Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: _Agrifoglio_    18/01/2022    12 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Incontro-a-Tilsit-2

Una zattera per due Imperatori e una rosa per una Regina
 
Prussia orientale, fiume Niemen, nei pressi della città di Tilsit, 25 giugno 1807
 
Incontro-a-Tilsit-1

 
Dopo la battaglia di Austerlitz, erano state combattute quelle di Jena e di Auerstädt alle quali erano seguiti il massacro di Eylau e la battaglia di Friedland che si erano risolti in una terribile disfatta per i russi e i prussiani.
In particolare, l’armata di Federico Guglielmo III di Prussia era in pezzi e, tuttavia, gli uomini avevano combattuto allo stremo e ogni ipotesi di pace era stata allontanata fino a giungere sul ciglio del baratro, perché la Regina Luisa era una fiera oppositrice di Bonaparte e il marito, che era un debole, si faceva guidare da lei in tutto. Ora, la capitale era perduta e la coppia reale, in fuga, era ridotta a cercare asilo, per la notte, in mulini e fienili.
Anche lo Zar Alessandro I di Russia annoverava perdite ingenti nelle fila del suo esercito, ma pure lui, inizialmente, si era ostinato a respingere ogni idea di pace. Dotato di un temperamento mistico e di una personalità poliedrica e indecifrabile, frutto di un’educazione giovanile eccellente, ma scoordinata, egli reputava la guerra una sua personale crociata contro Napoleone che considerava l’anticristo, un feroce nemico della religione ortodossa, un tiranno liberticida e il più grande ostacolo al raggiungimento della pace in Europa.
Napoleone, per quanto vincitore, desiderava una tregua, ovviamente alle sue condizioni, perché l’esercito era decimato, gli uomini stanchi e demoralizzati e le truppe troppo lontane dalle fonti di approvvigionamento. L’abitudine dell’Imperatore di viaggiare leggero per velocizzare l’esercito faceva sì che le armate napoleoniche vivessero delle risorse dei territori conquistati, ma le continue depredazioni inasprivano gli animi degli occupati, rendendo la situazione insostenibile nel lungo periodo.
A quel punto, era entrato in scena il Conte di Compiègne che si era prodigato instancabilmente per procurare a Napoleone l’alleanza con la Russia, da lui tanto a lungo agognata, in cambio di un sostanzioso riconoscimento per il Duca d’Orléans, per conto del quale agiva e, di conseguenza, anche per se stesso.
Si era recato a San Pietroburgo e, col suo comportamento brillante, era entrato nelle grazie di una buona schiera dell’alta società russa. Qui, aveva intercettato l’ala dell’aristocrazia che desiderava la pace e, da una frequentazione all’altra, era riuscito a farsi presentare al Granduca Costantino, fratello dello Zar, che era a capo della fazione dei pacifisti.
Conquistata la fiducia del Granduca, arrivare allo Zar era stato più semplice e, di settimana in settimana e di mese in mese, era riuscito a instillare in quella mente eccentrica e inquieta il convincimento che un armistizio sarebbe stato quanto di meglio ci si sarebbe potuti aspettare.
– Vi siete dato da fare come una formica industriosa per ottenere questo trattato, Conte di Compiègne – gli aveva detto, un giorno, lo Zar – ma, se pensate che questo basterà affinché Bonaparte ceda al Duca d’Orléans i territori della Francia meridionale da lui conquistati, siete un illuso. E’ proprio da lì che egli intende far partire l’offensiva per conquistare la Francia rimasta in mano a Luigi XVII.
– Ma come… – aveva abbozzato il Conte di Compiègne.
– Come ho fatto a scoprire che siete al soldo del Duca d’Orléans e che questi desidera la Francia del sud? Diciamo che ho anch’io le mie fonti.
Lo Zar si era tirato dietro l’ormai prostrato Federico Guglielmo e aveva concordato con Bonaparte che si sarebbero incontrati nei pressi della città prussiana di Tilsit. Da questo primo abboccamento, sarebbe stato tenuto fuori il Re di Prussia, da Napoleone considerato alla stregua di un nemico sconfitto più che di un alleato.
L’incontro avrebbe avuto luogo in una zona neutrale, a metà strada fra i territori conquistati da Napoleone e quelli rimasti ancora in mano al Re di Prussia e, cioè, al centro del fiume Niemen.
I genieri napoleonici avevano costruito, in due giorni, una grande zattera e questa era stata saldamente ancorata in mezzo al fiume. Al centro della piattaforma, era stata eretta una sontuosa tenda, sormontata dalle aquile imperiali e munita di due porte di accesso, sui lati opposti del fiume. La porta destinata ad accogliere Napoleone era sovrastata da una grande N mentre quella dal lato dello Zar era adornata da una altrettanto grande A.
Napoleone e Alessandro I stavano raggiungendo i rispettivi lati della zattera su due lance mentre i dignitari dei vari schieramenti, fra cui il Conte di Compiègne, osservavano da una riva e dall’altra.
Dietro preciso ordine dell’Imperatore, i vogatori remarono velocissimi, tanto che Napoleone raggiunse la zattera con notevole anticipo e, recatosi sul lato opposto al suo, davanti alla porta sormontata dalla grande A, accolse con premura e affabilità lo Zar Alessandro, comportandosi più da padrone di casa che da paciscente in campo neutrale.
L’incontro avvenne in un clima di distesa cordialità e durò un’ora e cinquantatré minuti.
All’interno della tenda, Napoleone fece ammirare allo Zar le decorazioni, gli arredi e tutto ciò che i genieri erano stati capaci di fare in soli due giorni.
Finiti i convenevoli, i due Imperatori parlarono principalmente dell’argomento che più di ogni altro li accomunava: il loro mortale odio per l’Inghilterra.
– Odio gli inglesi esattamente come Voi, Sire e sono pronto a sostenerVi in qualsiasi impresa che intraprenderete contro di loro – disse lo Zar, un giovane uomo alto, biondo e longilineo.
– Mi fa piacere che su questo punto la pensiamo allo stesso modo, Sire – rispose Napoleone, sovrastato dallo Zar di mezza testa – Gli inglesi sono la peggiore razza di bottegai che sia mai esistita e non si fermeranno finché non ci avranno resi tutti loro colonie, totalmente succubi dei loro commerci.
– L’egoismo inglese è orribile! Esso è alla base di ogni guerra! – rincarò lo Zar, infervorandosi e stringendo i pugni.
– Proprio per questo – replicò Napoleone – i nostri due Stati dovrebbero perseguire una politica comune di mutua assistenza contro l’Inghilterra, impegnandosi a combatterla e ad attuare un blocco continentale contro le navi battenti bandiera inglese. Quando la loro economia sarà in ginocchio, verranno a più miti consigli.
– Posso sapere che ruolo avrà, in tutto ciò, la Prussia? – domandò lo Zar – Perché Re Federico Guglielmo non presenzia insieme a noi a quest’incontro?
– Semplicemente perché la Prussia è sconfitta e, come tale, sarà cancellata dalle mappe geografiche – ribatté, lapidario, Napoleone – Non ha alcun senso dialogare con chi non esiste.
– E’ mio desiderio che la Prussia continui a esistere e che Re Federico Guglielmo ne conservi il trono e sia ammesso alle nostre trattative – disse risolutamente lo Zar.
– Che problema c’è? Troveremo un accordo – rispose Napoleone, con forzata bonomia, ma mal digerendo quell’imposizione, soprattutto perché disprezzava Re Federico Guglielmo che considerava un debole e un vile.
Il ventisette giugno, i due Imperatori si scambiarono le decorazioni: Alessandro I ricevette la Legion d’Onore e Napoleone la Croce di Sant’Andrea di prima classe.
Nelle giornate successive, Napoleone incontrò diverse volte lo Zar Alessandro I e Re Federico Guglielmo III. Col primo, fu estremamente affabile e fraterno, ma tanta cordialità fu dai russi giudicata falsa e sgradevole. Col secondo, fu appena tiepido e quasi sprezzante. Il Re di Prussia, dal canto suo, aveva il volto stanco e depresso, era tenuto in disparte e veniva interpellato di rado.
I giorni a venire furono un susseguirsi di banchetti e di parate militari, finalizzate a rendere omaggio agli ospiti e, allo stesso tempo, a impressionarli: se mai avessero deciso di riprendere le armi contro Napoleone, quelli erano i corpi d’armata che avrebbero dovuto affrontare.
Gli ufficiali napoleonici e Murat in testa a tutti si pavoneggiavano nelle loro splendide divise rilucenti di medaglie, colmi di fierezza e sicuri che le cose sarebbero andate così per sempre.
Al termine di quelle spettacolari giornate, furono firmati i trattati di pace, il sette luglio con la Russia e il nove con la Prussia.
Il trattato di pace con la Russia era riassumibile in poche e semplici parole: a Napoleone l’occidente e ad Alessandro l’oriente. Napoleone si impegnava ad aiutare lo Zar contro l’impero ottomano, dal quale questi si sarebbe potuto estendere verso l’India mentre Alessandro I avrebbe recato soccorso a Bonaparte contro l’Inghilterra e la Francia di Maria Antonietta e si sarebbe prodigato per scatenare una guerra tra Svezia e Finlandia, la seconda delle quali gli sarebbe spettata. Gli accordi, però, sfavorivano la Russia nel breve e nel lungo periodo. Nel breve periodo, perché essa dovette evacuare la Valacchia e la Moldavia e cedere a Napoleone le Isole Ionie e Cattaro, in cambio del riconoscimento di alcuni piccoli Stati governati dai parenti tedeschi dello Zar. Nel lungo periodo, perché la Russia dovette aderire al blocco continentale contro l’Inghilterra e ciò, negli anni, ne mise in ginocchio l’economia, poiché i britannici erano i principali importatori dei prodotti russi.
A essere ridotta ai minimi termini fu la Prussia che perse metà dei suoi possedimenti. Tutti i territori al di là dell’Elba andarono a costituire degli Stati vassalli in mano a parenti e uomini di fiducia di Bonaparte. I possedimenti in terra polacca formarono il neo Ducato di Varsavia, uno Stato satellite dell’impero napoleonico. Altri territori furono spartiti fra la Sassonia e la Russia. Oltre a essere così gravemente ridimensionata, la Prussia dovette aderire al blocco continentale, con tutto ciò che ne sarebbe derivato in termini di stasi dell’economia e impegnarsi a ridurre l’esercito a quarantamila militari effettivi. Il colpo di mannaia finale fu dato dalla previsione di un’esorbitante multa di centomila franchi che la Prussia avrebbe dovuto corrispondere a Napoleone, a ristoro dei danni di guerra subiti. Finché la somma non fosse stata corrisposta, la Prussia sarebbe rimasta occupata dalle truppe napoleoniche.
 
Incontro-a-Tilsit-3

********

Luisa-di-Prussia
 
Tilsit, luglio 1807
 
Schiacciato dal macigno delle terribili condizioni imposte alla Prussia, Re Federico Guglielmo decise di giocarsi l’ultima carta e inviò la moglie incinta a parlare con Napoleone, sperando che la Regina avrebbe ottenuto miglior successo, rendendo il nemico di umore più rilassato.
L’incontro non sarebbe potuto avvenire sotto auspici peggiori.
La Regina era di una bellezza solare e delicata, esaltata da un viso ovale, da due grandi occhi azzurri e da una squisita carnagione alabastrina. Era dolce, generosa, caritatevole, allegra, intelligente, colta, aggraziata, elegante, molto raffinata, ma anche fiera e dotata di carisma e determinazione. Goethe, nel vederla, disse: “La si potrebbe scambiare per un’apparizione celeste”. Con la sua intelligenza e il suo fascino, si era guadagnata il rispetto e l’affetto dei sudditi, dei ministri e dei grandi del regno ed era, in poco tempo, divenuta potente e abile a gestire gli affari di Stato.
Una donna di tal fatta, in condizioni normali, avrebbe sicuramente riscosso l’ammirazione e la stima di Napoleone, ma l’Imperatore sapeva benissimo che Luisa gli era ostile e che era stata la principale artefice della guerra contro di lui che il titubante e pavido marito avrebbe, invece, preferito evitare a ogni costo. Nutriva, quindi, del risentimento verso di lei e aveva tentato, a più riprese, ma invano, di screditarla e di insinuare dei dubbi sulla fedeltà verso il consorte.
Allo stesso tempo, la Regina Luisa detestava Napoleone, tanto da definirlo: “il mostro” e si era piegata a incontrarlo con riluttanza, soltanto per salvare la sua Prussia.
Con queste premesse, avvenne l’incontro tra la bellissima e intelligentissima Regina e l’Imperatore più potente d’Europa.
Luisa era abbigliata con un vestito color rosso e oro e aveva in testa un turbante. Napoleone la accolse nella sala da pranzo del quartier generale e la fece accomodare alla sua destra, a una tavola finemente imbandita con porcellane, cristalli, argenteria e una tovaglia del pizzo più pregiato.
Durante tutta la cena, la Regina, mettendo da parte la propria ostilità per l’Imperatore, fece appello a tutto il suo fascino e finanche alla sua civetteria. Lui, di rimando, fu molto galante, ma non raggiunsero un’intesa.
– Le condizioni che imponete alla Prussia sono troppo vessatorie, Sire – disse la Regina, con volto d’angelo e voce da sirena – Volete privarla di metà dei territori!
– La Prussia è stata sconfitta, Signora – rispose Napoleone – ma, forte della mia clemenza, non la cancellerò dalle carte geografiche e la manterrò in vita, seppur ridimensionata. Essa continuerà a esistere per il suo Re e per la sua incantevole Regina.
– Le sanzioni politiche, militari e pecuniarie che ci imponete ci distruggeranno! – insistette Luisa di Prussia, appoggiandosi la candida mano sul cuore – Il Re è molto avvilito!
– Egli troverà il più prezioso dei conforti nella sua splendida consorte – ribatté Napoleone, senza esitare.
– Lasciateci Magdeburgo! – esclamò la donna, abbandonando i vezzi e dando libero sfogo a tutta la sua combattività e determinazione.
– Non posso accontentarVi, Signora e me ne dispiaccio – disse l’Imperatore che, nelle persone, apprezzava il coraggio, la fierezza e la forza di volontà, qualità che la Regina dimostrava di possedere in grande misura.
– Devo insistere, Maestà, lasciate Magdeburgo al Re mio sposo e Vi sarete guadagnato due amici per l’eternità! Datemi la Vostra parola!
Napoleone guardò quella bellissima donna che lo implorava pur senza perdere la sua dignità e non poté che ammirarne la forza d’animo e la dirittura morale. Fosse per una naturale delicatezza interiore, per calcolo o per puro caso, la Regina si era da subito rivolta a lui con i titoli che gli competevano mentre Federico Guglielmo e lo stesso Alessandro, inizialmente, avevano stentato a chiamarlo “Maestà” o “Sire”, reiterando e perpetuando in lui il ricordo dei cadetti dell’Accademia Militare di Brienne che lo avevano trattato come uno straniero e un parvenu. Si alzò, allora, dalla sua sedia e prese dal camino una rosa dello stesso colore dell’abito della Regina.
– Una rosa in cambio di Magdeburgo – sussurrò, con galanteria, alla dama.
– Accetto la rosa a condizione che sia accompagnata da Magdeburgo! – rispose quella, senza esitazione.
– Ma Signora, sono io che Vi offro la rosa!
Luisa, allora, si gettò ai piedi di Napoleone, con gesto rapidissimo ed enfasi teatrale.
– Vi supplicherò, se necessario, rinunciando al mio orgoglio e prostrandomi a Voi come la più umile delle schiave, come Tusnelda condotta in vincoli a Roma e costretta a sfilare in catene durante il trionfo di Germanico! Non schiacciate la Santa Prussia! Non privateci di Magdeburgo! La mia dignità annullata in quest’inchino in cambio di quella rinata della mia amata Patria!
– Signora! – esclamò Napoleone, facendo scivolare il palmo della sua mano destra sotto quello di lei e rialzandola prontamente – Non umiliateVi, non lo desidero! La politica è un affare per diplomatici navigati e incalliti e non per belle donne. Non posso accontentarVi e me ne piange il cuore!
Lei, allora, sfilò via la mano da quella di lui e, con un sussulto del petto e le lacrime agli occhi, protestò:
– Avete un cuore di pietra! Sono stata ingannata… – e fuggì via come un soffio di vento.
Aveva fallito quella delicata missione e, come se ciò non bastasse, non era abituata a sentirsi dire di no da chicchessia, fosse uomo, donna o bambino. Tutti restavano abbacinati dal fascino di lei.
Napoleone rimase ammutolito e restò a fissare per alcuni istanti la porta dalla quale era uscita la Regina.
Il giorno dopo, scrisse a Joséphine de Beauharnais:
 
Amica mia,
la Regina di Prussia ha cenato con me, ieri. Ho dovuto difendermi perché avrebbe voluto spingermi a fare qualche altra concessione al marito, sono stato galante, ma mi sono attenuto alla politica.
Lei è molto gradevole, mi tormentava per ottenere Magdeburgo e voleva che impegnassi per ciò la mia parola. Io continuavo a rifiutare con galanteria.
E’ stata davvero affascinante e piena di civetteria nei miei riguardi. Ma non essere gelosa... mi sarebbe costato troppo caro essere galante”.
 
Incontro-di-Napoleone-e-della-Regina-Luisa-2

Incontro-di-Napoleone-e-della-Regina-Luisa

********
 
Tilsit, luglio 1807
 
– E’ sempre un onore incontrarVi, Sire – disse, con tono mellifluo ed espressione sgradevolmente insincera, il Conte di Compiègne.
– AccomodateVi, Conte, ma siate rapido, gli affari di Stato mi reclamano – rispose Bonaparte, indicandogli con la mano la sedia davanti alla scrivania e dandosi da fare pochissimo per dissimulare la sua antipatia.
– Come avete potuto constatare, sono stato di parola e Vi ho procurato la pace con lo Zar di tutte le Russie! – declamò, con voce trionfante, il Conte.
– Gli eventi hanno portato al trattato di pace – tagliò corto Napoleone, senza sollevare lo sguardo dalle sue carte.
– Se, però, qualcuno guida quegli eventi, è sicuramente meglio! – replicò il Conte di Compiègne.
– Cosa siete venuto a reclamare? – andò al dunque l’Imperatore.
– La Francia del sud per Sua Altezza Serenissima il Duca d’Orléans, come da accordi.
– Mi dispiace, ma non posso accontentare né il Duca d’Orléans né Voi.
– Ma avevate promesso, Sire! – allibì il Conte di Compiègne, tentando di continuare a darsi un contegno, ma strabuzzando gli occhi.
– La situazione è cambiata da quando feci quella promessa. La Francia del sud è, per me, di capitale importanza.
– Il Duca d’Orléans ha sborsato ingenti somme per finanziare le Vostre imprese, Sire – protestò, incredulo, ma sempre affettato, il Conte di Compiègne – Vi ha fornito milioni di livree per le Vostre campagne d’Egitto e d’Italia, per Austerlitz, Jena, Eylau e Friedland…
Napoleone guardò con disgusto quel damerino stagionato che si riempiva la bocca di proclami altisonanti mentre gli altri agivano. Aveva detto di no alla Regina Luisa e scontentare quel vigliacco intrigante, per il quale aveva sempre provato il più vivo disprezzo, sarebbe stata una cosa da nulla.
– C’era il Duca d’Orléans nelle campagne d’Egitto e d’Italia? Oppure c’eravate Voi? – tuonò Bonaparte, alzandosi di scatto dalla sedia e, sebbene il Conte di Compiègne lo sovrastasse di diversi pollici, Napoleone sembrava un gigante e il Conte un nano – C’era il Duca d’Orléans sul campo di battaglia ad Austerlitz, a Jena e a Friedland? A Eylau, quando siamo rimasti intrappolati in quella chiesa, con tonnellate di neve tutt’intorno, le panche affastellate a mo’ di barricate sulla porta d’ingresso e i russi che facevano a spallate per sfondarla, è stato il Duca d’Orléans a imbracciare il fucile? No, Conte, c’ero io in Egitto e in Italia! Ho guidato io i miei uomini ad Austerlitz, a Jena e a Friedland! Ho combattuto io, gomito a gomito con i miei soldati semplici, in quella chiesa di Eylau, assediata dai russi, con la neve che copriva ogni traccia e rumore dei nostri reggimenti e la foschia che toglieva la vista a dieci passi di distanza! C’ero io e non il Duca d’Orléans!!
Tacque tutt’a un tratto, ma continuò a saettare disprezzo e collera fredda dai suoi gelidi occhi di pallido azzurro.
– I territori sono di chi li conquista e non di chi li paga. Quando, dalla Francia del sud, avrò mosso guerra alla Francia del nord e l’avrò conquistata, detronizzando il Re ragazzino e quell’Asburgo della madre, il Duca d’Orléans conserverà i suoi titoli e i suoi possedimenti. Questo è il massimo che posso concedergli. Potete andare.
Si rimise a sedere e iniziò a leggere il dispaccio che giaceva sul sottomano in pelle, come se il Conte di Compiègne fosse già uscito e lui stesse da solo nella stanza.
 
********
 
Arras, luglio 1807
 
Furono fatti accomodare nel salone, dopo essere stati ammessi, da un domestico, all’interno della signorile dimora borghese nel centro di Arras.
La padrona di casa, una matura donna nubile, li accolse con educazione impeccabile e fece servire loro del the e dei pasticcini da un valletto in livrea che si presentò munito dell’argenteria buona e della chiusa rispettabilità degli abitanti della Francia del nord.
– Vi sono grata per averci ricevuto, Mademoiselle de Robespierre – disse Oscar, guardandosi intorno e ammirando la squisita e sobria eleganza del salone principale della casa natale dell’incorruttibile.
Charlotte de Robespierre, la secondogenita della famiglia, li aveva ricevuti con un abito di seta e velluto verde scuro a vita alta, un fichu di seta bianca a coprire la scollatura e una candida cuffietta di pizzo sul capo.
– Sono al Vostro servizio, Generale de Jarjayes – rispose, con voce compita, la sorella minore dell’Avvocato di Arras.
Proprio in quel momento, si udirono dei passi nel corridoio e la porta si aprì.
– Permettete che Vi presenti mio fratello Augustin, di ritorno dal Tribunale. Egli è Avvocato, secondo la tradizione della nostra famiglia.
Terminati le presentazioni e i saluti, André ruppe il ghiaccio, dicendo:
– Vi siete, quindi, trasferiti stabilmente ad Arras.
– In realtà, noi siamo nati e cresciuti ad Arras – disse Charlotte de Robespierre – Quella parigina è stata una breve parentesi, dovuta agli impegni politici di nostro fratello e bruscamente interrotta dopo…
– …Dopo il suicidio di Maximilien – concluse Augustin de Robespierre – Fui io a trovare il corpo… D’intesa con mia sorella, decisi di tornare qui. A Parigi, non c’era più nulla per noi, soltanto un cadavere da piangere e a cui dare sepoltura in terra sconsacrata, le macerie della Bastiglia fatta saltare in aria da Saint Just e il fantasma di una rivoluzione abortita. Qui, invece, la nostra famiglia è conosciuta e rispettata da generazioni, siamo circondati da parenti e amici e siamo accettati.
Entrambi non sposati e unici superstiti di una famiglia che, durante la breve vita della madre, era stata unita e calorosa, i due fratelli de Robespierre conducevano ad Arras un’esistenza agiata e, tutto sommato, felice e serena. La loro era una delle famiglie più in vista della borghesia, estranea alla cerchia dei nobili come i de Jarjayes che costituivano ancora il gotha della società, ma esponente di spicco di quella classe provinciale medio-alta, laboriosa e istruita, che, nei decenni a venire, sarebbe diventata il motore propulsore dell’Europa.
– Ho conosciuto Vostro fratello – disse André – all’epoca in cui era Ministro di Giustizia. Io ne ero il vice. Lo ricordo come un uomo dall’intelligenza vivace e pronta e dai vasti orizzonti culturali che spaziavano dalla legge alla cultura umanistica. Naturalmente, lo rammento anche per l’elevato senso morale.
Quella descrizione idealizzata, che teneva volutamente conto soltanto dei pregi e non dei difetti dell’uomo di Arras, ben dispose i due fratelli che presero in simpatia Oscar e André.
– Qual è il motivo della Vostra visita? Cosa possiamo fare per Voi? – domandò, dopo un quarto d’ora di conversazione, Charlotte de Robespierre.
– Mademoiselle de Robespierre – prese la parola Oscar – Sapete dove si trova il tesoro dei giacobini? Vostro fratello ebbe un ruolo nella raccolta e nella conservazione di questo tesoro?
Con poche, ma esaustive spiegazioni, Oscar mise al corrente i due fratelli de Robespierre dell’esistenza del tesoro dei giacobini, dicendo soltanto quello che serviva ai suoi scopi ed evitando di perdersi in dettagli inutili alla missione e, soprattutto, di citare il Papa e il Cardinale Brancadoro. – Non ne ho mai sentito parlare, Generale de Jarjayes – rispose Charlotte de Robespierre – e, del resto, nell’ultimo periodo, io mi ero alquanto allontanata da mio fratello Maximilien. Sebbene io abbia sempre avuto idee repubblicane…
Il fratello, a quel punto, le lanciò una rapidissima occhiata eloquente, onde avvertirla di non proseguire su quel sentiero pericoloso con un alto Ufficiale del Re e con un Conte.
– …Malgrado l’ambiente culturale e le idee comuni – si corresse parzialmente la donna – Io disapprovavo certe derive di mio fratello: il culto dell’Essere Supremo e l’accettazione della violenza come estremo rimedio per cambiare la società. Ciò è contrario allo spirito cristiano.
– Nostro fratello, sul finire della sua vita, si era allontanato da tutti, diventando sempre più sospettoso e paranoico – si inserì Augustin de Robespierre – e l’esito lo abbiamo visto tutti, purtroppo… Dubito che gli altri giacobini lo avessero messo al corrente dell’esistenza di un tesoro.
– Oltretutto, come ha bene ricordato il Conte di Lille – riprese la parola Charlotte de Robespierre – Nostro fratello era celebre per la sua moralità specchiata e per la sua incorruttibilità. Dubito che avrebbe approvato un tesoro formato con le depredazioni, i ricatti, i saccheggi e i finanziamenti di potenze straniere nemiche della Francia. A lui interessava godere di una reputazione immacolata e restare completamente fedele ai suoi elevati principi. Sebbene fosse invariabilmente curato ed elegante, è rimasto sempre sobrio e misurato e non era in alcun modo interessato alle ricchezze terrene. Fossi in Voi, mi concentrerei su Danton, la cui venalità era ben nota a tutti.
Dopo una visita durata circa un’ora, Oscar e André compresero che nulla di rilevante avrebbero appreso dai due fratelli dell’incorruttibile che erano parsi loro sinceri e, soprattutto, desiderosi di conservare il loro ritrovato equilibrio dopo i molteplici drammi del passato.
– Il Conte di Lille e io Vi siamo grati della Vostra squisita ospitalità – disse Oscar, a conclusione della visita – e Vi preghiamo di scusarci per tutto ciò che abbiamo rievocato. Non era nostra intenzione recarVi ansia o dolore.
– Il passato è passato e non può più farci male, se non siamo noi a permetterglielo – rispose Augustin de Robespierre mentre la sorella, accanto a lui, annuiva.
Oscar e André si congedarono e fecero ritorno al palazzo di Arras della famiglia de Jarjayes.
 
********
 
Blérancourt, luglio 1807
 
– Mi state chiedendo se mio figlio sarebbe stato capace di mettere insieme un tesoro coi proventi di saccheggi e rapine, è così?
L’arcigna matrona guardò in tralice Oscar che annuì silenziosamente.
– Certo che sarebbe stato capace! Quel buono a nulla ha anche rubato la mia argenteria, capite?! Ha rubato l’argenteria alla sua povera madre, a una vedova distrutta dal dolore, a una donna debole e indifesa! Ah, ma io non gliel’ho fatta passare liscia e l’ho denunciato! Ha trascorso qualche mese in carcere e io ho recuperato tutti i pezzi, ovviamente, altrimenti con cosa Vi avrei servito il the, oggi?
Oscar fece un sorriso di circostanza mentre ad André andò di traverso il the.
– Per venire alla Vostra seconda domanda, non ho la più pallida idea di dove si trovi quel tesoro altrimenti credete che vivrei così? Ah, quel buono a nulla! Con tutto ciò che ho fatto per lui, se ne è andato a Parigi a fare politica anziché dedicarsi alla professione di Avvocato e provvedere alle mie stanche ossa! Ma Vi pare che un figlio amorevole si debba fare esplodere così, facendo saltare in aria la Bastiglia, anziché dedicarsi alla cura della sua madre debole e indifesa?!
La signora guardò entrambe le sue figlie che annuirono simultaneamente. Quanto a Oscar e ad André, non passò loro neppure per l’anticamera del cervello di contraddire quella vedova distrutta dal dolore nonché donna debole e indifesa.
– Da non credersi! Devo soltanto essere grata alla magnanimità della Regina che non ha voluto chiedermi i danni, quale erede di mio figlio, per la distruzione della Bastiglia!
Le figlie annuirono di nuovo.
– Perché Voi siete venuti qui soltanto per chiedermi di questo tesoro dei giacobini e non anche per domandarmi i danni per la Bastiglia, giusto? Sono passati diversi anni, ma non si sa mai…
– Non preoccupateVi, Madame de Saint Just – si inserì Oscar – Siamo qui soltanto per il tesoro dei giacobini.
– Ah, bene.
 
********
 
Copenaghen, 5 settembre 1807
 
Sir Arthur Wellesley camminava per le vie martoriate della capitale danese, guardando tristemente i cumuli di macerie, gli incendi non ancora domati e i mucchi di cadaveri che si trovavano un po’ ovunque.
Erano stati inviati in Danimarca allo scopo di catturare la flotta reale, per evitare che questa finisse nelle mani di Bonaparte. Il destino di quella flotta era, quindi, segnato: una delle due potenze se la sarebbe accaparrata. Questo ragionamento non era, però, piaciuto ai danesi che, sentendosi giustamente vittime della prepotenza di due Stati più forti, avevano sdegnosamente rifiutato la resa e non avevano consegnato la flotta. Erano seguiti venti giorni di bombardamenti, al termine dei quali l’Inghilterra aveva espugnato Copenaghen e preso possesso delle navi.
Questa è la guerra – pensò, tristemente, Sir Arthur – e non sempre chi vince ha ragione. Noi siamo gli invasori di uno Stato neutrale, ma abbiamo agito per arginare Bonaparte…
– Che sia fucilato sul posto chiunque sia sorpreso nell’atto di saccheggiare, incendiare, uccidere o stuprare, sono stato chiaro? – disse, risolutamente, a uno dei suoi aiutanti – Ne va della reputazione dell’Inghilterra. I popoli devono sapere che è meglio avere a che fare con noi piuttosto che con Bonaparte!
La vista di quella superba città distrutta per un terzo e dei poveri resti, spesso mutilati, di uomini che avevano avuto una loro vita, una famiglia e dei progetti lo addolorava profondamente.
Se non altro, il ruolo decisivo da lui giocato nella vittoria della battaglia di Køge, che aveva reso possibile la marcia delle giubbe rosse verso Copenaghen, doveva essergli riconosciuto. Avrebbe rinverdito i suoi successi in India, ormai lontani di qualche anno e conseguiti in una parte dell’Impero troppo periferica per imporlo come eroe nazionale nell’immaginario collettivo. Avrebbe, forse, ottenuto una promozione e, se gli fosse andata proprio bene, anche il comando di un piccolo esercito nella penisola iberica, allo scopo di iniziare a sfaldare l’impero napoleonico dai margini.
Quella missione gli aveva, poi, fornito il pretesto per prendere una boccata d’aria dal suo matrimonio. Kitty era la migliore delle mogli, ma era anche molto apprensiva e, con quella sua idea fissa di renderlo felice, finiva per diventare estremamente asfissiante, assomigliando più a una carceriera che a una moglie. Se ne era andato come un ladro, comunicandole la sua nuova missione per lettera. Agitata e ansiosa com’era, non aveva avuto cuore di renderla edotta in anticipo della sua partenza, perché ciò avrebbe trasformato la loro vita in un inferno e l’avrebbe esposta a qualche giorno in più di angoscia e di preoccupazione. L’aveva messa davanti al fatto compiuto, evitando a se stesso le reazioni di lei quando avesse scoperto cosa ribolliva in pentola.
Sir Arthur Wellesley fece un profondo sospiro e guardò un’altra volta quella povera gente che aveva problemi ben più gravi di un matrimonio male assortito.
 
Battaglia-di-Copenhagen

********
 
Reggia di Versailles, settembre 1807
 
La Regina Maria Antonietta camminava nel cortile antistante la reggia, in direzione dei giardini ed era affiancata da Madame Royale e da Élisabeth Clotilde de Girodel. Era molto contenta di passeggiare insieme a entrambe le sue figlie anche se, naturalmente, non poteva farne parola con alcuno.
Dietro di loro, c’erano Madame de Jarjayes, la Principessa di Lamballe, la Marchesa de Tourzel e Madame de Girodel.
Chiudeva il corteo Honoré che, in qualità di Capitano delle Guardie Reali, scortava Maria Antonietta nella passeggiata. Il giovane era affiancato dalla sorella Antigone, in veste di dama di compagnia della Regina.
– E così nostro cugino Robert Gabriel de Ligne pare aver trovato una dama di suo gradimento e si è fidanzato – disse la ragazza, con voce piccata e senza minimamente celare il suo disprezzo – E’ odioso il modo in cui ha trattato Bernadette.
– Come dicesti tu stessa – rispose pacatamente il fratello – Egli è un giovane uomo ambizioso che non può certo accontentarsi della figlia della governante.
– Già… Ognuno ha diritto di prendere chi vuole come marito o moglie e coi criteri che ritiene più opportuni. Si può scegliere una persona perché la si ama o perché è nobile, ricca, bella, intelligente, simpatica, istruita, onesta, interessante… O per le combinazioni più varie di tutti questi requisiti… Quello che non è giusto è ingenerare delle aspettative alle quali non si è intenzionati a dare seguito. Non parlo di chi si innamora e, poi, scopre di aver commesso un errore, ma di chi dà false speranze a qualcuno che non è minimamente intenzionato a sposare e col quale si vuole soltanto divertire… E’ da vigliacchi… Per poi non parlare di chi non sposerebbe mai una donna, ma la prenderebbe come amante… E’ un ragionamento odioso!
– Come sta Bernadette?
– Lei non si confida e io non chiedo… Sta meglio di prima, ma non credo che si sia ripresa del tutto. Quel che è peggio, penso che si autoincolpi per non avere ascoltato i consigli della madre e per avere fatto la figura della sciocca.
– Lo sciocco è soltanto nostro cugino e non certo lei…
– Hai mai visto la fidanzata di Robert? La Baronessina de Lévis è l’unica figlia di due genitori entrambi ricchissimi e parente alla lontana del Cardinale de Rohan, ma è brutta come la peste, ha il volto butterato dal vaiolo ed è pure molto bassa… Dicono anche che abbia un carattere decisamente arcigno, ma io non la conosco bene e non posso confermare o smentire… Nostro cugino andrà all’altare con gli occhi coperti di monete d’oro!
Proprio in quel momento, Re Luigi XVII, di ritorno da una cavalcata, si avvicinò al gruppo e, togliendosi il bicorno, omaggiò la madre e le altre dame. Prima di spronare il cavallo verso la reggia, indirizzò uno sguardo carico di amore e di adorazione a Élisabeth Clotilde de Girodel.








Ciò che ho scritto sulla pace di Tilsit e sulla cena cui parteciparono la Regina Luisa e Napoleone è vero. E’ vera anche la lettera indirizzata dall’Imperatore a Joséphine de Beauharnais. L’unica parte inventata è, ovviamente, quella in cui compare il Conte di Compiègne.
Corrisponde alla verità storica anche il blitz degli inglesi in Danimarca per impossessarsi della flotta danese e sottrarla a Napoleone.
Il duplice suicidio di Robespierre e di Saint Just è descritto nel cinquantesimo capitolo.
Augustin de Robespierre fu ghigliottinato insieme al fratello e non gli sopravvisse. Charlotte de Robespierre fu la più longeva dei fratelli e arrivò alla vecchiaia, ma visse in povertà, ospite di amici parigini.
L’episodio di Saint Just che fugge a Parigi per una delusione amorosa, rubando l’argenteria di famiglia, è vero, così come è vero che la madre lo denunciò e gli fece trascorrere alcuni mesi in carcere. Non so che carattere avesse questa signora, ma una madre che denuncia il figlio e gli fa trascorrere del tempo in gattabuia non deve essere esattamente uno zuccherino. Mi sono, quindi, divertita a imbastire una scena semi-comica con questa vedova distrutta dal dolore nonché donna debole e indifesa che monopolizza la conversazione, facendo andare di traverso il the ad André e riducendo al silenzio persino Oscar.
Come sempre, grazie infinite a chi vorrà leggere e recensire.


Incontro-a-Tilsit-4
   
 
Leggi le 12 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: _Agrifoglio_