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Autore: ValePeach_    20/01/2022    1 recensioni
Inghilterra, 1826
Quando la sorella maggiore ed il marito decidono di partire per una stravagante quanto inaspettata luna di miele in Italia e di mandare la giovane Camille al nord per tenere compagnia ad un suocero che odia qualsiasi tipo di contatto con la società ed una zia bisbetica molto più affezionata ai suoi amati gatti che alle persone, con grande sconforto inizierà a pensare che la sua vita sia finita.
Stare lontana da Londra e dal ton è quanto di peggio le potesse capitare e tutto ciò che spera è di tornare presto alla normalità. Ancora non sa, però, che anche la tranquilla e monotona vita di campagna può riservare svolte inaspettate… e fra l’arrivo dell’insopportabile quanto affascinante John Mortain e l’accadimento di un omicidio che la vedrà inaspettatamente coinvolta, inizierà a pensare che, forse, una vita anonima non era poi tanto male.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAPITOLO 5

 
 


Camille faceva male il braccio per il troppo scrivere. Era arrivata alla quinta pagina e non aveva ancora finito.
Purtroppo le lettere dall’Italia e viceversa impiegavano settimane ad arrivare, di conseguenza sia lei che Heather scrivevano quanto più possibile, facendo resoconti dettagliati del tempo trascorso. Ovviamente erano quelle della sorella le più corpose, siccome le sue giornate erano molto meno entusiasmanti e povere di grandi avvenimenti. Quel particolare giorno però, anche Camille aveva un bel po’ di cose da dire e rileggendo le ultime due pagine si chiese se forse non avesse esagerato. Dopotutto con Heather c’era Jamie e sentir parlare tanto male del fratello avrebbe potuto non fargli piacere.
Ripensandoci però no. Era giusto sapesse quanto maleducato fosse.
Sbuffò nervosa.
Mai in tutta la sua vita era stata trattata in modo così sgarbato. Ed era anche evidente che si divertiva molto a infastidirla e a trattarla come una sempliciotta priva di giudizio, ma quello che le faceva contorcere le viscere era il fatto che la lasciava sempre senza parole. Nei loro brevi dibattiti infatti era riuscito ad averla sempre vinta, mentre lei si ritrovava con le spalle al muro. Niente. Muta come un pesce e incapace di controbattere.
Detestava chi la metteva in quelle situazioni, perché era come se avesse torto… ed era ovvio che non fosse così.
Per esempio, tornando al discorso dei libertini, chi gli assicurava che sarebbe capitolata alla prima lusinga? Se così fosse stato, si sarebbe sposata alla sua prima stagione insieme ad Heather. Invece si trovava miglia e miglia da Londra, sola e prossima a diventare zitella. L’unica volta che aveva ceduto alla corte di un uomo era stato durante il suo fugace incontro con Malcolm Bennett, finito ancor prima di iniziare grazie a sua sorella. Ed era ovvio che lo aveva seguito sulla terrazza esclusivamente per sapere cosa si provasse ad essere baciata. Non era una stupida come John amava credere ed era anche consapevole della reputazione di Malcolm. Il fatto che avesse scelto proprio lui era perché credeva che baciare un libertino fosse molto più emozionante rispetto ad un semplice gentiluomo. Le signore li definivano più esperti e dato voleva che quel momento fosse perfetto in modo da arrossire ripensandoci in futuro, e non sapendo lei da che parte cominciare, meglio affidarsi a chi sapeva davvero cosa stava facendo.
 
E pensare che ero così emozionata all’idea di conoscere John… ora invece vorrei non fosse mai tornato! Ha una così bassa opinione di me, di quello che sono e del mio modo di pensare che da quando è arrivato non fa altro che sminuirmi e farmi sentire una sciocca… è assolutamente tedioso ed irritante! E credimi se ti dico che non ho fatto alcunché per meritarmi un trattamento simile. Sembra avermi giudicata ancor prima di conoscermi.
E vuoi saperne di più? Per un momento ho pensato che fosse addirittura affascinante!
Oh Heather come vorrei che fossi qui… ti prego torna presto, non credo di poter resistere ancora per molto senza il tuo supporto.
 
Finì la lettera con quelle esatte parole, con la speranza che Heather avesse pietà di lei e decidesse sul serio di tornare. Ne dubitava. Dopo quasi un anno in cui aveva bellamente ignorato le sue domande riguardo un ipotetico ritorno non si faceva illusioni, ma chi poteva saperlo… magari era la volta buona. E allora sì che l’avrebbe fatta sentire in colpa! Se si aspettava abbracci e lacrime di commozione si sbagliava di grosso. Non le avrebbe parlato per almeno tre giorni, poi si sarebbe lamentata per altri quattro e forse dopo un’altra settimana sarebbe tornata a rivolgerle la parola per più di un minuto senza risultare antipatica.
Il bussare della porta la fece sobbalzare e tornare in sé. Guardò il piccolo orologio sullo scrittoio e… già le tre del pomeriggio? Chi poteva essere che veniva a disturbarla?
Non dirmi che…
«Signorina, state riposando?» bussò di nuovo Jane.
Ma certo. Figurarsi se quel pomposo di John si scomodava a venire a chiedere scusa. Ingenua lei ad averlo anche solo pensato.
«No, entra pure Jane.»
«Scusate signorina, ma è appena arrivata la duchessa di Southlake.»
«Oh». Era talmente tanto impegnata a scrivere che non si era nemmeno accorta dell’arrivo di una carrozza.
Susan Wortham, duchessa madre di Southlake, era la personalità più importante ed influente, nonché la più ricca, di tutta la Cumbria. A confronto i visconti di Lodgewood non erano nulla, ma Vincent poteva vantare un’ottima amicizia con la nobildonna. Lui e il suo defunto marito erano cresciuti insieme, pertanto era normale si fosse presentata lì quello stesso pomeriggio e per di più senza invito o preavviso. Non che la duchessa avesse bisogno di mandare biglietti che ne annunciassero l’arrivo: era già un onore la sua sola presenza.
Ricordava bene l’autunno scorso, quando era andata a casa di Elisabeth Ridder insieme a zia Shaw per un tè pomeridiano. Si era presentata di punto in bianco per congratularsi della nascita del futuro erede dei Ridder dopo ben tre femmine e aveva creato così tanto scompiglio e nervosismo nella padrona di casa che la settimana seguente era rimasta costretta a letto con l’influenza. Il motivo di tanta ansia era per il fatto che non era stato preparato alcunché di adatto a ricevere una duchessa, solo qualche biscotto di pasta frolla. Grazie al cielo Sua Grazia non era una donna che badava a certe piccolezze, ma in ogni caso la sua presenza generava sempre una certa tensione.
Per quello decise di cambiarsi. Non era consono presentarsi con un abito da giorno vecchio e forse sporco di pittura e siccome sicuramente l’illustre ospite era stata fatta accomodare nel salottino con il pianoforte, per non morire di freddo optò per un abito pesante di velluto verde smeraldo: era caldo e sufficientemente elegante per stare alla presenza di una donna del suo rango. Solo intanto che si incamminava lungo la scalinata si ricordò che anche John quel giorno era vestito di verde, ma ormai di cambiarsi un’altra volta non c’era tempo per cui sperò che nessuno pensasse si fosse vestita del suo stesso colore apposta. Sarebbe stato il colmo.
Riflettendoci bene, forse era meglio non presentarsi.
Non aveva voglia di fronteggiarlo ancora, specialmente alla presenza della duchessa. Però se tornava indietro all’improvviso fingendo un malessere, zio Vincent apprensivo com’era avrebbe chiamato il medico e se qualcuno si fosse sentito davvero male nel mentre che il signor Thompson la visitava non se lo sarebbe mai perdonata. Inoltre non era una scusa credibile. In tutta la sua vita non si era mai ammalata: non un raffreddore o mal di testa o febbre. Dopo la brutta caduta da cavallo si era ripromessa di non voler stare mai più bloccata a letto e così era stato, dunque non poteva dire di non sentirsi bene, avrebbero pensato che fosse in punto di morte.
Sospirò sconsolata.
Ma perché quell’uomo non poteva essere gentile come Jamie? Possibile che le fortune capitassero tutte solo ad Heather? Che fine aveva fatto lei?
Fu con quei pensieri che arrivò nel corridoio antecedente il salottino. Si sentiva la chiara e squillante voce della duchessa che parlava proprio con John e lui risponderle cordiale.
Forza e coraggio. Dov’era finita tutta la sua intraprendenza? Non era da lei lasciarsi intimidire a quel modo e così, facendo un bel respiro, entrò nella stanza evitando prontamente anche solo di cercarlo con gli occhi, preferendo invece soffermarsi sulla giovane seduta al fianco della duchessa.
Accidenti, era bellissima.
Fisico minuto, viso perfettamente ovale, labbra carnose, qualche lentiggine sulle guance rosee, occhi e capelli color dell’ebano. Sembrava uscita da un quadro del Botticelli tanto era perfetta. Indossava anch’ella un vestito di velluto, color panna e a strisce marroni, e se ne stava con lo sguardo basso, quasi impaurita, come se fosse la prima volta che prendeva il tè con dei gentiluomini.
Camille si morse le guance dall’invidia, perché lei un’aria di così sconfinata innocenza era sicura di non averla mai avuta. Heather forse, che era modesta e capace di emozionarsi per ogni più piccolo gesto. Lei no. I piccoli gesti non le appartenevano, come nemmeno fare la timida per convenzione.
Quella ragazza comunque non sembrava fingere: tutto di lei urlava dolcezza e non si sorprese nel vedere che John le stava sorridendo garbato. Un sorriso che a lei non aveva mai rivolto neanche per sbaglio. Era seduto sulla poltrona accanto al loro divanetto, una gamba piegata e quella che zoppicava stesa dritta, e conversava senza il minimo accenno di giudizio o aria tronfia.
Banale.
Banale e scontato.
A quanto pareva gli uomini preferivano davvero le donne tappezzeria, come le chiamava Camille. Se ne era resa conto a Londra, poiché erano le giovani riservate e silenziose le prime a sposarsi, quelle che arrossivano per un banale saluto o che piangevano per un mazzo di fiori. Quelle ragazze che, come pensava lui, sarebbero cadute nelle braccia del primo uomo che avrebbe fatto loro un complimento.
Pff… se avesse dovuto piangere lei per ogni fiore ricevuto, a quell’ora doveva già essere bella che annegata. Quanto all’essere silenziosa… bè, se mai si fosse sposata suo marito avrebbe dovuto munirsi di pazienza, perché che se ne stesse zitta in un angolo a ricamare non sarebbe successo nemmeno se il sole fosse tramontato ad est.
«Signorina Grey, finalmente vi vedo!» esordì la duchessa, annunciando in quel modo il suo arrivo.
«Duchessa… è davvero un piacere» disse con un inchino, poi si diresse alla poltroncina accanto a John. Lui abbozzò un sorriso che sembrava più una smorfia, lei invece lo ignorò. Che continuasse pure a sorridere all’altra signorina presente, di sicuro ne sarebbe rimasta entusiasta.
Purtroppo però quella vicinanza forzata le faceva arrivare alle narici il suo profumo, un misto fra schiuma da barba e sandalo, e maledizione lo trovò davvero buono. Era forte, intenso, inebriante e… insopportabile.
«Camille, cara» disse Vincent. «Permettimi di presentarti la signorina Phoebe Simmons, protetta della nostra affezionata duchessa. È giunta sin qui dal Derbyshire un paio di settimane fa.»
«È un vero piacere, signorina Simmons. Spero che la Cumbria vi piaccia, ricordo che al mio arrivo la trovai incantevole.»
«Molto, signorina Grey. Devo ancora abituarmi al clima rigido però.»
«A questo temo non ci sia rimedio» intervenne la duchessa. «Ma se non altro, molto meglio delle infinite piogge di Londra.»
«Suppongo di sì, ma non essendoci mai stata non posso dirlo con certezza.»
«Non siete mai stata a Londra?» le chiese garbatamente, mentre prendeva una tazza di tè. Se non altro non era un’altra sventurata come lei mandata nel bel mezzo del nulla perché la sorella maggiore voleva viaggiare e fare l’avventuriera.
«No, purtroppo. Sono sempre rimasta nel piccolo cottage di mia zia.»
«Sapete la zia di Phoebe è morta questo inverno e siccome ero molto legata alla sua defunta nonna, ho deciso di prenderla sotto la mia ala protettrice. Un così bel fiore non meritava di rimanere in un villaggio di campagna, non credete?»
«Un gesto davvero nobile» disse Vincent.
Già, davvero nobile. Doveva essere una fanciulla importante se una duchessa era disposta a farle da patrocinatrice. Eppure se era vissuta in un cottage in campagna, non doveva essere molto abbiente… anzi, forse non aveva nemmeno una dote.
«Naturalmente non avendo mai avuto un’adeguata educazione sarà mia premura istruirla al meglio, cosicché la prossima primavera possa fare il suo debutto in società a Londra. Dopotutto avrà diciannove anni, l’età perfetta per trovare un buon marito.»
«Posso assicurarvi che sarà un’esperienza bellissima» disse Camille, ripensando con nostalgia a quelli che erano stati i mesi più felici della sua vita. Chissà se avrebbe mai avuto l’opportunità di tornarci. Anche se forse era meglio di no. Le sue amiche ormai erano tutte sposate e tornare voleva dire confrontarsi con giovinette come Phoebe: belle, dolci e soprattutto fresche. Lei ormai poteva considerarsi una donna utile solo per fare da chaperonne alle inesperte debuttanti.
Santo cielo!
Un’ondata di sconcerto la travolse, pensando che era diventata esattamente come quelle donne che più detestava: una donna da tappezzeria.
Sgranò gli occhi spaventata, guardandosi confusamente intorno. Incontrò solamente gli occhi grigi di John, che vedendola tanto sconvolta non fece altro che sollevare un sopracciglio perplesso.
Ovvio. Cosa ne poteva capire dei suoi turbamenti? Lui non aveva di quei problemi: anche se aveva oltre trent’anni continuava ad essere un uomo affascinante e nei salotti di Londra sarebbe stato circondato da madri e nubili come se fosse un barattolo di miele in un alveare. Lei invece come sarebbe stata a trent’anni? Con i capelli bianchi, grassa e con tre gatti a farle da compagnia.
Cielo, le venne da piangere.
Bevve un lungo sorso di tè, cercando di calmarsi.
«…a Londra, intendo» disse Phoebe.
Vedendo che tutti guardavano verso di lei doveva appena averle chiesto qualcosa.
«Perdonate, avete detto?»
«Se siete mai stata a Londra.»
«Oh, naturalmente… ho debuttato due anni fa, l’unica stagione a cui ho avuto il piacere di partecipare. Mia sorella si è sposata in quell’occasione, con il figlio minore del visconte.»
«Il matrimonio della stagione, così l’hanno definito i giornali» disse la duchessa. «Una giovane davvero a modo, vostra sorella. Peccato non vogliano tornare a casa… sarebbe da bugiardi non dire quanto sia curiosa di vederla prima della nascita del piccolo. Non sarebbe magnifico, se decidesse di darlo alla luce qui a Lodgewood?»
«È quello che speriamo tutti. Zio Vincent ormai non sta più nella pelle.»
«Caro visconte come vi capisco. Diventare nonni è una benedizione ancor più che diventare genitori… una gioia immensa. Spero tanto di vederli presto, ma ad ogni modo non è per parlare della signora Mortain che sono qui» una pausa strategica, un sorso di tè. «Naturalmente era perché volevo dare il bentornato al caro John, ma anche per darvi questo» e tirò fuori dal borsello un biglietto che aveva tutta l’apparenza di essere un invito.
Ti prego, fa che sia un ballo…
«Sono stati i miei figli ad organizzare il tutto, io all’inizio ero alquanto scettica, ma devo concordare sul fatto che settant’anni non si compiono tutti i giorni, per cui ecco: l’invito al ballo per festeggiare il mio compleanno. Sarà fra tre venerdì e mi aspetto che tutti voi partecipiate… anche perché non vi perdonerei mai se mancaste, non dopo essermi scomodata personalmente per portarvi la notizia.»
Il malumore di Camille lasciò ben presto posto alla contentezza.
Aveva proprio bisogno di un evento come quello per distrarsi e soprattutto per andare a Windermere a fare acquisti. Nell’ultimo numero della rivista di moda di Madame Latouche aveva visto infatti che la vita degli abiti quell’anno si era abbassata di due centimetri, pertanto aveva un disperato bisogno di vestiti nuovi. E nel mentre si emozionava all’idea di andare dalla modista, un’idea iniziò a balenarle nella mente.
Osservò John di sottecchi. Come c’era da aspettarsi la sua faccia era il contrario della sua: livida, scura e con le sopracciglia aggrottate. Ma il partecipare ad un ballo non era niente in confronto a quello che stava per succedere.
«Non mancheremo per nulla al mondo» si affrettò a dire Vincent.
«Molto bene. Suvvia Phoebe, credo sia tempo di togliere il disturbo» e così dicendo si alzarono, seguite dai due gentiluomini e da lei.
Era il momento.
«Signorina Simmons, aspettate.»
«Sì, signorina Grey?»
«Ecco… mi stavo domandando, dato domani volevo andare a Windermere per alcuni acquisti, se vi andrebbe di unirvi a me.»
«Oh!» esclamò sorpresa Phoebe. In effetti anche a lei non aveva fatto una grande impressione, ma primo era l’unica persona disponibile per attuare il suo piano e secondo magari conoscendola meglio avrebbe potuto trovare un’amica.
«Mi farebbe davvero piacere la vostra compagnia» aggiunse, giusto per calcare la mano.
«Ecco, non so se…» farfugliò, spostando lo sguardo sulla duchessa.
«Bè non vedo cosa ci sia di male» disse questa. «Purché non andiate sole.»
«Non vi preoccupate, non saremo sole» disse e nel mentre si voltò verso John. Questi la guardò sollevando lo stesso sopracciglio e con lo stesso fare perplesso di prima, mentre quello che lei gli riservò fu un sorriso di pura malvagità. «John ci accompagnerà» concluse, sentendo i cori angelici per quel suo trionfo.
«Cos-»
«Proprio oggi diceva che sarebbe dovuto andare lui stesso a Windermere, non gli dispiacerà affatto farci da accompagnatore» lo interruppe lei. Non gli avrebbe dato la possibilità di dire alcunché.
Di nuovo si voltò a guardarlo. I suoi occhi erano diventati neri dalla rabbia e se solo avesse potuto, si sarebbe messo ad urlare.
«Capisco» fece la duchessa contenta. «Allora credo proprio di non avere nulla in contrario.»
«Benissimo. Passeremo per le due del pomeriggio» e dopo un ultimo inchino, le signore lasciarono la stanza.
La sua vendetta aveva appena avuto inizio.
   
 
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