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Autore: Gaia Bessie    09/01/2022    1 recensioni
Non l’ho mai capita, questa vostra frenesia dello sposarvi tutti giovani. Vi perdete un sacco di tempo per essere infelici.
In una lettera indirizzata alla sua attuale compagna, Blaise Zabini ricorda le cinque donne che lo hanno segnato a vita.
[Blaise/Hermione; Blaise/Pansy, Blaise/Daphne, Blaise/Ginny, Blaise/Astoria, Blaise/Dominique]
Per Rosmary.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Hermione Granger | Coppie: Astoria/Fred, Blaise/Pansy, Draco/Astoria
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Attenzione: Questa storia è ispirata, nel primo paragrafo, alle prime 30 pagine del romanzo "Alta fedeltà" ma NON fa spoiler su di esso.
Molta ironia, un po' disincantata.

Questa storia è per Rosmary, con le mie scuse per non essere arrivata per Natale.

 
Alta fedeltà

 
Ha vergato quelle parole con una forza tale da lacerare la pergamena, in più punti, costringendolo a spurgare inchiostro lungo i margini.
Ti lascio una classifica delle cinque più grandi fregature di tutti i tempi, in ordine cronologico – Hermione non se n’è minimamente stupita: Blaise Zabini non prepara nemmeno la cena senza un metodo o un piano d’azione, figurarsi scrivere una lettera dove le recrimina tutti i suoi peccati (o, forse, quelli di qualcun’altra).
 
  1. Pansy Parkinson
  2. Daphne Greengrass
  3. Ginny Weasley
  4. Astoria Greengrass
  5. Dominique Weasley
 
Hermione ha letto la lista, scorrendola velocemente, e non ha compreso – l’assenza del suo nome, nella lista delle fregature della vita di Zabini, la destabilizza.
 
Ecco quelle che mi hanno ferito davvero. Ci vedi forse il tuo nome, lì in mezzo, Granger? Ammetto che rientreresti tra le prime dieci, ma non c’è spazio per te tra le prime cinque.
 
Hermione sospira, si passa una mano in volto.
 
Se volevi veramente incasinarmi, dovevi arrivare prima1.
 
 
***


Erika, tu eri l'unica
(…)
Per te solo al pensiero
Io mi sentivo un uomo
Per te io componevo inutili poesie
 
[Pansy Parkinson – Otto anni]
 
Chissà che fretta avevo, poi, di crescere – con Pansy ci eravamo rotolati su copertine colorate e prati un po’ spettinati fin da quando avevamo avuto tre o quattro anni: mia madre non è mai stata una che coltiva le proprie amicizie, ma aveva una sorta di debole per la signora Parkinson e, così, lei e la figlia erano ospiti fisse al tè del venerdì e al pranzo della domenica. In realtà non l’ho mai avuto, un pranzo della domenica come lo intenderesti tu, con i genitori, i nonni e tutto il resto: ho sempre avuto solamente donne, nella mia vita – mia madre e la signora Parkinson, appunto.
E così, quando ancora tu non eri nemmeno una scintilla nella mia mente, una stupida curiosità, io mi sono innamorato per la prima volta: era quel che tutti si aspettavano da me, che m’innamorassi con la stessa facilità con cui mia madre acchiappava le farfalle con le mani, ed era ancora più giusto e corretto che fosse Pansy – fosse durata per sempre, avremmo sbancato il lunario.
Avevamo otto anni, nessuna idea: passavamo le ore a giocare ad acchiapparella nei corridoi di casa sua (un, due, tre…stai là!) o a rubarci i pupazzetti a forma di drago mentre prendevamo il sole nel giardino di mia madre. E, quando infine arrivava l’inverno, le nostre madri insistevano per farci studiare insieme come leggere e scrivere, nonché qualche segreto rudimento di magia.
Pansy ha imparato a scrivere sei mesi dopo di me – e, quando volevo ferirla (perché di ferite parliamo, altrimenti non starei qui a raccontarti di cicatrici più profonde di quelle che tu mi hai inferto), le dicevo che era così perché forse era un po’ tarda. La verità, Granger?
È una cosa dura, la verità, graffiata, stanca, sporca – la verità è che avevo sentito dire a mia madre che sarebbe stato bello, se da grandi ci fossimo sposati: e forse, ancor più di quanto io non abbia mai amato Pansy, ho amato mia madre. E così, nelle lezioni supplementari che mi faceva prendere di scrittura, mi sono esercitato per avere la grammatica più corretta, la grafia migliore e il lessico più ampio.
Ed è stato allora che ho vissuto il periodo delle poesie – hanno tutte un senso di infinitezza, quando sei un bambino: chissà perché, chissà per davvero, avevo tutta questa fretta di crescere e abbandonare la convinzione che, un giorno, sarei divenuto artista maledetto anche se sono astemio e ci vedo troppo bene per portare gli occhiali. Qualcuna, sciocche filastrocche in rima baciata, mia madre la conserva ancora nei cassetti della propria toeletta e, anche se le chiedo di mostrarmele, non lo fa mai: dice che il passato ormai è scivolato via come acqua di fiume e, per quanto mi sforzi di acchiapparlo con le dita, non posso trattenerlo. Ma io le ho scritte, quelle cose, Granger, certo che l’ho fatto: avevo otto anni e mi sentivo già uomo, mentre dedicavo a Pansy qualche stupido gioco di parole relativo alle viole del pensiero e agli attimi di penombra. Un idillio perfetto, non trovi?
Se solamente non fosse caduto tutto a pezzi – ricordo il giorno in cui mia madre è rientrata, imbarazzata, in casa per dirmi che Pansy non sarebbe più venuta a giocare con me e che, da adesso, avremmo dovuto cercare altre compagnie, compagnie migliori (si era scopata il padre di Pansy e non ha mai avuto il coraggio di dirmelo). Io non ho fiatato ma, dentro di me, qualcosa s’è frantumato in petali violacei: pensavo che sarebbe sempre stata l’unica, non lo trovi buffo?
Se lo fosse stata, forse mi sarei evitato una serie di patemi e cicatrici che, adesso, rovinano quei brandelli di fascino che l’età m’ha permesso di conservare: ho trascorso anni nell’attesa di Hogwarts perché, ne ero certo, era lì che l’avrei ritrovata. E così è stato, immagino te la ricorderai anche tu – una scriccioletta in fieri attaccata al braccio di Draco Malfoy.
Già allora, come sarebbe stata per tutti gli anni in cui, saltellando da una delusione alla successiva, non sarei riuscito a togliermela dalla testa, Pansy aveva già scelto di strapparsi il cuore per offrirlo in sacrificio a un uomo che non ero lì. Non ti nascondo che, quando ho saputo che Malfoy ha sposato Astoria Greengrass, ho pensato di scriverle una poesia.
Una breve riga, un po’ ermetica, che però solamente lei avrebbe saputo interpretare correttamente:
 
Te lo meriti (stronza).
 
Ma, alla fine di tutto, mi sono reso conto che non sono nato per esser poeta, così come non sono nato per essere il compagno di vita di Pansy – io non so portare rancore, ma lei è un miscuglio mal riuscito di rabbia repressa e cose non dette: penso che, alla fine di tutto, non m’avrebbe mai perdonato il non essere Draco.
E io, d’altronde, come avrei potuto perdonarle l’essere ancora sé stessa?
 
***
 
Angela, serata libera
Dentro al silenzio nella camera dei tuoi
Abbiam rifatto il letto
Ci ha visti solo il gatto
Con la paura dello scatto della serratura
 
[Daphne Greengrass – Sedici anni]
 
Quando avevo sedici anni, poi, mia madre fu ufficialmente adottata dai Greengrass e, a dispetto della sua condotta (un po’ buffa), rimasero amici per i successivi vent’anni, finché morte non li ha ufficialmente separati: è stato allora che, nell’orizzonte delle mie aspettative, sono comparse le due sorelle Greengrass – che sono anche state, ufficialmente, la rovina del mio cosmo così perfetto, così poco frangibile.
Daphne aveva diciassette anni, quando mi resi conto che esisteva anche lei: nove mesi più di me e, se mai mi permetterà questo commento su di lei, dato che ora è considerata la moglie trofeo di Nott, era anche un po’ scialba. Capelli biondissimi, sì, occhi color dell’erba (quanto è stata banale, povera Daph), un bel sorriso – e un naso che doveva mascherare con un ciuffo di capelli, finché a diciott’anni non ha ricevuto l’autorizzazione dei suoi genitori per ricorrere a un intervento di magia estetica. Ripensandoci, forse dovrei dire che quel naso era perfetta anticipazione della sua personalità: gobba, storta e spiacevole.
Ma, nella Yule dei miei sedici anni, a me Daphne Greengrass pareva bellissima – fluttuava a un paio di millimetri da terra quando camminava e quando sorrideva, Salazar, Granger, quando sorrideva! Sembrava che il mondo si stesse fermando solamente per vederla compiere quel gesto così inutile, così insensato!
Potrei dire molte cose, di Daphne: sicuramente molte spiacevoli, ma devo anche fare una sincera ammissione di colpa – forse è quella che ho amato di più: perché a sedici anni non conosci freno, nell’innamoramento, e dai tutto per ricevere in cambio un bel sacco di niente. E so per certo, e lo so perché checché ne dica io la conosco ancora, che anche lei doveva provare i medesimi sentimenti per me.
E, anche se adesso lei è scappata in Francia e maschera l’accento arrotando la r in uno stupido negozio di fiori nel centro di Marsiglia, so che anche lei a volte si trova a ripercorrermi col pensiero, per scoprire che tra di noi le cose non cambieranno mai. Che siamo costretti ad amarci da lontano, in silenzio, al buio, senza farci scoprire – sì, Granger, mi hai già detto che Daphne adesso ha una compagna: e pensi che le basterà per cancellarmi dalla sua mente?
Sono stato la sua prima volta, ogni prima esperienza che ha fatto, il primo bacio, tutto quello che poteva offrirmi io l’ho accettato con un sorriso. E non me ne frega niente, sì Granger, hai capito bene: non me ne frega niente se adesso lei vende stupidi dolci per vivere e dice in giro che io sono pazzo a sognarmela ancora. Che mi chiamasse pazzo, se le fa piacere, se può permetterle di dimenticarmi per davvero.
Ad onor del vero, io l’ho fatto.
Tuttavia, e ho promesso d’esser sincero almeno con me stesso, io Daphne l’ho amata per davvero – e, quando ripenso alla maniera in cui se n’è andata, vorrei semplicemente prenderla per le spalle e domandarle perché. Perché non possiamo semplicemente tornare indietro ai nostri sedici anni, senza pretese, senza responsabilità: a quando facevamo l’amore sul letto dei suoi genitori, con lei che stringeva le labbra tra di loro per non far uscire nemmeno la parvenza di un suono e la gatta (Madeline!) che graffiava la porta per poter entrare.
Penso che, per più di un paio di volte, i genitori di Daphne abbiano seriamente rischiato di trovarci a scopare tra le loro lenzuola preferite – chissà se lo sapevano, che la loro primogenita non era troppo intenzionata a sposare il damerino francese che avevano scelto per lei (buffo, in realtà, che adesso lei sia scappata proprio in Francia).
Vorrei dire che non ricordo bene com’è finita: a un certo punto della vita, le cose belle, per quanto possano esserlo, semplicemente si consumano come fil di cera spezzata e smettono semplicemente di essere. Non è stato così.
Io ho amato Daphne Greengrass, stagione dopo stagione, per più di cinque anni – qualcuno, stupidamente a parer mio, quando abbiamo rotto ha detto che si sarebbe stupito di vedermi risorgere dalle mie cenere: Daphne era stata così tanto, per me, che forse non sapevo come esistere senza di lei (Draco ha sempre parlato un po’ troppo, non trovi?).
È stata lei ad andare via – avevamo ventun’anni, un momento della vita in cui si rivela necessario almeno uno straccio di spiegazione per prendere e sparire in un buco nero, non trovi, Granger?
Daphne un giorno ha preso ed è andata via: è passata da casa mia con uno zainetto color lillà e vi ha rimpicciolito dentro vestiti, riviste, libri e tutti i mille ninnoli che mi aveva sparpagliato per casa. Quand’ha finito, mi ha guardato negli occhi, solamente quello, e mi ha detto che andava via: «Io non ce la faccio più a vivere così, Blaise» mi ha detto. «Che speranza posso avere, di essere felice in questo modo?».
Non mentirò, Granger: Daphne Greengrass mi ha spezzato il cuore con un semplice, dolorosissimo, movimento del polso. Tutto quello che è successo dopo non ha importanza: Daphne mi ha spezzato il cuore e, dopo di lei, è stato solamente un continuo riaprire la cicatrice – ma ha iniziato lei.
Ha iniziato lei e, sebbene io cerchi con tutte le forze di dimenticarla, ogni tanto persiste nel far capolino nella mia mente, quando la lascio libera di percorrere sentieri privi di cordone di sicurezza.
Capisci perché dico che saresti dovuta arrivare prima, Granger?
Puoi solamente camminare sul solco che ha scavato Daphne – farne uno tutto tuo? Non credo ci sia più spazio, sul mio cuore, per spaccarlo in altre maniere.
 
***
 
Monica, confetti e musica
Un tatuaggio che ora anch'io so dove sta
La messa è già finita
Tu ti sei rivestita
E siamo gli ultimi invitati ad andare via
 
[Ginny Weasley – Ventidue anni]
 
Lo ammetto, la mia ripresa dopo Daphne è stata lunga, difficoltosa e forse persino insensata: dopo di lei, non ho più creduto nella possibilità di un amore da fiaba, certo che no – e, lo ammetto senza alcuno strascico di vergogna, per un po’ ho vagato di donna in donna senza nemmeno infatuarmi mai. Finché, su quella strada lastricata in vetro, non è capitata la moglie di Potter.
È stato il giorno in cui Draco e Astoria sono convolati a nozze, e ancora Narcissa non poteva credere che il suo bambino si fosse innamorato così in tenera età (povera Astoria: a malapena vent’anni e già sua suocera non l’approvava), e io avevo ricevuto l’invito poche ore prima. A me non l’ha mai detto ma sono abbastanza sicuro del fatto che Astoria non mi volesse al proprio matrimonio da favola – sua sorella le faceva da damigella insieme alla sua nuova compagna e, ne sono sicuro, io a Daphne ancora mancavo.
Così, ci sono andato, a quel matrimonio, mi sono vestito a festa e mi sono presentato con un regalo per gli sposi e un gran sorriso: Daphne è stata un’ombra – l’ho vista per così poco tempo che, quando finalmente mi sono trovato di fronte a lei, avevo già perso le parole.
E, ancora una volta, mi trovo costretto ad ammetterlo – che per anni la sua impronta mi ha segnato, inevitabilmente, mi ha squarciato l’anima in più punti: e, nel momento in cui finalmente avevo alzato gli occhi e me l’ero trovata davanti, provavo ancora gli stessi identici e inutili sentimenti. Non sono mai scappato da Daphne, è stata Daphne a fuggire da me. Così che, nel momento in cui finalmente siamo riusciti a guardarci per un’ultima volta, tutto quello che avevamo provato per anni non contava più niente: lei era una distinta signora francese, che alla mattina si svegliava alle sei per impastare il pain au chocolat e alla sera andava a letto prima che fosse mezzanotte. E io? Cosa rimaneva del Blaise che ero stato con Daphne, cosa rimaneva di quello strascico di fanciullezza che avevo voluto donarle?
Ti rispondo io, Granger – di tutto quello che avevo dato a Daphne, alla fine della fiera, non rimaneva assolutamente più niente, nemmeno un bruscolino minuscolo che potesse ferirmi l’occhio: avevo amato per essere riamato e, dopo così poco tempo, scoprivo che l’amore non conta poi così tanto.
È stato nel mezzo di questa rivelazione che, al ricevimento, mi sono trovato seduto accanto alla moglie di Potter – è fin troppo divertente, non trovi? Il fatto che Astoria si fosse impuntata sul volere tanti minuscoli tavolini da tre e, occupati com’erano quelli del trio delle meraviglie a stare insieme, avevano escluso la consorte di Potter: altrettanto buffo, se ci si riflette, il fatto che loro quattro fossero gli unici Grifondoro invitati al matrimonio Malfoy-Greengrass. E, così, Ginny Weasley-Potter ribolliva silenziosa rabbia, seduta tra me e Pansy (anche lei tutt’altro che lieta di esser lì senza indossare l’abito bianco).
Daphne e la compagna erano state relegate al tavolo con la consorte di Theodore, Elenie, a ragionevole distanza dai miei sguardi – e lei, la sorella dell’uomo meno intuitivo che questa terra abbia avuto l’onore di conoscere (mi perdonerai, se parlo in questi termini del tuo ex marito), s’era subito resa conto che continuavo a cercarla con lo sguardo, per tutta la sala, senza trovarla.
Dietro il tavolo degli sposi, mi aveva suggerito, sei stai cercando l’altra Greengrass – l’aveva detto con uno sdegno tale che non avevo saputo trattenermi dal domandarle il perché: è che le Greengrass sono sempre state da entrambe le parti e da nessuna delle due, ha risposto, ma so per certo che Daphne ha fatto la gatta morta con George una volta di troppo, ci crederesti mai?
Non ci potevo credere – ho finto di sì: c’è qualcosa di consolatorio nel nostro convincerci che l’amore della nostra vita sia sempre perfettamente ricambiato e, quando Ginny ha scrutato attentamente ogni mia parvenza di reazione, sul mio viso non ha trovato niente. Non rabbia, delusione: qualcosa che somigliava a consapevolezza, forse.
Sta di fatto che la moglie di Potter ha sospirato, stremata e ha detto: forse la sopporterei di più se ci avesse provato con mio marito.
Tutti i matrimoni hanno le proprie crepe, Granger – anche quelli che conosci tu: e l’ho capito quando Ginny Weasley mi ha trascinato in un angolo più riparato, solamente per far combaciare le sue labbra con le mie, con quel miscuglio insensato di sapori che era stato l’antipasto del pranzo nuziale (Draco ha sempre avuto un pessimo gusto, in fatto di cibo). Io non ho detto una parola, permettendomi di insinuare le mani sotto le spalline del suo vestito, alla ricerca della zip – e te lo immagini, Granger, certo che sarai in grado di immaginartelo: mi ha detto di no.
Mi ha detto che ha sempre pensato di valere di più di una scopata frettolosa al matrimonio di Malfoy (dove io avrei scoperto se davvero si era tatuata un’Acromantula sotto un seno) e, allora, io gliel’ho detto: scrivimi, cercami, trovami – lei ha sorriso frettolosamente, s’è ritoccata il rossetto sbavato, è corsa via. Io sono rimasto lì, nell’unico punto dal quale potevo cercare Daphne (e trovarla, anche) per rendermi conto che, alla fine di quella mano di carte, non m’importava più niente.
Dovevo lasciarla andare – prima di scoprire qualche altra cosa, di lei, che inevitabilmente mi avrebbe ferito: non un George Weasley cui aveva fatto gli occhi dolci, niente di tutto ciò, non uno di quei segreti che sosteneva di dover preservare per sé. Così sono tornato a casa: prima poi, poi la Weasley, dicendo di aver mal di testa. Pensavo mi seguisse, non l’ha fatto.
Sono rimasto seduto sulla poltrona rossa di camera mia per così tanti giorni che, alla fine di tutto, ho anche perso il conto: Ginny Weasley non mi ha scritto mai.
Pensavo che non mi sarebbe mai importato della donna di un altro – ma mi ero costruito così tanti castelli in aria che, alla fine di tutto, mi sono ferito da solo con la medesima intensità con cui aveva fatto Daphne.
Avevo solamente ventidue anni, Granger. Ancora non avevo idea.
 
***
 
Come stai Arianna sono io
E tuo marito che da sempre è amico mio
Parlarci di nascosto
Noi non abbiamo un posto
Ma quel che manca veramente è dirsi addio
 
[Astoria Greengrass – Ventinove anni]
 
Mi sono ricomposto a casa Malfoy – Astoria s’era sempre dimostrata contraria («Ma, insomma, Draco! Blaise avrà una casa sua, o no?»), ma alla fine aveva dovuto capitolare: gli amici di Draco Malfoy si erano drasticamente ridotti nel dopoguerra e, dopo che Pansy s’era infine decisa a sposare la prima buonanima abbastanza idiota da domandarglielo, si erano ridotti solamente a me e a Goyle. Perfino Daphne, quando aveva scoperto che Draco non m’aveva scacciato dalla propria vita come si fa con le cose rotte e in frantumi, era sparita: qualcuno dice che il primo amore sia quello più indimenticabile. E io ti dico: sono ancora sicuro che Daphne non abbia saputo dimenticarmi.
D’altronde, nemmeno io l’ho mai fatto.
S’aggira tra i miei pensieri come un’anima ingiustamente tormentata e, qualche volta, mi guarda persino negli occhi – sorride. Non l’ho vista mai più. Se l’avessi vista, probabilmente con lei sarebbe fuggita quell’aurea di sciocca magia che la circondava, quella stupidissima ossessione che mi ha tenuto insieme a lei per tutti questi anni: non so cosa ci sia che non vada tra me e Daphne Greengrass. Ma, e ne ho la più assoluta certezza, tu non saprai mai segnarmi come ha fatto lei.
Nemmeno se fossi arrivata prima, Granger, avresti vinto il campionato contro il mio giocatore migliore: Daphne mi ha rotto in mille pezzi e nessuno, nemmeno tu, è mai stato in grado di ricompormi.
Ma, da quando ha scritto a sua sorella di prestarmi attenzione (non s’è mai fidata di me e, alla fine di questi stupidissimi giochi, le do anche ragione: nemmeno io saprei fidarmi di me), è diventato tutto un rincorrere ogni proibizione che lei crudelmente m’imponeva, ogni limite che cercava di disegnare tra me e quella nuova vita che aveva voluto lei. Come l’hai voluta tu, Granger.
Pensate che per cambiare vita basti cambiare casa, lavoro, cerchia di amicizie – ma, quando vi rendete conto che i vostri pensieri rimangono immutati, sapete solamente ferire e basta: hai cambiato casa, e adesso come Daphne abiti in un appartamentino tutto da arredare, con un lavoro che dici di amare ma che odi anche più di quello di prima, e i tuoi migliori amici che ti scrivono che sei impazzita, estremista e forse un po’ troppo arrendevole. Perché, andando via, tu ti sei arresa, Granger, e nemmeno te ne sei saputa render conto.
In ogni caso, almeno tu mi hai evitato una lunga lettera nel quale mi ordini (non chiedi, implori, supplichi: come te, Daphne ordina e basta) di stare lontana dalla felicità infiocchettata di tua sorella: io non le ho mai risposto. Avessi dovuto farlo, le avrei detto che fra tutte quelle trine e merletti, nessuno poteva essere felice. Nemmeno Astoria.
Non l’avevo mai considerata, prima che Draco spalancasse le porte di casa sua per farmi posto – scialba, l’avevo sempre pensata, a volte persino sciocca, inutile provare a parlarci. Ma, da quando suo marito l’aveva istruita di provare a parlarmi (parlarmi, Granger, ci crederesti mai?), la piccola Astoria si ritagliava, giorno dopo giorno, uno spazio per poter chiacchierare con me.
Inizialmente, non diceva niente – si lamentava delle tue pretese, a lavoro, del piccolo Scorpius che non dormiva mai, dell’ombra di Narcissa Black sulla sua vita, della lontananza della sorella, di tutto. Ad Astoria, forse perfino più dell’amore, è sempre piaciuto lamentarsi.
Ma poi, non ci crederai mai, a forza di martellare sugli stessi argomenti si è aperta a me come un frutto troppo duro rotto da un colpo di bacchetta: mi ha raccontato della propria vita sbrindellata, del matrimonio con Draco con l’amore che cura ogni ferita e tutte queste stronzate in cui, se solamente avessi voglia di raccontartene qualcuna, crederesti anche tu. E, sul finire, mi ha raccontato di Fred Weasley.
Che eravate tutte innamorate di lui (anche tu, Granger?) o del suo gemello ma, quando le favole sembravano ancora avere un senso, lui aveva scelto – scelto lei. Credo che Astoria, pace alla sua anima inquieta, non fosse mai cresciuta: e, come io non ero stato capace di dimenticare Daphne, chissà se lo sarò mai, lei non riusciva a insabbiare il suo Weasley nemmeno rigirandosi nervosamente sul dito la fede nuziale.
È stato facile – come cadere da un castello di carte o come ricordare il proprio primo amore: non ricordo nemmeno com’è che, dal parlarci di nascosto, siamo finiti a farlo con ancora i vestiti addosso, per tutto il Manor. È durata anni, sai?
All’inizio, pensavo semplicemente che Draco fosse stupido o cieco, per non accorgersi dell’infelicità della moglie – quand’Astoria è morta, tre anni e mezzo dopo, ho capito: lo sapeva benissimo, ma era troppo egoista per abbandonare l’idea di essere l’unico uomo della vita di sua moglie, troppo disilluso per non dire che o io o chiunque altro, troppo. Non ne abbiamo parlato mai: Draco è sparito dalla mia vita come sua moglie e io, per anni, ho cercato su di me le lacrime che avrei dovuto versare e che invece non mi ritrovavo addosso.
Astoria Greengrass è morta, sepolta, dimenticata – io non la riesco a piangere, suo marito? Forse sua sorella ancora vorrebbe fosse qui, solamente per potermi tormentare un altro po’.
D’altronde, se ci pensi, per Daphne era tutto così semplice: dire che avevo contribuito ad accelerare una malattia del sangue che si nutriva di infelicità ma che, quando i brandelli di felicità di cui ti nutri sono solamente transitori, più che una maledizione ha il sentore di salvezza.
Non piango Astoria Greengrass. Credo che sia lei a dover piangere tutti noi.
 
***
 
Sara perché ti amo
La gente giudica ma poi si dà di gomito
Molto più giovane di me
Tutti ci invidiano perché
Entrambi abbiam problemi di maturità
[Dominique Weasley – Quarantuno anni]
 
Non sono mai più stato colpito da una donna, dopo la moglie di Draco, per quasi un ventennio – quanto deve essere buffo, il fatto che l’ultima donna ad avermi segnato debba essere stata la neo-ventenne Dominique, un’altra Weasley. Tua nipote acquisita.
Non credo che tu conosca questa storia – Domi è sempre stata brava a insabbiare le vicende scomode, soprattutto quelle che la riguardavano: non che io abbia mai preteso pranzi di famiglia, presentazioni ufficiali o Salazar solo sa che altro. Sono quel genere di tormento che tu adori così tanto e che io, invece, non so tollerare.
Era il periodo in cui vagabondavo da un impiego all’altro e, a primavera, mi mettevo a lavorare su Pozioni di bellezza per una piccola bancarella itinerante sul confine della Londra Magica, che mi permetteva di vederle anche se ospitava solamente amuleti illegali e questo tipo di robaccia inutile: ricordo che era sabato, questo sì, e che lei arrivò come una folata di vento dietro la sorella maggiore, che stava impazzendo dietro i preparativi del proprio matrimonio – non l’ho mai capita, questa vostra frenesia dello sposarvi tutti giovani. Vi perdete un sacco di tempo per essere infelici.
Vittoria, o come si chiama tua nipote, la moglie di Lupin, era passata a cercare disperatamente una Pozione Anticrespo per i capelli di una delle damigelle (ora che ci penso, credo proprio fosse tua figlia) e continuava a chiacchierare nervosamente con Dominique e suo fratello. L’ho imparato dopo: camminavano sempre insieme, un felice terzetto che rivaleggiava con il ben più noto trio dei miracoli, non s’abbandonavano mai – e, sul finire, alla fine Domi ha semplicemente scelto tra me e i suoi fratelli: non me, come potrai intuire dal tono di questa lettera. Non me.
Mi hanno domandato se avevo qualcosa per aiutarle: io ho riso, scherzato e fornito loro la Pozione richiesta. Ma, insieme ai Galeoni per pagare, Dominique (allora ancora non conoscevo il suo nome), mi ha fatto scivolare in mano un biglietto da visita. Al tempo studiava Medimagia al San Mungo e aveva preso in affitto uno squallido appartamentino in centro che, però, alla prima di voi Weasley che s’allontanava così tanto dalla tana, sembrava un mezzo miracolo.
Io mi ero risentito – lasciarmi un indirizzo, sussurrandomi di scriverle, le sembravo forse un ragazzino come lo era lei?
Non saprei nemmeno dire perché le ho scritto: semplicemente ho preso piuma e inchiostro e ho gettato giù qualche parola stupida, un po’ di vane lusinghe e, quando mi ha chiesto se potevamo incontrarci nuovamente, ho capito che sarebbe appartenuta a me per sempre. E lo so, Granger, che per Domi sono stato quel che Daphne ha rappresentato per me – ma, credimi, per una volta volevo provare l’ebrezza di avere il coltello dalla parte del manico (e sanguinarci sopra con ferite aperte).
Ci siamo incontrati in un ristorantino di periferia, scelto da lei, cucina cinese: Domi ha sempre avuto una curiosità strana, per i Babbani, mi avrebbe detto dopo che aveva girato tutti i ristoranti di Chinatown prima di approdare a quelle quattro mura scrostate che mi guardavano con angoscia, quando l’ho baciata per la prima volta.
Ha ordinato un piatto annegato in salsa di soia, ha riso molto – io ho domandato se non si potesse avere un buon vino, lei ha riso di più.
È stata lei a trascinarmi a casa sua: Domi quella sera si sentiva intraprendente, ubriaca di vita e, quando s’è trattato di togliersi i vestiti, non ci ha pensato due volte a mostrarmi quella mappa di cicatrici che aveva sulla pancia. Ogni volta che le ho domandato come se le fosse fatte, mi ha dato una risposta diversa: i draghi di zio Charlie, quella volta in cui mi sono rovesciata l’acqua bollente della teiera di sopra, non ho voglia di parlarne, fatti i cazzi tuoi. Immagino che tu lo sappia, ma non le darò la soddisfazione di chiederlo a te, Granger: Dominique Weasley e Daphne Greengrass hanno così tratti comuni, dietro le loro bellissime testoline bionde, che se le assecondassi entrambe dovresti farmi rinchiudere al San Mungo e abbandonarmi lì.
E vorrei dirti che non ricordo com’è proseguita, ma lo so così bene che ancora oggi lo ricordo a memoria (e sono passati quasi cinque anni, ci pensi?): stare con Dominique era piuttosto semplice – quasi come strappare via un cerotto. Ma cosa mi ha lasciato, lei, oltre alla pelle arrossata e screpolata?
Vorrei darle meno credito di quel che ha avuto, nella realtà, dire che non mi ha segnato minimamente. La verità?
Domi era quella giovinezza cui mi stavo disperatamente attaccando, cercando di non naufragare nella mezza età e con cui, quando mi ha lasciato per correre dietro alle sottane di sua sorella incinta e capricciosa, ho dovuto infine fare i conti. Lei non la so biasimare, non ci riesco proprio. Penso di averla segnata più profondamente di quanto lei non possa mai avere fatto con me e, di questo, sono estremamente dispiaciuto.
È sparita con una scusa, ha parlato di un suo collega dolcissimo, timido, impacciato che nei suoi racconti non avevo mai scorto o notato: ma io lo so, che Dominique semplicemente non ha saputo superare la consapevolezza che i suoi fratelli non approvassero di noi. Invidia, dico io.
Il ragazzo salta da un letto all’altro sperando d’esser fortunato, la maggiore è bloccata in un matrimonio da favola che non sa come infiocchettare meglio per far credere a tutti noi che è proprio lei, la fortunata principessa di un castello di cristallo. Tiraci un sassolino, Granger, e dimmi cosa ne rimarrà.
Ecco, con Dominique si chiude quindi il ciclo delle sei fregature più grandi della mia vita, di cui tu non fai parte: spero che ciò ti aiuti a ridimensionare l’importanza che credi di avere per me.
 
Blaise Zabini
 
***
 
Chi sono io
Cosa sarò
Che cosa sono stato
Tra quello che ho vissuto
E quello che ho immaginato
Ora di te cosa farò
È così complicato
(Perturbazione, L’unica)
 
Quando Hermione si presenta a casa di Zabini, è senza parole: non pensa che gli insulti basterebbero a fargli comprendere la portata delle sue parole, né il fatto che probabilmente la loro relazione è naufragata ancor prima di iniziare (d’altronde, come lui stesso ha scritto, che segno potrà mai lasciargli lei?) e nemmeno che spera con tutta sé stessa che metà di quelle parole siano un esercizio stilistico, uno sgranchire la fantasia oltre i limiti del possibile.
«Sei tornata».
Zabini alza il sopracciglio, atono – e lei vede incisi su di lui, al pari delle cicatrici sulla pancia di Dominique, tutte loro: Domi, Astoria Malfoy, Ginny, Daphne Greengrass, Pansy Parkinson. Tante piccole ustioni lasciate tra le rughe d’espressione e i segni del tempo che è passato.
«Io non sono tornata» sibila Hermione, passandosi una mano tra i capelli. «Sono venuta a dirti che sei un imbecille, un…».
«Lo so».
«Insensibile…».
«Lo so».
«E una sonora testa di cazzo».
Blaise incassa il colpo, con classe, con un sorriso quieto sul volto.
«Però sei venuta fin qui» commenta. «Spiegazioni ne hai avute, per che altro motivo saresti dovuta venire qui se non perché mi vuoi ancora nella tua vita, Granger?».
«Perché…».
Lei s’accorge che ha già cominciato la frase e non sa come portarla a termine – perché? – e allora inghiotte i puntini di sospensione come fossero caramelline, rischiando di affogarsi.
«Te lo spiego io, Granger» commenta Blaise, calmo. «Perché abbiamo tutti un passato che ci ha feriti, ma abbiamo anche sorpassato quell’età per cui è bello lasciarsi ferire. Quindi sei tornata perché vorresti che io ti dicessi che non ti ferirò, perché tu non lo farai con me. E non ti ferirò, per davvero».
Lei non risponde: un cipiglio pieno di rancore, rabbia repressa e un sonoro vaffanculo le arricciano il volto, facendolo sorridere.
«Te l’ho detto» sussurra Zabini, azzardando un sorriso. «Se volevi incasinarmi, dovevi arrivare prima».
Lei sospira, si volta, fa per andarsene – aspetta.
«Sono una sonora testa di cazzo, forse» commenta, calmo. «Ma tu cosa farai, se mi lasci adesso? Io ho avuto il coraggio di dire la verità. E tu?».
E io? – Hermione sospira, si siede al tavolo del grande salotto di casa Zabini e sibila.
«Portami piuma, inchiostro e pergamena».


 
Alcune note: nella storia ho dato per assunto che Fra Vic e Domi ci fossero due anni di differenza, con quest'ultima nata nel 2001 (quindi 4 anni prima di Albus Severus), giusto per fare chiarezza.

1Le parti in corsivo sono citate, adattandole al testo, dal romanzo "Alta fedeltà"

Ah, nel banner i personaggi sono: al centro Blaise, poi partendo dal margine sx, sono Astoria, Pansy, Daphne. Sotto, sempre dal magine sx, sono Domi, Ginny, Hermione.

E questo è tutto, spero vi sia piaciuta! A presto!
Gaia
   
 
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