancia rigata di lacrime, polvere e sangue «Tu non dovresti...»
 
La ragazza non gli aveva però dato tempo di finire. Lo aveva abbracciato forte, singhiozzando, e restando per qualche istante in più tra le sue braccia quando anche lui si era mosso per stringerla a sé tenero, accarezzandole dolcemente i capelli. Stanca da quella lunga e difficoltosa impresa, Emilie aveva sentito il cuore tornare a battere.
 
«Non temere, papa.» aveva risposto, guardandolo negli occhi «Mi riprenderò il nostro tempo. C'è un modo, io...»
«L'occhio di Cronos...» aveva mormorato allora Tremotino, guardandola negli occhi incredulo, quasi sgomento.
 
Era calato il silenzio tra di loro. Con lo sguardo e un cenno del capo il Signore Oscuro l’aveva implorata di fermarsi, ma sua figlia era ritornata a sorridergli.
 
«Principessa, è pericoloso.» aveva quindi aggiunto lui, affettuosamente «Troppo pericoloso. È il prezzo potrebbe essere altrettanto alto. Hai dimenticato quello che ti ho detto? Ciò che mi avevi promesso... vivi il tuo tempo. Io e la mamma siamo felici adesso. Siamo insieme.» sorridendo in un vano, flebile tentativo di rassicurarla.
 
La verità tuttavia, era un’altra. Ora che la vedeva, viva ma persa nel mezzo di quel mare di ricordi, il suo istinto di padre era tornato ad accendersi e a tormentarlo. Avrebbe voluto aiutarla a uscire da quel pozzo senza fondo colmo di disperazione, ma si era reso improvvisamente conto di non poter fare più nulla. Lui aveva finito il suo tempo, lei … stava sprecando il proprio nel vano tentativo di riportarli indietro.
E il peggio era che, nonostante tutto l’amore e la saggezza con cui l’aveva cresciuta, in un certo senso era stato lui a spingerla dentro quel pozzo.
Perciò non aveva potuto che osservarla ora guardarlo con le lacrime agli occhi, come con uno spettro ancora troppo vivo nel cuore dei suoi cari, e ignorare implacabile tutti i suoi avvertimenti.
 
«È questo il mio tempo, papa.» aveva mormorato lei, tornando a singhiozzare, il sorriso che si tramutava sempre più velocemente in una smorfia di dolore «Qui... o altrove... da qualche parte nel mondo, ma... con voi. Con te...»
 
Le prime lacrime erano tornate a bagnare il suo volto di bimba, in quel limbo ma anche nella realtà.
Tremotino l’aveva osservata disperarsi, e dentro di sé aveva sentito qualcosa spezzarsi. Se avesse ancora avuto un cuore, probabilmente sarebbe stato quello.
 
«Io non so vivere senza di voi, papa. Senza di te. Non ho dimenticato la promessa. Né il nostro patto. Ricordo con chiarezza ogni tua singola parola» aveva seguitato sua figlia «Ma ce la farò, creerò un lieto fine che vada bene per tutti... che ci veda insieme.  Devo farlo, non posso …» singhiozzando, una mano alla bocca per cercare di reprimersi il più possibile «Non posso vivere così, senza di voi.»
 
Aveva ricominciato a piangere, senza riuscire a fermarsi, come aveva creduto di non poter più fare dopo che lo aveva visto andarsene.
E all'improvviso di nuovo Tremotino l’aveva stretta a sé, più forte di qualsiasi altra volta, appoggiando una mano sulla sua chioma mogano e stampandole un bacio sulla nuca. Anche sul suo volto era apparsa una smorfia di dolore.
 
«Scusami, Emilie...» mormorò «Avrei dovuto salutarti come si deve, prima di andarmene.»
 
Sua figlia gli aveva stretto a sua volta le braccia attorno al collo, affondando il viso nel suo petto forte e cercando di tornare ad ascoltare il battito di quel cuore che purtroppo non gli apparteneva più.
 
«Non sarebbe servito...» mormorò tra i singhiozzi «Non... Non ti avrei lasciato andare in nessun caso, papa. Non è giusto. Non lo sarà mai...»
 
Erano rimasti così, stretti in quell'abbraccio struggente e paterno, fino a quando ogni cosa aveva iniziato a svanire e la realtà era rapidamente tornata ad essere il suo presente.
 
«Ti voglio bene, principessa.» l’aveva salutata dolcemente Tremotino, lasciandola andare.
«Emilie!» aveva continuato a chiamarla Ewan, allarmato, cercando di riportarla indietro.
 
Quando i suoi occhi erano tornati a schiudersi, colpiti da una luce intensa e chiara, lì per lì aveva sperato di essere riuscita a restare, ma non appena la vista le si era chiarita del tutto si era accorta di essere di nuovo con Ewan, Robin e Mulan.
Solo... lo scenario era cambiato.
Il posto era lo stesso, e lei stringeva ancora la falce, ma i rovi erano scomparsi lasciando il posto ad erba verde e fresca, e il cielo si era fatto più azzurro.
Tutto intorno, la luce del sole splendeva radiosa.
Aveva guardato l'orizzonte di fronte a sé e aveva scorto il monte Olimpo stagliarsi ancora altero in esso, scomparendo dietro ad una nuvola bianchissima.
Non si erano mossi di un centimetro. Ma allora...
 
«Cos'è successo?» aveva bofonchiato, confusa e ancora dolorante, sia nel corpo che nell'anima.
«Le tue lacrime.» le aveva spiegato Mulan «Non appena hanno toccato terra tutto è cambiato.»
 
Emilie aveva fissato sconvolta le loro espressioni meravigliate, preoccupate e confuse, e in un istante tutto le era diventato chiaro. Lacrime di pentimento. Lacrime di un cuore innocente come quello di una bambina che cerca suo padre.
In un gesto istintivo aveva stretto sul cuore la mano con l'anello, e nel farlo aveva visto la gemma al centro di esso brillare luminosa per qualche istante ancora, prima di affievolirsi e spegnersi.
Tutti se n’erano accorti ma solo Ewan ne aveva capito il vero significato, perciò non si era sorpreso quando dopo aver incrociato il suo sguardo lei gli si era gettata tra le braccia, stringendolo forte e nascondendo il nel suo petto il viso di nuovo deformato da una smorfia di dolore, reprimendo a stento le lacrime.
L’aveva stretta a lungo, allo stesso modo di suo padre ma in una maniera molto più … tangibile, fino a che lei non si era sentita pronta a riprendere il cammino.
Non aveva più parlato da allora, proseguendo il viaggio in silenzio, tormentando quell'anello e rimanendo costantemente in bilico tra lacrime e sorrisi forzati.
Erano passati due giorni, e ormai ciò che la divideva dall'ultima prova era solo un'alba.
Giunti finalmente ai piedi dell’Olimpo, si erano accampati proprio a pochi chilometri dalla grotta, attendendo il favore delle tenebre per ispezionarne la pericolosità e mettere a punto un piano.
Emilie quella sera era stata come sempre determinata e chiara.
Il drago era gigantesco, con enormi fauci e due occhi di ghiaccio che gli permettevano di vedere dovunque, anche dietro di sé. Dormiva proprio di fronte all'ingresso della grotta, ma distrarlo era impossibile.
Avrebbero agito dividendosi in squadre: Una lo avrebbe tenuto impegnato allontanandolo il più possibile dall'ingresso, l'altra composta da Emilie Mulan, Ewan e un'altra manciata di arcieri avrebbe guidato la figlia di Tremotino fino al cospetto del gigante.
Tuttavia, stavolta non era soltanto la paura a tenerla sveglia e sovrappensiero.
Sola nella sua tenda, stava cercando di tenersi occupata preparando tutto l'occorrente per quell'ultima sfida ma la sua mente continuava a correre a quella visione pre-morte, a come suo padre l'avesse guardata triste e preoccupato, a come l'avesse salutata prima di lasciarla andare. E a quanto quell'abbraccio fosse sembrato reale.
Rabbrividì di nuovo quando ricordò la sensazione di calore che l'aveva avvolta, in forte contrasto con il freddo di quella notte, e senza rendersene conto smise di rovistare tra la sua roba e tornò a sfiorare con la punta delle dita la gemma incastonata nell'anello di suo padre.
La sua voce ancora nella mente.
Talmente assorta da non accorgersi nemmeno dell'ingresso di Robin Hood.
 
«Nervosa?» le chiese, riscuotendola.
 
Sobbalzò, voltandosi di colpo e sembrando totalmente spaesata agli occhi di quello che ormai era diventato un suo amico più che un Capitano da seguire.
Sorrise, ma senza convinzione.
 
«Un po'... » ammise.
 
Robin fece finta di non aver colto il momento.
 
«Non devi esserlo» rispose avvicinandosi e appoggiando sul tavolo una faretra ricolma di frecce e un arco «Avrai con te i migliori membri di questo gruppo» la rassicurò «E questi. Sai tirare con l'arco, vero?» domandò, rendendo conto solo allora di non averlo mai fatto prima.
 
Lei sorrise arrossendo.
 
«In realtà no» ammise «Non credevo di dover imparare... però so lanciare un pugnale e tirare di spada.»
 
Disse, battendo una pacca sull'elsa del pugnale dell'Oscuro.
Robin Hood si fece serio
 
«A proposito...» domandò indicando l'arma «Era da un po' che volevo chiedertelo. È quello vero?»
 
Emilie sorrise nostalgica, e lo trasse fuori mostrandogli la lama sgombra da qualsiasi nome.
 
«Si...» disse «Ma è un pugnale come un altro adesso...» mormorò, tornando poi a rigirarselo tra le mani, assorta «È quasi comico... per tutta la vita ha sempre cercato un modo di liberarsene, e adesso è l'unica cosa che mi resta di lui...»
 
Sospirò, sentendo un groppo avvolgerle la gola. Scosse il capo e rimise la lama al suo posto, ma prima che potesse cambiare argomento Robin le diede una pacca sulla spalla.
 
«Quello che hai fatto oggi, voglio che tu sappia che devi essere fiera di te stessa. Sei la sua degna erede.»
 
Stavolta Emilie non poté trattenersi dal sorridere amara.
 
«Si, beh... lo spero. Ma non credo possa essere possibile.» bofonchiò, ma Robin tornò a spronarla.
«Devi farlo.» le disse «Tutto quello che hai fatto fino ad oggi lo hai fatto perché ci credevi. E se riuscirai a sconfiggere il drago e a prendere l'occhio di Cronos domani, sarà solo perché ci hai creduto.»
 
Quasi sconcertata da quelle parole, la ragazza lo guardò negli occhi e scoprì così di aver conquistato non solo la sua fiducia, ma anche la sua amicizia.
Di sicuro era bravo nei discorsi motivazionali.
Annuì, sciogliendosi in un sorriso.
 
«Lo sono, Robin...» rispose, sostenendo quello sguardo fiducioso «È che... mi manca da morire la mia famiglia. Mio fratello... Mio padre e mia madre... ed è così avvilente. A volte penso a quanto avrei potuto fare per salvarli, se solo avessi saputo...» concluse scorata «Ero con lui … l’ho accompagnato proprio per evitare che accadesse, eppure non ho potuto farci niente.» abbassò gli occhi, tornando a guardare la punta dei suoi stivali.
 
Hood le sorrise.
 
«Posso capirti» le rispose commosso «Hai sentito Roland, quando parlava di sua madre. Ho rubato al Signore Oscuro per salvarla e lo rifarei, se potessi tornare indietro. Non c'è giorno che non passi senza che io non mi faccia la tua stessa domanda: Mio figlio avrebbe ancora una madre, se solo fossi stato un po’ più coraggioso, o svelto. Se solo avessi potuto... prevedere il futuro.»
 
Ascoltando quelle parole, all'improvviso Emilie parve riaversi, ricordando le parole di suo padre: "Il futuro è nebuloso, come un puzzle a cui mancano dei pezzi. Anche conoscendolo, è impossibile da prevedere con esattezza."
Però...
 
«Nulla è stabilito con certezza, Emilie.» proseguì Hood, sorridendole ora che fu sicuro di essere seriamente ascoltato «Noi possiamo cambiare il nostro futuro, basta volerlo. E tu puoi farcela, hai tutto ciò che serve per riuscirci.»
 
Emilie lo guardò negli occhi e sorrise.
 
«Come fai ad esserne così sicuro?» domandò «Ho già avuto una possibilità di cambiare il nostro futuro, mio e di papa, e ho fallito. Come sai che ora sarà diverso?»
«Perché non ho mai visto fare a nessuno, nessuno, quello che hai fatto tu da quando siamo partiti» fu la replica decisa dell'arciere «Sei stata capace di guidarci attraverso una strada impervia e su un sentiero mai battuto, con coraggio e determinazione. Hai guadato un fiume in piena le cui acque avrebbero potuto ucciderti solo sfiorandole, e infine illuminato a giorno una landa deserta e spazzare via i rovi mortali che la ricoprivano con la sola forza del tuo amore per tuo padre, per la tua famiglia» prese una pausa, per lasciarle il tempo di pensare a quelle parole, poi concluse, con un sorriso «Oggi mi hai ricordato cosa è capace di fare un cuore spinto da amore pure e giuste motivazioni»
 
La giovane si fermò a guardarlo, pensando e ripensando a quella conversazione. Non riusciva ancora a togliersi dalla testa l'espressione preoccupata di suo padre, le sue parole amorevoli ma preoccupate.
E tutto ciò che era successo dopo.
"Solo un cuore puro e la sua forza inarrestabile saranno accolti nel dominio degli dei." recitava la leggenda "Solo l'innocenza di un infante renderà vincenti coloro che vi si addentreranno."
 
Quando si era svegliata e aveva visto il miracolo, in un primo momento aveva pensato che fosse merito di suo padre, che in qualche modo fosse riuscito ad aiutarla grazie alla magia nell'anello.
Tuttavia la cosa non l'aveva convinta più di tanto, quindi quella sera, fino a poco prima dell'arrivo di Hood, si era presa del tempo per esaminare il gioiello che le era stato donato, e dopo vari tentativi aveva provato con qualcosa che sulle prima le era sembrata una sciocchezza ma alla fine si era rivelata un'intuizione esatta.
Un messaggio. Quell'anello conteneva un messaggio per lei, e solo comportandosi come se avesse tra le mani una sfera di cristallo riuscì finalmente a vederlo.
Quando il volto di suo padre, a metà tra il Coccodrillo e l'uomo buono che aveva conosciuto, era apparso in un bagliore dorato, lei aveva ricominciato a singhiozzare portandosi una mano a coprire l'espressione di totale shock che le si era stampata in viso.
Tremotino le aveva lasciato quel gioiello appena prima di andarsene e continuare da solo la sua ricerca del Custode. Approfittando del suo sonno profondo, doveva aver dedicato qualche istante per incidere i suoi pensieri nella gemma di cristallo prima di lasciargliela al dito.
 
«Questo gioiello significa molto per me, lo sai bene» le aveva detto, tra le altre cose «Ora lo dono a te. Esso ti proteggerà da qualsiasi avversità potrai incontrare nel tuo cammino, anche se non ti renderà immortale, quindi ricorda di fare attenzione. In quanto simbolo dell'amore tra me e tua madre, il suo potere è amplificato. Ma soprattutto... questo anello ti aiuterà a ritrovare sempre la strada di casa. Qualunque sia la strada che sceglierai di percorrere, da sola o in compagnia, questo anello ti permetterà di averci per sempre accanto a te... qualsiasi cosa accada.»
 
Ora che aveva modo di pensarci a mente fredda, guardò l'anello ch'era tornata ad indossare e finalmente capì appieno il significato di quelle parole, anche grazie al discorso di Robin Hood.
La luce dorata che aveva visto al risveglio era un segno.
I suoi sogni sempre pieni di bei ricordi sui suoi genitori, l'incontro con suo padre in quello strano limbo.
Tutto era stato possibile solo grazie a quel gioiello. Qualsiasi formula avesse usato, Tremotino aveva trovato il modo di rimanere con sua figlia anche dall'oltretomba, regalandole un po’ della sua essenza, del suo potere. Ecco spiegata la maggior potenza magica quando lo indossava, e il fatto che riuscisse ad usare senza fatica anche la magia oscura elementare.
Suo padre era sempre stato accanto a lei per cullarla nel sonno e rafforzarla nelle battaglie e in tutte le sue avventure. Fin dal primo istante in cui si era ritrovata a non averlo più al suo fianco.
Sorrise, mentre gli occhi tornano a gonfiarsi e qualche lacrima s'impigliò tra le sue lunghe ciglia nere.
Le serviva... solo un'ultima conferma.
 
«Hai ragione, Robin...» mormorò, ritrovando sicurezza «Solo io posso farlo.»
 
Quindi afferrò l'arco e una freccia e glieli consegnò, ponendosi poi di fronte a lui, a circa un metro di distanza.
 
«Ora però fammi un favore, colpiscimi.» chiese, indicando la spalla destra con un dito.
 
Lockslay la guardò perplesso e sconcertato.
 
«Cosa?»
 
Emilie tornò a sorridere, di nuovo quella strana luce orgogliosa e felice negli occhi.
 
«Ho bisogno di una conferma.» spiegò sbrigativa «Mira il più vicino possibile alla mia spalla. Non preoccuparti di colpirmi di striscio, mi guarirò con la magia.» ribadì.
 
Ma l'uomo non sembrò tanto convinto.
 
«Posso sapere perché?» domandò ancora una volta.
 
Ma lei fu irremovibile, implorandogli di fidarsi e svelandogli il segreto solo dopo che entrambi ebbero visto la freccia venir deviata da un impercettibile scudo creato dall'anello. Non la copriva totalmente, proteggeva solo la metà del corpo formando un semicerchio perfetto, ma sarebbe stato utile contro il drago. Anche Robin seppe così che, pure se non aveva potuto essere contento di vederla intraprendere quella pericolosa strada, Tremotino aveva comunque sempre avuto intenzione di restarle accanto ad ogni costo.
Perché amava sua figlia.
Un dono che lei non avrebbe mai più dimenticato e che il giorno dopo, faccia a faccia con la sua paura più grande, le avrebbe dato il coraggio che le serviva per affrontarla e vincerla.

 
 
***
 
Presente,
Storybrooke.
 
Henry ed Emma interruppero quel magico momento tra fratelli circa un quarto d'ora dopo, tornando dalla loro passeggiata con un mucchio di preziose conchiglie strette tra le mani.
Henry le mostrò ad entrambi, quindi ne porse una a sua zia, la più grande di tutte, affermando con un sorriso.
 
«Tieni, questa è per te. Secondo me è la più bella»
 
Senza parole, visibilmente sorpresa, Emilie la prese tra le mani trovando fosse identica a quella donatagli da suo padre. Se la rigirò tra le dita e gli occhi le divennero lucidi. Allora era da Storybrooke che proveniva?
Lanciò un'occhiata dapprima a suo fratello, che le sorrise, poi ad Emma, che fece lo stesso appoggiando le mani sulle spalle del suo ometto generoso.
Così, a lei non restò che illuminare il suo volto di un sorriso e rispondere sinceramente commossa.
 
«È molto bella davvero, grazie Henry. La custodirò con molta cura, te lo prometto» concluse, portandosi una mano sul cuore.
 
Il bambino sorrise fiero e contento.
 
«Spero che ti porti fortuna con la tua missione»
 
Stavolta, dopo aver sorriso, Emilie lanciò un'altra occhiata a suo fratello e questi le avvolse un braccio intorno alle spalle, traendola a sé e lasciando per un attimo che poggiasse la testa sulla sua spalla, accogliendo il suo silenzioso sostegno.
 
«Come hai intenzione di procedere adesso, a proposito.» chiese Emma «Ho parlato con i miei, Leroy ha chiamato papà e gli ha parlato di te.» l'avvisò «È un brav'uomo, ma quello ch'è successo con Zelena ci ha scossi un po’ tutti. Credo sia ora di presentarti come si deve anche a loro»
 
Emilie tornò seria, abbassando lo sguardo e annuendo.
 
«Lo farò. Ma voglio incontrare mamma e papà prima... voglio che siano i primi a sapere il perché.» bofonchiò.
 
Bae la strinse di più.
 
«Non dovrebbe volerci molto. Papa è stato da Robin Hood stamattina.» rivelò, incrociando lo sguardo di Emma ed Henry «Mentre noi eravamo da Granny. È convinto che tu abbia un qualche tipo di legame con lui» quindi tornò a guardarla, e la vide farsi pallida come un cencio «A proposito... ce l'hai vero?» chiese «È per questo che sai tirare così bene con l'arco.»
 
All'improvviso tutti gli occhi tornarono a puntarsi su di lei e il vento gelido a soffiare forte sui vestiti bagnati. Tremò, lo sguardo perso nel vuoto dentro agli occhi di suo fratello e la conchiglia stretta nelle mani.
 
«Papa... è stato da Robin Hood?» chiese, suscitando perplessità nei suoi interlocutori «Lui... Sai cosa gli ha detto?»
 
Baelfire la fissò preoccupato, e sentì i brividi aumentare a dismisura.
 
«Emilie... credo sia meglio tornare a casa e darci una sistemata» risolse, alzandosi in piedi «Stai tremando troppo»
 
Ma lei lo afferrò per un braccio e occhi negli occhi lo supplicò, alzandosi a sua volta e restando sulle punte per ovviare alla differenza d’altezza tra di loro.
 
«Bae, ti prego. Cosa sai di ciò che si sono detti?»
 
Emma ed Henry li osservarono corrucciandosi.
Neal sospirò.
 
«Nulla» replicò sincero, prendendo nelle sue quelle mani gelide «Sono venuto da Granny non appena lui è uscito»
 
Emma osservò con preoccupazione il volto della ragazza diventare una maschera di cera mentre rivolgeva una lunga occhiata spaesata e sgomenta ai dintorni.
 
«C'è qualcosa che dovremmo sapere?» domandò Swan, cercando di venirne a capo «Magari possiamo essere d’aiuto»
 
Ma Emilie non riuscì a mormorare altro se non
 
«No... è una cosa che riguarda me»
 
Quindi restituì la giacca a suo fratello sussurrandogli un sincero "grazie" durante un ultimo abbraccio e decise di ritornare sui suoi passi.
Si fermò un istante, voltando loro le spalle, chiuse gli occhi e prese un profondo respiro.
Infine tornò a sfoderare uno dei suoi migliori sorrise e concluse, scoccando loro un occhiolino.
 
«Grazie per questa piccola riunione di famiglia. Dovremmo rifarlo, un giorno di questi»
«Emilie!»
 
La chiamò preoccupato Neal, ma lei si limitò a sorridergli rassicurante e dispiaciuta.
 
«Ti spiegherò tutto, Bae. Te l’ho promesso» replicò con un sorriso colpevole «Devo solo aspettare di giocare a carte scoperte»
 
Emma gli prese la mano, facendogli segno con la testa di accettare quella risposta, e a quel punto a lui non restò che rassegnarsi, sorridendole e annuendo.
 
«Cerca solo di non cacciarti nei guai, okkey?» le rispose, ricevendo come replica un'altra di quelle sue risatine tanto simili a quelle del Signore Oscuro.
«Ci proverò. Non garantisco, ma ce la metterò tutta. Solo per il mio fratellone»
 
\\\
 
Quella sera...
 
La polvere magica scivolò giù dalla boccetta in cui era stata riposta, spargendosi sul foglio di carta che conteneva il messaggio per lui da parte di quella ragazza, Emilie. Con un gesto ben calibrato della mano Mr. Gold diede vita alla magia, un lieve bagliore turchino e il foglio si sollevò in aria e raggiunse la porta d'ingresso del negozio, sulla quale ora campeggiava il cartello con su scritto "chiuso".
Sospirò e sorrise, soddisfatto.
Non era la prima volta che provava quell'incantesimo per tentare di venire a capo di quel mistero, ma con la freccia non aveva funzionato, e da quel risultato aveva compreso che chiunque fosse, quella Emilie aveva tutte le carte in regola per essere sua figlia.
Stavolta però il foglio si era animato, accendendo nei suoi occhi una scintilla di soddisfazione e trionfo.
Afferrò il suo bastone e si avvicinò alla porta, ma proprio quando fece per aprirla la voce di sua moglie lo bloccò.
 
«Ce l'hai fatta!» sorrise, emozionata.
 
Tremotino sorrise a sua volta.
 
«Si» rispose sollevato.
«Vengo con te» decise quindi Belle, raggiungendolo e prendendolo sottobraccio.
 
Era qualcosa che voleva fare da solo, avrebbe voluto dirle qualcosa per farla desistere da quel proposito, ma ... ormai aveva imparato che proibirle una cosa era il metodo più semplice per spingerla a farla, perciò si limitò ad annuire e aprì finalmente la porta, dando inizio a quella che si augurava sarebbe stata la fase finale di una snervante ma elettrizzante caccia al tesoro.
Un tesoro di figlia.
 
\\\
 
Tornata a casa, Emilie aveva prima di tutto fatto un lungo bagno caldo per rilassare i muscoli e far cessare i brividi.
Immersa nella vasca piena di schiuma, la ragazza aveva preso a fissare il muro davanti a sé assorta nei ricordi e nei suoi patimenti. Più di tutti, il suo cuore doleva per quell'amore che aveva lasciato indietro e che ora, proprio in quel tempo, stava per ripresentarsi nella sua vita. Lo sentiva.
Senti il cuore prendere a battere all'impazzata, anche più forte di quando aveva dovuto superare il fiume Olimpo. Così chiuse gli occhi, serrò la mandibola, tappò il naso e s'immerse totalmente, ascoltando lo sciabordio dell'acqua imitare il battito del suo cuore e confondersi con esso, riemergendo solo quando senti di stare per esplodere.
Aveva affrontato draghi, vascelli pirata, magie e incantesimi d'ogni sorta e potenti streghe e stregoni, ma l'amore continuava ad essere il suo più grande terrore, specie dopo tutto quello che era successo tra di loro.
Era passato troppo tempo dal loro ultimo incontro, e c'erano troppe incognite ancora da svelare.
Cosa avrebbe fatto se, com'era accaduto a sua madre per un breve periodo, Ewan si fosse dimenticato di lei e dell'amore che li aveva uniti? E se il loro amore non avesse resistito al tempo, rivelandosi falso?
Interrogativi che le mozzavano il fiato, ma per fortuna la voce di Will Scarlett proveniente dal salotto la riscosse.
Lo aveva mandato a tener d'occhio suo padre, e a giudicare dal fragore con cui richiuse la porta d’ingresso era appena rientrato da quella missione.
 
«Amy, tuo padre e tua madre stanno andando al tuo rifugio nella foresta!» esclamò allarmato, fiondandosi alla porta chiusa a chiave del bagno.
 
Immediatamente la mente della Signorina Gold tornò a farsi lucida, e il suo sguardo riacciuffò il presente.
 
«Stanno seguendo il mio biglietto?» domandò, sgranando gli occhi.
«Si! Saranno lì in pochi minuti!» ribadì il fante «Sbrigati! Sono stufo marcio di lavorare sotto copertura.»
 
Emilie uscì dalla vasca, indossò l'accappatoio legandosi bene la cinta alla vita e strinse un asciugamano attorno ai capelli umidi, a mo’ di turbante.
Solo allora apri la porta e lo guardò dritto negli occhi.
 
«No, io sono stufa marcia!» lo affrontò, dura «Tu smetterai di lavorare sotto copertura solo quando te lo dirò io. Sempre ammesso che voglia ancora la tua ricompensa» soggiunse con un ghigno.
 
Lo vide sospirare.
 
«Come ti pare!» le rispose alzando gli occhi al cielo «Ma vedi di sbrigarti. Magari riunirti alla tua famiglia ti renderà meno irritabile»
 
Emilie ridacchiò stridula.
 
«Io non ci spererei così tanto, mio caro»
 
\\\
 
Il bosco quella sera era cupo e gelido. Non c'era la luna, l'unica luce che illuminava il cammino era quella del l'incanto sulla pergamena e di un globo di fuoco che Mr. Gold aveva acceso nel palmo della mano destra, un venticello algido scuoteva le fronde degli alti pini e ombre oscure si muovevano nel sottobosco.
Stavano camminando nel bosco da circa una decina di minuti, avevano superato da poco la baita di Mr. Gold e perfino il pozzo dei desideri, quando Belle si fermò, stanca.
 
«Rumple, aspetta un secondo» lo supplicò, staccandosi da lui e sedendosi sul tronco caduto alla sua destra «Sei sicuro che la strada sia questa? Siamo quasi al confine della città.»
 
Nonostante il cappotto blu, la sciarpa e il cappello alla francese facessero del loro meglio per proteggerla dal freddo, il vestitino che aveva indossato non era proprio adatto a una scampagnata nel bosco, soprattutto di notte e con quelle temperature.
Si strinse di più tra le braccia, traendo un sospiro.
Tremotino si fermò a guardarla in apprensione, seguendo in contemporanea la pergamena, che risalita la collina davanti a loro si fermò proprio in cima ad essa.
Fu allora che, guardando meglio, vide delle luci fioche provenire dalle fronde di uno dei grandi sempreverdi svettanti da dietro il fronte. Un impercettibile sorriso vittorioso increspò le sue labbra.
 
«Siamo vicini, Belle» mormorò, tornando ad occuparsi di sua moglie.
 
Si tolse il cappotto e glielo mise sulle spalle, sorridendole e porgendole la mano.
La donna accolse quel gesto affabile e galante con un sorriso grato, quindi accettò l'aiuto a rialzarsi e tornò a stringersi a lui, percorrendo insieme l'ultimo tratto di strada.
Giunti in cima, di fronte a loro si aprì una piccola radura brulla, fatta eccezione che per quell'albero gigantesco i cui forti rami, a circa cinque metri d'altezza, ospitavano una piccola casina costruita molto rusticamente.
Le finestre non avevano ante, dalle aperture quadrate s'intravedeva l'interno illuminato da una luce fioca.
Tremotino guardò Belle con un luccichio trionfante negli occhi, lei gli strinse il braccio e sorrise contenta.
 
«Ce l'hai fatta!» mormorò fiera.
 
Lui le prese la mano, annuendo. Poi decretò, deciso.
 
«Andiamo a conoscere nostra figlia»
 
E quando lei tornò ad annuire, con un gesto della mano trasportò entrambi dentro al piccolo antro.
L'atmosfera era intima: la luce proveniva da un piccolo camino fatto con pietre di pomice, leggere e annerite dove le fiamme le avevano sfiorate, e il pavimento era coperto da una moltitudine di tappeto, che non erano l'unica cosa proveniente dal Castello Oscuro; al centro della stanza, tra il caminetto e un piccolo letto fatto di libri come base e un materasso dall'interno in lana, c'erano un vecchio tavolo sul quale era appoggiato un vecchio libro polveroso dalla copertina in cuoio, e uno dei troni della sala da pranzo del Palazzo Oscuro, per la precisione quello sul quale Rumplestiltskin si era seduto ad ascoltare la sua nuova ospite raccontargli dell'amore.
Il Signore Oscuro si attardò a guardare quel dettaglio, quasi sconcertato, mentre sua moglie Belle osservava le cornici poste sopra al camino.
Ne prese una tra le mani e osservò la foto che conteneva, mentre sul suo volto si dipingeva la più totale commozione e i suoi occhi iniziavano a brillare.
 
«Rumple...» lo chiamò con un filo di voce, porgendogli l'oggetto.
 
Con delicatezza, Mr. Gold lo prese tra le mani e si ritrovò a trattenere il fiato mentre osservava sgomento la scena ritratta in foto.
Erano loro due, lui e Belle, ma tutto sembrava così... distante.
A cominciare dal fatto che il volto della sua amata era solcato da profonde rughe di vecchiaia e i suoi morbidi capelli color cioccolato erano bianchi come l'argento. Eppure quello non fu l'unico dettaglio a confonderlo.
C'erano altre due persone nella foto, un ragazzo e una bambina, che stretta tra le sue braccia lo stringeva a sua volta, le braccia intorno al collo e la testa poggiata alla sua.
Sorrideva fiera, felice. Lo facevano entrambi.
Perfino lui stesso stentava a riconoscersi, e guardò quella bambina sentendo il proprio cuore sciogliersi sotto quello sguardo innocente e innamorato.
Belle gli si accostò, appoggiando il mento sulla sua spalla.
 
«Allora è vero» mormorò, felice e meravigliata.
 
Tuttavia, ancora una volta Rumplestiltskin decise di ascoltare la ragione e soprattutto il suo istinto di sopravvivenza, piuttosto che il cuore.
Le consegnò la foto, senza dire nulla, e si guardò intorno.
C'erano altre foto simili, in una erano solo lui ed Emilie, nell'altra la piccola e sua madre. Si attardò ad osservarla e non poté non notare quanto si somigliassero.
La prova definitiva l'ebbe quando aprì il piccolo armadio e oltre a qualche sua camicia, qualche gilet, un vestitino di Belle e un paio dei suoi completi da Signore Oscuro, trovò sul fondo, in bella mostra su una scatola di cartone nera, qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di trovare tra le cose che gli erano appartenute. Qualcosa che aveva visto solo una volta, in una delle pergamene che riempivano la stanza senza porte in cui aveva rinchiuso l'imprevedibile.
Un medaglione d'oro, oro puro che racchiudeva una pupilla limpida come uno specchio d'acqua.
Era immobile, sembrava un prezioso smeraldo circondato da candido opale. Nulla di più falso, e il Signore Oscuro questo lo sapeva molto bene.
Lo prese tra le mani, avvertendone immediatamente l'enorme potere.
 
«Cos'è?»
 
Era così assorto nel realizzare di avere tra le mani qualcosa che credeva irraggiungibile che la domanda di Belle gli giunse quasi distante.
 
«Qualcosa di enormemente potente e altrettanto pericoloso…» bofonchiò, rabbrividendo.
 
La donna si sporse oltre la sua spalla ad osservarlo meglio. Nel farlo, oltre ad accorgersi di quanto fosse pregiata la fattura di quel gioiello, si rese conto anche del suo sguardo di angoscioso terrore.
Allungò una mano verso l'oggetto per sfiorarlo, Mr. Gold osservandola con apprensione prenderlo tra le mani stava per rivelarle il nome di quell'artefatto, ma qualcuno lo prevenne.
Voce di ragazza, simile alla sua ma con un'impercettibile nota più melodica.
 
«L'Occhio di Chronos»
 
Si voltarono, e si ritrovarono davanti ad una giovane di circa una ventina d'anni.
Occhi grigi, lineamenti decisi ma delicati e una folta chioma color mogano, costretta in una coda dietro la schiena.
Vestiva con uno stile che richiamava molto quello del Coccodrillo: stivaletti neri della stessa pelle squamosa dei pantaloni a vita alta, camicia bianca con colletto a sbuffo e un giacchetto di velluto rosso cremisi le cui maniche erano composte in parte dal velluto e in parte da un broccato giallo antico decorato con un intreccio fantasia di rose rosse.
Li guardò rimanendo seria, ma gli occhi erano così gonfi e pieni di lacrime che entrambi i coniugi Gold capirono subito quanta emozione stesse cercando di reprimere.
 
«L'unico talismano in grado di donare al possessore il potere sul tempo... e sul proprio destino» seguitò la giovane, il cuore che batteva all'impazzata in petto, dopo essersi concessa un breve istante di silenzio per far sì che il suo umore del momento non influenzasse la sua voce.
 
Non ci riuscì, nonostante tutti gli sforzi quell'impercettibile tremolio la tradì portando con sua sorpresa le lacrime anche negli occhi fino a quel momento increduli di suo padre.
 
«Emilie…» mormorò Belle, illuminandosi fiera e felice.
 
Lei si sciolse in un sorriso, guardandola.
 
«Ciao mamma...» la salutò, con un filo di voce, stringendo i pugni per non piangere «mi sei mancata»
 
Quindi guardò suo padre, lo vide faticare come lei nell'ardua lotta contro i propri sentimenti, e a quel punto non ce la fece più ad ignorarsi, dipingendo per prima una smorfia dolorosa sulle labbra sottile e sciogliendosi un caloroso e sollevato
 
«Ciao papa... lo sapevo che saresti riuscito a trovarmi»
 
Sorrisero, entrambi commossi. A quel punto fu il tempo delle domande.
 
«Come hai fatto a trovarlo?» chiese Rumplestiltskin, indicando il medaglione ancora tra le dita di sua moglie.
 
Emilie lanciò un rapido sguardo all'oggetto, sorrise nuovamente alla donna e dopo averle scoccato un breve occhiolino con un movimento del polso permise alla magia di trasportarlo nel suo palmo.
Quella nebbiolina grigia apparsa per un breve istante pose davanti agli occhi dei coniugi Gold, specie di fronte a quelli del Signore Oscuro, un altro quesito importante che tuttavia si riservò per dopo.
 
«Ho seguito gli indizi...» replicò intanto Emilie, scuotendo le spalle e sorridendo innocentemente «Quelli che ho trovato sparsi nei libri e ... in tutti gli altri posti in cui li avevi nascosti.»
 
Tremotino sorrise a sua volta, intenerito. Per un brevissimo istante, alla giovane sembrò di essere tornata indietro, al giorno in cui lo aveva rivisto nella valle di rovi. Di nuovo ebbe l'impressione di averlo deluso, ma tutto cambiò quando lui tornò a chiedere, positivamente sorpreso.
 
«Hai affrontato le tre prove...»
 
Emilie sorrise di nuovo e annui.
 
«E le ho superate, grazie all'aiuto di alcuni amici e...»
 
Si tolse l'anello dal dito, fece qualche passo in avanti verso di lui e glielo consegnò. Lo riconobbe immediatamente, perché ne aveva uno identico al dito.
 
«Al tuo prezioso aiuto» concluse, lasciando che lo prendesse tra le dita e lo esaminasse.
 
Anche Belle guardò quel prezioso, sorpresa ed emozionata.
 
«È la fede nuziale?»
 
Emilie annuì rivolgendole un sorriso commosso.
 
«Ed è incantata» aggiunse Tremotino, guardandola risplendere di nuovo, un po' più forte.
 
Emilie annuì, sentendo le lacrime affacciarsi di nuovo ai suoi occhi e trattenendo il fiato quando, inaspettatamente, suo padre svelò il segreto con la stessa facilità con cui osservava il passato in una palla di cristallo.
Stavolta però, quando il suo futuro gli si presentò davanti, non poté fare a meno di tremare.
Paradossalmente, stavolta fu lui il maestro di sé stesso, e la lezione imparata fu una delle più preziose.
Anche Belle dal canto suo si scopri sconvolta, ma in maniera positiva.
Quando il messaggio finì e davanti ai suoi occhi commossi e radiosi restarono solo gli sguardi provati di sua figlia e suo marito, lei fu la prima a rompere il silenzio.
 
«Allora c'è un modo, Rumple!» esclamò entusiasta guardandolo «Un modo per essere libero dal pugnale»
 
Ma sia suo marito che sua figlia non sembrarono così entusiasti all'idea.
 
«No, non c'è mamma!» replicò lei «O almeno... non è l'unico» seria, tornando a guardare suo padre negli occhi.
 
Complici, in un unico proposito.
 
«Papa...» esordi, facendosi seria «L'unico motivo per cui ho affrontato tutto questo, per cui mi sono impossessata dell'occhio di Chronos, è stato perché volevo aiutarti.» sorrise di nuovo «Voglio aiutarci ad avere il lieto fine che meritiamo.» aggiunse, guardando anche sua madre, che la scrutò facendosi seria e sorridendo commossa nel sentirla parlare col cuore a quel modo «Tutta la nostra famiglia»
 
Rumplestiltskin la scrutò facendosi serio, e prendendosi del tempo prima di rispondere.
"I cattivi non hanno un lieto fine" le avrebbe risposto appena qualche mese fa. Ma tutto ciò ch'era successo dopo, unito a ciò aveva appreso in quei pochi istanti in cui aveva potuto osservare da lontano il proprio futuro... avevano cambiato la sua prospettiva. Perché i cattivi non potevano avere un lieto fine? Anche lui ne meritava uno, con Belle e con i suoi figli.
Una delle quali era già riuscita a dimostrargli che non era più una prospettiva così tanto utopistica. Grazie all'occhio di Chronos era riuscita a ridargli Bae, a sconfiggere Zelena e a plasmare il tempo a loro favore.
Il Tremotino di quel futuro dal quale lei proveniva era più saggio, forse, ma anche più triste. Tornando indietro e salvando Baelfire
Emilie aveva già iniziato a cambiare il corso del destino a loro favore, rendendo tutto più semplice. Perché non approfittare dell'aiuto, ora che aveva capito di potersi fidare?
 
«Papa, per favore...» tornò a supplicare Emilie, spaventata da quel silenzio «Fammi essere il tuo ombrello per i giorni di pioggia» sorridendo con le lacrime agli occhi e l'atteggiamento di una bimba indifesa.
 
Tremotino sorrise a sua volta, colpito. Oh, quanto avrebbe voluto accettare! L’arciere aveva avuto ragione sulle intenzioni di quella giovane, non erano motivate dalla gelosia come quelle di Zelena, né dalla sete di potere, ma da un sentimento di cui aveva imparato a fidarsi: l’amore, in particolare quello per loro, la sua famiglia.
E in questo sentì di poterla capire appieno.
Tuttavia, c'era un motivo per cui il suo alter ego di quel futuro ormai lontano aveva parlato a quel modo a sua figlia, lo stesso che lo spinse a chiedere, restituendole l'anello e spostandole con una carezza una ciocca ribelle di capelli da davanti gli occhi.
 
«A che prezzo, Emilie?»
 
Belle condivise la preoccupazione del marito. Era stato bello vederla, e sentire quelle parole piene d'amore nei loro confronti.
Ma cambiare il futuro era pericoloso, e lei era così giovane!
 
«Tuo padre ha ragione, Emilie. È qualcosa di... troppo grande!» le disse, poi le prese le mani e stringendole aggiunse amorevole «Hai fatto già tanto per noi, tesoro. Davvero, davvero tanto. E te ne siamo grati. Adesso è arrivato il momento di vivere la tua vita»
 
Ma ancora una volta la ragazza sospirò nervosamente.
 
«Io lo sto già facendo, mamma» replicò caparbia «La mia vita è qui, con voi. Non posso tornare indietro ora che siamo insieme!» poi guardò suo padre, e lo implorò «Qualunque sia il prezzo, papà, ormai è tardi per pensarci. Ho già usato il talismano, ho già cambiato il futuro, e sono riuscita a mantenere tutto più o meno in ordine senza farmi scoprire. Per favore, non voglio rinunciare adesso»
 
Belle scosse il capo, e fece per aprir bocca ma suo marito l'anticipò.
 
«Ewan lo hai conosciuto dopo aver viaggiato nel passato, vero?» domandò.
 
Talmente a bruciapelo che all'improvviso Emilie senti ogni altro genere di parola morirle in gola.
Lo guardò sgranando gli occhi, mentre lui continuava a fissarla assorto, nell'attesa di una risposta, anche se nei suoi occhi brillava il classico luccichio di ogni volta in cui conosceva già la risposta e restava ad aspettare che il suo interlocutore se ne rendesse conto.
 
«Chi è Ewan?» domandò confusa Belle, ma poi guardandola abbassare gli occhi con un sorriso fin troppo luminoso si addolcì, raddolcita, mentre Tremotino le spiegava sommario, seguitando a guardare sua figlia.
 
«È un arciere della compagnia di Robin Hood. In quale tempo lo hai conosciuto?» ribadì, tornando a incalzarla.
 
Finalmente Emilie si arrese, sorridendo imbarazzata e rivelando.
 
«Cronologicamente parlando, subito dopo la tua partenza per l'isola che non c'è»
 
Lo vide annuire, sorridendo appena.
 
«Per me... È stato il primo viaggio nel tempo» raccontò «Ma non con il medaglione. Nel mio tempo Chronos aveva già ricevuto la sua ricompensa dagli dei, perciò approdai in quell'epoca in cui era ancora vivo usando...» ridacchiò scacciando l'aria di fronte a sé con un teatrale gesto della mano «Una bacchetta magica e una ciocca di capelli della Salvatrice, che nel mio tempo ne aveva già attraversato uno»
 
Stavolta lesse con chiarezza soddisfazione nel volto di suo padre, mentre sua madre l'ascoltava affascinata.
 
«È sveglia come te, Rumple» osservò avvolgendogli di nuovo un braccio con le mani.
«Scommetto che sono stato io ad insegnartelo» disse lui, in quella che più che una domanda suonò come una fiera affermazione dei suoi meriti.
 
Di nuovo la senti ridacchiare, e il fatto che avesse la sua stessa risata stavolta non l'offese.
Entrambe le sue allieve, anche se in modi diversi, avevano provato a imitarlo. Lei però lo faceva così spontaneamente da far sembrare che fosse davvero tutta sola farina del suo sacco, senza alcuna intenzione consapevole di emularlo.
 
«Mi hai insegnato tutto quello che so, papa» la vide ammettere, rivolgendogli di nuovo uno di quegli sguardi affettuosamente innamorati «Eppure... sento di avere ancora tanto da imparare.»
 
Belle inclinò di nuovo il capo intenerita, guardando entrambi sorridersi.
La sintonia tra padre e figlia era evidente. E più passavano i minuti, più era chiaro che nessuno dei due avesse la minima intenzione di rinunciare a quell'inaspettata occasione. Specie Emilie, che aveva lottato tanto per averlo.
Perciò, sebbene avesse fino a quel momento sostenuto il contrario, stavolta non le restò che proporre, affabile.
 
«Beh...» propose «A questo punto credo non faccia più alcuna differenza un giorno in più o un giorno in meno. Eri mai stata a Storybrooke?»
 
La vide scuotere il capo con decisione.
 
«Prima d'ora mai, no» replicò.
«Allora credo sia il caso che tu la viva come si deve» replicò Tremotino, aprendosi in un sorriso e scoccandole un occhiolino «Potrebbe volerci tempo per insegnarti ciò che ancora non sai» aggiunse con sguardo sagace.
 
Emilie si concesse finalmente il tempo per respirare e guardando i volti giovani e amorevoli dei suoi genitori rivolgerle un sorriso, all'improvviso sentì tutto il peso sulle sue spalle cadere e non riuscì più a trattenere le lacrime.
 
«Io... grazie» bofonchiò, mentre le prime iniziavano a solcare le sue guance.
«Grazie a te, tesoro» le disse sua madre tenera, accarezzandole con una mano la schiena e avvertendola tremare «Hai fatto così tanto per noi!»
«Posso abbracciarvi?» domandò quindi, dopo un lungo sospirò, guardando suo padre.
 
Tremotino sorrise a sua volta, indulgente, annuì e senza aggiungere più nulla allargò le braccia, stringendola forte non appena lei gli ebbe buttato le braccia al collo, cominciando a piangere a dirotto.
I coniugi Gold si scambiarono un sorriso commosso, quindi anche Belle si unì al momento, completando un perfetto abbraccio di gruppo.
 
«Non preoccuparti per il prezzo da pagare» concluse Rumplestiltskin accarezzandole dolcemente i capelli con una mano «Troveremo un modo per affrontarlo. Siamo una famiglia, ora. Sei a casa»
 
Ricevendo in cambio un muto cenno di assenso da sua moglie e uno sguardo di profonda gratitudine da parte della sua giovane figlia, che realizzò con sollievo di essere finalmente uscita quello scomodo, solitario posto nell'ombra in cui era stata per così tanto tempo aver quasi dimenticato perfino quale sapore avesse l'abbraccio affettuoso di un padre.
   
   
 
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