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Autore: flyerthanwind    03/01/2022    2 recensioni
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La vita di Sam è quanto di più normale esista: ha una gemella che la conosce meglio delle sue tasche, un fratello con cui condivide la passione per il calcio e una squadra a cui tiene più della sua media scolastica –ma questo non ditelo alla madre!
Eppure, dal giorno in cui un vecchio amico di suo padre si trasferisce in città, la situazione prende una strana piega. Innanzitutto, le motivazioni del trasferimento appaiono strane, suo padre è strano e i sentimenti sono strani. Questo perché il figlio del tipo di cui sopra ha uno strano potere attrattivo nei suoi confronti.
Ottimi presupposti per una bella dose di disagio, non vi pare?
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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In pasto alla leonessa

Un pomeriggio di studio in compagnia era qualcosa a cui sono sempre stata abituata, specialmente se si trattava di scrivere una tesina di storia per il professor Foster. Normalmente sarei stata lieta di finire in coppia con mia sorella, consapevole che il suo rendimento scolastico fosse migliore del mio – di cui tuttavia non mi lamentavo affatto – e che quindi avrei potuto trarre beneficio dalle sue conoscenze.

In una situazione analoga non avrei avvertito la morsa dell'ansia stringermi lo stomaco mentre la lancetta dell'orologio avanzava, inesorabile, marcando il trascorrere del tempo. E più la lancetta avanzava più la morsa aumentava. La pressione crescente era risalita lungo l'esofago e mi lambiva la bocca, seccandola e lasciandomi boccheggiare.

Mi sarebbe piaciuto trovarmi in quel dipinto di Dalì con tutti gli orologi che si sciolgono per fare quella stessa fine.

Sentivo l’aria scivolare via dai polmoni lentamente, quasi a volermi solleticare per farsi beffe di me, sottolineando quanto una reazione del genere fosse assurda e, al contempo, così comprensibile trattandosi di Amelia e dei suoi folli piani da psicopatica.

L'unico motivo per cui stavo vivendo così male quella situazione era la presenza di Austin, che a momenti avrebbe suonato il citofono e sarebbe finito direttamente in pasto ai leoni. Alla leonessa, in realtà, la quale aveva già spalancato le fauci e affilato i denti per sbranarlo.

Avevo supplicato Amelia di non mettermi in imbarazzo, di non attuare piani contorti e di mostrarsi più gentile, o quanto meno di armarsi di quella falsa cortesia per cui avrebbe meritato un Golden Globe. Avevo a lungo sperato che mi desse ascolto, affidandosi a me per condurre quei giochi che stava di fatto perdendo, ma quella parola non era affatto compresa nel suo vocabolario.

Pur di non ammettere la disfatta, mia sorella avrebbe nascosto la sconfitta e non si sarebbe arresa finché l’avversario non gliel’avrebbe data vinta per sfinimento. La predatrice aveva affilato gli artigli e aveva tutta l'intenzione di sferrare l'attacco, mentre la sua vittima si sarebbe comportata da agnello sacrificale – forse più gazzella in questo caso – pur di compiacerla.

Per questo ero in preda all'ansia, perché non ero riuscita a prevedere di che attacco si trattasse e, manco a dirlo, non ero stata capace di estorcerle nemmeno un'informazione effimera.

Temevo inoltre la reazione di Austin, il quale – lo sapevo – era piuttosto intimorito dalla mia gemella, che d'altra parte non si era mai lasciata sfuggire un gesto di riguardo, un sorriso amichevole o anche solo un saluto nei suoi confronti.

A sentire Amelia, si stava comportando esattamente come avrebbe fatto con qualunque sconosciuto, ma la conoscevo così bene da sapere che mai avrebbe riservato un trattamento del genere al figlio di un amico di papà, men che meno se mamma stravedeva per sua madre e non faceva altro che parlare di lei.

Quando avevo provato a farglielo notare si era limitata a darmi della paranoica, insinuando che quell'eccessivo interesse nei confronti del ragazzo non fosse che preludio di un interesse diverso. Al che le avevo domandato se si fosse impasticcata e, nel caso, di cambiare spacciatore, perché le stava venendo roba scadente.

Quando il rumore vibrante del citofono interruppe il flusso di miei pensieri – dei miei tormenti – avrei voluto scattare con la stessa agilità di Amelia e andare ad accogliere l'ospite. Purtroppo, lei mi aveva anticipato e prima che potessi darmi una sistemata e correrle dietro aveva già fatto accomodare il nostro ospite in salotto.

Sembrava stranamente mansueta, molto più simile a una gattina addomesticata che a un felino selvaggio, tuttavia aver condiviso la stessa placenta per un tempo considerevolmente lungo mi aveva insegnato che della piccola arpia non ci si poteva proprio fidare.

Altro che Golden Globe, avrebbe meritato l’Oscar alla carriera. E io avrei dovuto strozzarla quando i medici ci infilarono nella stessa incubatrice perché dopo la nascita nessuna delle due sembrava intenzionata a sopravvivere senza l’altra.

«Ciao Austin» gli andai incontro salutandolo con un amichevole bacio sulla guancia. Dallo sguardo che mi rivolse intuii che vedere Amelia così docile gli aveva fatto presagire che qualcosa che non andasse, per cui non le risparmiai un'occhiata furente prima di sorridere al mio amico.

«Allora, vogliamo iniziare?» m'interruppe mia sorella mentre io facevo gli onori di casa e insistevo per offrirgli qualcosa. Stavo poggiando bicchieri e bottiglie sul tavolo del salotto, accanto alle vivande che avevo già sistemato in precedenza, quando Amelia lasciò cadere senza grazia alcuna i suoi libri proprio davanti a noi.

«Dunque, Austin...» forse era la prima volta che gli rivolgeva direttamente la parola, lo supposi dallo sguardo dubbioso che si dipinse sul viso del diretto interessato. «Che voto avevi in storia lo scorso anno?»

Conoscendo Amelia quella era la più innocua delle domande che avrebbe potuto rivolgergli, ma osservando la sua postura potevo dedurre che si stava preparando all'interrogatorio del secolo: aveva i palmi delle mani poggiati sul tavolo, le braccia tese a sostenerla, le spalle protese in avanti e il viso austero che non accennava a togliere gli occhi di dosso ad Austin – indagatori, provocatori, scettici.

«Uhm, avevo una B» confessò lui, evitando di guardarla negli occhi.

Una risatina sarcastica si levò dalle labbra di Amelia, poi disse: «Qui dovrai pregare per avere una B! Per fortuna siete assieme a me per la tesina, ho intenzione di distruggerlo» e mentre pronunciava quelle parole continuava a fissarlo, come se Foster non fosse il suo unico obiettivo.

Avrei dovuto procurarmi un frustino, indossare una giacca da circo e addestrarla come una leonessa che si esibisce nello spettacolo delle nove.

«Amelia, vuoi darci un taglio?» la apostrofai per tentare di placarla. A momenti avrei potuto vedere il cuore di Austin piombargli fuori dal petto ed era sbiancato pericolosamente; evidentemente non ero l'unica ad aver avuto l'impressione che si riferisse anche a lui.

«Lo sto solo informando, non voglio che arrivi impreparato al giorno dei giudizio» e ancora una volta le sue parole sembravano avere un duplice senso, questa volta in parte celato da uno sguardo disinteressato ma cristallino a noi che la udivamo parlare con tono lascivo e al contempo derisorio, quasi fosse una sfida.

Ormai Amelia era partita per la tangente e niente avrebbe potuto fermarla, né la mia scenata, né le mie occhiatacce, né le minacce di buttarla in pasto ai nostri genitori – per rimanere in tema di cibo. L'unico modo che Austin aveva per sfuggirle era scappare via a gambe levate e l'avrei aiutato io stessa se non avessi nutrito la convinzione che l'avrebbe rincorso fino in capo al mondo, fosse anche solo per distruggerlo.

Lo stavo giusto scrutando di sottecchi mentre teneva lo sguardo fisso sul libro aperto davanti a sé – i capelli a circondargli il viso come mura di cinta e la schiena ritta appena poggiata contro lo schienale, pronto a darsi alla fuga in ogni evenienza – quando Amelia tornò all’attacco.

«Come mai vi siete trasferiti?» domandò a bruciapelo, cogliendo entrambi di sorpresa. Austin mi rivolse uno sguardo di sottecchi, come se avesse voluto chiedermi quanto della sua confidenza avevo raccontato a mia sorella.

In realtà non le avevo raccontato proprio nulla e sperai che dal ringhio rabbioso con cui la apostrofai anche lui potesse rendersi conto della mia innocenza. In un’altra situazione avrebbe fatto bene a dubitare perché capitava spesso che io e la mia gemella condividessimo tutte le informazioni di cui entravamo in possesso, eppure in quel caso avevo preferito tenere per me le sue confessioni.

«Mio padre ha ottenuto un lavoro presso un prestigioso studio di questa città» si limitò a rispondere, improvvisamente schivo. Io conoscevo il motivo per cui si era rabbuiato e sperai con tutto il mio cuore che Amelia facesse cadere l'argomento.

«Avevi tanti amici nella tua vecchia città? Siete rimasti in contatto?» domandò di nuovo. Prima ancora che parlasse avevo compreso che le mie preghiere sarebbero state esaudite perché – attenta com’era – sicuramente aveva notato il repentino cambio d’umore di Austin.

«Sì, abbastanza... Alcuni non li sento dal trasferimento, con altri parlo quasi ogni giorno» riacquistò un po' di tranquillità mentre un sorriso spento faceva capolino sul suo volto. Era triste, malinconico oserei dire, il tono in cui parlava di loro, come una persona ormai rassegnata all’idea che li avrebbe persi tutti.

«Hai detto loro di aver conosciuto Sam? Gli hai mostrato una foto?» chiese a bruciapelo Amelia mentre io improvvisamente avvampavo e mi scagliavo contro di lei.

Quel frustino, più che per addestrarla, avrei dovuto utilizzarlo per scuoiarla viva! Un po’ splatter, forse, ma di sicuro molto gratificante…

«Che razza di problemi hai?» mi ritrovai a urlare a un palmo dal suo viso. Quel contatto così belligerante e ravvicinato per noi era cosa nota, ma a giudicare dallo scatto repentino che lo portò in piedi, accanto a noi, Austin non era abituato a un simile comportamento.

Di certo non aveva mai urlato in faccia alla sua sorellina, come io e i miei fratelli facevamo di continuo, salvo poi far pace in trenta secondi netti. Succede sovente quando la differenza d’età è talmente esigua da conferire armi quasi pari.

«Sam, non c'è bisogno di alzare la voce, va tutto bene» mi disse nel tentativo di calmarmi, posandomi entrambe le mani sulle spalle e allontanandomi da Amelia con un tocco gentile ma risoluto.

Mi sorrise con premura, ammonendomi con lo sguardo affinché lasciassi fluire via la rabbia – possibilmente senza sfogarmi su mia sorella – poi si voltò nella sua direzione senza tuttavia allontanarsi da me.

«Sì, ho detto loro di aver conosciuto un po' di persone, tra cui Sam» ammise senza grossi problemi il biondo rivolgendole un sorriso cordiale; poi riprese: «La foto se la sono cercata da soli, su Instagram».

«E che hanno detto?» chiese ancora Amelia, assottigliando lo sguardo. Era chiaro che lo stesse scrutando in quel modo così accurato per valutarne la sincerità e non escludevo a priori che avrebbe tirato fuori un poligrafo.

«Che è una bella ragazza e sembra una tipa tosta» a quel punto non potevo più guardarlo in viso, mi dava volutamente le spalle e non si sottrasse all'attenta analisi di mia sorella.

«Sicuro? Solo questo?»

Io, d’altro canto, avrei preferito sprofondare piuttosto che stare a sentire cosa avessero da dire i suoi amici sul mio conto. Entrare nel gruppo whatsapp di ragazzi in piena tempesta ormonale era decisamente peggio che entrare nelle loro teste.

«Di' un po', ti ha assunto la CIA?» le domandai per alleviare la tensione che si era creata e per distogliere l'attenzione da me, fornendo così anche ad Austin la possibilità di eludere le sue ulteriori domande.

«Hai una ragazza?» Amelia mi ignorò bellamente senza rinunciare al suo cipiglio annoiato ma abbassando, seppure di poco, le sue difese. Era qualcosa di impercettibile agli occhi degli altri, ma io lo notai dalle spalle rilassate e dagli occhi sereni.

Non lo aveva assolto – di qualsiasi cosa lo stesse accusando – tuttavia l’avergli permesso di svincolare dalla piega che aveva preso il percorso mi faceva ben sperare che l’interrogatorio fosse giunto alla conclusione.

«Austin, non sei obbligato a rispondere» lo anticipai, intromettendomi ancora una volta per prendere le difese della gazzella sacrificale.

Forse, se si fosse messo a saltellare per il salotto come una gazzella che fugge dal predatore, l’avrebbe definitivamente scampata. Tuttavia, in quel caso non avrei potuto garantire sulle sue facoltà mentali.

«No» rispose semplicemente, puntando gli occhi in quelli di Amelia. Entrambe sapevamo che stava rispondendo alla sua domanda, ma la risolutezza con cui pronunciò quella negazione sembrava implicare che non avrebbe risposto a null’altro.

Si fronteggiarono per un paio di istanti, occhi verdi e cupi contro occhi blu e magnetici, e insieme sembrarono portare avanti una conversazione a cui non mi era consentito partecipare. Io potevo limitarmi a scrutarli di sottecchi, studiando le reazioni di Austin e interpretando le espressioni della mia gemella, dopodiché Amelia mutò completamente espressione e cinguettò qualcosa a proposito di iniziare a studiare.

Se non altro, mi consolai in seguito, da quel momento iniziò a rivolgergli la parola.

   
 
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