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Autore: Angel TR    07/01/2022    3 recensioni
Raccolta che segue l'evoluzione del Gene Devil dal terzo Torneo fino al sesto.
Morbide piume fluttuarono mollemente nell'aria come petali di crisantemi fino a posarsi sul lago di cruore e lì vi galleggiarono, placide.
{Questa storia partecipa alla Challenge "Solo i fiori sanno" indetta da Pampa313 e "I like that quote, said the month" indetta da Mari Lace sul forum di efp}
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Devil Jin, Jin Kazama
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ashes denote that Fire was'
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19. Giglio: purezza, nobiltà d’animo.
Aprile 2021 "Rosa. Un cielo rosa. Forse cambiava colore ogni giorno così al risveglio era sempre una sorpresa. Probabilmente anche tutto il resto era diverso: gli alberi crescevano di traverso e spargevano piume invece che foglie, il vento raccontava segreti mentre soffiava, le rose diventavano grandi come case, e non c'era la guerra." {La bambina di polvere, Nathalie Abi-Ezzi}

2. Cielo
[Tekken 4]

Rosa. Un cielo rosa. Forse cambiava colore ogni giorno così al risveglio era sempre una sorpresa. Probabilmente anche tutto il resto era diverso: gli alberi crescevano di traverso e spargevano piume invece che foglie, il vento raccontava segreti mentre soffiava, le rose diventavano grandi come case, e non c'era la guerra.
Che magnifico sogno.
Ogni volta che Jin apriva gli occhi, invece, vedeva un cielo nero pece che non cambiava mai colore; non c'era nessuna sorpresa per lui al suo risveglio, salvo il rendersi conto che un altro pezzo della sua mente si era disintegrato nelle mani del demone – un po' come le foglie degli alberi che si diramavano, cadendo sul verde sempre più scuro della foresta, graffiate dall'artiglio feroce dell'imminente inverno glaciale. Il vento non gli raccontava nessun segreto; semmai, a volte, a Jin pareva di udire una voce nel suo soffio, una voce spaventosamente simile alla sua che gli sussurrava parole di morte. Le rose non diventavano grandi come case ma sembravano tingersi di una tonalità di nero profonda quanto il peccato sotto il suo tocco: la terribile testimonianza del demone che aveva macchiato irrimediabilmente il candore del suo animo.
E la guerra, oh, la guerra c'era, eccome se c'era.
La guerra imperversava da troppo tempo e il bottino era proprio la sua sanità mentale o forse il suo animo, il suo corpo, la sua vita – sebbene fosse ormai già andata in pezzi – o forse tutto quanto. Dio solo sapeva quanto lui stesse impegnando tutte le sue misere forze mortali per vincere quella battaglia contro il demone ma le armi infernali erano di gran lunga superiori alle sue, banali e mortali.

Una risata lieve e soddisfatta risuona nella sua testa. Menomale che lo sai, piccolo. Arrenditi, arrenditi a me, arrenditi all'ira, arrenditi al Gene del Diavolo...

Jin spalanca gli occhi; il cielo è nero come le ali di un angelo caduto, il vento ulula implacabile eppure non ne avverte il freddo sulla pelle.
Il suo sguardo, inizialmente appannato, focalizza l'immagine di un collo rugoso piegato in un angolo innaturale attaccato a un volto fin troppo familiare. Deve sbattere le palpebre un paio di volte per mettere finalmente a fuoco la scena e collegare quel viso con un nome, un nome che l'aveva accompagnato per anni, un nome che aveva imparato a disprezzare e forse temere.
Heihachi Mishima.
Non è certamente la prima volta che cerca di ucciderlo, rammenta Jin, mentre il ricordo di un dolore atroce, frutto di un secco colpo di pistola alla testa, gli fa ribollire il sangue nelle vene. Forse dovrei restituirgli il favore, pensa, immerso nel profondo rosso della sua rabbia. Mentre un ringhio che non ha nulla di umano scaturisce dalla sua gola, Jin solleva il pugno, pronto a disintegrare quella vecchia gola che era solo in grado di sputare veleno e comandare pedine sulla scacchiera.
Ma, proprio nel momento in cui sta per calare il poderoso colpo fatale, una visione che sembra appartenere a una vita – o addirittura a un'altra dimensione – lo fa rinsavire.
Sbarra gli occhi a quella vista, sconvolto.
Il candore luminoso di un viso che potrebbe essere quasi il suo specchio riflesso, sereno e pacifico come una ninfea nel mezzo di un laghetto in primavera, riesce a spazzare via – anche se solo per un attimo – il guasto liquame oscuro del demone che ha impantanato la sua mente, permettendogli di riacquistare il controllo andato perso. Quella visione quasi mistica, divina, angelica gli restituisce piena facoltà delle sue azioni e del suo essere. Se fino a quel momento aveva dimenticato chi fosse, complice l'avanzata spietata del demone sul suo animo, ora Jin inspira ed espira, conscio di essersi nuovamente riappropriato di se stesso.
Non sono ancora tuo, pensa, concedendosi una piccola soddisfazione – pur consapevole della sua effimerità.
Esatto. La parola chiave è "non ancora", giunge sagace la risposta dello spirito.
Jin distoglie l'attenzione dal suo mostro personale per rivolgerla a quello umano che giace ancora nelle sue mani. Lo lascia andare con uno spintone; Heihachi Mishima cade bocconi sulle assi polverose dell'Honmaru.
«Ringrazia mia madre» sono le sue ultime parole, prima di spalancare le ali e spiccare il volo per allontanarsi il più possibile da quel luogo infestato. Sa bene che il demone gli farà pagare quell'umiliazione, già può sentire il suo furore di bestia nera che ribolle, in tempesta come un oceano burrascoso.
In bilico tra la resa e l'ultima trincea, Jin solleva lo sguardo verso il cielo: è buio, buio come le ali del demone, buio come l'abisso che lo attende.

  
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