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Autore: Lacus Clyne    21/01/2022    1 recensioni
Pochi mesi sono trascorsi dalla conclusione del caso che, per efferatezza e implicazioni, ha sconvolto le vite degli agenti del V Dipartimento, cambiandole per sempre. Per Selina Clair, medico legale e "sorella maggiore" della squadra, una vacanza di gruppo è quanto mai necessaria per rilassare le menti e rinsaldare i legami. Può mai un'innocente vacanza portare con sé più sorprese, drammi e riflessioni di quanto si possa immaginare?
Attenzione: Dark Circus: the most precious treasure è una storia originale pubblicata esclusivamente su EFP. Qualunque sottrazione e ripubblicazione su piattaforme differenti (compresi siti a pagamento) NON è mai stata autorizzata dall'autrice medesima e si considera illegale e passibile di denuncia presso autorità competenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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◊II◊

PARTE PRIMA

 

 

 

Il risveglio, quella mattina, fu particolarmente gradito. Nicholas dormiva ancora quando riaprii gli occhi. Non mi disturbai a guardare la sveglia, ma la luce che filtrava dalla tenda suggeriva che non fosse poi così tardi. Marcus, che generalmente aveva la sveglia fissa alle 5:30, si era dovuto concedere qualcosa in più, ma non troppo, perché la sua parte di materasso era fresca.

Mi stiracchiai il giusto, poi affondai la guancia del cuscino soffice, osservando il visetto ancora immerso nel sonno, accanto a me. Sembrava passato così tanto, eppure, in realtà, Nicholas era con noi da soli tre mesi. Il ricordo della prima notte a casa mi tornò in mente, al pensiero di come le cose fossero cambiate nel tempo.

Grazie al lavoro di Kate, per lui non eravamo degli estranei, anzi, si poteva dire che Nicholas avesse considerato l’intero V Dipartimento una grande famiglia allargata. Quando finalmente potemmo portarlo a casa dopo l’adozione ufficiale, si era dimostrato coraggioso e, dopo un’iniziale timidezza, persino incuriosito dal contesto. Nell’arco di poche ore, aveva fatto conoscenza con tutti e questo ci aveva lasciato ben sperare. Aveva persino conquistato Agnes, che aveva ricominciato a sorridere alla vita dopo la nascita dei gemelli, grazie ai suoi modi gentili e una prova di lettura di un brano tratto dai Libri della Giungla, che aveva già iniziato a leggere con Alexander in precedenza.

Sembrava che ogni cosa andasse per il meglio, almeno fino a quando non giunse la sera. Quel giorno era stato particolarmente sfiancante, perché sembrava finalmente che il caso del Mago fosse finalmente giunto a una svolta, ma l’improvvisa sparizione di Kate prima e la conseguente reazione di Alexander nello scoprire che lei aveva scoperto dell’indagine parallela che lui stava portando avanti e che la vedeva sia protagonista che obiettivo primo del Mago ci avevano scombussolati. Nicholas, in particolare, non aveva preso bene il non poter parlare con nessuno dei due e questo l’aveva spaventato. Si era sentito nuovamente abbandonato e nonostante Marcus e io l’avessimo rassicurato sul fatto che avrebbe visto entrambi dopo un paio di giorni alla festa che stavamo organizzando, non sembrava riuscire a darsi pace. Perché non posso tornare da Kate e Alexander?! Per favore, non voglio stare qui! Voglio tornare da loro! Perché non mi rispondono?!

Occorse tutta la nostra comprensione per capire che in quelle domande urlate tra le lacrime, taglienti tanto quanto un coltello affilato per il mio cuore, c’era il terrore di un bambino che aveva, dall’oggi al domani, visto la sua mamma sparire e non dare più alcuna notizia di sé, fino a che non era stata ritrovata morta. Nicholas temeva per Kate. Come dargli torto, dal momento che tutti quanti avevamo il cuore in gola? Lo stesso Alexander si era disperato, fino a che non aveva ricevuto un messaggio da parte di Lucy, che lo avvisava del loro viaggio a Shrewsbury, la città natale di Kate, alla ricerca di risposte. Soltanto allora eravamo stati in grado di rassicurare un po’ Nicholas e, almeno, di metterlo a letto, nella speranza che quello fosse sufficiente.

Fu Marcus per primo a sentire i suoi singhiozzi nel cuore della notte e, quando ci alzammo a controllare, a trovarlo rannicchiato, con le piccole braccia che stringevano le esili gambe, in un angolo tra le stanze che davano sul corridoio interno con balaustra in legno che dava sull’ampio ingresso sala, un piano più sotto.

Nicholas?, chiamai, a voce bassa, avvicinandomi a lui. Il piccolo tremava come una foglia. Accanto a lui, il lenzuolo del suo letto. Marcus e io ci scambiammo uno sguardo incerto e quando tesi la mano per toccargli il braccio, Nicholas spalancò gli occhi, scoppiando a piangere. Syzhalyavam! Non… non lo faccio più!! Mola, non lo faccio più! Non mi fare del male! Mola! Mama! Pomoschch!, urlò, tirandosi indietro e coprendosi terrorizzato, in un misto tra la nostra e la sua lingua madre. Non capivo cosa stesse dicendo di preciso, ma almeno una di quelle parole la compresi bene. Mi morsi le labbra e mi venne da piangere, tanto più che caddi sulle ginocchia e lo guardai impotente. Va tutto bene, Nicholas. Nessuno ti farà del male. Siamo qui con te. Non avere paura. Guardai Marcus con la coda dell’occhio, senza sapere cosa fare o cosa dire per non peggiorare le cose. Lui invece, con la tranquillità di chi aveva già avuto a che fare con bambini piccoli e traumatizzati, riuscii a catturarne l’attenzione e, con voce calma, accese prima la luce e poi si sedette accanto a me. Nicholas sollevò il visetto pieno di lacrime e arrossato, guardandoci. Non avere paura. Tutto quel che è successo è nel passato. Sei al sicuro qui. Trassi coraggio anch’io da quelle parole e mi sforzai di sorridere. Avrei tanto voluto dirgli che la mamma era lì per lui, ma temetti di scatenare qualcosa di peggiore, se avessi usato quella parola. Tesoro… papà ha ragione… è tutto a posto… guardati intorno… è tutto tranquillo. Nicholas ci guardò in tralice, poi fece come gli avevo detto e il suo corpicino scosso dal pianto cominciò a calmarsi. Respira, tesoro. Quel che mi ero ostinata a urlare, la notte in cui avevamo ritrovato Lily. Ma lei non poteva più respirare. Nicholas invece… Battei le palpebre e asciugai le lacrime, nell’incontrare i suoi occhi azzurri, resi rossi dal pianto. Quando si fu tranquillizzato, gli chiedemmo cosa fosse accaduto. Pensavo che avesse trascinato con sé il lenzuolo come fosse la coperta di Linus, ma, in maniera imbarazzata e piena di vergogna, come se fosse qualcosa già accaduto in passato e che, probabilmente, era stato vissuto male, ci confessò di aver bagnato il letto. A quelle parole, tirammo un sospiro di sollievo. Non doveva essere lo stesso per lui, dato che abbassò nuovamente lo sguardo. È tutto a posto, Nicholas… possiamo rimediare tranquillamente., spiegai, sperando di rassicurarlo. È capitato a tutti, almeno una volta nella vita, sai?, fece eco Marcus, con un tono sdrammatizzante. Nicholas arrossì di più. N-Non mi picchierete per questo?, domandò, con voce esitante.

A quelle parole, strinsi i pugni. I Reyes, che avevano distrutto la vita di Nicholas, non si erano limitati soltanto a farne un oggetto dei loro esperimenti, ma, evidentemente, erano andati ben oltre. Non mi aveva mai permesso di visitarlo approfonditamente, tanto era terrorizzato dai camici, ma per ciò che aveva subito, se da una parte provavo un profondo dolore, dall’altra il desiderio di distruggere la causa di tutto era talmente forte da scuotermi intimamente. Una volta che fosse stato celebrato il processo a Harriet Cruise, non avrei avuto pace fino a che non l’avrei annientata. Marcus comprese il mio stato d’animo e mi posò una mano sulla spalla, riportandomi a Nicholas che mi guardava incerto. Sospirai e scacciai quel pensiero, poi gli accarezzai la disordinata chioma scura. Mai, Nicholas. Nessuno ti toccherà più., gli giurai e quelle parole sembrarono tranquillizzarlo. Che ne dici se papà ci prepara una camomilla mentre tu ed io sistemiamo tutto?, proposi poi, addolcendo il tono. Nicholas annuì e si alzò insieme a noi. E camomilla sia. Con un goccio di Cognac per papà… rispose Marcus e mi strappò un sorriso.

Tornò un quarto d’ora più tardi, mentre Nicholas finiva di mettere il pigiama pulito, nella nostra stanza. Quella notte, dormì per la prima volta tra noi, così com’era abituato a fare con Kate e Alexander. Sapevamo che non sarebbe stato facile e che il dolore che si portava dentro non era stato ancora del tutto elaborato, ma tutto ciò che potevamo offrirgli in concreto, quando accadevano quegli episodi, era una camomilla calda e un abbraccio che gli facesse sentire, in qualche modo, che poteva fidarsi di noi e che saremmo stati pronti a tutto per proteggerlo e aiutarlo a sentirsi di nuovo al sicuro.

Marcus aprì la porta della suite portando con sé un vassoio. Il profumo inconfondibile del caffè, del cappuccino e dei croissant appena sfornati mi solleticò le narici e gli sorrisi, sollevandomi dai cuscini. Nicholas, a sua volta, aprì gli occhi, ancora pieni di sonno.

– Buongiorno, dormiglioni. –

Bonjour, mari. – dissi io, suscitando lo stupore di Nicholas, che batté le palpebre.

– Bon… che hai detto? – mi chiese, perplesso.

Gli accarezzai i capelli, scostandoglieli dalla fronte, mentre Marcus posava sul tavolo il vassoio. – Et bonjour à toi, mon chaton. –

Nicholas si tirò su e mi guardò stupito. – Perché parli così? –

– Perché mamma è d’origine francese. Solo che solitamente è più tipo da intercalare. – spiegò Marcus. Nicholas aggrottò le sopracciglia. – Oooh… quindi sei un po’ come me… –

Io annuii. – Già. Ma è colpa di papà e di quegli squisiti croissant. – spiegai.

Nicholas tirò su col naso, annusando e si voltò verso il tavolo. – Hai ragione!! –

Sorridemmo tutti e tre. – Comunque io ho dormito molto bene. Tu, Nicholas? – chiesi.

– Come un ghiro! E poi… tu sei soffice come… come una nuvola! –

Battei le palpebre a quel commento e mi venne da ridere.

– Posso confermare. – aggiunse Marcus, con un cipiglio serissimo di verecondia che mi fece arrossire.

– Oh grazie, eh? – risposi, prima di dare un bacio in fronte a Nicholas e invitarlo a fare un anticipo di colazione.

– E a me nulla? – chiese Marcus.

Inarcai il sopracciglio e scesi dal letto insieme al piccolo, raggiungendo Marcus. – Tu sei… le pire. – dissi, sogghignando e sollevandomi appena sugli avampiedi nudi, per baciarlo.

Nicholas, vicino a noi, sorrise. – Che vuol dire quello che hai detto ora? – chiese, incuriosito.

– Ehm… –

Marcus ridacchiò, poi prese in braccio Nicholas e ci guardammo a mezz’aria. – Mhh… chiedi ad Alexander, ok? –

Quel commento mi fece ridere, mentre il nostro piccino, del tutto ignaro, annuì con convinzione. E così, tra una risata e un croissant, cominciò la nostra lunga giornata.

 

***


A dispetto di quanto avessimo deciso, tuttavia, vi furono delle variazioni. Quando ci ritrovammo per il giro in barca, Alexander ci informò che Kate e Lucy non avrebbero preso parte all’escursione, ma ci avrebbero raggiunti più tardi. Quando Nicholas chiese il motivo, deluso per la mancata partecipazione della sua madrina, Lex spiegò che Kate aveva trascorso una pessima notte, perlopiù insonne. Prima che Maximilian lo pungesse con una qualche battuta pronta, l’espressione pensierosa sul suo volto finì con l’impensierire anche me. Mi offrii di dare consulto ma, a quanto pareva, dopo che Kate aveva riposato, aveva deciso di recarsi in centro con Lucy per fare un po’ d’acquisti. Alexander aveva insistito per recarcisi a sua volta, ma Kate, che sapeva come tener testa e freno all’ostinazione di Lex e, probabilmente, non voleva far sì che Nicholas non potesse vivere un’altra esperienza importante insieme, aveva già organizzato tutto.

E così, il giro turistico in yatch lungo la costa occidentale dell’isola si svolse ugualmente e, complice la bella giornata e il mare calmo, fu estremamente piacevole. Nicholas si divertì molto, anche se più di una volta dovemmo trattenerlo dal cercare di avvicinarsi troppo ai cetacei che facevano capolino quando rallentavamo per ascoltare le spiegazioni della guida. A un certo punto, anche Jace si accodò, complice un gruppo di capodogli, e ci raccontò del Whaling Museum in città prima di cimentarsi nel racconto di Moby Dick, drammatizzando qualche scena, con lui novello capitano Achab sul Pequod. Mentre raccontava, supportato da Max nei panni del primo ufficiale Starbuck, vidi Elizabeth sedersi accanto ad Alexander, che fissava la costa in lontananza. Con Marcus a sorvegliare, mi avvicinai anch’io.

– Stai cercando di calcolare quanto tempo ci impiegheresti a sopravvivere in acqua prima di arrivare a riva a nuovo, Lex? – domandai.

Alexander si voltò appena e mi rivolse un’occhiata seccata.

Elizabeth sorrise.  – Su, su. Ti si legge in faccia che sei preoccupato. –

Stavolta sospirò e i suoi occhi scrutarono attentamente l’oceano. – Il fatto è che dopo quello che è accaduto col Mago, non mi sento tranquillo a lasciarla andare da sola… so che, razionalmente parlando, non ci sono rischi, ma la verità è che quella sensazione è dura a morire. –

– Alexander Graham che si arrende all’amore… stai davvero invecchiando. –

– Liz, non mi va di scherzare. –

La sua ex moglie gli dette una pacca sulla spalla. – Lo so. Ma con lei sei iperprotettivo e questo non ti fa bene… lo sai anche tu. Finisci con l’arrovellarti il cervello, diventi di pessimo umore e non è facile starti accanto. E credo che se ne sia resa conto anche Kate. Fortuna che quella ragazza ha capito presto come tenerti a bada. –

Elizabeth e i suoi modi diretti. Lex la guardò in tralice, ma lei non si scompose, mantenendo un’espressione risoluta.

Incrociai le braccia, ricordando il passato.

Dopo la rottura con Maximilian, Elizabeth aveva deciso di concentrarsi soltanto sui suoi studi. Per quanto avessi cercato di coinvolgerla almeno in qualche festa, da me personalmente organizzate, ma alle quali partecipavo molto di rado e quasi sempre in veste di spaesata e ignara partecipante, lei era irremovibile. Tuttavia, ad una decise di partecipare, non fosse altro che per mettere in chiaro, una volta per tutte, il non voler avere nulla a che fare con Lex che considerava essere il diavolo tentatore di Max. Era la notte di Halloween e, modestie a parte, quella fu una delle mie feste più riuscite. A dire il vero non mi trovai in presenza, ma stando al racconto di Elizabeth, Alexander ne aveva combinata una delle sue.

Mi sembrava di averla davanti agli occhi. Stavo completando la riscrittura di alcuni appunti in caffetteria, quando Liz mi aveva raggiunto con un’espressione che era tutta un programma. Solitamente, preferivo studiare nella mia stanza, ma ero davvero curiosa di ascoltare e registrare mentalmente i commenti sull’ultima festa d’élite della Regina. La mia amica si sedette di fronte a me, togliendo la sciarpa a quadri e il cappello color crema. Una morbida cascata di folte onde castano chiaro venne giù quando si scrollò. Ho sentito che, nonostante il freddo, c’è stato chi ha trascorso la notte all’aperto, vero? I suoi luminosi occhi azzurri si ridussero a due fessure. Spero almeno che gli venga una broncopolmonite. Risi sotto i baffi, poi ordinammo due tazze di cioccolata calda con panna montata e una spruzzata di cannella. Nel locale, giusto due o tre silenziose presenze, data l’ora, nel primo pomeriggio. A quanto ne so, saltare in una piscina riscaldata non è poi così letale per il sistema immunitario. E poi, il Fantasma dell’Opera è sempre stato un po’ teatrale. Sorrisi. Ti prego, non ti ci mettere anche tu. Sul serio… quel deficiente non conosce buone maniere. È un prepotente con manie di protagonismo che non sa nemmeno dove sia di casa il rispetto. E non è soltanto per me, ma anche per Max e per te. Insomma, soltanto io trovo bizzarra questa situazione? Gli ho spiegato che non voglio averci nulla a che fare e cosa penso di lui, che ha avuto una pessima influenza su Max e che era già abbastanza strano che avesse avuto una storia con la mia migliore amica, ma il problema è che Mr. Me ne frego del buonsenso non sente da quell’orecchio. Per chi diamine mi ha preso, per una sfida?! Dovrebbe crescere e rendersi conto che la vita non è un gioco e realizzare che non è il quarterback della squadra di football del liceo. E poi, chi vorrebbe stare con uno che ha avuto il coraggio barbaro di lanciarsi da un terrazzo?!

Nell’ascoltare quella tutto sommato realistica sequela di descrizioni di Lex, sorseggiai la cioccolata che ci era stata portata nel frattempo. Esattamente, questo non ha nulla a che vedere col fatto che hai detto di sì a quello che ti ha chiesto, giusto? Quel che le aveva chiesto era, in breve, una possibilità: un anno per dimostrarle che era la persona giusta per lei. Col senno di poi, tutto appariva così immaturo… Elizabeth si ammutolì di colpo e arrossì. La verità era che, nonostante il suo caratteraccio, Alexander Graham aveva sempre avuto qualcosa di profondamente affascinante. Io stessa ne ero rimasta colpita, un tempo. Non che fosse realmente uno scapestrato. I Graham avevano sangue militare nelle vene. Diversi membri della sua famiglia, tra cui suo padre Christopher, erano dei veterani pluridecorati che avevano ricoperto cariche di tutto rispetto, alcuni anche al Pentagono. A dispetto dei pronostici, tuttavia, lui non aveva voluto seguirne le orme, cercando un’altra strada… e l’aveva fatto attraverso la fondazione del Dark Circus, mostrando una visione alquanto personale e decisamente non ortodossa dell’idea di giustizia. Almeno, fino a che le carte in tavola non erano cambiate e lo stesso Lex aveva finalmente compreso cosa fare realmente della sua vita. Ma quando conobbe Elizabeth, tutto ciò non gli era ancora chiaro. Cercava la sfida ed Elizabeth Dekker gli aveva praticamente offerto un’occasione su un piatto d’argento.

Liz era sempre stata determinata, non amava gli scherzi e soprattutto, non si faceva alcun problema a stroncare i comportamenti che non le andavano a genio. Aveva conosciuto Maximilian e in lui aveva trovato un’anima affine. Almeno fino a che Max non era entrato a far parte del gruppo e aveva finito col farsi traviare, mostrando un’indole molto più incline al divertimento, anche proibito, di quanto sperasse. E così, Elizabeth aveva posto fine alla loro storia, ma incolpando anche Alexander di ciò. Quel che non si aspettava era che per Lex quello fosse praticamente un invito a nozze: aveva raccolto quell’inconsapevole guanto di sfida, impegnandosi a dimostrarle che si stava sbagliando. E, per convincere una scettica e irremovibile Liz a dargli una possibilità, aveva ben pensato di ergersi su un cornicione e saltare giù. Il tempo di far prendere un colpo alla mia amica, farla accettare e poi odiarlo per sempre una volta scoperto che non correva alcun rischio di spaccarsi l’osso del collo in quanto pochi metri più sotto aveva precedentemente fatto collocare una piscina riscaldata. L’ordine esatto dei sentimenti non mi era mai stato ben chiaro, a dire il vero.

Elizabeth appoggiò la guancia sul palmo della mano, guardando fuori dall’ampia finestra della caffetteria con l’aria di chi aveva altro in mente. Come se potessi mai innamorarmi di uno stronzo del genere. Ha voluto un anno? Ok, che anno sia… ma sono più che sicura che non durerà così a lungo. E, in effetti, qualcosa cambiò nel tempo, perché la stessa vita ci mise davanti a situazioni al di fuori del nostro controllo. Quei due finirono con l’innamorarsi per davvero l’una dell’altro e, alla fine, nonostante l’iniziale disappunto, dato più che altro dal fatto che fossi stata praticamente l’ultima a sapere della piega che quella storia aveva preso, non potei non esserne felice, su lungo termine.

La nascita di Lily e il matrimonio sembrarono cementare quella loro strana unione, ma a un certo punto cominciarono i problemi. Lex era un padre straordinario per Lily, ma con Elizabeth l’incanto finì presto. E così, se lui si rivelò artefice di tradimenti, lei ritrovò l’intesa con Maximilian, dando vita a un triangolo che portò, per diverso tempo, a silenzi e comportamenti distruttivi.

Da parte mia, conoscendoli tutti e avendo vissuto sulla mia pelle cosa significasse un matrimonio a tre, data la mia storia familiare, mi sentii in dovere di intervenire e far qualcosa, almeno perché la piccola Lily non si ritrovasse a soffrire, un domani, come avevo sofferto io. Eppure, come se quella festa di Halloween in cui tutto era iniziato tanti anni prima fosse stata fautrice di cattivi presagi, quanto di più terribile potesse abbattersi su Alexander ed Elizabeth accadde.

Quella notte del 22 maggio, Elizabeth e io eravamo nel corridoio del primo piano interrato del Dipartimento, vicino al mio ufficio. Nessuno di noi riusciva a dormire da quando Lily era scomparsa e Alexander non si era fatto vedere nemmeno da lei, fino a quel momento. Il pallore sul volto della mia amica, le occhiaie violacee per la mancanza di sonno e pace, le lacrime ormai consumate e il nome di sua figlia che risuonava come un mantra… non avevo più parole per darle speranza. Era così lontana… persa in un mondo che non conoscevo. Una madre che si riteneva responsabile della sparizione della sua bambina di tre anni… e quando Alexander finalmente ci raggiunse, anche lui sembrava un fantasma. Aveva trascorso giorni e notti infinite a cercarla in ogni dove, ricorrendo persino alle connessioni nel torbido. Ma niente. Lily si era dileguata nel nulla, senza una ragione. Perché quel Male di cui non conoscevamo ancora l’identità colpiva indiscriminatamente, o almeno così pensavamo.

Lex…, la mia voce fece eco nel vuoto. Alexander alzò lo sguardo, perso nel nulla. Sembrava svuotato anche lui. Come se entrambe le loro anime non fossero in grado di riposare e avessero lasciato soltanto quei corpi esausti, per continuare la loro ricerca. Nel sentirmi pronunciare il nome di suo marito, ad Elizabeth si mozzò il fiato e si voltò verso di lui, con uno scatto d’ira che mai avevo visto in lei. A grandi passi, con i tacchi che risuonarono sul pavimento freddo, lo raggiunse e gli tirò un ceffone con forza tale da risvegliare tutti e tre. Alexander non reagì, ma i suoi occhi blu notte si fecero lucidi e il segno delle cinque dita rimase impresso sulla sua guancia. Dovevi stare con noi!! Dovevi stare con lei!! Lily ti stava aspettando e tu… tu hai preferito continuare a star dietro a un maledettissimo, inutile caso! Sei un dannato bastardo, Alexander! Quello che è successo è colpa tua!! Tu sei il responsabile! Tu e le tue maledette indagini! Mia figlia… se le accade qualcosa, ti giuro che…

A quel punto Lex le afferrò i polsi e li strinse con forza, costringendola a fermarsi. Elizabeth era sconvolta. Singhiozzai, mi doleva il cuore a vederli così. Mia… Nostra figlia, Elizabeth!! Credi che non stia soffrendo anch’io?! Cosa cazzo credi che stia facendo se non cercarla, maledizione?! Ma tu… era con te, dovevi essere tu responsabile e non l’hai fatto!, urlò con un tono torvo e avvelenato dal dolore.

Lex basta! Non è colpa di nessuno!

Stanne fuori, Selina. Non è affar tuo questo., mi disse, rivolgendomi uno sguardo fosco che non ammetteva repliche e che mi fece indietreggiare.

Elizabeth, scossa dai singhiozzi, strattonò, liberandosi dalla presa di Alexander e battendo i pugni sul suo petto. Ti odio… ti odio!! Maledetto il giorno in cui sei entrato nella mia vita, Alexander Graham!!!

A quell’imprecazione, gridata con tutta la forza della disperazione e del risentimento, che tanto conoscevo, fece seguito, inaspettatamente, la voce di Marcus, che ci aveva raggiunti.

Basta adesso. Tutti.

Ci voltammo tutti e tre verso di lui. Nella tensione del momento non ci eravamo resi conto che ci aveva raggiunti e vederlo fu provvidenziale. Almeno era ciò che credevo. Mi oltrepassò senza guardarmi e quel gesto suscitò in me un presentimento inquietante. Si fermò a pochi passi da Alexander ed Elizabeth, che lo fissarono, improvvisamente insicuri. Non vidi l’espressione sul volto di Marcus e forse, fu meglio così. Se l’avessi fatto, non avrei saputo affrontare ciò che sarebbe derivato poche ore più tardi. Ma le espressioni sui volti dei miei migliori amici… beh, quelle le portavo dentro da allora. La speranza che, come una fiammella sempre più debole, aveva lottato per sopravvivere in quei tre giorni, si spense all’improvviso nei loro occhi, mentre Marcus diceva loro di farsi forza. Mi appoggiai al muro, incapace di guardare oltre… di sostenere il peso di quegli sguardi… e di ascoltare. Elizabeth ebbe un mancamento e le ci vollero diversi minuti per riprendersi quel poco che bastava per sprofondare in un abisso di dolore. Alexander… Alexander si allontanò, salvo poi essere fermato dagli agenti in servizio, tra cui un più giovane Daniel, prima che potesse compiere qualcosa di cui si sarebbe potuto pentire. E quando Maximilian tornò in Dipartimento, portando con sé Lily… quell’urlo…

– Terra chiama Selina. –

Scossi la testa e una folata di vento mi sparpagliò i capelli sul viso, ricordando all’istante dove fossi. Elizabeth ed Alexander mi guardarono perplessi, si guardarono tra loro e poi Liz mi appoggiò una mano sulla spalla.

– Si può sapere cos’hai da piangere? –

– Ehm… sto piangendo? Scusate… è colpa del vento. – mentii, asciugando le lacrime.

Alexander sospirò. – In effetti sta cambiando… forse sarebbe meglio rientrare. –

Mi guardai intorno. Il cielo si era fatto plumbeo e si era alzato vento più forte che spingeva verso la costa. D’altronde, dato il periodo, un cambiamento repentino era da considerare.

– Vai a vedere che davvero qui vien giù un uragano. – borbottò Elizabeth.

– Rischiamo più una tempesta… dico al capitano di rientrare, ok? – fece eco Alexander e noi annuimmo.

Quando fu andato via, Elizabeth accarezzò il ventre, preoccupata. La abbracciai.

– Tu non me la racconti giusta. Lo sai, vero? – mi disse, sorridendo un po’ perplessa.

La strinsi più forte. – Non è nulla… è soltanto che sono felice di avervi tutti qui accanto a me… –

Elizabeth scostò la testa e ci ritrovammo faccia a faccia. Per un attimo il suo sguardo si fece interrogativo, poi si addolcì. – Abbiamo combattuto per questa vacanza di famiglia… e ce la godremo fino all’ultimo. Quindi vedrai, andrà tutto bene. E poi… io ci sono. Per te sempre. –

Annuii, ricambiando il sorriso, poi mi scostai. – Grazie… ti voglio bene. –

– Anch’io. – aggiunse, quando fummo raggiunte da tutti gli altri.

– Saremo a terra in una ventina di minuti. Il capitano suggerisce di ripararci sotto coperta in caso dovesse cominciare a piovere. – ci informò Maximilian.

– Buona idea. –

E così, ci rifugiammo all’interno, per il resto del viaggio. Non fu esattamente una passeggiata rispetto a com’era cominciato perché le onde cominciarono a ingrossarsi sotto la spinta sempre più forte del maestrale e tutto quel trambusto provocò sia ad Elizabeth che a Jace il mal di mare e una bella dose di spavento a me e a Nicholas, tanto più che ringraziammo tutti il cielo non appena potemmo rimettere piede a terra.

 

***


Quando rientrammo in albergo, ci ricongiungemmo con Kate e Lucy. Fu un sollievo, soprattutto per Alexander, ritrovarla ristabilita.

– Ti senti meglio? – le domandò, raggiungendola, mentre Lucy si avvicinava a Jace.

Kate sorrise e annuì. – Mi dispiace di non aver partecipato all’uscita, ma son certa che vi siate divertiti. Anche se… sembrate alquanto… sbattuti. –

– Il viaggio di ritorno è stato burrascoso. Letteralmente. – spiegò Marcus.

– Però abbiamo visto i fari e Jace e Maximilian hanno raccontato la storia di Moby Dick! Sapevi che era un capodoglio, anche se lo chiamavano balena bianca, Kate? – disse Nicholas, facendosi avanti.

Kate gli accarezzò i capelli. – No, non lo sapevo… allora vorrà dire che mi farete un riassunto, va bene? –

Nicholas annuì entusiasta, per poi rivolgere lo sguardo ai bambini che erano nella hall e che lo osservavano, facendo cenno di raggiungerli. – Davis! Nathan! Oh, ma ci sono anche Becky, Sarah e Cole! Posso andare da loro?? – chiese poi, voltandosi verso me e Marcus, che assentimmo. Felice, ci lasciò per correre dai suoi nuovi amici, con cui scambiò il cinque. In breve li vedemmo impegnatissimi a confabulare.

– Wow… e bravo Nicholas… ci ha decisamente scaricati. – osservò Jace, appoggiando il mento sulla spalla di Lucy, che alzò gli occhi cervoni al cielo. – Beh, è normale che sia così. Dovreste considerare l’idea di iscriverlo a scuola… –

– Stiamo aspettando ancora per… beh, per quello che sapete… – spiegai, evitando di entrare troppo nel dettaglio.

Da quando Nicholas era con noi, non si era mai nemmeno ammalato. Sapevamo che era stato sottoposto a degli esperimenti da prima di nascere mentre sua madre era alla Cruise Pharma, ma non eravamo ancora riusciti a capire quale fosse l’entità esatta né che effetti avrebbero potuto avere alla lunga sul suo sistema immunitario. Avevamo lottato a lungo per gestirlo noi e questo, spesso, era stato motivo di attrito tra Marcus e Morris, che avrebbe di gran lunga preferito metterlo in quarantena, formalmente per la sicurezza pubblica. Per tutti noi del V Dipartimento, Nicholas non era altro che un bambino che aveva già pagato un prezzo troppo alto per la sua giovane vita.

– Scusate, è un problema se mi ritiro per qualche ora? – chiese Elizabeth, all’improvviso, appoggiandosi al braccio di Max.

– Cosa senti? – le chiesi, preoccupata, mentre tutti ci stringemmo attorno a lei.

– Ho bisogno di stendermi un po’… il viaggio è stato un po’ più stressante di quanto pensassi e non ho più la vitalità che avevo durante la mia prima gravidanza. – ci spiegò, tranquillizzandoci.

E così, lei e Max presero congedo, mentre noialtri ci sedemmo nella hall insieme alle altre famiglie presenti. Non era il caso di uscire, dal momento che, giusto per aggiungere il danno alla beffa, si era messo a piovere, per cui, non potendo far altro, ci ritrovammo a chiacchierare e a seguire le news in tv. Ricevemmo anche diverse chiamate dai vari parenti preoccupati per il maltempo, ma li rassicurammo tutti. Pranzammo poi tutti insieme, prima di ritirarci nel pomeriggio nelle rispettive suite.

Nicholas si fiondò sul letto, stringendo un cuscino tra le braccia.

– Sei proprio felice oggi, eh, Nicholas? – domandò Marcus, avvicinandosi alla finestra.

– Sì! Anche se piove… però son contento di poter trascorrere ancora qualche ora con i miei amici. –

Sorrisi, sedendomi al tavolo per la toeletta. – E noi siamo contenti per te. Avete in mente qualcosa in particolare? –

Nicholas annuì, dondolando avanti e indietro. – Faremo una caccia al tesoro. Il tesoro più prezioso di Moby Dick! –

Battei le palpebre. – Prego? –

– Allora… Davis ha detto che Moby Dick, ogni tanto, si… mhh… non ricordo bene la parola che ha usato, però… è come dire che diventa una persona che mangia i tesori più preziosi. E noi li ritroveremo! –

Scambiai un’occhiata con Marcus, che aggrottò le sopracciglia. Il padre di Davis era un animatore presso un importante studio di Hollywood, dunque quel bambino sguazzava nella fantasia, ciononostante, nutrivo qualche riserva. Marcus chiuse la tenda e si sedette accanto a Nicholas.

– E questi tesori più preziosi sarebbero? –

Nicholas alzò gli occhi al cielo. – Non lo so… ma i capodogli mangiano di tutto. –

Mi venne da ridere. – E fanno indigestione, ogni tanto. Quando sarebbe questa caccia al tesoro? –

– Che ore sono adesso? – mi chiese.

– Le 16:15. –

– Allora… quando i capodogli dormono! –

– Spero che non sia una metafora per indicare gli adulti… – fece eco Marcus, pietoso.

– Questa mi è piaciuta. Comunque, purché non si dia fastidio alle persone che soggiornano nell’albergo, va bene. –

Nicholas ne fu felice. – Grazie, Doc!! –

Mi morsi le labbra, ma ricambiai il sorriso, non volendo rovinare l’idillio. Poi mi voltai verso lo specchio e sospirai.

– Senti, tesoro… dal momento che stasera sarà l’ultima sera che passiamo qui, che ne dici di scegliere cosa indossare? – mi chiese Marcus, prontamente.

Annuii, senza guardarlo, poi presi lo scrigno con i ciondoli e li osservai. D’improvviso sentii Nicholas avvicinarsi a me e abbracciarmi. Ne vidi il riflesso nello specchio e mi calmai.

– Mi racconti di queste pietre? –

Presi il topazio. – Questa è vecchia. Appartiene alla mia famiglia da tanto tempo… e ieri avevi ragione su una cosa: ha il colore dei miei occhi. Credo che sia per questo motivo che si tramanda. –

– Che vuol dire? –

– Che passa di mamma in figlia… –

Nicholas batté le palpebre, poi mi abbracciò più forte. – Io però, non sono una femmina… –

Sgranai gli occhi e mi voltai per abbracciarlo a mia volta. – Tu sei perfetto così come sei, bambino mio… e io sono felice di averti. –

Arrossì e mi guardò, poi osservò il diamante. – E questa? –

Sorrisi dolcemente, lasciai il topazio e lo presi, poi guardai Marcus e infine tornai a guardare Nicholas. – Questa rappresenta te, splendente e forte, così come la nostra nuova famiglia. È un preziosissimo regalo di papà per il tuo arrivo nelle nostre vite… –

– Oh… ha così tanti riflessi… più dell’altra… –

Fui d’accordo e gliela posai in mano. – È per tutte le emozioni che abbiamo provato… e che proviamo in ogni momento che passiamo insieme, Nicholas… tra le due, questa è decisamente quella che più preferisco. –

Il piccolo osservò la pietra, sulla quale si infransero alcune gocce. Mi accorsi che si trattava delle sue lacrime.

– Tesoro? –

Nicholas si sforzò di ricacciarle indietro, tirando su col naso e increspando il musetto, ma con scarsi risultati. Poi posò il diamante al suo posto e mi strinse forte.

– Ti voglio bene… – farfugliò.

Il mio cuore mancò un battito e mi ritrovai a guardare sconvolta Marcus, che mi restituì uno sguardo pieno d’amore. Prima che me ne rendessi conto, sentii gli occhi pungere anch’io e coccolai Nicholas, premendo le labbra contro i suoi capelli scuri.

– Anch’io te ne voglio, tesoro… anch’io… –

Passammo così tanto tempo, fino a che un tuono non ci fece sobbalzare. La tempesta imperversava ormai da qualche ora e non accennava a smettere, tanto più che Marcus decise di interessarsi personalmente affinché non ci fosse il rischio di rimanere isolati.

Quando tornammo nella hall, la preoccupazione cominciava a farsi sentire, ma il direttore del resort rassicurò tutti sul fatto che un evento meteo inatteso non avrebbe affatto precluso la possibilità di stare in sicurezza. L’animazione tenne impegnati i bambini, mentre noi adulti ci ritrovammo a tener d’occhio la situazione, fin quando non arrivò sera. Il maître ci informò che a breve sarebbe stata servita la cena in ristorante e così ci accomodammo.

In sala, c’era almeno una trentina di persone e noi prendemmo posto vicino agli strumenti. Ogni serata era allietata da musica diversa: se in precedenza era stata una selezione di musica classica ad accompagnarci, quella sera toccava al jazz.

Vennero servite nuovamente deliziose portate di pesce e stavolta, Kate si tenne ben lontana dalle ostriche, per la gioia di Jace che si ritrovò con qualcosa in più nel piatto. Scherzammo a proposito degli effetti afrodisiaci e Alexander suggerì a lui e a Lucy di cambiare stanza, scegliendone una più lontana. Anche Elizabeth, per ovvi motivi, evitò di mangiare crudi, ma non disdegnò delle morbidissime orate al profumo di limone e timo, che aveva già apprezzato la sera precedente. Complice la musica e il buon cibo, la tensione per il maltempo si allentò e conversammo di feste. Quelle del passato furono oggetto di curiosità da parte dei giovani, mentre quelle più recenti ci riportarono al bisogno di concederci, un po’ più frequentemente, degli svaghi. Un tavolo più in là, i bambini, che di svago ne avevano avuto a bizzeffe, ridevano e ci ricordavano, in un certo senso, quanto fosse semplice la vita alla loro età. E così, anche quella cena si concluse, non senza aver pattuito di organizzare qualcosa in futuro, soprattutto considerando che Lex non aveva ancora mandato giù la sconfitta a beach volley.

Quando lasciammo il ristorante per rientrare nella hall, notammo alcuni clienti parlare, anche con impazienza, con un receptionist piuttosto in difficoltà. Inizialmente non pensammo di fermarci, ma quando un’anziana signora lamentò, con voce più alta e alterata, la sparizione di un paio di orecchini in diaspro egiziano, seguita da altre voci che nominavano, grossomodo, gioielli contenenti opale, rubino, acquamarina, quarzo lavanda, tormalina e altre pietre preziose, ci guardammo tra noi. Istintivamente, controllai che il topazio fosse ancora al mio collo ed Elizabeth toccò i pendenti in quarzo rosa che erano ben ancorati ai suoi lobi.

– Stai a vedere che abbiamo del lavoro da fare proprio la nostra ultima sera… – borbottò Alexander, mettendo la mano in faccia.

– Avevi altri progetti, eh? – aggiunse Maximilian, grattando il mento.

Kate arrossì. – Detective Wheeler! –

Max batté le palpebre. – Che ho detto di strano? –

Alexander inarcò il sopracciglio. – Sta’ zitto, potresti andare in bianco, stanotte. –

Maximilian lo guardò in cagnesco, ricambiato, mentre Elizabeth guardò Kate, rassegnata.

– Lasciali perdere. Sono due bambini viziati. –

Jace si mise a ridere, poi prese per mano Lucy. – Ve la sbrigate voi? –

Marcus sospirò. – A meno che non ci siano dei professionisti in giro, considerando la tempesta qua fuori, dev’essere tutto ancora qui. –

Kate annuì. – Che si fa? –

Guardammo tutti Marcus, che alzò gli occhi al cielo. – Ok. Me la vedo io qui. Dottoressa Hastings e signorina Garner, avete portato con voi dei preziosi? –

Entrambe le ragazze fecero cenno di no. Vidi Alexander mettere le mani in tasca nervosamente, poi la sua espressione si fece più distesa e guardò verso il manipolo. – Marcus, tu metti in sicurezza la reception prima che quel ragazzo faccia una brutta fine. Max e io ci occupiamo di recuperare la refurtiva. –

Marcus annuì. – Hai già capito dove si trova? –

Lex arricciò le labbra e sogghignò. – Credo di avere una mezza idea. – disse. – Quando il capitano non c’è… i capodogli ballano. –

Guardai Nicholas, che mi rivolse uno sguardo perplesso.

– La… caccia al tesoro? I bambini? – chiesi, incerta.

Nicholas fece cenno di no, allarmato. – Non abbiamo preso nulla! Lo giuro!! –

– Sta’ tranquillo, piccolo mio… nessuno vi dà colpe. – dissi, accarezzandogli i capelli e lanciando un’occhiataccia ad Alexander. – Piuttosto… dovrei controllare che sia tutto ok anche per me. – continuai, rivolgendomi a Marcus, che annuì.

Tuttavia, prima di potermi muovere, un lampo illuminò a giorno la hall, seguito poco dopo da un forte tuono sconquassante. Nicholas urlò, ma non fu il solo. Oltre ai bambini, anche alcuni adulti avevano preso un bello spavento.

– Basta temporeggiare. Avanti. – disse Marcus, recandosi, seguito, presso il gruppetto che cominciava a farsi più numeroso e agitato. – Signori. Per cortesia, manteniamo la calma. Da questo momento prendo il controllo della situazione. Sono Marcus Howell, Procuratore Distrettuale e direttore del corpo di Polizia di Boston. Questi invece sono i miei agenti: il detective Alexander Graham e il detective Maximilian Wheeler. –

A quelle parole, calò un reverenziale silenzio rotto soltanto dallo scrosciare della pioggia e da qualche mugolio in sottofondo. Marcus si voltò verso il receptionist. – Chiami il direttore Hudson. E, per amor del cielo, evitiamo gli assembramenti. –

Il receptionist annuì e provvide, mentre gli astanti si distanziarono. L’eco della conclusione del caso del Mago destava ancora delle curiosità, tanto più che qualcuno riconobbe nomi e volti e vi fu del vociare, ma, grazie all’intervento di Kate, queste furono temporaneamente messe da parte. Dissi a Nicholas di accompagnarmi a controllare che il diamante fosse ancora al suo posto, ma, arrivati all’ingresso del corridoio, sentimmo invocare la presenza di un medico. Sospirai, nel riconoscere l’anziana che aveva urlato precedentemente, tra le braccia della figlia che, a quanto pareva, aveva preso da lei per tono di voce.

– Ricorda, tesoro… un medico è sempre un medico… anche se forse stasera non ci scappa il morto. – dissi a Nicholas, che mi restituì uno sguardo preoccupato. – Va tutto bene. Ascolta… va’ con i tuoi amici, aspettate sui divani, magari guardando un cartone, ok? Nel frattempo, papà, Alexander e Maximilian recuperano i gioielli e io aiuto la vecchietta. – continuai, facendogli l’occhiolino e sorridendo, nella speranza che potesse aiutarlo a tranquillizzarsi. Nicholas assentì, non del tutto convinto, poi raggiunse i bambini, che erano tutti insieme. Jace, nel frattempo, aveva raggiunto gli altri, mentre Elizabeth si era momentaneamente allontanata assieme a Lucy.

Mi avvicinai alle due donne, intanto. L’anziana era seduta su un divano, mentre la figlia le teneva la mano, in pena. Alzò il viso nel vedermi. – Lei è un medico? –

Annuii, evitando di dire di che tipo. – Cos’è successo? – chiesi, chinandomi. Alcuni dei presenti erano ancora intorno a noi e chiesi loro di non accalcarsi. Soltanto i parenti rimasero il giusto per garantire un po’ di privacy rispetto ad occhi indiscreti.

– Non lo so, ha avuto un mancamento… l’ho sentita stringermi il braccio e poi mi si è accasciata addosso. La prego, che cos’ha?! –

Osservai attentamente la donna, i cui lineamenti del viso erano leggermente distorti su metà volto. La mano destra, non tenuta dalla figlia, era appoggiata in modo rigido sul cuscino in tessuto, ma ciò che mi fece orientare verso qualcosa di specifico fu il fatto che, a dispetto delle parole pronunciate con chiarezza in precedenza, l’eloquio si era fatto confuso, sia nel contenuto che nella pronuncia. Controllai l’occhio destro e il sinistro. Mentre la pupilla del destro si mostrò più reattiva, quella del sinistro ci mise più tempo.

– Come si chiama sua madre? – chiesi alla donna, che mi rispose, stavolta con voce più preoccupata, dicendo il nome Mary. Annuii.

– Molto bene… Mary, so che adesso è spaventata, ma le prometto che andrà tutto bene. E servirà qualcuno che non abbia paura di affrontare la tempesta là fuori. Non distante da qui, in centro, c’è il Cottage Hospital. – spiegai, guardando la figlia. – Ha avuto un ictus. Ha bisogno di una visita neurologica al più presto. Chiedete del dottor Dallas, è in gamba. –

La donna annuì, in pena, poi si rivolse al marito che corse fuori. Guardai Mary, che continuava a farfugliare e le sorrisi. Per qualche ragione, mi ricordò la mia defunta nonna Jeannette e mi ripromisi di chiamare mia madre, una volta tornati a Boston. Dopo che le ebbero messo addosso una giacca e furono andati via, Ashley, mamma di due bambini del gruppetto di Nicholas, si avvicinò a me.

– Dottoressa, già che c’è, può dare un’occhiata ai piccoli? Sarah già non si sentiva bene, lamentava del mal di gola stamattina, mentre Cole ha mal di pancia… –

Mi sporsi ad osservare i piccoli, di otto e cinque anni, da quanto mi aveva raccontato Nicholas. Entrambi avevano le manine strette a quelle della mamma e le faccette sofferenti. C’era poco da fare… quel legame, che si fosse bambini, adulti o anziani, era lo stesso. Indistruttibile… forte come il diamante. Guardai verso il resto del gruppetto, scorgendo i capelli scuri del mio piccolo e poi annuii.

– Ma certo. Però, credo sia meglio spostarci in un luogo più adatto. – proposi, indicando le stanze. Ashley fu d’accordo e così, mentre nel resort continuavano le indagini, ci spostammo perché potessi visitare i bambini.

Alla fine, i colpevoli sembrarono essere un banale Rhinovirus per Sarah e qualche leccornia di troppo per Cole prima di cena. Entrambi se la sarebbero cavata con riposo, idratazione e, alla peggio, con un flaconcino di fermenti lattici. Ashley ed io ci fermammo a chiacchierare un po’ e scoprii che anche loro erano di Boston, anche se in vacanza da qualche giorno in più rispetto a noi. Mi raccontò che lei e il marito erano in terapia di coppia e quell’occasione stava servendo loro per cercare di appianare le loro divergenze.

– Lei invece è fortunata… Nicholas vi adora e ha raccontato ai bambini di quanto la sua mamma e il suo papà si vogliano bene e quanto siano straordinari. –

Sgranai gli occhi nel sentire quelle parole. – L-Lui… davvero ha detto così? –

Ashley sorrise e portò una liscissima ciocca biondo miele, identica a quella di Sarah, dietro l’orecchio. – Certamente. E poi… trovo che le somigli un po’, sa? –

Rimasi a bocca aperta, senza sapere cosa dire, quando sentimmo bussare. Ashley andò ad aprire e ci ritrovammo davanti Kate.

– Prego? – la sentii, prima che si scostasse e i loro sguardi incontrassero il mio. D’improvviso, avvertii la sensazione di un nodo all’altezza dello stomaco e ricordai il motivo. Quegli occhi. Elizabeth. Il terrore. Il giorno in cui Lily sparì.

 


 

 

 

 

****** ANGOLO DELL'AUTRICE *******


Buon pomeriggio!

Prima parte del secondo capitolo! Questo è il più lungo, motivo per cui ho preferito dividerlo in due per evitare di sovraccaricare. Poteva mai mancare un risvolto drammatico in una mia storia? Decisamente no! Oltretutto, mi sono resa conto che questo speciale mi ha permesso davvero di raccontare momenti del passato che desideravo tantissimo raccontare, ma che, per forza di cose, non ho mai potuto fare nella storia originale... quindi spero che possa aiutare a rivelare un po' di curiosità!

Alla prossima settimana con la seconda parte e un grazie affettuoso a chi sta leggendo!!

  
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