Incomprensioni
“Certo
che Calvin è
veloce.”
Lisa osservava i movimenti
dell’escavatore e dovette ammettere che quel tipo odioso era
veramente bravo
nel suo lavoro. Nelson la raggiunse sotto al portico, bevendo un sorso
dalla
sua tazza di caffè. “Ho chiamato lui anche per
questo. È un amico di Trevor”.
Lisa annuì e abbassò lo
sguardo sulla sua tazza. “Mi dispiace di essere arrivata qui
e aver pensato
che…”
“Volevo liberarmi di tutto
questo da un po’, ma ho dovuto aspettare. Le autorizzazioni,
il denaro… Dava
fastidio anche a me. Non è che volessi allevare
ratti…” la interruppe lui e
Lisa apprezzò che non le avesse fatto finire la frase.
Il ragno meccanico
accartocciò una carcassa, la fece sparire nel cassone di un
camion e, quando la
lasciò cadere, il terreno tremò. Lisa
sobbalzò e pensò al suo sax, al sicuro
nella custodia sopra il letto di Nelson. Si era sentita molto in
imbarazzo
quando gli aveva chiesto se poteva metterla sul materasso, ma lui non
si era
fatto problemi e aveva alzato le spalle, indicandole una stanza.
Così Lisa era entrata
nella camera da letto di un ragazzo che non era suo fratello e che non
frequentava il suo dormitorio, per la prima volta. Si era guardata
intorno
affamata di particolari e aveva guardato quel letto, più
grande di quello che
lei aveva in camera, chiedendosi un sacco di cose. Aveva notato che il
letto
non era stato rifatto, ma che era ancora in ordine per metà
e questo voleva
dire che Nelson aveva dormito da solo. Si era pentita subito per averlo
pensato
e aveva tirato la coperta a coprire tutto, materasso e pensieri
scottanti e ci
aveva appoggiato sopra la custodia del sax.
Nelson era venuto a
cercarla quando si era persa a guardare fuori dalla finestra aperta che
dava
sul giardino posteriore e lei si era, di nuovo, sentita una ficcanaso.
Il suo caffè, ormai
freddo, non le era mai sembrato così interessante come in
quel momento. Quando
Batman le venne vicino, allungò meccanicamente la mano e
accarezzò il cane come
se fosse suo e lo conoscesse da una vita.
Nelson osservava
la
ragazza con la coda dell’occhio. Era una situazione strana.
Lei era arrivata lì
e sembrava aver messo radici. Quando aveva capito che non sarebbe
potuta andare
via finché Calvin e gli altri non avessero fatto la pausa
per il pranzo non
aveva detto niente, ma aveva messo il sax in camera sua e aveva girato
per casa
come un gatto che controllava un nuovo territorio. E ora, come un
gatto, si
arruffianava il cane. E la cosa più strana era che a Nelson
non dava per niente
fastidio.
Non desiderava che andasse
via, ma non riusciva a capire come mai si fosse presentata
lì, tentando di
fermare l’escavatore come la leader di qualche gruppo green
che impediva il
disboscamento. Era una cosa che Nelson si immaginava tranquillamente:
Lisa avrebbe
potuto farlo benissimo, soltanto, non avrebbe mai pensato che avrebbe
difeso lui.
Visto che non ce n’era bisogno.
Avevano chiacchierato un
po’ e, anche se all’inizio era stato un
po’ forzato, la loro conversazione era
poi diventata naturale, come se non avessero smesso mai di frequentarsi
e fossero
sempre stati amici. A Nelson non era dispiaciuto per niente, ma che lei
fosse
una persona interessante, lui lo sapeva già.
“Cosa ci farai quando sarà
tutto vuoto?” La voce della ragazza lo distolse dai suoi
pensieri e Nelson si
girò verso di lei alzando le spalle.
“Ancora non lo so. Trevor
dice che una volta ripulito il terreno si potrebbe coltivare. Ma non
sono
convinto. Faccio fatica anche a seguire
l’orto…”
“Hai un orto?” esclamò
Lisa, subito incuriosita.
Nelson rise e si grattò il
retro della nuca.
“Sì,
ma ho poco tempo,
quindi non è molto grande. È sul retro”
spiegò, indicando con il pollice
l’abitazione dietro di lui.
Lisa si voltò verso la
porta aperta e guardò oltre al corridoio che portava alla
camera da letto. “Il
giardino che si vede dalla tua camera? Posso vederlo?” Per un
attimo Nelson
pensò cose sbagliate. Troppo sbagliate.
Quando Lisa inclinò la
testa, in attesa, si rese conto di non aver risposto.
“Sì, sì.
Ma come dicevo non è un…”
si interruppe e
mosse il braccio per invitare la ragazza a entrare in casa. Una volta
si poteva
passare anche girando intorno all’abitazione, ma Nelson aveva
chiuso il
giardino con una rete quando si era trovato i ratti sul prato. Sperava
di poter
togliere tutto una volta vuotato il cimitero delle macchine.
Quando Lisa si
avvicinò
alla porta, Batman, che si era accucciato ai suoi piedi, si
alzò di corsa e le
passò vicino per superarla ed entrare in casa prima di lei.
La ragazza vacillò
e, se non fosse stato per la mano di Nelson che l’aveva
afferrata per un braccio,
sicuramente sarebbe caduta.
“Stavolta ho fatto in
tempo” disse, lasciandola andare così velocemente
che Lisa pensò si fosse
scottato.
“Mi faccio sempre fregare.
Non è carino che una veterinaria si faccia mettere le zampe
in testa dai suoi
pazienti, eh?” cercò di scherzare lei quando vide
che il ragazzo si era fatto
serio.
“È che pensa che stiamo
andando in cucina. Guarda…” Il viso di Nelson si
distese e si girò verso
l’abitazione, dove il cane attendeva in corridoio,
aspettandoli. “Batman, lo
vuoi un biscotto?” A quelle parole Batman
scodinzolò e tornò indietro qualche
passo verso la cucina, fermandosi davanti all’entrata e
abbagliando verso di
loro.
Lisa sorrise alle feste
che il cane stava facendo per un biscotto e, insieme, entrarono in
casa. In cucina
Nelson prese un contenitore di metallo, sfilò un biscotto e
lo fece vedere al
cane, che si sedette, in attesa. Quando il ragazzo glielo
lanciò, Batman lo
prese al volo.
“Vuoi?” le chiese,
porgendole il contenitore, mentre con l’altra mano ne aveva
preso uno anche
lui.
“Biscotti per cani?”
“No, biscotti per tutti”
rispose, mangiando il suo biscotto.
“Non dovresti dare a
Batman i biscotti che mangi tu. Sono pieni di zucchero e conservanti
e…”
Nelson ritirò il braccio e
fece un sorriso strano, alzando un sopracciglio.
“Non hanno conservanti. E
non ci metto tanto zucchero. Batman ha sempre mangiato i biscotti,
basta non
esagerare.”
Lisa lo sentì chiaramente
dire a bassa voce ‘saputella’, ma il suo tono la
fece sorridere invece di farla
arrabbiare. “Fai tu i biscotti?”
Nelson
alzò le spalle.
Pensò che la sua domanda avesse un altro scopo in quanto
gliela aveva fatta
subito dopo la sua frecciatina. “Perché?”
“Non pensavo cucinassi” fu
la risposta della ragazza, che continuava a guardarlo in un modo strano.
“Mangio, quindi cucino”.
Nelson alzò le spalle, non capendo dove lei volesse arrivare.
“Giusto. Giusto. Immagino
che funzioni così.”
Nelson la guardò
incuriosito. “Tu non cucini?”
Lei scosse le spalle. “Non
mi fa impazzire”.
“Ecco perché sei così.
Mangia un biscotto che ti fa bene.”
Lisa
allungò la mano verso
la scatola di metallo che lui le porgeva senza neanche accorgersene.
Cosa
intendeva? “Così come?” chiese,
guardando il biscotto che aveva in mano.
Uno degli operai gridò il
nome di Nelson per chiamarlo fuori e lui uscì dalla cucina,
seguito da Batman
che abbaiava, lasciandola lì da sola, con un biscotto, una
tazza di caffè
freddo e una domanda senza risposta in testa.
Quando sentì le voci del
ragazzo e degli altri operai, si rassegnò e
mangiò il biscotto, facendo due
passi per uscire dalla cucina. Ma, dopo il primo morso,
tornò indietro e prese
un altro biscotto dalla scatola prima di uscire.
Nelson
tornò in casa e
attraversò l’abitazione fino ad arrivare sul
retro. Lisa era lì sotto il
portico e guardava verso il recinto dell’orto.
“Sono buonissimi” disse
lei, alzando una mano e mostrando un pezzo di pasta frolla. Il ragazzo
non rispose,
ma si avvicinò. “E qui è bellissimo.
Non lo avrei mai detto…”
Nelson sbuffò. “Già, non
lo direbbe nessuno”.
“Non intendevo
offenderti.”
Stavolta il ragazzo rise.
“Questa volta no?”
“No. Lo farò la prossima!”
Sorrise, camminò nel prato, si guardò intorno e
poi si avvicinò al piccolo
orto. Lui la raggiunse e rimasero a parlare un po’. Nelson si
sentiva così bene
che si dimenticò anche di Calvin e gli altri. Batman correva
dietro agli
uccelli e portava la sua pallina a Lisa che lei gli lanciava lontano
rendendolo
un cane felice.
Quando gli sembrò che il
tempo non sarebbe potuto essere più bello di
così, Lisa sospirò. “Dici che
andranno in pausa, adesso? Dovrei proprio andare…”
E Nelson si sentì un po’
perso.
“Sì,
sì, penso che ormai
sia ora.”
Lisa si era sentita una
guastafeste a rovinare così quel momento. Sarebbe rimasta
lì per sempre, ma
aveva detto la verità, si era fatto tardi e doveva proprio
andare.
Tornarono dentro casa e
Lisa passò a prendere il sax.
Aprì la custodia, staccò
tutte le protezioni e lo guardò: sembrava tornato a posto.
Guardò fuori dalla
finestra, dove Batman correva ancora dietro ai passerotti che gli
tendevano
trappole senza mai farsi prendere e, senza neanche pensarci, chiuse gli
occhi,
infilò il bocchino e lo avvicinò alle labbra.
Lisa non era
più uscita,
proprio come quando aveva portato il sax in camera. Nelson
tornò in casa per dirle
che Calvin aveva deciso di fare la pausa e si bloccò quando
sentì la musica.
Camminò lentamente verso
la sua camera, come se il fatto di arrivarci velocemente potesse
cambiare la
sensazione del suono che sentiva e si avvicinò senza fare
rumore alla porta
della stanza da cui proveniva la musica.
Lisa aveva gli occhi
chiusi e il suo corpo dondolava seguendo lo strumento, cullato dalla
melodia. Nelson
non riusciva a staccare lo sguardo. Lei era ipnotica. E dannatamente
bella.
Rimase lì a guardarla per
qualche giorno o mesi d’estate, con il calore del sole sulle
spalle e
consapevolezza di non voler mai andarsene da quella sensazione. Ma in
verità
furono una manciata di minuti. Una decina, forse, in cui il tempo si
era
fermato e il cuore aveva iniziato a rimbombare ritmicamente come le
onde di un
mare agitato sugli scogli.
Nelson toccò senza volere
la maniglia della porta, questa cigolò e lei si
fermò, interrotta da quel
rumore, girandosi verso di lui.
“Scusa…
Io…” cercò di
scusarsi lei, avvicinandosi al letto e rimettendo il sax nella
custodia. Non
doveva mettersi a suonare lì. Si accorse di non aver
smontato il bocchino ma,
imbarazzata, pensò di farlo una volta rimasta sola. Doveva
andarsene. Non
avrebbe dovuto farlo.
“È stato…” disse invece
lui, come se fosse incredulo, scuotendo la testa.
“Devo andare.”
Nelson non disse niente,
per fortuna, mentre lei gli passava accanto con la custodia e
raggiungeva il
corridoio. Non riusciva a suonare da tanto tempo e l’unico
posto dove era
riuscita a mettere insieme qualcosa era la stanza di Nelson Mutz? Lisa
pensò di
avere qualcosa che non andasse. Qualcosa che non funzionava a dovere.
Non
poteva esserci un’altra spiegazione. Non poteva essere
diversamente.
Nelson vide Lisa
scappare
via e la raggiunse prima che uscisse dalla porta. Se ne stava andando
perché
l’aveva interrotta? Doveva scusarsi?
“Lisa…” la chiamò, mentre
uscivano insieme dall’abitazione.
“Scusami davvero. Non so
cosa mi sia preso.”
“Non…”
La ragazza mise la
custodia del sax in macchina e ci girò intorno per
raggiungere il lato guida.
“Devo andare”.
Nelson rimase a guardarla
mentre cercava le chiavi della macchina e poi, non sapendo bene che
dire per
non lasciarla andare, propose: “La settimana prossima
è il compleanno di Ellie.
Facciamo un barbeque. Magari potresti venire
anche…”
Lisa lo interruppe quando
mise in moto. “Non mangio carne, Nelson, sono
vegetariana”. Lui la guardò
andare via, lungo lo stradello che portava al cancello, pensando che
finché
erano rimasti in giardino era andato tutto bene e invece ora lei era
proprio
scappata, e si sentì un idiota. Un idiota a cui avevano
appena dato picche.
***
“Tutto
bene, Lisa?” le
chiese Marge quando tornò a casa.
Lisa era nervosa perché
aveva preso due volte il marciapiede venendo via da casa di Nelson e le
tremavano
ancora le mani per ciò che aveva fatto.
Nervosa per ciò che era
successo e per quello che lei aveva risposto al ragazzo quando
l’aveva invitata
al compleanno di Ellie, si rivolse alla madre con più
durezza di quanto
meritasse.
“Se non mi avessi prosciugato
il sax, andrebbe molto meglio!” esclamò, salendo
le scale con rabbia, reggendo
il peso della custodia dello strumento.
“Come?”
chiese Marge alla
schiena di Lisa, che non le rispose, e si voltò verso Homer,
in cucina davanti
alla porta del frigorifero aperta.
Lui alzò le spalle e la
moglie sospirò. Poi guardò di nuovo le scale e
poi la cucina. Si tolse il
grembiule che le copriva il vestito e lo appoggiò sul primo
pomolo del
corrimano e iniziò a salire i gradini, per raggiungere la
figlia.
“Lisa…” Marge bussò allo
stipite della porta e la socchiuse per mettere la testa dentro la
camera della
figlia. “Lisa…”
La donna vide la ragazza
seduta alla scrivania, davanti al pc ancora chiuso; il sax riposava
nella sua
custodia appoggiata sul letto.
Lisa si
voltò verso la
madre e sospirò. “Mamma… Volevo
videochiamare Kristen, ti dispiace?” disse,
aprendo il coperchio del pc e schiacciando il tasto di accensione.
La donna entrò nella
stanza e si avvicinò a lei. “Lisa, mi dispiace
tantissimo per il sax, mi sono dimenticata.
Si è… rotto definitivamente?”
Lei sbuffò e girò sulla
sedia con le rotelle: sapeva che sua madre non lo aveva fatto apposta.
“No,
mamma, non preoccuparti. Ora il sax funziona bene”. Il
pensiero che fosse
riuscita a suonare solo a casa di Nelson, ancora, la fece vibrare di
vergogna.
Ma perché, poi? Non era stata colpa sua. Ma il fatto che
fosse successo, che
lui avesse dovuto andare in camera a cercarla perché lei
aveva perso il senso
del tempo, la faceva fremere di imbarazzo.
“Sono contenta, allora”.
Marge sorrise e si sedette in fondo al letto, girata verso di lei.
“Allora
cos’è che ti rende così…
inquieta?”
Lisa scosse le spalle. Non
lo sapeva neanche lei, come poteva spiegarlo a qualcun altro?
Marge
allungò una mano
alla testa della figlia. “Oh, tesoro, sono questioni
d’amore?”
Ma Lisa si scrollò dal suo
contatto. “Mamma, non c’è solo quello,
sai? Ci sono anche altre cose…”
“Ma non hai altri
problemi, Lisa. Ti sei laureata, non ti manca il lavoro e andrai a fare
il
mestiere che desideri, stai bene di salute, cosa vorresti di
più? È solo
l’amore che ti manca. Forse pensi ancora a Richard?”
Lisa
sbuffò forte. Aveva
raccontato di Richard alla madre solo perché continuava a
farle domande
pressanti sui ragazzi. E lei con Richard non c’era neanche
stata, erano
soltanto usciti insieme tre volte. “Mamma, non mi interessano
i ragazzi adesso,
ho intenzione di puntare su di me. Voglio fare un percorso ben studiato
e
riuscire a prendere il master in…”
“Ma non starai esagerando,
Lisa? La perfezione non esiste… E poi non è che
il tempo si fermi, lo sai,
vero? Fra un po’ ti ritroverai a
rimpiangere…”
“Mamma! Basta con queste
cazzate! Si può essere felici anche senza sposarsi e avere
figli, sai?”
Sua madre fece un verso
strano con la bocca e poi si alzò, probabilmente quando
capì che lei era molto
arrabbiata.
“Ma si può essere felici
da soli?”
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