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Autore: Raptor Pardus    19/01/2022    0 recensioni
Racconto breve presentato al concorso Tutto Cambia di Teatri di Bari: partendo dall'incipit di Gianrico Carofiglio, la storia racconta il percorso di crescita di una ragazza che cerca la forza di perdonare la propria famiglia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dal cielo scendeva una pioggia violenta e costante, a volte scossa da improvvise raffiche di vento. Eravamo seduti sotto i portici, a pochi metri dall’acqua, il mondo pareva scisso in due parti e l’effetto aveva qualcosa di incomprensibilmente rassicurante. Tutto cambia davvero, pensai, ricordando quanta inquietudine mi dava quel posto, dieci anni prima, nella mia vita precedente.
«Serve una mano?» mi aveva chiesto Gio’ il giorno che mi aveva trovata lì, arroccata sulla ringhiera laccata di bianco. Anche allora pioveva e senza pensarci mi offrì la sua giacca, mentre mi accompagnava a casa, lontano da quei portici e da quella ringhiera che separa i vivi dal mar ribollente trenta metri più sotto.
La vertigine mi aveva sempre inquietato, ma da allora era stata scalzata dalla piacevole malinconia dei ricordi: la tazza di cioccolata fumante nel salotto di Gio’, la sua libreria bianca. La passione per De Chirico e Woolf. La prima volta che abbiamo fatto l’amore. La convivenza proposta con la stessa leggerezza con cui mi ha presentato Bigio, il nostro nuovo gatto. Gli scatoloni chiusi insieme e caricati al suo tre su un furgone rosso mezzo vuoto, le nostre schiene doloranti.
Gio’ coltivava zagare sul nostro balcone e sognava di vivere in campagna, io avevo paura delle api e da lì mi tenevo alla larga.
«Un giorno troverai il coraggio» mi diceva, e poi sussurrava: «Andiamo, Gaia, vieni ad ammirarle.»
Ma io non sono mai cambiata e la paura m’è rimasta, anche se Gio’ mi stringeva la mano. Me la stringeva anche quando venne mio padre a farci visita, a chiedere come stavo, a dire che aveva capito e alla fine mi avevano accettato.
Gio’ mi aveva chiesto se volevo dirgli qualcosa prima di sbattergli la porta in faccia, ma l’unica cosa che sentivo era la nausea.
«È sempre la paura» ripeteva Gio’, «Fatti forza, come quella volta che ti ho offerto la mia giacca là sotto i portici.»
Ma era tutto inutile: io stavo bene nascosta sul suo sofà, coccolata da una tazza fumante e protetta dal fido Bigio, sempre lì, ronfante tra le mie gambe.
Non le ho mai detto che sono allergica al pelo di gatto, anche dopo che ci siamo lasciate.
Lei era un po’ stanca, io a volte assente, perennemente paralizzata dal dubbio di star facendo bene. Però capii io quando lasciare la scena.
Gio’ continuava ad essere gentile anche se non doveva, anche se aveva una nuova compagna. Ogni Natale e compleanno mi spediva un vasetto di miele.
Io invece ero tornata a casa, per un attimo, per permettere a papà di passeggiare con me. La pioggia è stata un imprevisto, come la nostra sosta forzata sotto i portici.
E ora eravamo là, seduti ad ammirare la ringhiera ormai scrostata e assediata dall’acqua che corrode ogni cosa, e intanto papà confessava non un solo giorno ma una vita di colpe.
E per una volta, mai troppo tardi, concedevo il perdono.
   
 
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