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Autore: IndianaJones25    25/01/2022    1 recensioni
Di ritorno da una disavventura in Australia, Indiana Jones scopre che il suo vecchio amico Sallah si è volatilizzato, senza lasciare tracce.
Indy decide allora di partire verso l’Egitto meridionale, dove è in corso una delle più grandi imprese archeologiche del Novecento, per poter rintracciare il suo amico scomparso. Ancora non sa che questo lo condurrà nell’ennesima sfida contro il tempo per sventare un complotto che, se andasse a buon fine, potrebbe portare nelle mani dei sovietici un’antica e pericolosa arma, risalente all’epoca degli dèi e dei faraoni…
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio, Sallah el-Kahir
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    11 - NEL TEMPIO

   Costretto a muoversi da Sallah e da Moshti che lo tenevano stretto e non lo perdevano di vista neppure un istante, il professor Smolnikov si incamminò in direzione del tempio maggiore. Indy, che gli era alle spalle insieme a Yasmin, sbottò: «C’è qualcuno dei tuoi, di guardia?»
   L’archeologo sovietico non rispose. Indy, spazientito, sollevò il revolver e glielo premette contro la nuca, facendogli sentire con chiarezza il suono tetro del cane che si armava. Tanto bastò perché Smolnikov ritrovasse la favella.
   «Non c’è nessuno…» bofonchiò, a causa della bocca bendata. «Ho mandato tutti a dormire… non avevamo ragione di montare la guardia…»
   Indy provò a cercare qualche traccia di menzogna nella sua voce, ma non ne trovò. Per il momento, non poteva fare altro che fidarsi di quella carogna. Tuttavia, mentre abbassava l’arma, ci tenne a mettere le cose bene in chiaro con una minaccia niente affatto velata.
   «Spero per te che sia vero, perché altrimenti il primo a rimetterci la pelle sarai tu, ricordartelo.»
   Proseguirono in silenzio, accompagnati soltanto dallo scricchiolio della sabbia e della ghiaia sotto i piedi e dal fruscio delle onde del fiume che scorreva a poche decine di metri di distanza. Di quando in quando, dalla sponda opposta si levava il richiamo di un qualche rapace notturno. Una brezza leggera, che soffiava dal meridione, portava con sé i profumi dell’Africa misteriosa.
   Nel buio della notte ormai inoltrata, il tempio maggiore apparve come una massa cupa e informe che si innalzava contro il cielo blu trapunto di stelle. Indy, dimenticando per un momento la sua missione, si rivolse mentalmente a Ramses II e a tutte le divinità dell’antico Egitto, domandando scusa per il disturbo che, gli uomini moderni, stavano arrecando al loro millenario riposo. Ma, chissà, forse l’antico re e i suoi dèi sarebbero stati grati ai loro lontani discendenti per l’impegno che stavano mettendo nel tentativo di salvare dalle acque della piena i loro splendori che, altrimenti, avrebbero rischiato di andare perduti per sempre.
   Il gruppetto si fermò in prossimità di uno dei colossi.
   «Allora?» indagò Sallah, scuotendo il russo.
   Quello chinò il capo, sconfitto.
   «Dobbiamo entrare… è lì che stiamo lavorando…»
   «Facci vedere dove, di preciso» ordinò Indy, brusco. Un’altra volta, la canna gelida del suo revolver raffreddò la cute di Smolnikov. «Ma niente scherzi.»
   Rassegnato, l’archeologo sovietico si rimise in cammino, guadagnando l’ingresso del tempio.
   L’interno era caldo e soffocante, ma non completamente al buio. Lungo la navata centrale della prima sala, ai piedi delle imponenti statue del faraone in forma di Osiride che sostenevano il soffitto, erano infatti state disposte alcune lampade alogene che, per quanto fioche, illuminavano a sufficienza l’ambiente.
   Un’altra volta, tutti si fermarono, ma questa volta per un motivo differente da quello di poco prima. Era impossibile, in effetti, entrare in quel luogo senza riuscire a trattenere il fiato per lo stupore. Per quanto bene lo si conoscesse e per quante volte vi si avesse posto piede in precedenza, ogni volta era un’esperienza unica, straniante.
   Indy si volse verso destra, osservando le pareti dipinte che raffiguravano Ramses II impegnato nella battaglia di Qadesh. Il faraone vittorioso, a bordo del suo carro d’oro, scoccava frecce micidiali contro i suoi nemici, distruggendoli uno per uno. Era già stato lì, aveva già visto quei dipinti, eppure adesso gli stavano facendo un effetto diverso dal solito. Forse era per via del fatto che, molto presto, se le cose fossero andate come pensavano, si sarebbe trovato ad avere a che fare sul serio, con quel carro su cui era salito Ramses il Grande.
   Non doveva lasciarsi suggestione, né trasportare dalla fantasia.
   «Allora, Smolnikov?» ringhiò, dandogli uno spintone. «Muoviti, non abbiamo tutta la notte!»
   Il professore fece cenno di proseguire lungo la grande sala. A passi lenti, ne raggiunsero l’estremità ma, una volta lì, anziché proseguire verso la seconda sala, oltre la quale si trovava il cosiddetto sancta sanctorum, il sovietico li fece deviare in direzione di una delle numerose sale secondarie che si aprivano nel fianco della montagna, sulla parte destra del tempio.
   Si inoltrarono in quella che si trovava all’estremità più lontana dall’ingresso, con pareti disadorne e grossolanamente intagliate, come se la stanza non fosse stata completata. Lì, comunque, ebbero la sorpresa di scoprire che buona parte del pavimento era stato rimosso e che, anziché la viva arenaria dei monti della Nubia, erano state portate alla luce alcune pietre lavorate a mano, con molta maestria, posate di proposito in quel luogo.
   «Quello è l’ingresso del sotterraneo» borbottò Smolnikov, chinando il capo. «Domani avremmo dovuto rimuovere quell’ultimo strato di pietra e…» Non terminò la frase, borbottando qualcosa di indistinto.
   Senza badargli, Jones si avvicinò alla copertura di pietra e la esaminò, passandovi sopra le dita. Era infissa saldamente nel terreno ma, mettendosi di buona lena, sarebbe stato possibile smuoverla nel volgere di poche ore soltanto. Si voltò verso Sallah.
   «I tuoi ragazzi sono pronti?» domandò.
   L’egiziano annuì con sicurezza.
   «Aspettano solo un mio cenno» assicurò.
   «Allora valli a chiamare» disse Indy. «Prima ci mettiamo all’opera e meglio sarà. Dobbiamo fare in modo di trovare il carro e farlo sparire prima che gli operai del cantiere tornino al lavoro, domattina.»
   Quelle parole suscitarono uno scatto d’orgoglio nel professor Smolnikov.
   «Voi non potete! Non avete nessun diritto di proseguire con questa ricerca!» strillò, così forte che il bavaglio che aveva sulle labbra divenne del tutto inutile. «Questa è una mia scoperta, compiuta nel nome dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche!»
   L’americano gli gettò addosso uno sguardo colmo di sarcasmo.
   «Una scoperta portata avanti di nascosto, senza informare nessuno dei vostri piani e fregandovene di tutti i trattati internazionali?» sbottò. «E immagino che cerchiate la Gloria di Amon per esporla in un museo, dico bene?»
   Smolnikov, per quanto malmesso, sostenne con fierezza il suo sguardo.
   «Quello che vogliamo farne noi, del carro, non è affare che riguardi un americano impiccione!» urlò. «Per il trionfo finale del comunismo, questo e altro…»
   Con un manrovescio, Indy lo colpì violentemente al volto, tanto forte che lo fece sfuggire di mano a Moshti e Sallah, che ancora lo stringevano. Il professore andò a sbattere contro un muro e, picchiata la testa, si accasciò al suolo, privo di sensi.
   «Scusatemi, ma cominciava a starnazzare troppo e, a quest’ora di notte, non ho mai voglia di ascoltare deliri sul comunismo» si giustificò Indy, scrollando la mano dolorante per il pugno che aveva sferrato.
   Rivolse un cenno eloquente a Sallah, che si allontanò subito per andare a chiamare i suoi uomini, quindi si girò a contemplare la lastra sul pavimento, provando a immaginare che cosa si nascondesse al di là. L’eccitazione della scoperta imminente lo avvolse tutto, dandogli i brividi. Per l’ennesima volta, Indiana Jones sarebbe stato testimone dello svelamento di un segreto protrattosi per migliaia di anni.

 
* * *

   Come al solito, aver fatto affidamento su Sallah si rivelò la mossa vincente. La squadra che aveva messo insieme nel giro di così poche ore cominciò infatti a lavorare di buona lena, senza fare domande, subito dopo essere sopraggiunta e aver ricevuto le indicazioni sul modo in cui procedere. Erano tutte persone fidate, con cui Sallah aveva già collaborato diverse volte in passato, e anche in questo caso lo scavatore non ne rimase affatto deluso.
   Sotto la sua guida, gli uomini cominciarono a picconare le pietre, nel tentativo di staccarle dal pavimento, accumulando in un angolo i frammenti di pietra mano a mano che venivano rimossi. Molto presto, la sala cominciò a rintronare del rumore degli attrezzi e a riempirsi di polvere bianca e sottile, che creò quasi una specie di nebbiolina fitta e fastidiosa.
   Mentre Yasmin e Moshti montavano la guardia al professor Smolnikov, che dopo aver riacquistato i sensi era rimasto fermo al proprio posto, a guardare con aria corrucciata quei lavori che avrebbe desiderato dirigere lui stesso, Indy cominciò a fare la spola da un operaio all’altro, per correggere, dirigere, suggerire. Nel giro di pochi minuti, tuttavia, si rese conto che quelli erano uomini davvero molto esperti e che la sua presenza si stava rendendo superflua e ingombrante
   Quindi, fatto cenno a Sallah di proseguire con il lavoro, dopo essersi sfilato l’ampia veste che aveva indossato sopra i soliti abiti, tornò nella sala principale. Lì i rumori dei lavori giungevano attutiti, appena percettibili. Nulla doveva turbare la millenaria pace del faraone, che lo osservava sereno dall’alto delle sue imponenti statue in forma di Osiride, signore dell’aldilà e della vita eterna.
   Con le mani in tasca, Indiana Jones si perse a contemplare i bellissimi dipinti che raffiguravano Ramses II che andava alla carica contro gli Hittiti, mentre le sue labbra compitavano in silenzio le parole di alcuni passi del poema di Pentaur, la narrazione in forma epica della battaglia di Qadesh. In particolare, si soffermò a riflettere sulle parole che il faraone aveva rivolto al dio Amon per convincerlo a concedergli la vittoria. Era stato in quel momento che il carro d’oro e il suo occupante si erano tramutati in quell’arma micidiale che era stata capace di sbaragliare da sola un intero e agguerrito esercito.
   Si passò una mano sul mento coperto di ispida barba, pensieroso.
   Che cosa c’era, di vero, in quella storia? Era pura fantasia, un’esagerazione faraonica per porre l’accento sull’unico episodio favorevole di una guerra altrimenti rivelatasi un disastro, come sostenevano gli storici e gli egittologi? Oppure, c’era sotto qualcos’altro, qualcosa che esulava dalle conoscenze della scienza e che sfuggiva a tutti i tentativi fatti per ricostruire il passato?
   Indy, nel tempo, aveva imparato ad accettare che non tutto potesse essere ricondotto a una soluzione razionale; o, perlomeno, non a una soluzione facilmente intuibile e rintracciabile con gli strumenti tradizionali. Era stato il suo maestro Abner Ravenwood, il più grande archeologo che avesse mai conosciuto in vita sua, il primo a insegnargli tutto questo, mettendolo su quella strada che conduceva alla comprensione del fatto che esistessero cose molto più grandi di quelle che era possibile conoscere con i sensi. Con la sua convinzione che l’Arca dell’Alleanza esistesse davvero, celata in un luogo preciso, Ravenwood gli aveva voluto far capire che non sempre ci si può affidare alla semplice e pure logica. Un insegnamento, peraltro, che anche suo padre aveva cercato di infondergli, con quella sua lunghissima ricerca del Santo Graal, una ricerca molto più spirituale che concreta.
   Lui, in un primo momento, non aveva voluto dar loro retta. Aveva fatto orecchie da mercante a quelle che pensava fossero soltanto semplici e inutili chiacchiere. Era scettico e certe cose non attaccavano, nella sua mente. Pensava che simili discorsi fossero pura follia, oppure – quando proprio era di buon umore – si diceva che fossero dettati più che altro da un desiderio inconscio di qualcosa che andasse oltre il mondo fisico.
   Non che col tempo avesse perduto il suo scetticismo, chiaro. Per Indiana Jones c’era sempre un’altra spiegazione, nonostante tutto. Una spiegazione che, in molti casi, era nascosta così bene da non poterla trovare mai; ma questo non significava per forza di cose che non esistesse. Eppure, non poteva negare a se stesso di essere stato testimone di fatti e di avvenimenti che sembravano fare a botte con il buon senso e con la razionalità.
   E, adesso, si apprestava per l’ennesima volta a mettere da parte le sue più profonde e radicate convinzioni per abbracciare qualcosa di strano, diverso, insolito. Di nuovo, avrebbe dovuto dimenticarsi della logica che faceva di lui un uomo di scienza per diventare spettatore di qualcosa che, con la scienza, non aveva alcunché a che fare.
   Naturalmente – e ci avrebbe sperato fino all’ultimo – poteva anche darsi che fosse tutto un abbaglio. Magari il carro d’oro a bordo del quale il faraone aveva combattuto a Qadesh era davvero sepolto lì, ad Abu Simbel, in una camera segreta mai individuata in precedenza dagli studiosi; non sarebbe nemmeno stato così assurdo, considerato che il tempio era stato eretto per commemorare quella grande impresa. L’idea che una simile e preziosa reliquia fosse stata conservata non era poi troppo lontana da una possibilità concreta. Se, in quegli stessi anni, i tecnici del museo dello Smithsonian stavano smontando e restaurando completamente il bombardiere Enola Gay in vista di una futura esposizione museale, perché non si poteva credere che gli Egizi non avessero fatto qualcosa di simile con quello che poteva in un certo senso essere considerato come il bombardiere atomico della tarda Età del Bronzo?
   Questo, però, non avrebbe per forza dovuto significare che, la Gloria di Amon, possedesse sul serio quei poteri che le venivano attribuiti dalle leggende. Forse quella era davvero soltanto una fantasia troppo focosa di un russo che, abituato ai climi freddi di Mosca, aveva perduto la ragione sotto il sole cocente della terra d’Egitto.
   Un passo leggero alle sue spalle lo fece voltare di scatto. Era Yasmin.
   «Perdonami, zio Indy, non volevo spaventarti» si scusò la ragazza, vedendolo scattare in quel modo. «Solo che, con tutto quel baccano, non riuscivo più a rimanere di là.»
   Jones scosse il capo, allargando le labbra in una smorfia che sarebbe dovuta essere un sorriso.
   «Figurati…» replicò. «Ero sovrappensiero, non ti ho sentita arrivare…»
   Yasmin lo studiò con attenzione.
   «Mi sembri turbato» constatò. «Sei preoccupato che i sovietici possano scoprirci?»
   L’archeologo, questa volta, cercò di sorridere con un po’ più di umanità. Non era certo dei comunisti, che aveva paura. Quelli avrebbe sempre potuto prenderli a calci nel sedere, come si conveniva a uomini in carne e ossa.
   «No» confessò. «Dei russi me ne frego altamente. È di quello che ci aspetta in quel sotterraneo, che mi preoccupo.»
   La giovane inarcò le delicate sopracciglia.
   «Temi che possa esserci qualche trabocchetto?» domandò.
   «Oh, quelli…» borbottò Indy, alzando le spalle. «No, no, figurati.» Scosse il capo. «No, è il carro di Ramses che mi preoccupa.»
   Yasmin lo scrutò con sguardo limpido e curioso.
   «E perché?» chiese.
   «Be’, se è vero che è capace di fare ciò che raccontano le storie…» bofonchiò Indy, voltandosi a contemplare le immagini e i geroglifici che narravano la battaglia di Qadesh, «…non è certo qualcosa da trattare alla leggera. Dobbiamo andarci molto cauti, o potrebbe procurarci un sacco di guai.» Ripensò alle parole che, tanti anni prima, Sallah gli aveva rivolto riguardo all’Arca dell’Alleanza, e pensò che si sarebbero adeguate benissimo anche a questa nuova situazione. «Non è un oggetto terrestre. Se è vero che è emanazione di un dio…»
   La figlia del suo amico gli posò la mano sul braccio, stringendoglielo con delicatezza.
   «Il dio Amon ha abbandonato queste terre, zio Indy, e con lui tutte le altre antiche divinità che popolavano le credenze egizie…» gli rammentò.
   Indy si voltò di nuovo a guardarla, questa volta con maggiore intensità. Restò in silenzio per un momento, mordendosi le labbra con nervosismo, come se stesse cercando le parole adatte con cui ribattere a quell’affermazione che, in un certo senso, sembrava mettere la parola fine a tutti i suoi timori reverenziali.
   «Non ne sarei tanto sicuro» replicò, con tono secco. «Gli dèi dell’antichità erano forti allora quanto lo sono oggi, dopo migliaia di anni. L’arrivo di un nuovo dio non può averne uccisi gli altri. Il Nilo, le sabbie, il sole che splende ogni giorno sull’Egitto, sono ancora circonfusi della potenza di Ra, di Amon, di Seth, di Osiride e di Iside…»
   Udendo quelle parole, e soprattutto notando il suo sguardo fattosi enigmatico, la ragazza sbiancò visibilmente e ritrasse la mano. Indy si rese conto di averla spaventata, il che non era affatto sua intenzione. Prontamente, riprese la sua mano e la tenne tra le proprie, proprio come faceva quando Yasmin era ancora una bambina e lui, in visita a Sallah, sedeva sul divano e raccontava a lei e ai suoi fratelli i miti e le fiabe dell’antico Egitto, infarcendoli di dettagli divertenti e inventati di sana pianta per farli ridere.
   «Ti chiedo scusa, piccola mia» sussurrò. «Non volevo farti paura. Non devi badare a me. Sono diventato un vecchio e, quindi, faccio discorsi superstiziosi, come ogni vecchio che si rispetti. Ignorami, quando faccio così, oppure tirami uno scappellotto per farmi rinsavire.» Sogghignò e le rivolse un occhiolino. «D’accordo?»
   L’ombra della paura scomparve dal volto di Yasmin e le sue labbra si schiusero in un sorriso dolce e allegro.
   «D’accordo, zio Indy» rispose. Cominciò a ridacchiare, divertita, mentre gli cingeva il fianco con il braccio libero. «Ma ricordati che tu non sarai mai abbastanza vecchio per impedire che io sia follemente innamorata di te! Il tuo fascino non ha età. Ti ho mai detto che il mio sogno segreto è sempre stato quello di sposarti?»
   L’archeologo le fece un altro cenno eloquente, mettendosi a ridere a sua volta.
   Tutto il nervosismo che lo aveva invaso pochi minuti prima scomparve all’improvviso, cedendo il posto alla spensieratezza. Del resto, era sul punto di compiere una nuova scoperta, in compagnia del suo amico di sempre, con la prospettiva – in fondo, nonostante tutto, sempre allegra – di dover fare a botte con i russi da un momento all’altro; e, per di più, una ragazza di trent’anni lo stava lusingando, per quanto in maniera scherzosa. Che cosa avrebbe potuto desiderare di più?
   «Va bene, l’hai detto» replicò, allegro. «Lo terrò presente nel caso che la zia Marion decidesse di buttarmi fuori di casa una volta per tutte.»
   In quel momento, all’altro capo della sala, si affacciò Moshti che, dopo essersi guardato attorno per individuarli, cominciò a gesticolare nella loro direzione.
   «Zio Indy! Presto! Hanno trovato qualcosa!»
   Dopo essersi scambiati un’ultima occhiata, Indy e Yasmin si lasciarono andare e cominciarono a correre nella sua direzione.


 
   
 
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