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Autore: giuliacaesar    24/01/2022    1 recensioni
⚠️POTREBBE CONTENERE SPOILER DEL MANGA DAL CAPITOLO 290 IN POI⚠️
La vita a volte ci pone davanti a delle scelte, facili o difficili che siano. Se ne scegliamo una non sapremo mai il finale dell'altra, il che ci porta a porci una serie infinita di domande che iniziano con un "e se...".
«Ha presente cosa sono gli otome game?» [...] «Insomma, quello che voglio dire è che in base alle scelte che fai ti ritrovi finali diversi, no? Quello bello, quello brutto e, a volte, quello neutrale. Basta una sola azione per compromettere il risultato finale, come nelle equazioni di matematica. Ecco, in quella stanza di ospedale potevo scegliere due strade che mi avrebbero portato a due finali differenti.».
E se... Enji fosse andato alla collina Sekoto quella fredda serata d'inverno?
ATTENZIONE! Il rating potrebbe cambiare!
Pubblicata anche su wattpad su @/giulia_caesar
Ispirazione: @/keiidakamya su Twitter e @/juniperjadelove su Twitter e Instagram.
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dabi, Endeavor, Hawks, League of Villains, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 6 - IL LEONE E IL TOPOLINO

Touya sentiva le gambe di gelatina quando entrò all’interno dello spogliatoio. Non era il posto in sé a terrorizzarlo, anzi era anche abbastanza squallido: una sola misera lampadina attaccata per miracolo al soffitto da un sottilissimo cavo illuminava con una luce fastidiosamente arancione una fila di armadietti sfondati, una panchina rotta e un tavolo che si reggeva su tre gambe. Anche l’odore lasciava molto a desiderare, una densa puzza di sudore mista a sangue e altri fluidi corporei, di cui Dabi non voleva sapere nulla, invadeva il piccolo spazio rendendolo ancora più soffocante. Quel fetore era così pungente e forte da pizzicargli il naso rischiando di fargli lacrimare gli occhi. 

Aveva una gran voglia di una doccia a base di disinfettante. E di una bella dormita, di quelle che durano un giorno intero lasciandoti più rincoglionito di come sei andato a dormire. No, in realtà voleva solo abbandonare tutto e tutti scappando alle Canarie, così da fuggire dalle sue responsabilità, sperando che non lo raggiungessero anche dall’altro capo del mondo. Lo stridore di una sedia che veniva trascinata sul pavimento e di qualcuno che ci si buttava sopra molto poco elegantemente lo riportò alla realtà dal suo sogno di una vita in riva al mare a sfondarsi il fegato di alcolici. 

«Allora, a cosa devo questa bella visita?». 

Mitsuha fu la prima a parlare dalla sua posizione stravaccata sulla sedia, le gambe sul tavolo malconcio e un braccio sullo schienale. Li stava osservando con quei magnetici occhi castani scuro, un abisso così profondo da non poterne vedere la fine. I riccioli del color dell’ebano erano lasciati sciolti, una massa indomabile di capelli lunghi poco sopra il seno che le davano un aspetto normale. Se Dabi non la avesse appena vista prendere a calci un energumeno di due metri e se non si ritrovasse in una bisca clandestina, non avrebbe trovato nulla al di fuori dell’ordinario in Mitsuha. 

«Non ci siamo ancora presentati. Io sono Ha-».  

Hawks fu brutalmente interrotto dalla voce scocciata della ragazza, che schioccò la lingua contro il palato prima di dire: «Odio i formalismi, eroe. Non c’è bisogno di presentazioni, mi basta aprire il giornale di questa mattina per ritrovarmi i vostri bei faccioni in prima pagina. E voi di certo non siete qui per giocare a blackjack con qualche pervertito fin troppo ricco.».  

Squadrò poi entrambi dall’alto in basso con aria scettica e guardinga. Non si fidava di loro, per nulla. Dabi non la biasimava: i due proheroes più famosi del Giappone venivano in un posto malfamato per incontrare una mercenaria, che era risaputo lavorasse per la League of Villains. Non bisognava di certo essere un criminale per capire che la cosa era molto sospetta, quindi in fondo capiva la diffidenza della ragazza, ma allo stesso tempo non poteva permettersi di far saltare la copertura. Dovevano trovare qualcosa, qualsiasi cosa per distruggere quel muro insormontabile che li divideva da Mitsuha. Un appiglio per superarlo, una porta da aprire, uno spiraglio su cui fare leva per abbatterlo. Cacciò indietro il nodo di ansia e paura che gli si era formato in gola prendendo parola.  

«I giornaletti di gossip non sono una fonte attendibile per poter dire di conoscerci. Escono tantissimi articoli su All Might, eppure non mi sembra che siamo migliori amici.».  

Gli occhi di Mitsuha scattarono subito verso di lui, guardandolo con aria di sufficienza. Quasi gli sembrava stesse storcendo il naso e la bocca in un ringhio, per la silente ferocia impressa in quegli occhi. Poi la mercenaria sembrò rilassarsi, lasciandosi andare a uno sbuffo divertito, prima di alzarsi e dirigersi a lenti passi verso un armadietto. 

«Ottimo punto di vista, ma fa parte del mio lavoro essere sulla difensiva. Che ne dite di rincominciare da capo di fronte a un po’ di alcol?» disse loro, guardandoli da oltre la spalla, l’occhio scuro fisso però su Dabi, che sembrava aver catturato la sua attenzione. Tirò fuori una bottiglia di rum con tre bicchierini, poi si diresse di nuovo verso il tavolo indicando loro le sedie con una mano, in una parodia di un signore di casa che cerca di essere galante con i suoi ospiti.  

Una volta che si furono seduti tutti e tre, Mitsuha riprese la parola. Fingendo di averli appena visti entrare dalla porta, spalancò gli occhi imitando quella che doveva essere sorpresa, ma finendo per essere una palese presa in giro. 

«Oh, ma guarda! Nuova gente, chi ho il piacere di incontrare questa sera?».  

Diversamente dal solito, fu Dabi a parlare per primo, sorprendendo persino sé stesso. Da quando era diventato così intraprendente? 

«Sono Dabi, molto piacere. Lui invece è il mio collega Hawks. Siamo venuti per discutere con te.».  

Mitsuha non rispose subito, facendo finta di essere troppo impegnata a versare il rum nei bicchierini. Li osservava con occhi socchiusi, studiandoli a fondo come due prede, eppure aveva l’aria di una che si stava divertendo un mondo. Di certo molto più di loro due, in preda all’ansia di essere scoperti e di essere presi a calci da un momento all’altro. E avevano visto fin troppo bene che genere di calci tirasse la ragazza di fronte a loro, sarebbe piaciuto loro tornare a casa con i nasi integri. Una volta che ebbe versato a tutti il liquore fino all’orlo del bicchiere, si degnò di rispondergli con aria strafottente. 

«È un tale piacere conoscervi! Mi chiamo Mitsuha, per i clienti Kya. Quindi, quanto offrite prima di tutto.». 

Dabi e Hawks si rivolsero uno sguardo confuso. Che cosa diamine passava per la testa di quella ragazza? Troppe botte in testa? 

«Offrire?» chiese dubbioso Hawks. 

Di rimando Mitsuha sospirò grattandosi un sopracciglio e appoggiando gli avambracci sul tavolo, facendolo scricchiolare. 

«Sì, quanto intendete pagarmi? Non faccio le cose gratis. Prima mi fai vedere cosa mi offri, poi puoi dirmi cosa fare.». 

Dabi finalmente ebbe l’illuminazione: Mitsuha credeva fossero lì per ingaggiarla in qualche lavoro losco. Insomma era una mercenaria, per quanto ne sanno loro anche piuttosto indifferente all’ideologia che segue la League of Villains, ma da fonti certe sapevano che era stata ingaggiata proprio dall’organizzazione criminale a tempo indeterminato, quindi doveva per forza avere qualche legame. E loro puntavano a quello, ma Dabi non sapeva se andare dritto al punto o se girarci attorno per un po’. 

Da quel che aveva visto, Mitsuha, nonostante ostentasse una personalità apparentemente solare e aperta, dagli sguardi gelidi e predatori che continuava a lanciare loro non sembrava molto disposta a cedere loro la sua fiducia così facilmente. Si sentiva come braccato da una leonessa che si divertiva a girargli intorno, in attesa del primo passo falso per scattare. Sebbene ogni singola molecola del suo corpo gli urlasse di scappare, fu di nuovo lui a parlare. 

«In realtà, non siamo qui per un ingaggio.». 

L'espressione di Mitsuha mutò nel giro di un secondo. Se poco prima cercava di dissimulare la sua diffidenza, ora anche il sorriso di plastica che si era sforzata di usare cadde come una maschera, rivelando solo fredda ferocia. Quando parlò la sua voce sembrava uscire fuori dalla grotta più gelida e buia che ci fosse. 

«Se non siete qui per un ingaggio, allora ho una sola cosa da dirvi: sloggiate prima che perda la pazienza. E non sono una che ne ha molta.». 

Dabi sentì per una frazione di secondo un’onda di panico travolgerlo, ma si riprese in fretta rispondendo di getto, senza pensare. Forse c’era un motivo se era Hawks quello che si occupava delle trattazioni. 

«In realtà, saremo interessati alla League fo Villains...». 

Non ebbe il tempo di mordersi la lingua per la sua avventatezza che Mitsuha proruppe in una grossa risata, che gli fece accapponare la pelle ancora di più. Quella non era per niente la risata di qualcuno che aveva appena sentito una battuta divertente, era derisoria e sfacciata, come se si stesse pregustando il panico che invadeva i loro sguardi. Altro che pregustare, Mitsuha si stava già godendo quella sensazione di paura che gli si era gettata addosso. 

«Certo che sei divertente, eh! Oh Kami, non ridevo così tanto da una vita. Siete davvero così scemi come sembrate.». 

«Signorina Nanase...» tentò come approccio Hawks per riparare al danno fatto dal suo amico. Dall'occhiataccia che gli aveva scoccato non sembrava affatto contento. Gli si leggeva in faccia un Facciamo che da ora tu te ne stai zitto, eh? 

«Non chiamarmi signorina. Te l’ho già detto, odio i formalismi del cazzo, tipici di voi eroi.» scattò subito l’altra. 

Hawks si ricompose per un secondo, sorpreso che il suo solito charme che ammaliava chiunque non avesse funzionato con quella ragazza. Forse doveva andarci un po’ più pesante. 

«Mitsuha, so che possiamo sembrare sospetti, ma saremo interessati alla causa che perpetua la League of Villains. Sappiamo che tu ne sei in qualche modo collegata.». 

Mitsuha rise ancora più sguaiatamente, piegata in due sul tavolo su cui batteva un pugno. Il piccolo mobile traballante tremava così tanto che alcune gocce di rum finirono per uscire fuori dai bicchierini insozzando ancora di più la superficie già lurida. La ragazza rise per quelli che sembrarono minuti interi, dicendo parole sconnesse tra loro, ma di certo erano delle prese per in giro. Quando smise di sganasciarsi dalle risate, aveva il fiatone e dovette impiegare qualche secondo per riuscire a parlare di nuovo. Erano su una barchetta in mezzo al mare con un buco sul fondo e uno squalo che gli girava attorno in attesa di gustarsi il suo pasto: più cercavano di riparare al danno, più acqua entrava, più lo squalo si avvicinava. 

«Oh cazzo! - le scappò un’altra risatina – non avete mai pensato alla carriera di cabarettisti? Spacchereste lì fuori. Vi posso già trovare un nome per lo spettacolo “Come NON cercare di convincere una criminale a farvi introdurre all’interno della League fo Villains”. Mi raccomando, voglio una percentuale degli incassi.». 

La sua ultima uscita fu condita da un occhiolino, mentre allungava la mano non tatuata per afferrare il bicchierino di rum. Le sfiorò appena le labbra, prima che Dabi impulsivamente prendesse di nuovo la parola. 

«Mitsuha, non stiamo scherzando, siamo davvero interessati.». 

Lo sguardo di Mitsuha per la prima volta nella serata si fece serio, non fingeva di essere accomodante, né cercava di essere intimidatorio. Stava studiando il ragazzo di fronte a sé con grande attenzione, come se lo vedesse per la prima volta. 

«Neanche io sto scherzando. Se credete che farmi gli occhi dolci da cucciolo bastonato basti a farmi prendere anche solo in considerazione l’idea di farvi introdurre nella League per spiarci e spiattellare tutto quanto agli altri vostri amici eroi, allora avete contattato la persona sbagliata. Non mi importa un cazzo né di voi, né tanto meno di quella banda di poveri idioti, ma il loro capo mi ha già pagato e tanto, quindi, a meno che non abbiate da offrirmi di più, vi conviene sloggiare alla svelta. Sono stata fin troppo paziente con voi.». 

Le parole le uscirono quasi sibilando dalle labbra, appena appena bagnate di rum. Gli occhi erano assottigliati come quelli di una vipera pronta a mordere. Dabi avrebbe gestito molto meglio l’ansia con una vipera davanti che con quella ragazza. 

«Non siamo spie, noi davvero crediamo negli ideali della League.» insisté ancora Hawks. 

Mitsuha sbuffò come un toro imbufalito, prima di svuotare in un colpo solo il rum e sbattere con forza il bicchierino sul tavolo. 

«Oh certo, adesso sì che mi avete convinta. Che ne dite se adesso ci mettiamo lo smalto a vicenda e ci raccontiamo tutti i cazzi nostri?». 

La ragazza si stava visibilmente infastidendo: sebbene le parole fossero cariche di sarcasmo, le aveva pronunciate come una condanna a morte. Proprio se la immaginava con l’ascia da cupo mietitore in mano, che cercava di tranciargli la testa. Che immagine terrificante. 

Quella serata il filtro che aveva tra la bocca e il cervello era apparentemente intasato, quindi disse di nuovo la prima cosa che gli passava per la testa. 

«Non mi aspetto che tu ti fidi subito di noi e che ci faccia incontrare la League, ma almeno dacci l’opportunità di dimostrarti che non stiamo scherzando o che non è qualche strana manovra della Commissione. A loro prima di tutto interessa l’apparenza, non come sei, i motivi che ti spingono a salvare gli altri. A loro importa prima di tutto che tu abbia un bel faccino da piazzare sui giornali e sugli schermi nelle piazze. E se qualche giornalista ci scopre, non sono siamo nella merda fino al collo, ma la Commissione è anche pronta a tranciarci la testa senza neanche pensarci due volte. Credi che correremmo questo rischio solo per una misera missione di spionaggio e non perché siamo convinti di quello che dice Stain?». 

Quando finì di parlare, Mitsuha e Hawks lo guardavano sbalorditi. Anche lui in realtà era molto sorpreso delle sue parole, perché era esattamente quello che pensava. Da sempre, fino allo sfinimento, gli avevano ripetuto che l’apparenza era tutto per un prohero: dal banalissimo costume superattillato al semplice sorridere come un ebete alle telecamere quando ti intervistano, anche nei momenti in cui avrebbe preferito rintanarsi in un angolo a piangere. Da anni si portava quelle parole nel cuore, a marcirgli dentro infettandolo di malumore, eppure mai una volta era riuscito ad esternarle, neanche di fronte a Hawks. Era così stufo di dover fingere che la sua vita fosse fantastica, che andava tutto bene, che lui stava bene, come se niente al mondo potesse scheggiarlo, quando invece era tutto il contrario. 

Inoltre, era terrorizzato che i giornali potessero venire a sapere di un loro coinvolgimento con la League, mai sarebbero riusciti a convincerli che si trattava di una missione forzatamente voluta dalla Commissione. Sapeva che mai avrebbero creduto loro, anzi li avrebbero derisi, dicendo che si credevano qualche attoruncolo da due soldi in un film d’azione. A quel punto, sì che la sua vita sarebbe stata rovinata, anche perché la Commissione non avrebbe mosso un dito. Di certo avrebbe cercato in tutti i modi di dissociarsi da loro o di indurre qualche finta indagine o addirittura spedirli direttamente in prigione senza neanche passare per i cancelli. Perché se fallivano questa missione, sarebbe stata l’ultima della loro vita. 

Mitsuha era ancora rimasta muta, giocherellando con uno dei bicchierini rimasti. Lo rigirava tra le lunga dita dalle nocche arrossate, guardandolo pensierosa. Nel suo sguardo non si intravedeva nulla, la sua espressione era completamente muta, troppo assorta nei suoi pensieri. Poi puntò gli occhi di scatto su di lui e inclinò leggermente la testa, prima di parlare. 

«Quindi vorresti che ti mettessi alla prova, eh? Ne sei così sicuro, Dabi?». 

Era la prima volta che pronunciava il suo nome, ogni sillaba era un brivido che si scorreva per la schiena. Di nuovo, mutevole come le nuvole, aveva di nuovo cambiato tono della voce: non era derisorio, non era freddo, non era il ringhio di una tigre. La voce era morbida, come se gli stesse accarezzando le orecchie con del velluto, le parole scelte con cura per attirare la sua attenzione, calcolate al millimetro. Non era riuscita però a nascondere quello sfondo di sfida che le vedeva negli occhi. Voleva essere il leone che si diverte a tormentare il piccolo topolino? L'avrebbe accontentata più che volentieri. 

«Esatto, mettici alla prova, hai carta bianca. Puoi fare di noi quel che vuoi.». 

Si allungò per afferrare l’ultimo bicchierino rimasto, ma non lo bevve subito, voleva vedere come avrebbe reagito Mitsuha. Nel frattempo Hawks, mero spettatore in tutto ciò, rimaneva zitto lasciando fare per la prima volta il suo amico, che non se la stava cavando così male. Di solito Dabi era una frana nelle trattazioni o nelle mediazioni, eppure in quel momento stava tirando fuori un lato diplomatico che mai aveva visto. Era semplicemente sbalordito, oltre a sentirsi come se avesse una pianta rampicante su per la schiena per l’agitazione. Mitsuha sembrava la strega Yubaba nella vita reale, con decisamente meno trucco e più terrificante. 

Ci fu un accenno di sorriso sulle labbra della mercenaria, piccolissimo. 

«Io non faccio le cose gratis o comunque senza un tornaconto, quindi cosa ci guadagno io?». 

Dabi fu fulmineo a rispondere. 

«La cosa che tutti bramano di più dopo il dio denaro: informazioni. Continueremo a lavorare come eroi, la Commissione o i nostri colleghi non sospetteranno nulla, quindi potremmo passarvi tutte le notizie che volete, ancor prima che escano sui giornali. O addirittura notizie di massima riservatezza. Sapremo vita, morte e miracoli di qualsiasi prohero voi vorrete mettere le mani sopra, se non ve lo serviremo prima noi su in piatto d’argento.». 

«E se vi chiedessi di qualche vostro amico?». 

«Al sangue o ben cotto?». 

L'ultima frase avrebbe dovuto farlo vergognare, farlo strisciare sotto il tavolo come un verme, ma la verità era che ci stava prendendo la mano, se non addirittura divertirsi in quel botta e risposta con Mitsuha. Il sorriso della ragazza si allargò ancora di più per una frazione di secondo, poi ritornò seria. Si sporse verso la bottiglia, versando nel bicchierino vuoto un altro po’ di rum per poi passare quello che aveva in mano a Hawks. 

«Bene, signori! Direi che siamo arrivati a un accordo: voi mi portate informazioni e io vedo che cosa posso fare con la League. Andata?». 

Sollevò il bicchierino di rum guardando entrambi con occhi divertiti. Ci misero qualche secondo a reagire, erano arrivati al momento cruciale di quella serata: se avessero accettato, non sarebbero più tornati indietro. Hawks lanciò un’occhiata a Dabi, che con sguardo imperscrutabile teneva il bicchierino con più fermezza in mano, sicuro di sé per la prima volta in tutta la serata. Non poteva immaginare che invece nella testa del suo migliore amico si era scatenata una tempesta di paure e dubbi, ma cercava di sopprimerla in un angolino del suo cervello. Avrebbe ceduto al panico dopo, a casa. Ora aveva bisogno di mantenere quella pesante maschera di marmo che era riuscito a tirare fuori. 

Hawks, d’altro canto, partito spavaldo col petto in fuori, in quel momento si sentiva un ragazzino. Non aveva parlato molto quella sera e nei pochi momenti in cui si era azzardato a parlare aveva fatto uno scivolone dopo l’altro. Di solito era bravo con le parole, era spigliato a intortare le persone con quello che desideravano, ma con Mitsuha non ci era riuscito. Se gli altri per lui erano stati un libro aperto, che non aveva neanche bisogno di sfogliare, la mercenaria era un muro su cui erano impressi dei geroglifici. Duro e impenetrabile, nello sguardo di Mitsuha non aveva letto nulla se non fredda ferocia e svogliato divertimento. 

E poi quei repentini cambi d’umore, cavolo, erano i peggiori. Bastava una frase per avere quegli occhi scuri puntati addosso come una condanna a morte. Lui era bravo a calcolare le frasi, a scegliere quelle giuste, ma Mitsuha non sembrava una che si potesse incastrare con qualche parolina dolce e suggestiva. A lei interessavano i fatti, la sostanza, non il contorno. Lei era quel genere di persona che invece di tagliare la torta a spicchi, la pugnala direttamente al centro, interessata solo al contenuto, non anche agli stuzzichini o alle decorazioni. 

Come sarebbe riuscito a nascondere il marcio, se non poteva addobbarlo con qualche bella parolina? Come sarebbe riuscito a incantarla, a farla perdere con i suoi voli pindarici se aveva costantemente i suoi occhi puntati addosso a trovare sempre la falla? C'era un solo modo: andare dritto al punto e senza troppi fronzoli, cosa in cui Dabi era riuscito benissimo. 

Quindi, piegando la testa in segno di resa, afferrò con mano tremante il bicchierino colmo di rum, cercando di non far trasparire i mille pensieri che gli turbinavano per la testa. L'odore dell’alcol era forte, gli pungeva le narici infastidendolo, ma dopo la nota di fastidio fu sostituita da un forte odore metallico, che gli arrivò fino in fondo alla gola. Dovette sforzarsi per non tossire in quel momento, ma come riusciva la gente a bere quella roba? 

In contemporanea, Dabi e Hawks sollevarono i bicchierini al livello di quello di Mitsuha, che si lasciò scappare una risatina. Alla fine avevano abboccato alla trappola, come due conigli. 

Dabi si schiarì la gola, sorridendo a sua volta alla ragazza, e disse una sola parola, sussurrandola, quasi avesse paura che le pareti avessero le orecchie. Hawks fu percorso da un brivido lungo le ali, quando il suo migliore amico parlò, e in quel momento capì di star compiendo l’errore più grande della sua vita. 

«Andata.». 

Il tintinnio dei loro bicchieri che si scontravano, bagnando le loro dita di rum, fu seguito da uno schiocco quando li sbatterono poco dopo contro il tavolo per poi berli in un colpo solo, ma Hawks non era abituato all’alcol quindi dovette prendere un’altra sorsata di lava incandescente per evitare di piangere. Aveva trovato un altro motivo per odiare l’alcol. 

Dabi scosse la testa stringendo gli occhi dopo aver posato il bicchierino vuoto sul tavolo, infastidito dall’ondata di calore che gli era salita alla testa. Sentiva la gola grattare per l’acidità e voleva solo gettarsi a letto per raggomitolarsi sotto le coperte a crogiolarsi nella sua stessa vergogna. 

Mitsuha invece, tra tutti e tre, sembrava quella più a suo agio. Aveva buttato giù l'alcol di rum come se fosse acqua fresca e non aveva battuto ciglio, sbattendo con forza il bicchierino sul tavolo, come la mazza di un giudice che conferma la condanna. Era esattamente così che si sentivano: condannati. 

Tutto quello che avevano costruito a fatica quella sera però fu distrutto nel giro di pochi secondi, buttato per terra in un soffio di vento. Il castello di carte per cui avevano tanto faticato stava per prendere fuoco come un falò. Falò su cui Mitsuha li avrebbe bruciati più che volentieri. Fu quasi comico quando avvenne, se fosse sopravvissuti probabilmente ci avrebbero riso su. La mercenaria ebbe appena il tempo di aprire le labbra ancora bagnate di rum che dalla porta arrivarono dei rumori inconfondibili: gente che urlava, mobili che venivano lanciati e che si sfracellavano al suolo, improvvisi e brevi colpi di pistola. 

Mitsuha reagì subito facendo prima scattare la testa verso la porta con i riflessi di una lince in caccia, poi, in un modo che fece scendere su di loro una doccia fredda di terrore, si voltò di nuovo verso di loro muovendo solo il collo e la testa, il resto del corso completamente immobile proteso verso l’uscio. Negli occhi vedevano una fiamma di folle rabbia. Le sopracciglia arcuate verso l’alto, un sorrisino isterico sulle labbra cercavano di alleggerire la situazione, ma gli occhi scuri ardevano di un’incontrollabile furia. Hawks squittì dallo spavento, mentre Dabi perse ogni colore dal viso, sembrando un foglio di carta bianco. 

Cosa cazzo stava succedendo lì fuori? 

«Volete spiegarmi cos’è questo?». 

Nonostante lo sguardo di fuoco, il tono era gelido, come un vento ghiacciato che ruggisce su una landa congelata dalla neve. Aveva scandito ogni singola parola come se fossero due scemi, e forse affettivamente lo erano a quel punto. Una semplice frase come quella sembrava lo stridore che si otteneva strusciando due coltelli affilati tra di loro. Provocò loro un brivido che solo delle unghie che grattavano una lavagna riuscivano a creare, facendo partire un brivido freddo dall’attaccatura dei capelli fino alla pianta dei piedi. Dabi era una statua di ghiaccio in quel momento in preda al terrore più cieco. 

Fu furono altre urla e qualcosa che sbatteva contro la porta, probabilmente qualcuno che ci era andato a sbattere contro. Si poteva sentire in lontananza l’urlo incessante delle sirene della polizia. 

Aspetta, cosa? POLIZIA? Cosa ci fanno qui? 

Al terrore si aggiunse anche la confusione, perché come diamine era possibile che la polizia fosse lì? Non era un posto che volevano tenersi buono per un po’ e poi organizzare una... retata? 

OGGI? HANNO SCELTO PROPRIO OGGI PER FARE LA RETATA? Ma cos’hanno nel cervello, scimmie urlatrici? 

No, persino le scimmie urlatrici sarebbero state in grado di capire che organizzare una retata proprio il giorno in cui lui e Hawks sarebbero andati a parlare con una criminale, facendoli apparire ancora più sospetti, per non dire inetti non era una buona idea. Dovevano avere per forza della segatura al posto del cervello, forse addirittura marcia. 

«ALLORA?» urlò Mitsuha spazientita sbattendo le mani contro il tavolo, che, poveretto, cedette su una delle gambe mandando bicchierini e rum a sfracellarsi sul pavimento. Ora la mercenaria non era più il predatore affamato che gli girava intorno divertendosi, aveva finalmente scoperto i denti e mostrato tutta la sua ostilità. Che i Kami li aiutassero, perché non erano certi di poterne uscire fuori vivi. 

«Mi-Mitsuha, ti assicuro che non ne sapeva-». 

«Ah, sì? E come mai la polizia adesso è nel locale? Sarà stato un caso, no? Ma davvero mi credete così scema?». 

Sentirono un cigolio inquietante provenire dalle pareti, come un tubo che si piegava. 

«Mitsuha, noi non c’entriamo nulla. Nessuno sa che noi siamo qui, nemmeno la polizia. Secondo te andiamo in giro a urlare ai quattro venti che vogliamo unirci a un’organi-». 

«ZITTO!». 

La voce della ragazza era eruttata come un vulcano, ormai al culmine della pazienza. Sentirono anche uno schianto, qualcosa che esplodeva e andava a sbattere contro gli armadietti. Subito dopo si udì dell’acqua scrosciare da in fondo alla stanza, alle spalle di Mitsuha, dove Dabi presumeva ci fosse il bagno. Infatti poco dopo dall’altra parte della stanza intravide l’acqua avanzare di soppiatto, ma era strana. Non si espandeva sul pavimento con naturale lentezza, allungandosi in tutte le direzioni possibili, sembrava andare verso un unico senso: verso di loro. 

Quando Mitsuha riprese a parlare, sentì la temperatura della stanza abbassarsi di colpo. 

«Statemi bene a sentire, razza di cretini senza cervello. Ora usciremo di qui e voi due mi aiuterete a passare inosservata alla polizia. Non mi interessa cosa farete, se ucciderete qualcuno o se inizierete a frignare come avete fatto fino ad adesso. Fatemi uscire di qui illesa e io potrei prendere in considerazione l’idea di non farvi annegare nella vostra stessa saliva, sono stata chiara?». 

«Cristallina.» rispose Dabi, osservando l’acqua innalzarsi verso l’alto come un’onda, arrivando innaturalmente all’altezza delle spalle di Mitsuha. Il suo volto non esprimeva nulla, né rabbia, né risentimento, né furia, era una tela completamente bianca. L'unico segno di vita era la mascella serrata così stretta da aver paura che si spaccasse i denti. Con un grugnito poi si voltò verso la porta, calandosi il cappuccio sulla testa a coprirle il viso. 

Lanciò un’occhiata veloce a Hawks che senza neanche ricambiare fu veloce a spedire alcune delle sue piume sotto la porta a controllare la situazione all’esterno. Entrambi i prohero si alzarono silenziosamente, attenti a non far troppo rumore con l’acqua che bagnava il pavimento, e si accostarono alla porta per sentire eventuali rumori dall’altra parte. Per lo più le urla erano distanti. Quindi Dabi presuppose che la polizia fosse intervenuta solo nella zona del ring e dei tavoli da gioco, probabilmente non avevano ancora trovato lo spogliatoio. Il silenzio fu rotto da Hawks. 

«Non c’è nessuno di fronte a noi, ma la polizia sbarra la porta principale, quindi da lì non possiamo passare. Da quel che mi sembra di capire ci dovrebbe essere una finestra dall’altra parte della stanza, nella zona dei tavoli da gioco. La maggior parte delle persone, però, è concentrata verso il ring, che si trova in mezzo a dove siamo noi e la via d’uscita più prossima. Se riusciamo a-». 

«Fuori discussione, la finestra è troppo piccola, non ci passerei mai. Una volta i proprietari mi avevano parlato di una uscita di sicurezza nascosta in un armadio vicino al ring. Controlla se esiste davvero o se non è una palla di quei due mentecatti.». 

La voce di Mitsuha era una di pietra mentre parlava, non ammetteva repliche. Si obbediva e basta. Hawks annuì senza fare una piega, concentrandosi sul compito. Dopo qualche istante muto, finalmente parlò di nuovo. 

«Sì, sento uno spiffero d’aria provenire da un armadio, quindi potrebbe condurre fuori dal locale. Il problema è che abbiamo la polizia davanti al ring ci noteranno subito se cerchiamo di raggiungerlo.». 

«Problema già risolto: Dabi darà fuoco al ring, così creiamo un diversivo e posso sgattaiolare via indisturbata mentre la polizia è distratta.». 

La voce della mercenaria piombò nel cervello di Dabi come un’accetta che cala su un tronco. Doveva fare cosa? 

«Ma potrebbero esserci delle vit-». 

«E allora? Non è un problema mio, è vostro. Volevate entrare nella League of Villains? Ecco la prima prova, fatemi uscire di qui ad ogni costo e potrei dimenticarmi di questa serata di merda.». 

Dabi chiuse gli occhi per un secondo per controllare la fiamma di rabbia che gli era esplosa nel petto. Da oggi in poi si sarebbe dovuto comportare così? Considerare le vite altrui come meri effetti collaterali? Quando li riaprì, cercò di mantenere un’espressione più neutra possibile. 

«Come agiamo? Non possiamo saltare fuori all’improvviso. Dobbiamo escogitare-». 

«Oh, cazzo, pensi e parli troppo, mozzarella. MUOVI QUEL CULO.». 

Mitsuha all’improvviso esplose infuriata e impaziente. Fece scattare il polso verso la porta, come se stesse scacciando un moscerino, e l’acqua si mosse al suo comando gettandosi addosso alla porta con la forza di uno tsunami. L'uscio si sfondò completamente, volando fuori dai cardini e atterrando a qualche metro di distanza. Tra il ruggito dell’acqua e il rumore assordante della porta che sbatteva contro il pavimento, sentì le orecchie quasi vibrare dal fastidio, ma non ebbe tempo di riprendersi che Mitsuha lo spintonò in avanti intimandogli di muoversi in maniera molto poco carina. 

Ora o mai più si disse. 

Anche se dopo questa serata, vorrei poter scegliere il mai più. 

Ruzzolarono fuori dallo spogliatoio, Hawks e Dabi davanti, mentre Mitsuha era alle loro spalle cercando di non farsi vedere, anche se era un po’ difficile visto che era più alta dei due prohero. La polizia attirata dal rumore si allarmò, iniziando a dirigersi verso di loro con le pistole. Notarono degli sguardi di sorpresa e delusione nei loro volti che mai avrebbe dimenticato. Era solo il primo giorno da falso disertore e già voleva sotterrarsi. 

Anche sommerso dai sensi di colpa, Dabi riuscì a trovare un minimo di lucidità per quello che doveva fare. Concentrò il fuoco nei bracciali, decisamente più comodi da nascondere dei guanti, sentendoli lievemente riscaldarsi attorno ai suoi polsi. Non intendeva scatenare un incendio, voleva solo creare una fiamma abbastanza alta da distrarli, ma che riuscissero a dominare senza che nessuno si facesse male. Quando poi il palmo della mano risplendette di una soffusa luce blu, mosse il braccio di scatto verso il ring, che prese fuoco in pochissimo tempo. 

Gli occhi di tutti si concentrarono verso il centro della stanza, dando il tempo necessario a Mitsuha di lanciarsi verso l’armadio, afferrando entrambi per la collottola della giacca e trascinandoli con sé, l’acqua che docilmente la seguiva senza lasciare tracce di bagnato. Sfondò le ante con un calcio e si ritrovò davanti a delle scale dissestate che conducevano verso il piano superiore. 

«Visto? Non è stato così difficile, zuccherino.». 

Come mi ha chiamato?! 

Non fece in tempo ad arrossire che Mitsuha riprese la sua corsa trascinandoli con sé verso l’uscita. Una volta in cima si ritrovarono davanti un’altra porta, ma aperta in questo caso. Probabilmente non erano stati gli unici a scappare per quella via. Non erano ancora salvi perché sentivano le sirene delle auto della polizia suonare perforando loro i timpani, a cui poi si unirono quello che dei pompieri pochi secondi dopo. 

«Per di qua!». 

Ubbidendo ciecamente al comando, il suo corpo si mosse nella direzione di Mitsuha che si lanciò nel vicolo di fronte a loro. Corsero, corsero, corsero finché le sirene della polizia diventarono un mero suono di sottofondo, schivando bidoni, pozzanghere dai colori fin troppo vivaci, barboni infuriati e gatti affamati. Il corpo di Dabi non si muoveva più per sua volontà: gli occhi erano incollati alla schiena di Mitsuha, le sue gambe e le sue braccia imitavano i suoi stessi movimenti come un automa. L'acqua ancora li seguiva, ora trasformata in una sfera che Mitsuha teneva sul palmo della mano. 

Quando non udirono più le volanti della polzia, la mercenaria svoltò a destra all’improvviso e lui istintivamente la seguì, ma appena sorpassò l’angolo Dabi e Hawks furono rigettato all’indietro da un violento getto d’acqua che li centrò in pieno viso inondando le loro narici. Atterrarono in un cassonetto della spazzatura, incastrati tra di loro e sputacchiando acqua in giro. Il bruciore dell’acqua che gli irruppe nel naso era atroce e alcune goccioline gli erano finite nelle vie respiratorie facendolo tossire come un treno a vapore. Alzando gli occhi vide il diavolo in persona. 

«Mettiamo bene in chiaro le cose, Bonnie e Clyde di sto cazzo. Non sono affatto contenta di com’è andata la serata e preferirei mille volte strozzarvi con la vostra stessa acqua piuttosto che rivedervi, ma non voglio rogne e sono una donna di parola. Mi avete aiutato ad uscire, quindi ora magicamente mi dimenticherò di questo orrendo mezz’ora. La prossima volta non sarò così magnanima e farò in modo che i vostri familiari non trovino mai i vostri cadaveri. Sono stata chiara?». 

Mitsuha era avanzata verso di loro minacciosa, un leone che ringhia in avvertimento. Sebbene parlò con calma e senza alzare troppo la voce, sentì le ossa gelarsi sul posto e tremare dalla paura. Aveva notato che più la ragazza era infuriata, più il suo tono di voce diventava freddo e duro come l’acciaio, senza esplodere come lava incandescente. Avrebbe preferito mille volte che sbraitasse piuttosto che sentire quel brividino di gelido terrore corrergli la maratona di New York lungo la schiena. La lingua gli si era incollata al palato, quindi si limitò ad annuire velocemente con la testa, perché le prossime parole che avrebbe detto sarebbero stati i lamenti di un pianto isterico. 

Poi Mitsuha parlò di nuovo rivolto verso di lui. 

«Dammi il tuo numero di telefono.». 

Senza neanche pensarci, con solo la paura a governare il suo cervello, le dettò il suo numero personale e non quello del lavoro. Se ne rese conto troppo tardi, quando ormai la mercenaria aveva spento il telefono e si era rivolta a loro per l’ultima volta. 

«Mi farò viva io, zuccherino. Ci si vede, pappagallo.». 

L'ultima immagine di Mitsuha per quella sera era la sua schiena che si muoveva sinuosa sotto il suo smanicato, le mani in tasca e lo sguardo basso per passare inosservata. Non si girò mai per controllare se fossero ancora lì, anzi sembrava volersene andare via il prima possibile. Quando svoltò l’angolo una decina di metri da loro, fu come se il mondo si fosse improvvisamente fermato. L'aria era invasa da una inquietante calma, surreale addirittura. 

Touya sospirò passandosi le mani tra i capelli. 

Bene, solo questa ci mancava. 

Sentii Keigo affianco a lui agitarsi come un’anguilla nel tentativo fallimentare di rialzarsi in piedi dal cassonetto in cui erano finiti. Quando si accorse che le ali erano incastrate e che aveva bisogno di una mano, sbuffò pure lui. Non si girò nemmeno verso Touya guardando il muro di fronte a sé con amara rassegnazione quando disse: «Lo sai che, se quella ci scopre, ci spezza in due e ci usa come stuzzicadenti, vero?». 

Touya rispose dopo qualche secondo, anche lui fissando il muro di fronte a loro come se fosse la soluzione a tutti i suoi problemi. 

«Sì. Sì, lo so.». 

Keigo si limitò ad annuire. 

«Bene, l’importante è esserne consci. Ora, puoi aiutarmi ad uscire da questo coso? Inizia a farmi male a schiena.». 

Con sguardo assente e l’ennesimo sbuffo, Touya si alzò con la grazia di un cerbiatto appena nato e aiutò l’amico.  

«Questa volta la commissione ha fatto il passo più lungo della gamba. Quella ci ammazza anche prima di scoprire che siamo spie.» disse quando Keigo fu in piedi. 

«Sempre un raggio di sole tu, eh?». 




- SCLERI DELL'AUTRICE -
Buon inizio settimana, cuoricini di panna!
Scusate se vi ho balzato settimana scorsa, ma avevo l'ispirazione al centro della terra, quindi non me la sentivo di pubblicare qualcosa che mi avrebbe fatto schifo. Finalmente, però, abbiamo Mitsuha in azione! Quanto la detestate da 100 a 1000? E perchè proprio un milione? Susu, non siate timid* e fatemi sapere cosa ne pensate <3.
Come alcuni di voi hanno notato settimana scorsa ha esordito su questo profilo un'altra storiella carina carina incentrata, a sto giro, su Assassin's Creed: Rougue, che mi ha tenuto compagnia durante la mia tristissima quarantena post-Natale. Mi sono presa una sbandata assurda per il protagonista, Shay Cormac, quindi come non potevo scribacchiare qualcosa? Non avrà aggiornamenti regolari, forse uno ogni due settimane se riesco, ma per ora What If ha la mia priorità essendo nata prima. Se tra di voi ci sono fan di AC, mi farebbe molto piacere di vedervi anche dall'altra parte <3. Invece se avete amici appassionati di questa saga, consigliatela pure se volete ;). 
(Non so perchè mi stia facendo pubblicità da sola, visto che flopperà malissimo l'altra :')).
Detto ciò, vi lascio in pace e buona giornata!
Giuli.

  
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