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Autore: Fran Truth    26/01/2022    2 recensioni
Crowley non si aspetta più nulla dalla vita: una laurea in astronomia presto ridotta a un hobby solitario e notturno, il lavoro come insegnate di fisica, il sabato sera al bar con gente sconosciuta. Una routine fiacca e maniacale rotta solo da qualche pomeriggio in compagnia di Anathema, sua collega e vicina di casa, e nulla più. Finché una telefonata dall’Italia non rompe tutti gli schemi, perché la figlia di sua sorella Helen, morta quasi sedici anni prima, è rimasta orfana e senza parenti. Isotta si vede così costretta a lasciare Trieste, il mare e Ilenia, il suo primo e ancora fragile amore.
Aziraphale credeva di aver finalmente trovato il suo equilibrio, barattando il mondo esterno con quello dei suoi libri, ma a un certo punto si ritrova a soffocare nella sua stessa bolla. Preso da un impellente desiderio di sfuggire a quella solitudine, pubblica un annuncio di lavoro alla porta della sua libreria. Isotta coglie quella che sembra una piccola possibilità di ripartire, ammaliata da quell’angolo di mondo che odora di carta e tè, una luce in fondo a quel tunnel di delusione. Quel fioco bagliore si avvicina sempre di più e, infine, illumina tutti e tre.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Tutti erano contenti di come avesse cucinato. Il regalo più grande fu passare ad Anathema il terzo piatto di patate nel giro di quindici minuti.
«Se avessi saputo che le avresti spazzolate tutte, avrei fatto due teglie.»
«Basta ingozzarti, passane anche a me» disse Newt.
Anche Isotta si lasciò andare all’abbuffata. Si riempì il piatto delle verdure grigliate che aveva cucinato Newton e si concesse il bis di lasagne, che anche il signor Fell le chiese guardandola come un bambino che ha appena ricevuto il giocattolo che tanto desiderava.
«Se ti pago mi fai il pranzo tutti i giorni?» le chiese Anathema.
«Dipende da quanto mi paghi» Isotta ghignò e strofinò l’indice e il medio contro il pollice.
«Non te la consiglio» disse Crowley. «Le bollette sono alte.»
«Non più così tanto, dai.»
In risposta, suo zio le arruffò i capelli. Tutta la fatica impiegata sui boccoli era bella che andata.
Ogni tanto, Isotta lanciava piccole occhiate al signor Fell. Non parlava molto, ma sorrideva e appariva rilassato, passando le portate agli altri e versando il vino. Iniziò a parlare con suo zio di macchine e anche Anathema e Newton si inserirono.
«Ho visto che hai un’auto d’epoca» disse a Crowley e lui annuì fiero.
«Bentley del 1926. Era di mio nonno.»
«Incredibile che resista ancora dopo le tue guide» disse Anathema.
«Io guido benissimo» disse Crowley e Isotta rise sarcastica. «Voi, piuttosto, non so come facciate ancora ad avere una macchina, dopo tutti i colpi che ha preso.»
«Dick Turpin funziona alla grande» disse Newton. «È solo un po’ malandata.»
«E tu, Isotta, ‘sta patente?» le chiese Anathema.
«La prenderà quando inizierà ad entrare dal lato giusto» disse Crowley e tutti risero.
«Dai, non sbaglio più il lato!»
«Se ti può consolare» disse Newton «Anathema era uguale a te.»
«Solo perché volevo guidare, avanti!»
«Certo!»
Crowley si versò altro vino. «Ah, e quando imparerà a dire miglia e non chilometri.»
«Quello è già più duro» rispose Isotta rubando l’ultima patata ad Anathema.
«Sì, come quando hai scoperto che novanta non erano i chilometri ma le miglia orarie.»
«Di certo non immagino che qualcuno possa andare a centoquaranta nel centro di Londra!»
Il signor Fell strabuzzò gli occhi e appoggiò il bicchiere di vino che stava per portare alle labbra. Crowley lo notò e borbottò qualcosa come “Non è vero che vado così forte, su.”
Spazzolarono la restante parte di arrosto e, dopo una breve insalata, Anathema e Newton portarono il pudding che avevano cucinato. Prima che Isotta potesse addentare la sua fetta, però, il telefono di Crowley squillò.
«Ma chi è, adesso… » si alzò con un balzo facendo strisciare la sedia. Tutti abbassarono la voce, ma Crowley tornò e porse il cellulare a Isotta. «Per te, penso.»
Isotta lo guardò stranita, ma perse un battito quando lesse “Dr. Grieco” sullo schermo. Crowley le prese la mano e le diede il cellulare. Isotta si scusò, camminò in fretta in camera sua e chiuse la porta. «Pronto?»
«Sei Isotta?» Voce di velluto, un lieve accento meridionale. L’avrebbe riconosciuta in mezzo a mille altre.
D’istinto, un grande sorriso si formò sul suo volto. «Sì, dottoressa. Buon Natale.»
«Buon Natale anche a te, Isotta. ho provato a chiamarti, ma il telefono non squillava.»
«Sì, l’ho spento, c’era molto da fare e non volevo distrazioni.»
La dottoressa rise con leggerezza. «Se hai da fare, immagino ci sia gente in casa.»
«Un po’ di persone, il forno ha lavorato.»
«Sono felice di sentirlo. Stai passando un buon Natale, quindi?»
«Finalmente sì.»
La dottoressa sospirò. «Sai, non te l’ho mai detto, ma a volte potevo capirti più di quanto immaginassi. Ho odiato questo tipo di feste per anni, prima di incontrare mio marito e la sua famiglia. Vedere tutti felici e realizzare quanto sei solo… » Tacque un istante, poi si schiarì la gola. «Ho voluto chiamarti per sapere come andavano le cose, comunque. Tutto bene, a Londra?»
«Sì, le cose stanno andando abbastanza bene» rispose Isotta e dentro di sé gioì nel sapere che non era una bugia. «Sto bene con mio zio, mi sto facendo qualche amica e per ora lavoro.»
«Lavori?»
«Sì, in una libreria antiquaria. Non mi sentivo pronta per l’università. Ho preferito cercare di adattarmi al posto, innanzitutto.»
«Hai fatto benissimo, Isotta. Come ti ho detto tante volte, bisogna cercare di ascoltare i propri passi senza accelerare. Pondera bene le tue scelte e giudica sempre cos’è meglio per te.»
«Lo so, dottoressa, lo so.»
«E con Ilenia? Come va?»
Colpita. Isotta si lasciò andare sulla sedia. «Diciamo che potrebbe andare meglio. Il fatto che io sia a Londra, beh, non giova molto.»
«Mh» rispose. «Le relazioni a distanza possono essere difficili da gestire, specialmente se siete così giovani e raggiungervi è complicato e dispendioso. Vi consiglio di comunicare – comunicare molto, Isotta, anche se so che per te è dura.»
«Sto migliorando, dottoressa, ma con Ilenia… non so, non ho idea di come andrà avanti.»
«Intanto goditi questo Natale, Isotta. Volevo dirti anche che se mai avessi bisogno di riprendere le sedute, ora offro anche servizi online. Forse sarà un po’ complesso incastrarsi col fuso orario, ma sappi che se avessi necessità di farlo io ci sono.»
Isotta sentì un dolce calore invaderle il petto. «Grazie dottoressa. Lo apprezzo molto.»
«Ricordati che non c’è nulla di cui devi vergognarti. Chiedere aiuto è sano per sé stessi.»
«Sì, dottoressa.»
«Ora devo lasciarti, prima che i suoceri vengano a riprendermi.»
Isotta ridacchiò. «Va bene. Buon Natale ancora, dottoressa.»
«Auguri anche a te, Isotta. Ti auguro tante buone cose.»
Chiusa la chiamata, Isotta appoggiò il telefono sulla scrivania e osservò il verde brillante del soffitto. Era contenta che la dottoressa la avesse chiamata, ma era quasi disgustata da sé stessa per non averle nemmeno mandato un messaggio in sei mesi. Sapeva che teneva a lei, con le dovute barriere professionali, ma non le era mai venuto in mente di contattarla di nuovo. Ma almeno ora sapeva che stava bene, che le cose andavano molto meglio rispetto a un anno prima. Isotta guardò il nuovo calendario con i gatti sulla scrivania. Il tre gennaio si avvicinava sempre di più. E la questione della terapia online, poi. Pareva una chiamata verso il passato.
Di scatto, si alzò in piedi. Era Natale, era Natale, si ripeteva. Aveva tempo per pensare al resto.
Tornò in cucina e suo zio si girò verso di lei. «Anathema sta guardando il tuo pudding come un avvoltoio.»
«Non osare!»
Riprese il suo posto e gustò il pudding, mentre Newton portava altro vino al tavolo. Ciondolò prima di sedersi e aveva le palpebre calate appena. Isotta sperò di non rimanere l’unica sobria, in quella stanza.
Finito il dolce, Anathema propose una partita a carte, ma prima decisero di sparecchiare. Anche il signor Fell, nonostante le proteste di Crowley, si offrì per sparecchiare. Quando la lavastoviglie fu piena, Anathema corse in fretta verso il suo appartamento per prendere la carte. Tornando, guardò il frigorifero e la serie di magneti che Isotta aveva insistito per portare dall’Italia. Quando si sedette e distribuì le carte, le chiese: «Quando sei andata in Francia, Isotta?»
«L’estate prima del liceo. Sono andata due settimane in vacanza studio a Tolosa.»
«Sei stata con una famiglia?» chiese Newton scartando un asso, che il signor Fell raccolse per aprire.
«Sì, stavo con una coppia di architetti. Mi hanno detto che, dal momento che non potevano avere figli, accoglievano tutte le estati alcuni studenti stranieri.»
«Quindi non eri da sola?» chiese Anathema.
«C’ero solo io, perché si occupavano di uno studente per volta, avevano solo una camera in più. Vivevano in centro a Tolosa e la mattina frequentavo una scuola che organizzava attività per studenti stranieri.»
«Dio, avrei dato oro per poter fare una cosa simile» disse Anathema. «Vedere gente dal tutto il mondo.»
«Sì, è stata una bella esperienza. C’erano a che ragazzi cinesi e sudamericani.»
«E parlavate francese?» domandò il signor Fell, a cui restavano solo tre carte in mano.
«A volte sì, a volte no. In realtà parlavamo un miscuglio di parole e gesti vari perché nessuno conosceva bene né il francese né la lingua dell’altro. Io ero l’unica italiana e solo qualche studente sapeva bene l’inglese.»
Il signor Fell chiuse la partita e Newton fece le carte.
«Hai potuto scegliere tu le lingue da studiare?» le domandò Anathema.
Isotta rimase perplessa di fronte a quella serie di domande. Nonostante non fosse raro che trascorresse qualche pomeriggio o sera con Anathema, né lei né Newton si erano mai interessati granché a quello che faceva in Italia. Tutti, però, la stavano ascoltando, il signor Fell in primis. Pescò una carta e riprese.
«Inglese è obbligatorio e dovevamo scegliere altre due lingue tra francese, tedesco e spagnolo. Io ho voluto continuare francese e ho iniziato tedesco.»
«No, perché niente spagnolo?» Anathema finse un tono triste e tutti risero.
«In realtà avrei voluto prendere spagnolo» disse Isotta. «Ma mio nonno mi convinse a scegliere tedesco. Era un amante dell’opera lirica. Alla fine non me ne sono pentita: è molto difficile, ma è una lingua meravigliosa.»
«Pensavo russo fosse più difficile» s’inserì Crowley.
«Russo in realtà l’ho trovato molto più semplice. Può spaventare l’alfabeto, ma ha solo tre tempi verbali, non esistono gli articoli e la struttura delle frasi è molto meno rigida di lingue come il tedesco. Basta un po’ di pratica.»
Dopo sei partite (di cui quattro vinte dal signor Fell) tutti iniziarono a dare i primi segni di stanchezza. Anathema e Newton andarono a rilassarsi sul divano e Crowley fece un salto in bagno. Isotta rimase al tavolo con il signor Fell, che guardava i magneti sul frigo.
«Hai visto un bel po’ di posti» osservò. «Sempre con la scuola?»
«Non tutti. Venezia e Verona le ho viste con Ilenia e la sua famiglia, San Marino con mio padre e Lubiana coi miei nonni.»
«Quando sei andata in Irlanda?»
«In terza superiore, durante uno scambio culturale. Ognuno di noi ha ospitato uno studente e noi abbiamo vissuto con le loro famiglie il mese dopo.»
«Ricordo che anche una mia cugina fece un’esperienza simile, in Spagna» disse il signor Fell. «Diceva sempre come l’aveva arricchita.»
«Certo è molto diverso rispetto a passare qualche giorno in Hotel, come abbiamo fatto in Germania. Sicuramente si impara meglio la lingua, ma è anche necessario adattarsi agli stili di vita di chi ti ospita.»
«Non ti sei trovata bene?»
«Io sì, assolutamente, soprattutto in Francia.» Preferì omettere come il primo giorno, quando era scoppiata a piangere come una bambina, Félix, il suo genitore ospitante, l’avesse cullata come suo padre non aveva mai fatto e le avesse cucinato i pancake. «Altri miei compagni non sono stati così fortunati, ma in fondo passavamo buona parte del tempo a svolgere le attività, quindi-»
Un boato violento, metallico, proruppe dall’esterno e le mozzò la voce. Scattò un allarme squillante e tutti e cinque si affacciarono alla finestra. A un centinaio di metri, due auto sfasciate giacevano sull’asfalto e due coppie correvano verso il marciapiede.
«Cristo, che è successo?» Anathema scostò ancora di più le tende.
«Un incidente» disse Crowley. «Ma credo siano usciti tutti dalle macchine.»
«Non so… sta arrivando un’ambulanza.»
La strada fu presto abbagliata da una serie di luci blu lampeggianti. Isotta si allontanò presto dal gruppo e si accucciò sul divano. Il cibo nello stomaco stava iniziando a dare brutti segni.
«Isotta?»
Suo zio si sedette accanto a lei e le posò una mano sulla spalla. «Tutto bene?»
«Ho un po’ di nausea.»
Crowley guardò il gruppetto, che stava discutendo senza badare a loro, e le prese il braccio. «Vieni a bere un po’ d’acqua.»
La portò al tavolo. Con la coda dell’occhio, Isotta vide il signor Fell e Newton avvicinarsi, ma Anathema li fermò entrambi con le braccia.
Isotta bevve piano mentre suo zio le accarezzava piano la mano libera. «Meglio?»
«Un po’.»
Crowley si passò una mano tra i capelli. «Stanno tutti bene, ok? Sembra… sembra che nessuno si sia fatto male.»
C’era dell’insicurezza nel suo tono, ma Isotta rispose con un flebile “ok”, senza aggiungere altro.
 
*
La strada rimase bloccata per un po’. Per alleggerire l’atmosfera, Anathema andò a prendere nel suo appartamento un vinile di Michael Bublé e portò anche del sorbetto al limone.
«Non si conserva, quindi bere tutto!»
Si sedettero di nuovo al tavolo e Isotta preparò degli snack leggeri come cena. Il signor Fell le si affiancò per aiutarla e coprì il pane tostato di formaggio spalmabile.
«Cos’è questo?» Prese in mano una vaschetta e la annusò. «Pesce?»
«È baccalà mantecato» rispose Isotta. «È tipico della cucina veneziana. Si fa con lo stoccafisso. Lo provi, è buonissimo.»
Isotta andò al frigorifero per prendere il salmone affumicato. Da quando aveva scoperto che costava molto meno che in Italia, ne aveva sempre una confezione in casa. Tornò al piano cucina e trovò il signor Fell intento a studiare i grossi coltelli vicino al lavandino. «Sono nuovi?»
«Regalo di Anathema e Newton.»
«In realtà era un po’ ironico come regalo» disse Anathema. «Ma ha apprezzato più quelli che l’edizione illustrata di “Harry Potter”.»
«C’è sempre bisogno di buoni coltelli, in cucina.» Isotta le sorrise sfoderando la lama più grossa.
«Mettilo giù, sei inquietante.»
Isotta e il signor Fell portarono gli stuzzichini al tavolo. Finirono il vino e Crowley portò le fiches per giocare a poker.
«Niente soldi, siamo educativi» disse.
Mentre giocavano, Anathema tirò fuori l’argomento di Capodanno.
«Fanno dei begli spettacoli sul ghiaccio in centro» disse. «Magari ci sono dei biglietti per i ritardatari.»
«Altrimenti non so quanti hotel liberi ci siano in giro, a questo punto» Crowley portò accanto a sé tre piccole pile di fiches.
«Hai qualcosa da confessarci? Prima di sporcarti di gesso lavoravi nei casinò?» gli chiese Anathema ridendo.
«No, ma questa testa sa fare i conti, streghetta.»
Fu il turno di Isotta di distribuire le carte. Quando passo il mazzetto al signor Fell, pareva pensieroso.
ÈDurante la partita aprì più volte la bocca, ma non parlò. Infine, quando passò le carte, prese un piccolo respiro.
«Se volete» iniziò, gli occhi incollati alle carte che aveva mescolato più del dovuto. Tutto lo stavano guardando. «Io ho… un cottage. Vicino a Brighton, nelle South Downs, davanti al mare. Nessuno della mia famiglia ci va più tranne me, quindi è sicuramente libero. Forse non è il massimo per dicembre ma, voglio dire, se vi va… »
Anathema, Crowley e Newton si guardarono. Isotta fissò suo zio, sì, digli di sì, pensava. Avrebbe potuto rivedere il mare dopo sei mesi, assaporare di nuovo la brezza gelata e il profumo del sale.
«Non sarebbe una cattiva idea» disse infine Anathema. «Ma sei davvero sicuro? Non vorremmo disturbare.»
«Non disturbate affatto» rispose. «Ormai lo uso solo io. Posso passare qualche giorno prima per pulire e riscaldare.» Poi aggiunse, in fretta. «Non dovete rispondere ora, ovviamente, ma… fatemi sapere.»
Lo ringraziarono e ripresero a giocare. Di sottecchi, Anathema la guardò e le fece l’occhiolino.
 
   
 
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