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Autore: Enchalott    10/01/2022    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nell’anima
 
Danyal bloccò la porta con un catenaccio spesso come il suo polso e riprese a scendere la scalinata umida che portava alle grotte.
La bandiera con l’albero sacro era stata esposta all’ultima finestra della torre sud da qualche giorno, ma nessuno si era presentato al segnale convenuto. Si augurò che quella fosse la volta buona: la regina era fuori di sé e i suoi nervi stavano cedendo. Aveva bisogno di sapere se il principe era in vita e se i Khai erano propensi allo scambio, disposta a pagare ogni sorta di riscatto.
Temo che la posta in gioco sia la resa incondizionata.
Quanto al demone che avevano catturato, non aveva aperto bocca: probabilmente si trattava di un elemento scarsa importanza, magari di un condannato alla sua ultima possibilità. I Khai non l’avrebbero barattato con Shaeta.
Si era guardato dal condividere il timore con Amshula e l’aveva convinta a non presenziare all’incontro: non per evitare che pronunciasse parole di troppo in preda alla collera. Non desiderava che la vedessero in quello stato di prostrazione.
Raggiunse il fondo della gradinata e si strinse nel mantello. Il freddo polare aveva congelato il fiume e i barbagli della torcia si riflettevano sulla lastra trasparente.
Proteggere la regina era suo dovere, tuttavia lo sentiva come un istinto naturale. Nessuno se n’era mai interessato, non la famiglia d’origine, tantomeno il re.
Dovrei smettere di pensare alla sua morte come a una liberazione. Invece il desiderio di stringere la mano a quello che l’ha decapitato è più forte della fedeltà cui ero tenuto.
Contenne lo sdegno e si lasciò trasportare dai ricordi. Rammentava la prima volta che aveva visto Amshula: in occasione del fidanzamento della cugina, gioiosa nella freschezza dei suoi quindici anni, con le trecce brune appuntate sulla nuca e l’abito rosa drappeggiato sul fisico acerbo.
Non era che un giovane ufficiale ed era stato assegnato alla guardia reale, anche se avrebbe preferito essere spedito di pattuglia nella Selva degli Spiriti.
Namta non aveva fornito una buona impressione e la corte era un covo di esecrabili leccapiedi. Aveva obbedito ai superiori senza fiatare, limitandosi a vegliare sulla sicurezza del sovrano, conscio che dietro la facciata immacolata stagnasse il marcio. Un putridume in cui molti sguazzavano, che nessuno si preoccupava di svergognare, prediligendo i vantaggi personali all’onestà.
Danyal era stato tentato di intervenire, ma anche con prove concrete non avrebbe trovato appoggi. A conferma di ciò, alla prima rimostranza gli era stato raccomandato di guardare solo dove gli veniva indicato.
Avete esagerato con il vino, vice capitano? O devo pensare a qualcosa di più forte? Per questa volta non vi assegnerò una nota di biasimo, un bicchiere di troppo è frequente tra le giovani leve. È un modo per scacciare la paura e supportare l’inesperienza. Tuttavia pensate a come si addolorerebbero i vostri genitori se veniste condannato per lesa maestà. Avete una fidanzata, si sentirebbe disonorata dal vostro comportamento dissennato e, se foste degradato, non riuscireste a sposarla.
Lo avevano trattato come un disertore: l’indulgenza del comandante, accompagnata dallo sfiorare la spada, era una velata minaccia. Gli avrebbero chiuso la bocca per sempre o i suoi cari ne avrebbero fatto le spese. Aveva dubitato di se stesso, le certezze e i propositi erano crollati come un castello di carte. Era addirittura giunto a chiedersi se il tutto non fosse frutto di un’allucinazione.
Ma quel giorno, quando gli occhi biechi del re dell’Irravin si erano posati su Amshula, Danyal aveva tratto l’agghiacciante sicurezza di non aver frainteso. E il riscontro sulla natura di quell’uomo era giunto implacabile, quando…
«Siete distratto, generale.»
Il demone apparve dall’oscurità, celato da una cappa spolverata di neve fresca.
La luce della fiaccola inondò le iridi rosse che lo squadravano: la pupilla si ridusse a un taglio verticale, conferendogli un aspetto inquietante. Tra le pieghe si intravedeva l’uniforme scarlatta dei cavalieri alati, le corna ricurve erano celate sotto il cappuccio, gli artigli erano tinti di nero. Quando aveva interrogato il prigioniero, Danyal aveva constatato che il colorito rossastro non era naturale.
«Pensieroso in realtà.»
«Ne avete ben donde. L’accaduto cambia i piani.»
«Che ne è di Shaeta?»
«L’ordine è di tenerlo vivo fino al ritorno del Šarkumaar. Quanto alle condizioni, dipendono dalla sua resistenza.»
«Dannazione, è un ragazzino! Speravo che almeno voi ne aveste pietà!»
«I miei lo sorvegliano, interverranno in extremis. Ogni altro tentativo sarebbe un suicidio e implicherebbe gli hanran infiltrati nell’armata. Non posso permetterlo.»
Danyal assentì suo malgrado. Smascherare i ribelli per salvare un unico ostaggio era impensabile, avrebbe fatto lo stesso.
«Per contro abbiamo catturato uno dei vostri» rivelò.
«Non ne ero al corrente.»
«E nessuno ha tentato di recuperarlo. Che ne pensate?»
Il Khai eluse la domanda.
«Di chi si tratta?»
«Mi piacerebbe saperlo. Non ci ha fornito neppure un nome falso.»
«Non mi stupirei se si trattasse di un’insubordinazione volta a guadagnare prestigio. Ciò che ritengo gli abbiate fatto non eguaglierebbe quanto subirebbe da noi dopo aver disobbedito al Kharnot. Tacere è un modo per non coinvolgere il clan.»
«Quindi se la regina proponesse lo scambio tra costui e suo figlio, rifiutereste?»
«A prescindere. Quell’uomo si ucciderebbe per preservare l’onore. La mia gente non contempla il fallimento.»
«Fatico a comprendervi.»
«Qualche volta succede anche a me, generale» sorrise amaro il ribelle.
Danyal annuì: nell’anima degli uomini leali, indipendentemente dallo schieramento, si agitavano le medesime angosce.
«Offrire un riscatto sarebbe controproducente» dedusse.
«Allora non siete così lontano dal nostro modo di pensare. Al tentativo seguirebbe la dimostrazione di quanto i Khai disprezzino i mercanteggi e il vostro principe verrebbe giustiziato.»
L’ufficiale non rivelò che declinare l’offerta sarebbe stato deleterio per i demoni: aveva ordinato a mastro Zobel di posticipare gli esperimenti sul prigioniero, per non vanificare l’estremo tentativo di svincolare Shaeta. Senza accordo invece, l’arma sarebbe stata perfezionata, Minkar avrebbe allungato i suoi giorni e forse vinto la guerra. Gli hanran sarebbero stati decimati con gli altri e la loro giusta lotta sarebbe finita nell’oblio. La cosa lo disturbò: aveva dato la parola e il cuore gli gridava di non ingannarli.
«Cosa devo riferire alla regina?»
«Di attendere. Ci sono troppe incognite, siamo costretti a rimandare.»
«Non gradirà sentirlo.»
«Pensavo non esistesse parità a Minkar, che fossero gli uomini a comandare.»
«Sono il generale delle armate, non suo marito!»
«Se è così, avvicineremo il principe e gli chiederemo di rinsaldare l’alleanza al posto della madre. La corona è sua.»
«Lui non sa nulla dei nostri accordi.»
«I figli della bambagia non diverranno mai adulti consapevoli. Ne siete al corrente?»
Danyal scrutò il volto giovanissimo della spia, dividendosi tra la coscienza che avesse ragione e il desiderio di preservare Shaeta,
È l’unico affetto che mi resta. L’altra ragione per cui combattere.
«C’è altro?» ribatté duro.
«Sì. Lasciatemi tempo per indagare sul vostro prigioniero. Esistono le eccezioni, se fosse una spia gli alti comandi vorrebbero riaverlo indietro. Riuscireste a persuadere Amshula a non farlo a pezzi?»
Danyal impallidì. La situazione si complicava: se l’ostaggio era venuto a conoscenza del kori, allora i Minkari avrebbero disertato lo scambio, gli avrebbero chiuso la bocca per sempre e Shaeta ne avrebbe fatto le spese.
«Con un forse? Me lo farò bastare ma non vi assicuro nulla.»
«Mettete una sentinella alla torre sud, manderò un riscontro in caso di novità.»
 
 
Le colonne del tempio di Valarde cambiarono digradarono dall’azzurro notturno al rosa chiaro, poi a un bianco sfumato di pagliuzze dorate.
Le tre albe sul deserto si rubavano la scena in un tripudio di tinte calde: Yozora smise di pensare alla sveglia poco ortodossa e le contemplò rapita.
Rhenn strinse i finimenti con evidente fretta. Fece per sollecitarla a montare, ma la sua espressione incantata lo colpì.
Solo il suo candore scova qualcosa di bello nell’Haiflamur, persino nella miseria o in un fenomeno che si ripete ogni giorno. Eppure oggi pare più interessante del solito.
«Finitela di fissare il vuoto, le ore utili si ridurranno! A casa vostra il sole non sorge?»
«Dalle finestre di Mahati non si gode un tale spettacolo.»
Il fatto che avesse alluso alla reggia come a casa propria lo fece sorridere.
«Dipende da quale lato siete solita affacciarvi» ribatté pungente.
«Preferite scorgere lo spuntare del Sole Trigemino sul muro?»
«No, dai fianchi di una donna.»
Yozora celò l’imbarazzo sotto il velo che le sacerdotesse le avevano procurato.
«Ho promesso a vostra madre che l’avrei salutata.»
«Non mi ritrascinerete là dentro!»
«Ne sono conscia, per questo ho chiesto a lei di raggiungerci.»
«Se vi pagassi, la piantereste di procurarmi l’orticaria!?» borbottò lui esasperato.
 
Hamari si presentò senza il corteo delle adepte, vestita con un abito nocciola che metteva in risalto la chioma sciolta lungo la schiena. Il vento capriccioso del mattino agitava i riccioli, mutandoli in fiamme divampanti.
Madre, i vostri capelli assomigliano al thyr sul mio petto. Non raccoglieteli, così saprò che siete fiera di me anche quando mio padre sosterrà il contrario.
Rhenn scacciò la reminiscenza e strinse impassibile le redini.
«Trascinerai davvero la principessa in quella fornace?» gli domandò la regina.
«Perché, hai già avvisato gli hanran
«No, Eirhenn. Sei pronto a salvaguardare una vita che ti viene affidata? I Khai sono addestrati a combattere, a uccidere, non a proteggere.»
«Ah, giusto! Temi che abbia ereditato la tua attitudine alla fuga. Rasserenati, madre, nessuno ha mai visto la mia schiena. Puoi riferire ai tuoi amici che sono pronto ad affrontarli e a preservare la moglie di mio fratello persino dal loro aiuto.»
«Siete ingiusto, Rhenn, la regina si sta preoccupando…»
«Per voi, forse. Sbrigatevi con il drammatico commiato.»
Yozora sospirò, ma preferì non forzare le sue difese. Il dispiacere che avvertiva per quel rapporto compromesso non andava usato come costrizione. Il rancore non si sanava con i rimproveri, soprattutto se non si conosceva il passato che lo nutriva.
Strinse con affetto Hamari, poi infilò le dita nella cintura, traendone un foglio piegato.
«È di mia madre, sarebbe felice sapendo che è finalmente in vostro possesso.»
«Avete condotto la lettera fuori dagli archivi!?» s’interpose Rhenn «Vi ho ordinato di lasciarlo dove lo abbiamo trovato!» ringhiò afferrandole il polso e strattonandola.
«Non vi ho disobbedito!»
«Avete sempre la scusa pronta! Il consenso di Mahati non è sufficiente a risparmiarvi la frusta! Sono stanco della vostra mancanza di rispetto!»
La scrollò tanto forte da mandarla a terra e spiegò il documento, indeciso se stracciarlo in mille pezzi. Spalancò gli occhi incredulo.
«Che… che sarebbe questo?»
«L’ho scritto stanotte» spiegò Yozora asciugando le lacrime.
«Cosa?»
«Mi avete proibito di portare via la missiva, non di impararla a memoria. Ho fatto in modo che fosse con me senza violare le vostre disposizioni.»
Rhenn si sentì come se lo avesse schiaffeggiato davanti al popolo. Avrebbe dovuto scusarsi e autodefinirsi l’imbecille più grande del regno. Ma l’orgoglio lo bloccò e le labbra rimasero serrate.
Un ottimo esempio di sovrano, tanto presuntuoso da sentirsi migliore dell’attuale.
Lo sguardo della madre lo ustionò: aveva appena dimostrato la sua teoria. Che avesse ragione era più intollerabile dell’eventuale ammenda.
Hamari aiutò la ragazza a rimettersi in piedi e le sfiorò la guancia con una carezza.
«Leggerò le parole di Kelya con il cuore spalancato. Tornate a visitarmi, Yozora, e portate il vostro promesso sposo. Vi accoglierò con gioia immensa.»
Rhenn alzò gli occhi al cielo, ma avvertì una fitta al petto. I suoi congedi erano freddi, improntati sul cerimoniale: scorgere la regina che salutava la straniera come se fosse sua figlia lo spiazzò. Suo malgrado si domandò come sarebbe stato ricevere il medesimo trattamento.
Eppure lo ricordo. Ricordo il calore del suo abbraccio, il dolore penetrante dell’ultimo.
«Eirhenn.»
Mosse un passo indietro, sottraendosi al contatto.
«Addio, madre.»
Hamari rispettò la distanza fisica, quella emozionale risultò insostenibile. Si inchinò al figlio per non mostrare la vergogna delle lacrime. La giovane Salki le sussurrò poche parole all’orecchio. La disperazione svanì.
 
«Avete ragione» gettò fuori Yozora, prima di riprecipitare nel puntiglio «I cavalli sono una pessima trovata, non avrei dovuto insistere.»
«A cosa devo il dietrofront?» ironizzò l’Ojikumaar.
«Al fatto che desideri imparare dai miei sbagli.»
«Quindi non è merito del caldo, della sabbia e dell’arcione scomodo?»
Lei arrossì e abbassò lo sguardo.
«Mio? Sono lusingato, vedervi profusa in un’ammenda non ha prezzo. Quasi quasi vi perdono per avermi coinvolto in questa deprecabile sosta. Tuttavia ho come l’impressione che vi aspettiate qualcosa da me.»
«I Khai non sono percettivi.»
«Sono la fiamma di Belker. Interpreto il taciuto, soprattutto quando mi infastidisce.»
«Se cogliete i disegni degli Immortali, allora percepite anche la vostra voce interiore.»
«Quella che mi consiglia di rispedirvi a Mardan a piedi?»
«No di certo.»
Rhenn ringhiò un’imprecazione e legò le briglie al recinto del tempio.
«Se pensate che mi cosparga il capo di cenere, incappate nell’ennesimo abbaglio. Dalla mia bocca non uscirà nessun “mi dispiace”! Né per voi né per mia madre.»
«Non ve l’ho chiesto.»
Dannazione! Tutto il discorso gira su quel perno! Domandare perdono a me per ottenere la stessa supplica! Non lo farò, per gli dei!
«La rinuncia ai cavalli implica la disponibilità a montare Delzhar?»
«Se promettete di non strapazzarmi. Ho paura di lui, dell’altezza e della velocità.»
«Tsk! Questione di abitudine ma vedrò di moderarmi.»
Si portò le dita alla bocca ed emise un fischio. Il vradak spuntò dal nulla, una sagoma nera contro il cielo: sul dorso possente era già fissata la sella e le redini pendevano dal becco ricurvo.
«Era ancora qui? Sapevate che avrei rinunciato! Voi siete… siete…»
Non trovò l’insulto adatto. L’espressione sarcastica di Rhenn non lasciava dubbi: aveva accettato di perdere la battaglia per vincere la guerra e impartirle un’ulteriore dimostrazione di forza. Anzi, aveva fatto in modo che lei la implorasse.
«Previdente. Inflessibile. Così agisce un Khai. La perfezione non esiste nemmeno tra gli Immortali, Mahati sposerà una donna che la sfiora.»
«Intendete ammaestrarmi come Delzhar?»
«È un rapporto di rispetto e fiducia. I vradak non sono scolaretti. Le ragazzine salki… chissà!»
«Avete altri dardi da scagliare? Volete che indossi un bersaglio?»
«Nelle mie intenzioni voleva essere un complimento.»
«Ah sì? Parlate una lingua ardua da comprendere!»
Rhenn si godette la sua disfatta e si approssimò. Yozora pensò che la issasse in sella, invece le sfiorò il dorso della mano con un bacio. Nell’atto si inchinò più della misura richiesta dalla differenza d’altezza: era un omaggio non travisabile.
Alla contiguità inattesa lei avvampò. Il calore le rimase impresso come un marchio. Quando il vradak spiccò il volo, ebbe l’impressione che la testa girasse già da tempo.
 
Hamari si schermò gli occhi, seguendo il volatile nella luce dorata del mattino. Suo figlio non si era mai piegato, a costo di subire castighi memorabili. Era puro orgoglio, fiero, inavvicinabile, caparbio.
Non con lei. Yozora è una medicina, l’unica in grado di guarirlo. Divina Valarde, fate che gli resti accanto.
Ripensò alle sue parole: ha tenuto il flauto. La sua anima si librò con pari leggerezza.
   
 
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