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Autore: elenabastet    16/01/2022    3 recensioni
Sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.
Genere: Sentimentale, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Generale Jarjayes, Madame Jarjayes, Marron Glacé, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

In questo finale omaggio uno dei miei autori preferiti e c’è una licenza poetica su Oscar e la sua nascita come personaggio dell’immaginario.

 

Epilogo

Tutto era cominciato alcuni mesi prima, quando quel mattino, al Morning Chronicle, erano tutti in fibrillazione su una questione, su chi fosse l’autore del romanzo anonimo La rosa della Rivoluzione, venduto a dispense quasi ovunque e lettura preferita di donne e ragazze di tutte le età e anche di qualche uomo.

“Che colpo se riusciamo a capire chi ha scritto questo libro, pare che anche la giovane regina Vittoria lo adori! Sarà un uomo o una donna?”, aveva detto il direttore Smithson del Morning Chronicle.

La rosa della Rivoluzione era un libro appassionante, ambientato in Francia negli anni antecedenti alla Rivoluzione, con protagonista un’eroina che si vestiva da uomo per proteggere la regina Maria Antonietta. Un libro a tratti scandaloso, visto che si parlava d’amore, e non in termini casti.

“Tu mi sembri in gamba!”, disse Smithson ad uno dei suoi più giovani cronisti, assunto da poco, “e poi hai velleità letterarie e magari hai quel sesto senso che ti permette di capire chi è… hai capito, Dickens! Mettiti al lavoro e trova chi ha scritto La Rosa della Rivoluzione”!

E così Charles Dickens, cronista e aspirante scrittore dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili, si era messo sulle tracce dell’autore o autrice di quel romanzo che stava appassionando anche lui e sua moglie. Certo, era un libro che lasciava senza fiato in certi momenti, realistico e passionale, ma lui aveva sempre del resto sentito un grande interesse per quei fatti accaduti in Francia prima della sua nascita. Gli sarebbe piaciuto scrivere qualcosa sulla Rivoluzione, così come parlare di fantasmi e del dramma degli orfani, che lui conosceva molto bene.

La sua conoscenza dei segreti di Londra gli aveva permesso di riuscire a arrivare alla ragazzina povera che, dietro compenso, portava in tipografia ogni tot tempo le pagine scritte elegantemente con il nuovo capitolo delle avventure di Oscar. La stessa ragazzina, Dorrit si chiamava, riceveva quelle pagine da un giovanotto studente di medicina squattrinato.

Charles Dickens aveva pensato che fosse Oliver, questo era il nome del ragazzo, ad aver scritto quel romanzo, l’aveva incontrato, aveva insistito, ma lui era stato chiaro:

“Magari avessi scritto io questo romanzo! Ma conosco l’autore, se è d’accordo vi incontrerete”.

Quando, quel mattino Charles Dickens aveva ricevuto il messaggio di Oliver non credeva ai suoi occhi: l’autore de La Rosa della Rivoluzione lo aspettava a casa sua, e ancora non sapeva che emozioni gli avrebbe riservato quella giornata.

Così Charles Dickens era arrivato in quella via affollata di Londra, era passato davanti alla bottega del famoso avaro Scrooge, e poi era salito in quella scala, scoprendo che l’autore era un’autrice, e si era trattenuto da lei per molto, molto tempo, ma del resto quello che le aveva raccontato aveva dell’incredibile.

Charles Dickens si guardava intorno in quella stanza zeppa di ricordi, oggetti, ritratti, libri, con al centro Amélie Poulain, ex bibliotecaria, ex governante, ora scrittrice. Era ammirato da lei, doveva essere molto anziana, ultra ottantenne, e stava leggendo in anteprima, dopo aver sentito la sua storia, l’ultimo capitolo del romanzo su Oscar.

“Grazie, signor Dickens, di aver ascoltato questa storia di eroi. Purtroppo gli eroi muoiono giovani, e io non sono un’eroina. Ho raccontato la storia di due eroi, però, e l’avete letta e ascoltata”.

“Signora Poulain, io però ho letto adesso in anteprima l’ultimo capitolo, e qui le cose vanno diversamente. Oscar e André non muoiono, sopravvivono alla presa della Bastiglia e si allontanano nel sole insieme a cavallo, innamorati e felici...”

“Perché in un altro mondo senz’altro è andata così, io li immagino insieme, nonni magari, per sempre innamorati. Vedete, lo sapete anche voi, noi autori abbiamo il potere con la nostra fantasia di cambiare le cose, di renderle migliori. Ho voluto restituire loro la felicità che non hanno avuto. Non ho potuto fare niente per cambiare le loro vite allora e ho voluto farlo nella finzione, è stata l’unica cosa che ho potuto fare per loro. In fondo, nel mio cuore è andata così per loro, doveva andare così se questo fosse un mondo giusto, se lo meritavano. Poi magari un giorno qualcuno racconterà come sono andate davvero le cose, magari voi, signor Dickens, vedo in voi la stessa foga mia di scrivere e inventare, con un’altra età. Vi auguro ogni bene, grazie di avermi ascoltata”.

Charles Dickens si alzò in piedi e strinse la mano a quella donna che aveva visto e sofferto tanto, testimone impotente di tanti eventi.

“Anche a voi auguro ogni bene, spero di leggere altre vostre storie, il Morning Chronicle cerca sempre autori, potreste scrivere sotto uno pseudonimo...”

“No, non credo. Non ho altro da narrare, oltre a questa storia, legata a quello che mi è rimasto, l’amore, il ricordo dell’amore che ho visto in loro e dell’amore che io provavo per loro. Il resto ormai mi interessa poco, questa vita è diventata lunga, troppo lunga. Auguri per la vostra vita, mi piacete”.

Charles Dickens si accomiatò da Amélie Poulain, mentre lei consegnava al suo vicino l’ultimo capitolo della storia di Oscar. Presto, a Londra e non solo, avrebbero gioito, si sarebbero appassionati e commossi con il finale. Un lieto fine, almeno nella finzione, e era giusto così, era d’accordo con Amélie.

“Che Dio vi benedica e benedica anche Oscar e André”, pensò Charles mentre scendeva le scale. Ma avrebbe raccontato chi era l’autrice di quella storia che chissà quanti avrebbe ancora appassionato o avrebbe lasciato tutto nel mistero? Ci doveva riflettere.

Amélie guardava dalla finestra il caos delle vie di Londra, non poteva dire di odiare quella città, ma non si era mai sentita a casa davvero lì, le spiaceva non essere d’accordo con Samuel Johnson e con la sua frase Chi è stanco di Londra è stanco della vita. Ma forse lei era stanca davvero, ormai.

Il suo cuore era rimasto a palazzo Jarjayes, ormai abbandonato da anni da quello che aveva sentito, e quanti ne erano passati di anni, troppi. Per strada, in quella Londra dove da poco era salita al trono una giovane e amata regina, a cui Amélie augurava ogni bene e maggiore fortuna di Maria Antonietta, c’erano passanti frettolosi, cavalli, carrozze, venditori ambulanti, e chissà quanti di loro avrebbero letto la sua storia, sognando su quel finale che lei aveva scelto.

Se solo le cose fossero andate così.

Amélie sbattè gli occhi, la nebbia si stava diradando, sarebbe uscito il sole. I rumori si stavano attutendo, e di colpo un raggio di sole potente le colpì gli occhi, accecandola per un attimo.

Era alla finestra, ma non c’era più la strada di Londra, era sparito tutto, carrozze, passanti, botteghe. Davanti a lei, fuori, c’era il viale che andava verso l’orizzonte, il viale che lei vedeva dalla finestra della biblioteca, il posto dove era a casa, l’unico posto che era stato casa sua. Stavano arrivando due cavalieri, li avrebbe riconosciuti tra mille, così come i due cavalieri.

Eccoli, c’erano Oscar e André, eternamente belli e innamorati, come nel suo libro, che finalmente tornavano da lei. E quando alzarono il volto verso la finestra e la salutarono, mentre André stringeva Oscar per le spalle, Amélie capì che era tornata a casa, per sempre, con loro, in quel mondo dove erano felici e contenti in eterno, come avrebbe voluto lei.


Ed eccomi, sono arrivata alla fine, grazie di avermi seguito, oltre a Dickens ho anche omaggiato un film che mi era piaciuto molto, Espiazione. Arriveranno presto altre storie, a puntate, o one shot, birichine o meno.

  
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