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Autore: Nina Ninetta    20/01/2022    4 recensioni
[Prima classificata e vincitrice del premio "Scontro Entusiasmante" al contest “La Dama del vento” indetto da Spettro94 sul forum di EFP”]
Dama del vento, presagio di morte, braccia ansiose di afferrare un’anima innocente e strapparla alla vita, è una maledizione che infesta ogni reame del Continente Abitato. La regina Deme ha convocato un potente mago dell’accademia affinché epuri questa minaccia una volta per tutte, assieme a una guarnigione scelta di guerrieri provenienti da ogni angolo del mondo. L'Arcimago Volkàn ha scelto il suo prediletto, ma qualcosa va storto e un altro mago prenderà il comando della missione, perlomeno all'inizio di questa avventura...
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III.

 
 
Osihria, Capitale del Regno Magico
 
Quando la dirigenza partita da quello sperduto villaggio tra il Regno del Vento e il Regno di Metallo giunse a Osihria, erano trascorsi tre giorni.
Edgemas cominciava a credere che non sarebbero più arrivati. Certo, durante il viaggio erano stati attaccati un paio di volte dai lupi e avevano avuto problemi con una ruota del carro che si era affossata nel fango, inoltre il cocchiere temeva la notte come la peste, diceva che esseri pericolosi abitavano le strade, perciò era meglio non viaggiare per non rischiare di risvegliare le anime dei morti ammazzati.
Edgemas era stato tentato di proseguire a piedi, ma sapeva che se fosse sceso da quella carrozza, le sue gambe lo avrebbero portato altrove, lontano dalle torri di cristallo di cui aveva scorto il bagliore a chilometri di distanza.
Adesso si ergevano alte e imponenti proprio alle spalle del castello. Sembrava non fosse trascorso neanche un giorno da quando era andato via, eppure di cose ne erano capitate.
Incamminandosi per le strade della capitale si chiese come avesse trovato l’Arcimago, se lo avesse accolto con il sorriso o fosse contrariato. Seth aveva detto che chiedeva di lui, aveva una missione da affidargli: uccidere la Dama del Vento.
Mentre risaliva le viuzze notò come quella città fosse mutata poco da quando era andato via, anni addietro. Le case di mattoni grigi continuavano a provocargli la sensazione di soffocamento, le persone erano fin troppo numerose per quelle stradine e il mercato nella piazza centrale caotico come lo ricordava. Si vendevano animali vivi, altri morti, qualcuno già macinato e pronto all’uso. Stoffe dai colori sgargianti provenienti da ogni angolo di mondo conosciuto; odori speziati permeavano l’aria donando una sensazione di vertigine e nausea.
Edgemas lo attraversò calandosi il cappello del mantello sul capo: tutto ciò era uno dei motivi per cui aveva lasciato Osihria. Camminava con il capo chino e le spalle curve, senza curarsi delle persone che involontariamente urtava. Tra queste si scontrò con una ragazza, la quale non si lagnò della spallata ricevuta né rischiò di inciampare, era ben piazzata, con le spalle muscolose, di certo differente dalle giovani di Osihria.
Edgemas incrociò il suo sguardo, aveva occhi scuri e la pelle color caramello, anche lei con un cappuccio calato sul capo. Si fissarono per qualche secondo, senza indietreggiare, entrambi consapevoli di trovarsi di fronte a un forestiero della capitale. Il mago proseguì per la sua strada, forse il più distratto fra i due, il suo unico pensiero era quello di raggiungere il palazzo di cristallo, sentire ciò che Volkàn aveva da dirgli, e ripartire il più presto possibile.
 
Beanka dal canto suo lo pedinò. Charlotte le aveva chiesto personalmente di indagare sulla regina Deme, di scoprire se avesse un piano B, di aprire gli occhi e fare attenzione a qualsiasi cambiamento o indizio la insospettissero. E l’uomo che aveva appena urtato l’aveva incuriosita abbastanza, soprattutto quando aveva notato la punta di un bastone che fuoriusciva dal lungo mantello grigio che indossava.
Era un mago, dunque? Vestito come un mendicante? Qualcosa non tornava…
La compagnia era partita da un paio di giorni, ormai dovevano aver raggiunto il Regno di Metallo, e sebbene l’amazzone si sforzasse di vedere il lato positivo della sua personale missione, scalpitava dalla voglia di lasciare Osihria, quindi prima avrebbe scoperto qualcosa, prima sarebbe potuta tornare a Scizia a riferirlo alla sua regina.
Beanka vide lo straniero entrare nell’Accademia, le sentinelle all’ingresso del grande portone di vetro gli sbarrarono la strada con i propri bastoni, conversarono un po’ – purtroppo non riuscì a cogliere cosa si stessero dicendo – e infine lo lasciarono passare senza opporre resistenza. Pensò di fare lo stesso, se ci era riuscito lui non vedeva perché con lei avrebbero dovuto fare problemi.
«ALT!» I bastoni delle guardie magiche si unirono a formare una specie di croce, sbarrandole il passaggio. «Solo i maghi o coloro che hanno udienza con l’Arcimago possono entrare nell’Accademia».
«Io… ho udienza con l’Arcimago» mentì l’amazzone.
Una delle due guardie mosse gli occhi per guardarla.
«Parola d’ordine.»
«Che?»
«Sparisci, donna!»
Beanka fu sul punto di protestare, ma l’occhiata delle sentinelle le fece cambiare idea e fare dietrofront. Avrebbe atteso l’uscita dello straniero nascosta tra i cespugli che costeggiavano la strada.
Dopo due ore dell’uomo incappucciato neanche l’ombra, eppure qualcosa si era smosso in quel lasso di tempo infinito: anche la regina Deme aveva varcato la soglia dell’Accademia di Cristallo.
 
 

Osihria, Accademia dei Maghi ₰
 
L’Arcimago Volkàn si muoveva agitato, calpestando ogni centimetro della sala, facendo cozzare con violenza la punta del suo bastone sul pavimento. Quando la guardia gli aveva annunciato l’arrivo a palazzo del mago Gareth Edgemas Anders quasi non aveva creduto alle sue orecchie. Edgemas? A palazzo? Ma non era partito con il resto della compagnia? Seth… cosa aveva combinato?
Ripensò ai numerosi inviti che la regina Deme gli aveva fatto recapitare nelle ultime ore, ai quali lui aveva rinunciato con garbo e fermezza. Quella donna non le piaceva, temeva che uccidere la Dama del Vento fosse solo un modo per avere un tornaconto personale. Ma adesso, trovandosi Edgemas a pochi metri da lui, si pentiva amaramente di non aver accettato di presiedere almeno a uno di quegli inviti.
Quando il giovane mago varcò la soglia della sala, Volkàn si arrestò, osservandolo a lungo. Era cambiato, era più magro e vestito di stracci, i capelli si erano allungati e non avevano un taglio definito, anche la barba era incolta e urgeva una sistemata, ma era lui, il suo caro ragazzo.
«Edge…» lo chiamò.
«Ehi, Volkàn, ti trovo invecchiato!» Scherzò il Mago Vikingo, provando un profondo sollievo nel constatare che sì, gli anni cominciavano a farsi sentire sulle spalle del suo maestro, ma tutto sommato stava bene. Tuttavia, si allarmò vedendolo muoversi nella sua direzione, afferrandolo per le braccia e scuotendolo:
«Ho paura che Seth ne abbia fatta una delle sue! Ho paura che abbia preso il tuo posto nella compagnia.»
«Calmati vecchio, sono qui adesso! Dimmi cosa devo fare!».
L’Arcimago ordinò a una delle sue guardie di convocare immediatamente la regina Deme, poi iniziò a raccontare a Edgemas del piano della sovrana di annientare una volta per tutte la Dama del Vento. Per questo motivo, aveva chiamato a raccolta i tre regni alleati, chiedendo loro di scegliere i migliori guerrieri e a lui di mettere a disposizione della missione il più potente dei maghi. Volkàn si era detto contrario a questa follia, la Morte di Bianco Vestita era un’entità malvagia e potente, pari a un dio, dei semplici uomini non avrebbero potuto annientarla. Ma la donna non aveva voluto sentire obiezioni, affermando che questo era il volere del re Taliesin. A quel punto, l’Arcimago non si era potuto rifiutare, inoltre sconfiggere la Dama del Vento avrebbe significato porre fine alla piaga peggiore del mondo conosciuto. La gente era stanca, viveva nel terrore che le proprie bambine venissero ammazzate nel sonno, si organizzavano ronde notturne e l’angoscia cresceva quando si accorgevano che a nulla erano servite per evitare il peggio.
C’era tuttavia un altro problema: una leggenda che circolava tra i popoli diceva che chiunque avesse mangiato il cuore della Dama ne avrebbe acquisito i poteri. Volkàn sospettava che in realtà la regina di Osihria mirava proprio a quello, magari era il medesimo obiettivo degli altri regnanti. Lui non sapeva se quelle voci fossero vere, ma se lo fossero state l’equilibrio del Continente Abitato, raggiunto non senza sforzi, sarebbe stato messo in discussione. Perciò, alla fine, aveva accettato di mandare il suo migliore uomo in missione, a patto che fosse stato lui il punto di riferimento della compagnia, il resto dei guerrieri sarebbe dovuto essergli di supporto. L’Arcimago non aveva avuto dubbi su chi scegliere: Edgemas, un Elementalista potente, assennato e giudizioso, che avrebbe saputo cosa fare al momento opportuno. Aveva chiesto a Seth di scovarlo e portarglielo, ma qualcosa era andato storto.
Edgemas, dal canto suo, spiegò al maestro come erano andate le cose, Seth l’aveva sì incontrato, peccato che gli avesse teso una trappola e lui non aveva potuto fermarlo.
I due stavano ancora discutendo quando la regina Deme varcò le porte di cristallo dell’Accademia, indispettita come non mai.
«Volkàn! Ho chiesto di voi per giorni e tutti gli inviti mi sono stati negati! Adesso pretendete la mia presenza qui…». La donna avanzò nella sala, muovendosi con agilità nonostante l’ingombrante gonna di crine, quindi osservò l’uomo mal vestito al fianco dell’Arcimago.
«Deme, non è il momento della collera. La compagnia è partita?»
«Sì. Due giorni fa».
Volkàn si sedette sulla sua poltrona di vetro, una sorta di trono, sorreggendosi il capo con la mano.
«C’era anche un mago con loro? Come si chiamava?»
«Seth, un egocentrico narcisista. Spero che tu abbia scelto bene, perché gli ho affidato probabilmente la guerra più importante che il mondo conosciuto avrà mai combattuto!» Tuonò Deme, lanciando di tanto in tanto un’occhiata a Edgemas.
«Mi dispiace, mia regina, non era Seth l’uomo che avevo scelto. Ha ingannato me e ha ingannato voi. Lui è il mago giusto». Volkàn finalmente lo indicò, poi tornò in posizione eretta, sembrava essersi ripreso dal colpo. «Edgemas, prendi il cavallo più veloce e raggiungi la compagnia. Viaggiando da solo dovresti riuscire ad arrivare a Eos, capitale del Regno del Vento, prima che lo facciano loro. Conosci strade secondarie e scorciatoie per evitare demoni e bestie feroci. Avrei voluto avere più tempo per chiacchierare con te come eravamo soliti fare, davanti a un buon vino caldo e cibo, ma non è questo il momento più adatto. So di chiederti molto, sarai stanco e affamato. Prendi tutto quello che ti serve dalle cucine, fai scorta di ogni cosa, ma ti prego, parti subito».
«Sì, maestro!» Il mago Vikingo accennò un leggero inchino nei confronti di Deme, la quale gli disse:
«La compagnia non entrerà a Eos, ci sono delle amazzoni. Valicheranno le Montagne Ululanti passando per la miniera, la loro meta sarà Vanesia. Se non riuscirai a raggiungerli nella Citta della Pioggia non potrai più farlo.»
«Ho capito», il mago fece per lasciare la sala di cristallo, quando Volkàn lo chiamò un’ultima volta:
«Non so come sconfiggere la Dama del Vento, ma semmai doveste riuscirci, ricordati di portarmi il suo cuore: lo distruggerò personalmente per essere certo che nessuno lo sfiori!».
A quelle parole la regina del Regno Magico si irrigidì, ma non proferì parola, mentre Edgemas annuì con il capo e uscì.
 
 
Beanka vide Edgemas passarle davanti, senza accorgersi di lei mimetizzata fra i cespugli. Portava con sé uno splendido esemplare di giumenta, dal manto bianco come la neve. La sella di ottimo materiale era stata appesantita da sacchi di tela e borracce: era facile immaginare che l’uomo fosse pronto a intraprendere un viaggio. Lo seguì, con il cappuccio calato sul capo e la testa china, provando a mischiarsi alla folla del mercato, poi lo vide legare il cavallo a uno dei pali di legno davanti alla taverna. Beanka si stupì, che non fosse in procinto di partire?
Indecisa sul da farsi, alla fine entrò anche lei nel locale. Immediatamente un forte odore di sidro e tabacco le fece storcere il naso, non aveva mai amato gli odori forti, men che meno quelli che ricordavano gli uomini, i più grezzi. Ma non doveva distrarsi, la sua regina le aveva affidato un compito e dopo giorni di inattività sentiva che qualcosa cominciava a muoversi. Notò un pezzo di stoffa del mantello grigio del mago sparire oltre la porta in fondo, non capiva cosa avesse in mente.
L’amazzone si guardò attorno furtivamente, mentre attraversava l’intera sala e raggiungeva la medesima porta. L’aprì, accertandosi che nessuno la seguisse, poi la richiuse con garbo alle sue spalle, ma non ebbe neanche il tempo di comprendere dove si trovasse, poiché si sentì afferrare per il collo e sbattere contro l’anta di legno, umida e ruvida. Qualcuno le tirò via il cappuccio dalla testa, rivelando i suoi ricci e scuri capelli intrecciati, lunghi quasi al ginocchio. Beanka cercò di divincolarsi, senza riuscirci: l’uomo incappucciato le teneva i polsi stretti in una morsa e un gomito spingeva contro la nuca.
«Chi sei? Chi ti manda?» Le chiese.
«Non mi manda nessuno. Lasciami!» Rispose lei, continuando a dimenarsi sperando di alleggerire almeno un po’ la pressione alla base del collo. «Lasciami!».
Edgemas riconobbe l’acconciatura, l’abbigliamento e la forza tipica delle donne di Scizia. Era un’amazzone, nessun’altra femmina avrebbe potuto avere quella potenza e quei muscoli, neanche le donne del Regno di Metallo che si distinguevano per i loro capelli arruffati e la stazza imponente, da matrona vichinga, ma non muscolosa. Perché, dunque, un’amazzone lo stava inseguendo? Ricordò le parole pronunciate pocanzi dalla regina Deme: la compagnia non avrebbe sostato a Eos giacché vi erano delle amazzoni e lì, nella capitale del Regno del Vento, non erano le benvenute.
«Sei un’amazzone?» Le domandò solo per avere conferma, ma lei non rispose, quanto meno sembrava aver smesso di dibattersi. «Ti lascerò andare, ma tu dovrai dirmi perché mi stavi pedinando.» Ancora nessun accenno di consenso. «Ci siamo intesi, donna?». Questa volta la ragazza annuì, tuttavia, appena avvertì la pressione alleggerirsi sul suo corpo, si voltò di scatto e atterrò sul Mago Vikingo, facendolo capitolare con la faccia sul pavimento, con lei cavalcioni sopra schiena. Gli afferrò entrambe le braccia e gliele contorse all’indietro, facendolo urlare di dolore.
Solo allora Beanka si accorse di trovarsi al chiuso e non all’aperto come aveva creduto. Era la dispensa della locanda, formaggi e salumi pendevano dal soffitto, mentre la superficie era occupata da decine e decine di botti. L’umidità e l’odore di cibo creavano un miasma nauseabondo.
«Sei entrato nell’Accademia, poi ne sei uscito con un cavallo e scorte per un anno, perché?»
«Che lungimiranza, complimenti amazzone!»
Beanka gli torse ancora un po' le braccia e lui di nuovo urlò. La sopportazione al dolore fisico non era mai stata il suo forte.
«Credo che siamo qui per lo stesso motivo, donna! Lasciami andare e…»
«No, me lo dirai ora!»
Edgemas socchiuse gli occhi, iniziando a sussurrare parole incomprensibili a fior di labbra. Non sarebbe voluto arrivare a tanto, usare la magia contro una donna violava alcuni dei suoi principi, ma se non avesse fatto qualcosa quella situazione non si sarebbe più risolta.
Le mani del mago cominciarono a diventare un blocco di ghiaccio, il quale si espanse lungo le dita di Beanka, raggiungendo ben presto il polso di quest’ultima che urlò spaventata. Ovviamente, sapeva dell’esistenza dei maghi e della magia, ma non ne aveva mai visto uno in azione, né tantomeno ne era stata vittima. D’istinto si alzò dalla schiena dell’uomo e sentì il ghiaccio cominciare a sciogliersi, quando poté tirò via le mani dai polsi di Edgemas, nascondendole sotto le ascelle per riscaldarle. Le nocche le dolevano come se avesse fatto a pugni con un demone rinoceronte.
Finalmente libero, il mago si mise in piedi e mimò il gesto di togliersi la polvere dal mantello. Adesso che poteva guardarlo bene in volto, Beanka si rese conto di averlo creduto più vecchio di quello che invece doveva essere; così come lui capì di avere a che fare con una ragazzina poco più che ventenne.
Il mago prese il proprio bastone, nascosto sotto al mantello, e ne indirizzò la testa verso l’amazzone. La pietra che vi era incastonata era di un rosso scuro, simile al sangue. Lei indietreggiò, non perché avesse paura di lui, ma temeva il potere magico di cui era padrone.
«Porgimi le mani, le riscaldo.»
L’amazzone scosse il capo, poi chiese:
«Cosa sei?»
Edgemas rise.
«Sono un mago e se un’amazzone è così lontana dai propri confini significa che ha una missione da svolgere. Solo non capisco perché tu non sia partita con gli altri…». Lasciò la frase in sospeso, ma vide l’espressione sul volto di Beanka mutare.
«Tu sei…» cominciò lei, ma il mago la interruppe, stanco di girarci intorno.
«Sono Gareth Edgemas Anders, l’elementalista scelto dall’Arcimago Volkàn per guidare la compagnia che dovrebbe annientare la Dama del Vento.»
«Tu? Quindi quel Seth non è…»
«Sei una tipa sveglia. Scusami, ma sono già in ritardo di due giorni, è ora di partire. Addio!» Edgemas tornò all’interno della taverna, seguito a ruota dall’amazzone.
«Portami con te!» Lo supplicò, accomodandosi sullo sgabello al suo fianco, mentre lo osservava ordinare all’omaccione al di là del bancone il miglior Ratafià che avessero. «Portami con te, potrei esserti di supporto. Sono potente, sai, conosco l’arte del combattimento e ho due pugnali» Beanka gli mostrò le armi affilate che nascondeva nelle custodie a incrocio dietro la schiena.
«Lo so che sei armata, ne ho riconosciuto la forma mentre ti tenevo contro la porta. Hai anche un fisico importante, devo ammetterlo». Edgemas bevve un sorso di sidro di ciliegia e arricciò il muso in una smorfia. Temeva che non avrebbe mai più assaggiato un Ratafià buono come quello che gli aveva offerta quella donna, nel piccolo villaggio sperduto.
«Quindi mi porterai con te?». Beanka si sporse in avanti e lui notò la sua pelle di ebano, liscia e soda. Aveva grandi occhi scuri, con venature color ocra; le labbra carnose e dipinte di rosso quasi tremavano, in attesa di un suo assenso. La lunga traccia pendeva in avanti, a guardarla pareva finta. Anche sotto al mantello che indossava, era facile immaginare i muscoli allenati delle braccia, e le mani affusolate erano ancora arrossate per il ghiaccio di pocanzi.
«No, sei una ragazzina. Se sei stata esclusa dalla compagnia ci sarà un motivo. Inoltre, forza fisica e armi bianche non servono a molto contro la Dama del Vento. Addio!» Si mise in piedi e con un fruscio di mantello uscì dalla taverna, ma di nuovo la ragazza gli fu dietro.
«La squadra che è partita in missione non sa chi tu sia. Pensano che Seth sia il mago scelto dal vecchio Volkàn per sconfiggere la Dama. Sono tanti e tutti potenti, ti attaccherebbero senza lasciarti il tempo di presentarti. Ma conoscono me, ci sono altre amazzoni nella compagnia, mi darebbero retta.»
Edgemas slegò il suo destriero e vi montò in groppa.
«Inoltre conosco la strada che percorreranno, tappa dopo tappa». La ragazza si afferrò alle redini del cavallo bianco, lo sguardo puntato in alto, fissi sul mago. Quest’ultimo chinò il capo per osservarla. Non c’era supplica in quegli occhi, solo determinazione e capì che qualsiasi cosa le avesse detto, lei lo avrebbe seguito, perché essere stata esclusa dalla missione si era rivelata fonte di collera, il suo orgoglio era ferito. E l’orgoglio di una donna poteva essere immenso e la sua vendetta micidiale.
«Come ti chiami, amazzone?»
«Beanka.»
«Quanti anni hai, Beanka?»
«Il valore di un guerriero non si misura in anni, mago.»
Edgemas rise. Già l’adorava.
«Dovrai trovarti un cavallo, io ti aspetterò davanti alle mura della capitale.»
Il volto di Beanka si illuminò in un sorriso.
 


Roccaforte Inespugnabile, Regno di Metallo ₭
 
Da’miàn di Delundel sedeva lungo il parapendio della fortezza, un ginocchio piegato e l’altro penzoloni nel vuoto. Soffiava all’interno di una vecchia armonica, così piccola che riusciva a tenerla nel palmo di una mano. La melodia era dolce e cullante, intonandosi alla perfezione con il cielo stellato che si estendeva a perdita d’occhio, oltre le Montagne Ululanti a nord. Da’miàn sapeva che proprio lì, ai piedi della catena montuosa, la sua gente si stava ritirando nelle case, pronta a trascorrervi la nottata. L’arciere chiuse gli occhi, emettendo le ultime note di quel canto tradizionale che aveva appreso da piccolo, semplicemente ascoltando sua madre mentre lo canticchiava.
Nella propria mente ripensò agli ultimi giorni vissuti lontano da Eos. Aveva già intrapreso altri viaggi lontano dal regno, ma quello era diverso. Conosceva i pericoli e l’equilibrio incerto che la missione comportava, inoltre non si fidava delle persone con cui avrebbe condiviso l’avventura. Non erano i suoi fidati amici, ai quali avrebbe consegnato la propria vita a occhi chiusi, no! Questi erano perfetti estranei, sconosciuti che non gli ispiravano alcuna fiducia: guerrieri del Regno di Metallo, noti per la loro forza bruta e l’egoismo, erano lupi solitari che agivano da soli, non sapevano cosa significasse combattere in squadra. Un mago eccentrico che si credeva la star dell’intera faccenda. Infine, amazzoni: donne votate alla guerra che avevano rinnegato la loro natura femminile.
Si chiese in che modo speravano di richiamare l’attenzione della Dama del Vento, un essere effimero che nessuno aveva mai visto. Si raccontava che avesse una chioma di seta bianca al posto dei capelli, occhi dello stesso colore delle foglie bagnate di rugiada e che potesse assumere qualsiasi forma desiderasse.
L’arciere si accorse di uno spostamento di aria appena percettibile per chiunque altro. Smise di suonare e senza voltarsi indietro chiese all’ultima arrivata se per caso si fosse persa.
Rhia si accomodò al suo fianco, facendo oscillare entrambe le gambe oltre le mura di cinta.
«Ti ho sentito suonare. È una melodia molto bella», disse la ragazza. Lui non rispose, continuò a tenere lo sguardo puntato a nord. La lontananza da casa cominciava a farsi sentire. Si domandò se anche quella donna alla sua sinistra provasse la medesima sensazione.
«Avete anche il veto di non rivolgerci la parola oppure sei tu che sei cocciuto?»
«Scusa, non mi piace molto parlare.»
Rhia lo guardò, annuendo con un sorriso, tuttavia non si mosse di una virgola. La nottata era piacevole e tutti quei puntini luminosi in cielo le ricordavano Scizia.
Trascorsero diversi minuti, durante i quali nessuno dei due parlò, ancora troppo forestieri per confessarsi i rispettivi pensieri. Poi una luce fulminea attraversò il cielo, simile a un lampo, eppure di nuvole non vi era ombra. D’istinto Da’miàn scattò in piedi e l’amazzone lo imitò, più che altro allarmata dal comportamento del compagno di squadra.
«Che hai?» Gli chiese.
«Non ne sono sicuro, ho l’impressione che l’aria si sia come fermata.»
Rhia non riuscì a comprendere cosa intendesse dire: gli elfi avevano un modo personale di esprimersi, parlavano come i vecchi maestri magi. Purtroppo, lo capì a sua spese qualche secondo dopo.
Una seconda luce inondò il cielo tingendolo di rosso, alcuni alberi più in là divamparono in un piccolo incendio, rivelando ai piedi del bastione una donna vestita di bianco, le cui vesti parevano ondeggiare intorno al suo esile corpo, nonostante l’aria fosse immobile. Da’mian la osservò: lunghi capelli immacolati e occhi verdeggianti…
«Corri…» disse, afferrando la ragazza per un avambraccio.
«Come?»
«Corri!» Urlò lui, quando vide la donna sotto di loro spalancare le braccia per lanciare una sfera di fuoco.
Da’miàn coprì Rhia con il proprio corpo e si gettò oltre la parte interna del parapetto, mentre la sfera infuocata si infrangeva contro le mura. Se fossero rimasti anche solo un secondo in più, sarebbero stati colpiti in pieno.
«Ma cosa…?»
«Dobbiamo avvertire gli altri!» Esclamò l’arciere.
«È lei? È la Morte di Bianco Vestita?»
Da’miàn Delundel annuì con un cenno del capo e Rhia sentì l’adrenalina scorrerle in ogni cellula del corpo.
Intanto, un’altra palla di fuoco passò a pochi centimetri dalla loro testa. Dalle quattro torri di guardia accorsero le sentinelle di turno, una lancia nella mano e uno scudo nell’altra. Due di loro trovarono una morte immediata, precipitando oltre il parapetto, dopo essere stati colpiti dal fuoco, simili a torce umane. Le due superstiti si inginocchiarono al fianco dell’arciere e dell’amazzone, sebbene fossero guerrieri abituati alla guerra, quel nemico era troppo spaventoso anche per loro.
D’improvviso una folata di vento si alzò dal basso verso l’alto, una delle due sentinelle si mise in piedi per verificare cosa stesse accadendo, la stessa cosa stava facendo Rhia, ma Da’miàn la fermò trattenendola giù con sé. L’uomo che invece si era alzato si accasciò ai piedi della ragazza, gli occhi strabuzzati e l’osso del collo rotto.
«Corri, vai!»
L’arciere spinse l’amazzone lungo il muro di destra, mentre l’ultima guardia rimasta correva verso sinistra. La Dama, che si era alzata in volo, atterrò con i piedi nudi sul freddo pavimento del bastione, senza curarsi della sentinella che correva alle sue spalle, si dedicò alla coppia. Sorrise e disse:
«Un’amazzone e un arciere insieme. Non li vedevo da tempo», mosse le dita e un colpo di vento atterrò Rhia diversi metri più in là.
Da’miàn si fermò per aiutarla a rimettersi in piedi e quando vide la Dama avanzare levitando a qualche centimetro da terra, incoccò l’arco e le scagliò contro una freccia, con la speranza di rallentarla almeno un po'.
La Dama evitò il dardo facendosi riparo con uno scudo di ghiaccio.
Era potente, l’arciere poteva sentire la sua magia espandersi tutt’intorno.
«E voi sareste la squadra messa su per sconfiggermi?» Rise lei. La voce cristallina simile ad acqua di sorgente, un riso sfrontato ma non sgradevole. Sembrava impossibile che quell’essere divino fosse il mostro che tutti temevano, così malvagio da prendersi la vita di anime innocenti.
«Dobbiamo tornare dentro» sussurrò Da’miàn a Rhia, aiutandola a rimettersi in piedi.
«Stolte creature! Credete forse che quattro mura possano proteggervi?»
La Dama sollevò un braccio e dalla punta delle dita affiorarono cinque grosse stalattiti, come fossero la continuazione naturale delle sue unghie.
«Oh, no! No, no, no!» Urlò Rhia chiudendosi a riccio su se stessa, mentre Da’miàn la copriva con il proprio corpo. Sotto di loro comparve un simbolo luminoso e quando la Morte di Bianco Vestita lanciò le frecce di ghiaccio, una specie di parete rocciosa circondò i due compagni, respingendo le stalattiti magiche.
Una risata folle spezzò il silenzio della notte, intanto che la faccia della Dama si contorceva in una smorfia di dissenso.
«Un occultista… quasi lo avevo dimenticato.»
«Ricorda il mio nome, mia Signora, perché sarò colui che porrà fine al tuo regno. Mi chiamo Seth.»
La Dama sorrise, sì, lo conosceva già. E sapeva anche che non era quello il suo posto, che l’aveva usurpato a un altro mago. Il Vikingo.
Seth impugnò il proprio bastone con entrambe le mani, la pietra viola che vi era incastonata brillò, poi tante piccole rune comparvero lungo il percorso che lo separava dalla Dama, causando scoppi che aumentavano di potenza avanzando. L’ultima runa si formò proprio ai piedi della Morte di Bianco Vestita, alle spalle della quale si levò un urlo di battaglia: il re Namor si elevò con un saltò per poi atterrare a ridosso della Dama, brandendo la sua ascia da guerra.
La runa scoppiò qualche secondo prima che il re di Kratoos toccasse terra, la donna però si era già dissolta in una nube di fumo.
L’aria tornò normale, il silenziò calò nuovamente nella notte stellata, il piccolo incendio ai piedi della Roccaforte Inespugnabile andava morendo.   
 
 
 
Il mattino seguente la compagnia si rimise in viaggio. L’incontro della notte appena trascorsa aveva dato loro un piccolo assaggio di ciò che la missione comportava. Sapevano che la Dama si era solo divertita un po’, come se avesse voluto testare la squadra messa su per combatterla. Si era scaldata quasi, non era venuta per uccidere, eppure per poco non aveva ferito gravemente due dei componenti.
La magia di Seth si era rivelata abbastanza potente da fermare quella della Morte di Bianco Vestita, ma sarebbe bastata per lo scopo finale?
Il re di Kratøos salutò il resto della compagnia al bivio che lo avrebbe condotto alla capitale: un’immensa miniera a cielo aperto dalla quale i cittadini estraevano metalli e gemme preziose. Al centro della città si poteva scorgere il palazzo reale, nulla a che vedere con l’Accademia di Cristallo o con il castello di Osihria, ma era una costruzione imponente fra tante piccole abitazioni modeste.
In groppa al suo cavallo, re Namor si rivolse all’intera compagnia:
«Il nostro nemico è potente» disse, con il suo consueto tono basso e caldo, rassicurante. «Ma voi lo siete di più. Non dimenticate che formate una squadra, combattete per lo stesso motivo, tutti volete la medesima soluzione. Il mondo è nelle vostre mani. Il futuro dipende da voi, dalle scelte che opererete. Se questa missione dovesse fallire, non ce ne saranno altre. È unica. La gente confida nel buon senso, che vi accompagni sempre.» Pronunciando in particolare queste ultime parole, lanciò uno sguardo nei confronti di Seth, il quale sbadigliava a capo del piccolo corteo, completamente disinteressato. Perché il saggio Volkàn avesse scelto proprio lui, per il re del Regno di Metallo, restava un mistero.
Quindi richiamò a sé i propri nipoti, dopo aver fatto un cenno di saluto all’altro suo guerriero Drew. I tre si scostarono appena, in modo che gli altri non potessero sentire ciò che avevano da confidarsi, infine i due gemelli tornarono al trotto e si riunirono alla compagnia, mentre il monarca dava loro le spalle e si allontanava, con un pessimo presagio nel cuore.
 
Seth si accostò a Drew, un sorriso ebete dipinto sulle labbra.
«Strano che il tuo re non abbia voluto parlare anche con te» insinuò.
«Sono i figli di sua sorella, uno dei due probabilmente gli succederà sul trono – se non dovesse avere eredi, ovviamente.»
«Ovviamente» ripeté l’occultista, con tono irrisorio che non piacque al guerriero di Kratøos.
«Ehi, mago! Stai insinuando qualcosa sul mio re?»
«Whoa, whoa, whoa!» Il generale amazzone si intromise fisicamente fra loro, in groppa al proprio cavallo. «Avete sentito quello là?» Con il pollice si indicò alle spalle.
«Quello è il sovrano di Kratøos!» Le fece notare Drew.
«Esatto, sì! Proprio quello là! Dobbiamo essere una squadra e agire da tale, o non servirà a nulla. Quindi, voi uomini, datevi una calmata e smettetela di giocare a chi ce l’ha più lungo!» Becky si voltò indietro, rivolgendosi all’arciere e ai due gemelli. «Questo vale anche per voi!»
Rhia e Shayna risero divertite, mentre Seth si sporse verso l’amazzone dai capelli rossi:
«Vuoi sapere chi di noi sta messo me-».
«No!», Becky diede un leggero colpo ai fianchi del proprio destriero e si allontanò aumentando il galoppo.
 
Avanzando lungo il sentiero battuto, lentamente l’ambiente mutò. Si erano ormai lasciati alle spalle la capitale del Regno di Metallo e i terreni rocciosi dai quali estraevano materiali ferrosi e pietre preziose: zaffiri, rubini, ametiste…
Adesso un verde lussureggiante rendeva l’atmosfera più fresca e leggera, respirabile. Il sole era diventato di un arancione intenso, tra poche ore sarebbe calata la sera, nel cielo limpido si potevano già scorgere piccoli puntini luminosi e lo spicchio delicato della luna.
Rhia lasciò il suo posto alla guida del carro di viveri che condivideva con Shayna e con un salto toccò terra per raggiungere l’arciere di infamia pochi metri più indietro. Da’miàn continuò a tenere lo sguardo puntato davanti a sé, fingendo che l’amazzone non fosse ai piedi del suo destriero. Lei carezzò la criniera castana del cavallo che sembrò approvare quel gesto gentile.
«Arciere, volevo ringraziarti per questa notte.»
«Non capisco». Il principe del Regno del Vento mentiva. Sapeva a cosa si stesse riferendo la ragazza. La osservò dall’alto in basso. Era alta, con un fisico muscoloso e alcuni tatuaggi le correvano lungo le braccia. Teneva i capelli biondi molto corti, lisciati all’indietro e rasati al lato sinistro. Era diversa dalle donne del suo popolo: esili, compite, completamente coperte dalla testa ai piedi con lunghe vesti leggere e dai colori pastello. Sapevano come difendersi, poiché fin da piccole venivano insegnate loro le tecniche basilari dell’autodifesa, ma nulla più. Il loro compito principale restava quello di diventare brave mogli e madri.
«Lascia stare, arciere. Fingi che non ti abbia detto nulla.» Aggiunse l’amazzone, forse pentita dal ringraziamento pronunciato.
Da’miàn comprese di averla offesa, le parole che gli aveva rivolto dovevano esserle costate molto e il suo spiccato orgoglio ne aveva risentito. Ecco un’altra differenza tra le amazzoni e le donne del Regno del Vento: l’orgoglio. Non che le sue concittadine non ne disponessero, ma era un orgoglio diverso, con sfumature molto meno evidenti.
Rhia però rimase lì, non si allontanò, e allora l’arciere pensò di rimediare indicandole con la mano le cascate a est.
«Le Cascate Genitrici» disse e la ragazza alzò lo sguardo per osservare effettivamente quell’ammasso di acqua che si riversava nel vuoto, alzando spruzzi e creando una sorta di coltre vaporosa.
Anche Drew si accostò a piedi ai due compagni di squadra, teneva lo spadone adagiato sopra una spalla, probabilmente quell’arma pesava quanto un essere umano.
«Conosci la loro storia?» Chiese all’amazzone, la quale scosse la testa.
«Un’usanza abominevole» intervenne Da’miàn contrariato. Il guerriero di Kratøos non gli diede peso.
«I ragazzi…»
«I bambini vorrai dire!» Lo interruppe ancora una volta l’arciere, beccandosi questa volta un’occhiataccia da parte di Drew, il quale tuttavia proseguì con il proprio racconto.
«I ragazzi che hanno compiuto dieci anni vengono gettati nelle cascate, solo chi sopravvive è degno di diventare un guerriero del Regno di Metallo. Per questo vengono chiamate Cascate Genitrici, perché generano combattenti forti e degni.»
«Ma è terribile!» esclamò Rhia, quasi scioccata da una pratica simile.
«Ed è il nostro re a lanciare personalmente i ragazzi dal punto più alto». Questa volta era stato Jey a parlare, uno dei due gemelli, con quella soddisfazione tipica di chi sa che un giorno, quel compito, potrebbe spettare a lui.
Rhia pensò alla sua regina, Charlotte, una donna forte e caparbia, che odiava l’insubordinazione, ma che sicuramente non avrebbe mai permesso a nessuno di buttare in pasto al destino ragazzine di appena dieci anni.
«Una pratica orribile, appunto» aggiunse ancora una volta l’arciere.
«Taci tu, principe di Eos. Il vostro popolo non è da meno in fatto di azioni deprecabili!» L’altro nipote di Namor, Joy, gli puntò un indice contro. «Siete stati voi a generare la Dama del Vento e se adesso siamo qui a dover combattere contro un essere del genere lo dobbiamo agli elfi.»
Da’miàn strinse le briglie del suo cavallo con forza. Non amava essere definito elfo, quell’epoca si era conclusa da tempo.
«Ahia, ahia, ahia!» Seth si acconciò meglio in groppa al proprio animale. «Hanno ragione, principino. Hanno proprio ragione i due gemelli.»
«Perché dite che sono stati gli elfi a generare la Dama?» Volle sapere Shayna, voltandosi indietro per osservare il gruppetto che si era formato.
«Perché credi che si chiami Dama del Vento?» Le chiese Becky galoppando accanto al carro che conduceva.
«Beh, credo perché sia effimera come l’aria…»
«Mmm… sì e no». Di nuovo fu il mago a prendere la parola. «La Dama è figlia di un’amazzone e un elfo. Ma è nata a Eos, quindi è una cittadina del Regno del Vento. E non fatevi ingannare dai suoi poteri: la magia che riesce a governare è così potente che ogni elemento della natura – acqua, fuoco, vento – risponde a lei e lei soltanto.»
Intanto gli ultimi raggi del sole erano spariti e il buio del crepuscolo si faceva sempre più intenso. Drew propose di accamparsi per trascorrere la notte, poco più avanti c’era una radura e il fiume a pochi metri, in modo che avrebbero potuto fare rifornimento d’acqua e magari preparare uno stufato caldo. Le temperature sarebbero diminuite di alcuni gradi, quindi sarebbe stato meglio mettere qualcosa di caldo nella pancia. Inoltre, avrebbero fatto dei turni per la guardia, mentre gli altri riposavano e recuperavano le forze. La battaglia con la Morte di Bianco Vestita non aveva dato loro abbastanza ore per riposare, il viaggio era ancora lungo, non conoscevano i pericoli e, soprattutto, la mattina seguente avrebbero dovuto attraversare le Montagne Ululanti.
«A patto che una di noi sia sempre presente durante le guardie», disse Becky con un tono che non ammetteva repliche.
«Come desideri, mia signora». Drew aveva accennato un inchino con la testa, sorridendo. Il “guerriero gentiluomo” lo chiamavano nel suo regno, chissà, forse lo era davvero.


 
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