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Autore: Little Firestar84    19/01/2022    2 recensioni
Il mentalista Patrick Jane irrompe ancora una volta nella vita di City Hunter: quando le tracce dei gemelli Jonathan e Cameron Black lo portano ancora una volta a Tokyo, è a Ryo e Kaori, coppia nel lavoro e nella vita, che il consulente dell'FBI chiede aiuto.
Senza sapere che City Hunter- e tutto il loro sgangherato gruppo di alleati- sta già seguendo il caso... solo da un'altra angolazione!
Da New York a Tokyo, la caccia ai ladri ha inizio, ed il tutto per proteggiere il misterioso e prezioso gioiello noto solo come Serpenti!
Genere: Commedia, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Consultant'
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  1. Coincidenze

Cat’s Eye Cafè

“Falcon, amico mio, tu non la smetterai mai di stupirmi: non lo credevo possibile, ma il tuo the è addirittura migliorato dall’ultima volta che ci siamo visti!” Jane sogghignò, sorridendo compiaciuto. “Sei quasi ai livelli della mia Teresa!”

Falcon, in piedi a braccia incrociate dietro al bancone del Cat’s Eye, sbuffò, alzando gli occhi al cielo dietro alle spesse lenti scure; dei complimenti di Jane non sapeva che farsene, e di certo non lo incantavano: di quel tipo c’era da fidarsi di meno perfino di Ryo. Lo sweeper ed il mentalista erano una fonte di guai certi, ed il fatto che Jane fosse a Tokyo non rappresentava nulla di buono. 

“Grazie mille, Patrick!” Miki gli sorrise, radiosa, arrossendo lievemente – la reazione di default della maggioranza del gentil sesso davanti al consulente dell’FBI – mentre si inchinava leggermente a fianco dell’uomo, che sedeva ad uno dei tavolini del locale, ancora chiuso alla normale clientela. 

“Sì, sì, sì, lo sappiamo che ti piace il the.” Ryo sbuffò. Seduto davanti a Jane, si sporse verso l’amico/nemico, digrignando i denti. “La vogliamo smettere di fare il finto leccaculo ed arrivare al dunque? Si può sapere in che casino ti sei cacciato stavolta? Guarda che… AHIA!”

Ryo si morse la lingua, onde evitare di urlare, e prese a massaggiarsi il calcagno dolorante; Kaori, seduta a fianco a lui, lo fulminò, mostrandogli che, se fosse stato necessario, lo avrebbe di nuovo preso a calci più che volentieri. 

Ryo e Kaori presero a bisticciare in Giapponese. 

Miki e Falcon sospiravano, quasi fossero stati rassegnati. 

Jane se la stava ridendo sotto ai baffi, guardando con un sorrisetto beffardo ciò che gli stava accadendo intorno.

E Kay iniziava a rimpiangere di essersi lasciata trascinare in quella folle avventura, perché aveva la netta impressione di essere finita in un covo di matti. La donna chiuse gli occhi, scrollando lieve il capo, cercando di allontanare qualsiasi pensiero, facendo intorno a sé il vuoto, bisognosa di rammentare il perché fosse lì in quel luogo, in quel momento. Il suo obbiettivo. 

Cameron. 

Doveva salvarlo prima che fosse troppo tardi, che divenisse un’altra vittima- anche se iniziava a chiedersi chi sarebbe stato il carnefice, l’anima di Cameron oppure quella donna misteriosa, ancora senza nome?

“Tutto bene, agente Daniels?” La voce gentile di Kaori la riportò lì, nel presente, e per un attimo Daniels fu quasi confusa, quasi non avesse più percezione di dove si trovasse, come se avesse dimenticato cosa fosse accaduto fino a quel momento.

“Agente Daniels?” Kaori la richiamò nuovamente, coprendo la mano della donna con la sua, e stringendola. Kay sussultò: la sua mano era gelida, in confronto a quella della donna Giapponese. Reagì di scatto, in modo istintivo, senza riflettere, e ritrasse la mano, che posò in grembo; non aveva mai mostrato segni di debolezza, non aveva mai pianto, aveva imparato a stringere i denti ed andare avanti fin dalla più giovane età.  

Era sempre bastata a sé stessa: l’unico altro essere umano a cui si fosse mai appoggiata era stato Cameron, e adesso… adesso, era lui ad avere bisogno di lei. 

“L’Inglese va bene, vero? Il mio Giapponese è un po’ arrugginito…” Disse con una risata nervosa, facendo scioccare la lingua contro il palato. “E non è comunque mai stato ai livelli di quello di Jane…”

“Ah, per così poco!” Jane sminuì le proprie capacità, con la sua tipica  falsa modestia. “Basta un palazzo della memoria decente, ed in poche settimane chiunque può imparare qualsiasi cosa e poi riutilizzarla al momento opportuno!”

“Già, e Dio solo sa quanta spazzatura c’è nel tuo, di palazzo della memoria!” Ryo sospirò. Si lasciò andare sulla sedia, ed incrociò le braccia mentre guardava Kay dritta negli occhi.  “Allora, chi è il suo fidanzatino, esattamente, ed in che guai si è cacciato?”

“Non… Cameron non è il mio fidanzato!” Rispose con molta, forse troppa, veemenza, irrigidendosi mentre arrossiva, una reazione che Ryo trovò a dir poco adorabile e che lo fece sorridere: anche Kaori era stata così, in passato. “Lui… lui è un collega, un, un consulente in realtà. Ed un caro amico. Il mio migliore amico.”

“Sono innamorati pazzi l’uno dell’altra, ma lui non poteva dirglielo perché prima doveva trovare il modo di scagionare da una falsa accusa di omicidio il fratello e non voleva distrazioni, e lei temeva di essere respinta e rovinare una delle migliori amicizie che avesse mai instaurato in tanti anni.” Jane se ne uscì, tra un sorso di the e l’altro, parlando con completa nonchalance quasi stesse raccontando la trama di un romanzetto rosa da edicola o si fosse trattato di un normalissimo argomento di conversazione, come il tempo “Oh, naturalmente temeva anche  di essere ferita da qualcuno che amava per davvero, perché tutte le relazioni avute prima di Cameron erano state vuote e dio poco importanza, e le aveva chiuse senza ripensamenti o altro.”

Ryo scoppiò a ridere, una risata calda e profonda, quasi inarrestabile, fanciullesca, che spiazzò l’imbarazzatissima Daniels, e gli procurò un altro calcio da parte di Kaori, che lo guardò inviperita, quasi rabida. 

“Ryo, ma ti sembra il modo di comportarsi?!” Sibilò, stringendo i denti. “E anche tu, Jane, non vedi che metti l’agente Daniels in imbarazzo?”

“Scusate, scusate, è che il consulente che lavora per vendicarsi del torto subito e si innamora della bella poliziotta che non gli rivela i suoi sentimenti per paura del rifiuto, è, come dire…” Si chinò verso Jane, ridacchiando. “Non è esattamente una storia nuova, eh vecchio mio?”

“Va bene, va bene, siamo tutti un grande cliché Hollywoodiano, sei contento?” Jane sbuffò, asciugandosi con un tovagliolo di carta le labbra carnose. “Adesso, potremmo arrivare al punto? Spiegarvi bene cosa è successo?”

“Ci metterò un po’…” Kay li guardò, scusandosi non a parole ma con gli occhi limpidi.

“Già… il primo prologo di questa storia ha inizio negli anni venti del secolo scorso.” Jane prese a dire, con un pomposo eloquio. Sebbene quella fosse la storia di Kay, si sentiva che spettasse a lui narrare quei fatti: era un contastorie, un giullare, quello era sempre stato il suo compito. “… Quando gli uomini più ricchi degli Stati Uniti d’America ingaggiano due illusionisti e maestri dell’escapologia per costruire un luogo segreto in cui nascondere le loro ricchezze ed i loro segreti. I due però fanno un lavoro talmente eccellente che nessuno ha mai scoperto dove questa stanza si trovi, ed il segreto della sua esistenza si perde, divenendo poco più di un mito, una leggenda metropolitana a cui nessuno crede.”

“E se nessuno sapeva che esisteva com’è che voi lo avete scoperto?” Lo sguardo ed il tono di Ryo lasciavano capire che era recalcitrante a credere alle parole di Jane. 

“Perché uno dei due illusionisti era il bisnonno di Cameron.” Kay continuò per il “collega”, sospirando. “Il mio consulente. Suo bisnonno aveva scritto di questo tesoro in un diario, racchiudendone l’ubicazione in un testo cifrato. Probabilmente credeva che sarebbe sopravvissuto a tutti gli altri, e che avrebbe potuto impossessarsi di quelle ricchezze.”

“Quindi…” Kaori si portò un dito al mento e sollevò leggermente lo sguardo. “Cameron ha scoperto di questo tesoro dal bisnonno?”

“Oh, no, in realtà qui arriva la parte piccante della storia: In punto di morte, il bisnonno di Cameron lo raccontò al figlio, che fece lo stesso con il suo, di erede, il quale lo raccontò alla sua amante, una ladra che lui aiutava di tanto in tanto, e lei lo ha raccontato alla figlia e la figlia l’ha raccontato a Cameron e suo fratello Jonathan.” Jane ridacchiò. “In pratica è una storia di ricatti, denaro, torbido sesso, passioni malcelate e sindrome di Elettra.”

Kaori sgranò gli occhi, e balbettò. “Ehm… credo di essermi persa un paio di passaggi….”

Jane alzò gli occhi al cielo; in modo esagerato, teatrale, sospirò, comportandosi quasi stesse facendo loro un favore graziandoli della sua presenza. “Per farla in breve: per convincere Cameron ad aiutarla, la nostra giovane ladra ha incastrato Jonathan per omicidio, ma quando ha capito che lui era comunque riluttante a tradire la qui presente Kay ha pensato bene di mettere i due fratelli l’uno contro l’altro. La mia teoria è che abbia detto a Johnny che Cameron avrebbe preferito aiutare Kay piuttosto che rischiare il posto di lavoro di lei per un nulla di fatto.”

“E così si è beccata Jonny come aiutante e Cameron li ha seguiti comunque, perché vuole tirare fuori dai guai il fratello.” Ryo terminò per l’amico, lo sguardo serio e cupo. Famiglia, amore  e tradimenti: era un argomento che lui conosceva fin troppo bene. “Quindi, cosa devo fare, recuperare Cameron?”

“No, Cameron e Jonathan devono capirlo da soli che io voglio solo il loro bene.” Kay puntualizzò, battendo l’indice destro sul tavolo di formica. “Ho solo bisogno che lei faccia in modo che Cameron non si metta in guai da cui non potrà mai uscire.”

“Quindi, salvargli la pellaccia?” Ryo sollevò il sopracciglio. “E comunque, niente formalismi, che mi fanno venire l’orticaria… Ryo o Saeba va benissimo, senza bisogno di darmi del lei!”

Kay si limitò ad annuire, grata quando fu Jane a riperdere la parola.

“Salvargli la pelle è solo metà dell’opera. Ciò di cui abbiamo bisogno è che tu impedisca che il trio rubi quella che credo essere la chiave di codifica del diario del bisnonno Black, ovvero… questo!” Jane sbattè sul tavolo ciò che fino ad un attimo prima aveva avuto in tasca; si trattava di una fotografia di Serpenti, il collier che era certo celasse la risposta a tante, troppe domande. “Si tratta di….”

“Serpenti, un collier di Bulgari della metà degli anni venti del secolo scorso, appartenuto alla moglie di Howard Hughes, il primo modello della casa realizzato in questo modo…” Kaori sorrise compiaciuta, mentre  prendeva in mano la foto e la studiava meglio, più da vicino. “Tra pochi giorni verrà messo in mostra all’interno della gioielleria di Bulgari, nella loro torre qui a Tokyo.”

“Ah, ma vedo che siete informati, non ditemelo…” Jane sorrise sornione, estremamente compiaciuto. “Bulgari ti ha assegnato il controllo della sicurezza su consiglio dell’Ispettrice Nogami!”

“Bella coincidenza, eh?” Ryo sorrise, guardando Kaori prima e Jane poi. “Anche se, potrei sbagliarmi, ma tu alle coincidenze non ci hai mai creduto troppo…”

“Sai, credo che tu stia già avendo un’idea…” Jane si illuminò, mentre Kay guardava i due uomini sentendosi quasi di troppo, inutile in tutta quella faccenda di cui si sentiva in parte responsabile, mentre la sua mente si affollava di se e ma. “Hai un piano?”

“Diciamo che ho un abbozzo di piano, per adesso!” Ryo ridacchiò, dita intrecciate dietro la testa. “Anche perché per stasera possiamo starcene tranquilli. I due bastardelli saranno tornati a casa da mammina che adesso sa che noi sappiamo…”

“Quindi colpirà da domani in poi, quando crederà che la nostra guardia sarà più bassa!” Kaori  lo anticipò, radiosa per quell’intuizione frutto di anni passati al fianco di Ryo. 

“Già…. Secondo il mio modesto parere colpirà dopo l’apertura della rassegna. Ora che i gioielli sono nel caveau, e che sappiamo che la signorinella ha intenzione di impossessarsi del collier, rubarlo sarebbe molto più complicato, aumentando così il rischio di essere scoperti. Quindi ci restano un paio di giorni…”

“Per individuare Cameron e Jonathan?” Kay domandò. 

“No, Tokyo è grande, e dovrei fare un giro di tutti i miei informatori per scoprire qualcosa, e non è nemmeno detto che accada. No, io direi di giocare al gatto e al topo, e far venire la nostra bella ladra da noi…” Ryo prese dalle mani di Kaori la foto di Serpenti, e la guardò mentre la teneva sollevata in aria. “E per farlo… dovremo rubare Serpenti prima di loro!”

La porta d’ingresso del caffè si aprì, con un lieve scampanellio, e prima ancora che un viso,  un corpo, udirono una voce squillante  e allegra, giovane, che sprizzava spensieratezza.

“Buongiorno a tutti, e scusate il ritardo!” La donna si bloccò quando nessuno ricambiò il saluto, e sbattè le palpebre quando avvertì quattro paia di occhi concentrarsi su di lei – occhi che sogghignavano. 

Ingoiò a vuoto, tentata di tornare da dove era venuta, poi però i suoi occhi si fermarono su Ryo ed il suo cuore prese a battere forte, mentre le gote le si imporporavano… certo, sapeva che non aveva speranze con lui, e che forse non era mai stato realmente interessato, però c’erano giorni in cui era davvero complicato ricordarsi perché doveva farsi passare quella colossale sbandata senza speranza alcuna. 

E Ryo questo lo sapeva: e capitava che se ne approfittasse. 

“Kasumi, proprio la donna che fa al caso nostro!” Esclamò lui facendole l’occhiolino. “Ti va di aiutarci a rubare un gioiello unico al mondo?”

Lei, che aveva notato l’uso della prima persona plurale, si avvicinò al tavolo, mano sul fianco, e osservò i due sweeper, sentendo puzza di fregatura. 

“Dove sta l’inghippo?” Gli domandò lei, scettica, ormai conscia che la regola numero uno per sopravvivere in quel mondo era dubitare, sempre dubitare, delle idee di Ryo Saeba.

“Che me lo dovrai dare perché altrimenti Kaori ed io non verremo pagati, e tu non vuoi farmi questo torto, vero?” Lui le rispose con un leggero broncio, sbattendo le ciglia nemmeno fosse stato una ragazzina petulante che cercava di convincere il fidanzatino a darle quello che lei voleva.

Kasumi sospirò, ben conscia di cosa sarebbe successo: ormai lo sapeva con certezza assoluta, avrebbe aiutato Ryo… col risultato che si sarebbe messa in un mucchio di guai. Ma chissà: forse, glielo doveva. 

Kasumi borbottò qualcosa tra sé e sé, abbassando le spalle mentre sentiva salire il rancore verso Ryo, che sfruttava il suo charme, e sé stessa, che ci cascava sempre: allo sweeper era bastato un nonnulla- praticamente una sola domanda – per convincerla ad aiutarlo. Non che andasse poi così male…. Kasumi adorava punzecchiare Kaori, flirtando in modo esagerato con il di lei socio, e comunque, ultimamente si stava annoiando un po’, e non voleva assolutamente arrugginirsi: quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva fatto irruzione da qualche parte? Troppo, decisamente.  “Allora, sentiamo.”  Gli domandò con un sorriso smagliante, sfiorandogli con un indice la fronte e tenendo gli occhi beffardi fissi su Kaori. “La tua bella testolina  ha già prodotto un piano?”

“Che razza di domanda, certo che sì!”

Da qualche parte, a Tokyo…

Cameron stava seduto in un angolo buio dell’umido salone scuro, da solo, braccia conserte. Da lontano, osservava tutto, e ascoltava i rumori dei mondo esterno, alla disperata ricerca di qualche indizio che gli potesse far capire dove fossero – dove, in quel van dai vetri oscurati, quella donna li avesse condotti. 

Nulla: quella realtà gli era completamente aliena. 

La mascella serrata in una morsa dolora, si alzò lentamente, e si avvicinò quatto, silenzioso, nemmeno fosse stato un cucciolo ferito, al centro dell’enorme spazio industriale, quasi totalmente vuoto – lì, lei, la donna ancora senza nome, stava controllando le planimetrie di un qualche edificio insieme a Jonathan, giocherellando intanto col tubetto di rossetto Chanel.

Guardami, Cameron pensò, dirigendo il pensiero al fratello gemello, quasi questi avesse potuto percepire cosa gli stava passando per la testa.  Perché la aiuti? Perché le credi? Un tempo eravamo noi contro il mondo: cosa è cambiato?

“Fratellino, tornatene al tuo posto e lasciaci lavorare.”  Jonathan si voltò, e Cameron si sentì raggelare, non riconoscendo chi aveva davanti. Alzò gli occhi e vide lei, sorridere quasi malvagia, sinistra…. Soddisfatta. 

Era riuscita nel suo intento: li aveva messi l’uno contro l’altro, tranciando una volta per tutte il legame che li aveva tenuti insieme dal giorno del loro concepimento. Aveva conquistato un Black e distrutto l’altro: ciò che aveva sempre desiderato fare, il suo obbiettivo principale. 

La sua vendetta.

Il portone in ferro e vetro si apri con un cigolio sinistro, scorrendo nella sua base, e odore di fumo e polvere entrò nello stanzone, insieme ad un raggio di luce. Il portone venne sbattuto, facendo perfino muovere il lampadario appeso al soffitto- una singola lampadina che da sola dava l’illuminazione, fioca, necessaria.

“Si può sapere perché diavolo ci avete messo così tanto?!” La donna sbottò, in quello che poteva sembrare un perfetto giapponese, sbattendo la penna che teneva in mano sul tavolo, sopra alle cartine, facendo uscire dal pennino dell’elegante stilografica rivoli di inchiostro nero. 

Mentre i passi si avvicinavano, lenti e strascicati, lei lasciò la sua postazione e andò loro incontro. Il suo sguardo era freddo e crudele, quello di una donna che non permetteva errori o dubbi, e che trattava i suoi subordinati senza pietà: dato che nulla le era stato donato, lei era divenuta intransigente, aspettandosi di avere il mondo ai suoi piedi. 

Per lei, le cose potevano andare soltanto in un modo: secondo i suoi piani, e finora non aveva mai fallito. Certamente non lo avrebbe fatto ora, quando era a tanto così dal raggiungere quello che era stato l’obbiettivo della madre, e che col tempo era divenuto il suo.  

“Cosa diavolo avete combinato, brutti incapaci?” La donna sibilò quando si trovò davanti i suoi uomini; uno di loro era sporco di sangue, il rosso liquido si era ormai seccato sul mento e sul petto, permeando l’aria di un puzzo ferroso che le fece storcere il naso quando provarono ad avvinarsi troppo. “Allora? Dove sono quei due??” Abbaiò. 

I due uomini si scambiarono sguardi impauriti, al limite dell’impacciato; nella loro bassa statura, sembravano ancora più piccoli ed inutili; Cameron si avvicinò titubante, cercando di ricordare quelle quattro parole in croce che conosceva di Giapponese, ma l’unica cosa che gli sembrava di caprie era che lei era delusa e furibonda. 

“Avevamo la poliziotta e l’Americano in pugno, ma loro hanno chiesto aiuto…. Hanno ingaggiato City Hunter per difenderli…”

“City Hunter.” La donna sentenziò. “Loro avrebbero ingaggiato una leggenda metropolitana.”

 La mente di Cameron prese a viaggiare alla velocità della luce. Cosa aveva capito di quel discorso?

Una parola simile a polizia: che stessero parlando di Kay? Evidentemente, doveva aver capito dove erano diretti dalla copia del diario che lui le aveva fornito, ma rimaneva comunque un dubbio: chi era l’americano di cui i due parlavano?

E soprattutto…. Cosa centrava City Hunter in tutta quella faccenda? 

Cameron ricordava le parole sussurrate  quando era stato solo un ragazzino, le chiacchiere da bar dello staff di suo padre. 

Nei locali fumosi, sussurravano quel nome con reverenziale terrore. 

Nelle strade della perdizione, lo imploravano quasi fosse una preghiera. 

Per anni, Cameron aveva creduto che quel nome fosse solo una favola, una leggenda: ma adesso scopriva la verità. City Hunter, l’incubo dei criminali, dei senza onore, esisteva – ed aveva preso Kay sotto la sua ala protettrice. 

Cameron sorrise di nascosto, soddisfatto e fiero di lei: nonostante quella donna pericolosa, era ormai certo che Kay sarebbe sopravvissuta. 

“Fate i bagagli in fretta, dobbiamo andarcene da qui!” Lei sentenziò, voltandosi e tornando al suo tavolo. Le planimetrie erano ormai rovinate, inservibili, illeggibili, e lei le appallottolò, lanciandole contro un muro, contro cui rimbalzarono prima di cadere a terra. “Il colpo è rimandato. Aspetteremo l’inizio della mostra per agire!”

Jonathan fece come gli venne detto, mentre invece Cameron, titubante, rimase indietro, quasi una forza sconosciuta, sovraumana, lo stesse tenendo immobile i quel preciso punto: lei aveva parlato in inglese, nonostante fosse chiaro che i due uomini non ne capissero una sola parola. 

Perché?

E perché la cosa faceva raggelare il sangue all’illusionista? 

La donna lesse la titubanza sui visi dei suoi scagnozzi, e si avvicinò loro; sulle labbra scarlatte aveva dipinto un ghigno sinistro, crudele, che ricordava quello pazzo del Joker di Batman, in certe storie truculente e terribili che impaurivano anche gli adulti.

Ho detto ai miei amici di andare a fare i bagagli. Ora che City Hunter sa dove siamo, questo posto potrebbe non essere più sicuro…”

Offrì la mano ad uno dei due uomini, che sorridendo e facendo cenno di sì col capo la afferrò, stringendola. Lei azzerò la distanza che li separava, e fece come per abbracciarlo, ma quando Cameron vide il rivolo di sangue uscire dalla bocca, ed il corpo accasciarsi a terra, capì che il suo era stato tutt’altro che un gesto d’amicizia. 

La donna pulì la lama del coltello sulla camicetta bianca, con lucida freddezza, poi si voltò verso il compare della sua vittima. L’uomo prese a correre all’indietro, ma cadde ed inciampò, e lei, impassibile, continuò la sua marcia. 

Dalla cintola dei pantaloni estrasse una pistola: sparò un solo colpo, in fronte, e poi dette un calcio al cadavere.

Cameron teneva una mano sulla bocca, mentre sentiva il sapore di acido riempirgli la gola, la bocca, e lo stomaco si chiudeva, in una morsa quasi dolorosa.

Non aveva avuto dubbi, incertezze. 

Loro avevano fallito, avevano messo a repentaglio il piano – e per questo erano stati puniti. 

Come tanti altri prima di loro. Come sarebbe potuto succedere anche ai gemelli Black. 

Cameron si voltò verso il fratello, gli occhi enormi, pozze in cui si rifletteva il mondo. Jonathan non fece nulla, non rispose, non guardò il fratello. E poi, avvenne.

I loro sguardi, dopo tanto, troppo tempo, si incrociarono di nuovo, solo per un attimo, una frazione di secondo appena – e Cameron vide la paura ed il dubbio insinuarsi in lui.

Li stava usando? 

Davvero provava affetto profondo e vero per lui?

Lo aveva manipolato fin dal primo momento in cui i loro occhi si erano incontrati, quel giorno a New York, oltre le transenne? 

Lo ha capito, Cameron si disse. E se non lo aveva capito… lo avrebbe comunque fatto, presto. 

Nel cuore sentì irradiarsi un calore profondo, mentre prendeva spazio la consapevolezza che non era stato tutto vano, tutto inutile.

Jonathan non era ancora perduto- e lei era destinata a cadere, vittima della sua stessa tracotanza. 

La partita non era ancora finita: il bello dei giochi doveva ancora venire.

 
   
 
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