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Autore: IndianaJones25    26/01/2022    1 recensioni
Di ritorno da una disavventura in Australia, Indiana Jones scopre che il suo vecchio amico Sallah si è volatilizzato, senza lasciare tracce.
Indy decide allora di partire verso l’Egitto meridionale, dove è in corso una delle più grandi imprese archeologiche del Novecento, per poter rintracciare il suo amico scomparso. Ancora non sa che questo lo condurrà nell’ennesima sfida contro il tempo per sventare un complotto che, se andasse a buon fine, potrebbe portare nelle mani dei sovietici un’antica e pericolosa arma, risalente all’epoca degli dèi e dei faraoni…
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio, Sallah el-Kahir
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    14 - IN TRAPPOLA

   Sebbene non la si potesse considerare come una semplice passeggiata, trasportare il carro d’oro attraverso la vasta sala ipostila fu un’impresa tutto sommato semplice. Le cose cambiarono non appena dovettero affrontare la scalinata che conduceva al corridoio da cui erano sopraggiunti.
   I gradini erano ripidi e, adesso che avevano le mani occupate, apparivano molto più polverosi e sdrucciolevoli rispetto a quando li avevano percorsi la prima volta. Risalirli senza danneggiare il prezioso manufatto fu piuttosto complicato, e richiese un’attenzione crescente da parte di Indy e di Sallah.
   «Possiamo aiutarvi in qualche modo?» domandò Moshti, quando vide che erano arrivati grossomodo a metà strada.
   L’archeologo scosse la testa.
   «Meglio che facciamo noi» grugnì, salendo con lentezza esasperante sul gradino successivo. «Voi limitatevi a non perdere di vista quel gaglioffo, che non gli salti in testa di fare qualche scherzetto…»
   Il professor Smolnikov mise il broncio, offeso.
   «Anche se lei è uno scimmione e un violento, non le permetto di darmi del gaglioffo, professor Jones!» replicò, con tono stizzito e orgoglioso.
   La risposta dell’americano fu un sordo ringhio. Moshti, con l’ennesimo spintone, costrinse il russo a tacere.
   Continuarono a salire. Indy e Sallah ce la misero tutta e, finalmente, dopo aver rischiato un paio di volte di far sbattere il fondo del carro contro lo spigolo di un gradino, raggiunsero l’apice della scalinata. Entrambi erano sudati e tremavano per l’adrenalina: sebbene non ne avessero fatto parola, si erano sentiti mettere sotto pressione da quella manovra azzardata e rischiosa.
   «Direi che sia arrivato il momento di concederci una pausa» bofonchiò Jones, facendo cenno a Sallah, perché si abbassasse ad appoggiare il carro sul pavimento. «Ne abbiamo bisogno e…»
   «Non vi preoccupate, da qui in poi ci pensiamo noi.»
   Il gruppetto sussultò, colto alla sprovvista da quella voce inattesa. Alzarono gli occhi e, dall’oscurità della galleria, videro uscire un gruppo di uomini. Erano quasi tutti armati di Kalashnikov, le cui canne erano puntate verso di loro.
   Una smorfia di disappunto si disegnò sul volto di Indy, mentre Smolnikov, riconoscendo l’uomo alla guida del gruppo, esclamò, in tono vittorioso: «Colonnello Volkov!»
   «Felice di rivederla, compagno professore» replicò Volkov, senza staccare gli occhi di dosso a Indy. «Per fortuna avevo messo degli uomini fidati a tenerla sotto controllo.»
   Jones provò a muovere un passo in avanti, ma Volkov fu più veloce. Sollevò la pistola che stringeva nel pugno e la utilizzò come un randello per colpirlo al volto. Sanguinando, Indy incespicò all’indietro e cadde in terra.
   «Zio Indy!» gridò Yasmin, buttandosi in ginocchio al suo fianco per controllare come stesse. Gli prese la faccia tra le mani e la accarezzò con delicatezza.
   Moshti e Sallah fecero l’atto di volersi muovere, ma si trovarono con i mitra piantati contro il petto.
   «Pare che non stiate capendo che, da questo momento, comando io» sbottò Volkov, in tono glaciale.
   Indy si pulì il fiotto di sangue che gli era uscito dal naso e lo fissò con disgusto.
   «Sei venuto a prenderti il carro, bastardo?» grugnì.
   Un sorrisetto terribile inarcò le labbra del russo.
   «Quello, ma non solo» disse. «Sono qui anche per vendicarmi.»
   Sollevò la pistola e la puntò contro Jones. L’americano rimase impassibile, ma sentì che le mani di Yasmin attorno al suo viso tremavano.
   I due uomini si fissarono per qualche istante. Pensieri contrastanti attraversarono le loro menti, ma nessuno dei due lo diede a intendere. Restarono entrambi fissi nelle loro espressioni, quella infastidita di Indiana Jones e quella fredda di Sasha Volkov. Il dito del colonnello sfiorò il grilletto un paio di volte, pronto a schiacciarlo. Infine, la pistola si abbassò.
   «Ma perché uccidere rapidamente un simile cane?» domandò, quasi parlottando tra sé. «Una morte rapida sarebbe una concessione troppo grande per lei, professor Jones.» Fece un cenno di diniego. «No. Ho ben altri piani in mente, per lei e per tutti i suoi amichetti.» Osservò il tesoro che si trovava nella sala sottostante e una smorfia disgustata gli contrasse i lineamenti. «Questo posto è pieno di reperti archeologici. Ora anche voi ne diverrete parte. Dovreste esserne lusingati.»
   Yasmin tremò e Moshti borbottò qualcosa di indefinibile. Sallah e Indy, invece, fecero un profondo sospiro, rassegnati. Sempre la solita storia.
   Volkov rivolse un cenno ai suoi uomini. Mentre quattro di loro tenevano sotto tiro Indy e gli altri, uno si avvicinò all’estremità del carro, afferrando le pertiche. Smolnikov, intuendo le sue intenzioni, si affrettò a stringerle sull’altro lato.
   «Portatelo fuori e attendeteci all’ingresso del tempio» ordinò secco il colonnello. «Io me la sbrigo con questi e vi raggiungo.»
   L’archeologo sovietico guardò brevemente Indy, dicendo: «Mi dispiace, professor Jones, ma come vede la violenza non paga», poi lui e il militare si avviarono in fretta nell’oscurità della galleria. Boris e Oleg, che fino a quel momento erano rimasti in disparte, fecero per muoversi, come se intendessero andare con loro.
   «Fermi, dove andate?» li richiamò subito il colonnello.
   I due agenti del KGB tentennarono.
   «Penso sia meglio se li scortiamo e…» cominciò a dire Boris.
   «Non penso proprio» disse secco Volkov.
   «Ma…»
   La pistola del colonnello si alzò verso di loro. Di fronte a quella minaccia, entrambi tacquero e restarono immobili, impallidendo.
   «Per voi ho pensato a qualcosa di molto meglio» grugnì. Fece un cenno secco in direzione di Indy e degli altri. «Avanti, raggiungeteli.»
   I due agenti del KGB tremarono vistosamente.
   «Compagno, non avrà intenzione di…» borbottarono. «Noi abbiamo sempre e solo agito per il meglio e…»
   La freddezza di Volkov fu messa a dura prova. Un rossore pericoloso gli si diffuse sulle guance e gli incendiò le orecchie. Una vena sulla tempia pulsò in maniera vistosa e sinistra.
   «Se fosse dipeso da voi, questi ladri avrebbero portato fuori il carro e si sarebbero eclissati!» sbraitò. La sua voce echeggiò lugubremente per tutto il sotterraneo. «È tempo che io vi dia una lezione!» Spostò la pistola verso la fronte di Boris. «E ora con loro, svelti!»
   Rassegnati, i due uomini fecero come gli era stato detto e andarono a posizionarsi poco lontano da Indy e dagli altri.
   Volkov dardeggiò su tutti loro uno sguardo che non prometteva nulla di buono, quindi indicò la sala.
   «E ora farete meglio ad allontanarvi da qui, se non vorrete finire smembrati» disse. Rivolse un cenno a uno dei suoi uomini. «È pronta, la mina?»
   «Tutto pronto, compagno colonnello» replicò subito quello. «Attende soltanto di essere innescata.»
   Intuendo le sue intenzioni, Sallah fece un passo in avanti.
   «Un momento, non avrete intenzione di seppellirci qui sotto!» protestò.
   Uno dei militari gli puntò la canna del Kalashnikov all’altezza dello stomaco, costringendolo a immobilizzarsi.
   «Papà…» sussurrò Yasmin, alzandosi.
   Anche Indy tornò in piedi e subito si avvicinò a Sallah, prendendolo per il braccio. Glielo strinse adagio, facendogli capire che non era il momento di mettersi a compiere azioni scioccamente eroiche, che avrebbero soltanto peggiorato la situazione.
   «Ne ho tutta l’intenzione, invece, e lo farò» disse secco Volkov. «E ora indietro, o vi tramuterete in crivelli.»
   Comprendendo di non poter fare alcunché per difendersi, tutti e quattro si rassegnarono a indietreggiare, scendendo lungo la scalinata. I due agenti del KGB, invece, rimasero al loro posto.
   «Voi non andate?» domandò il colonnello con accento ironico, guardandoli con indifferenza.
   «Compagno…» bofonchiò Oleg.
   «Il compagno ha già stilato un rapporto in cui informa i vertici del servizio segreto che voi siete morti e i vostri cadaveri dispersi» disse il colonnello, sadico. «Quindi, scegliete: o restate qui a fare compagnia a Jones, oppure venite fuori con me, ma soltanto per permettervi di sciogliere i vostri corpi nell’acido, in maniera da non lasciare prove.» Inarcò un sopracciglio, mentre un sorriso diabolico gli deformava i lineamenti. «E non ho intenzione di uccidervi, prima di cominciare a dissolvervi.» Incrociò le braccia sul petto. «Scegliete voi.»
   Sconfitti, i due agenti discesero la scala come avevano fatto Indy, Sallah e i due ragazzi. Trascinando i piedi, si avviarono in direzione dell’altare, come due vittime condannate a subire l’estremo sacrificio.
   Volkov sorrise ancora più spaventosamente, contemplando i visi rabbiosi delle persone che aveva condannato a essere sepolte vive. In quel momento si sentiva il padrone del mondo, capace di fare qualsiasi cosa.
   Infine, voltò loro le spalle e tornò nella galleria. Tenendo sotto tiro i prigionieri con i mitra, i suoi uomini lo seguirono, indietreggiando un passo per volta. Poi, quando furono tutti fuori dall’ipogeo, l’esplosivo venne innescato.

 
* * *

   Non appena l’ultimo militare sovietico fu scomparso oltre la soglia, un sibilo costante si diffuse per tutto il sotterraneo.
   «Hanno acceso la miccia!» gridò Indy, scattando in avanti di corsa.
   «Indy, che cosa vuoi fare?!» urlò Sallah, spaventato, cominciando a rincorrerlo nel tentativo di fermarlo.
   Indiana Jones non gli badò. Forse, se avesse agito in fretta, sarebbe riuscito a trovare la miccia e a strapparla dalla bomba prima che fosse troppo tardi e venisse provocato un danno irreparabile. Purtroppo, era già troppo tardi.
   Stava salendo i gradini della scalinata, quando il fragore dell’esplosione rimbombò per tutto l’ipogeo. La terra tremò, il soffitto sussultò. Calcinacci e polvere precipitarono ovunque, rendendo l’aria irrespirabile. Indy perse l’equilibrio e, travolto dalla deflagrazione, fu scagliato all’indietro.
   Rotolò fino alla base della scala, travolto dai frammenti di pietra che rimbalzavano da tutte le parti. Rimasto immobile, alzò gli occhi al soffitto. Un grosso blocco si stava staccando, proprio sopra di lui. Ormai non avrebbe più fatto in tempo a scostarsi, sarebbe rimasto travolto…
   Sallah lo agguantò sotto le ascelle e lo trascinò via di peso. Il pietrone cadde subito dopo, distruggendo il pavimento e facendo schizzare da tutte le parti frammenti ormai irriconoscibili di maiolica. Il sotterraneo fu scosso da innumerevoli altre vibrazioni, che abbatterono le statue e rovesciarono i tesori. Il loro tintinnio si mischiò e si sovrappose al fragore della roccia che andava in pezzi. Poco a poco, tutto si quietò, tornando silenzioso e immobile.
   Indy, tremante, si rialzò, aggrappandosi all’amico e fissando il punto in cui, per poco, non sarebbe morto. Se l’era vista davvero brutta. Non che questo mutasse granché la loro pessima situazione.
   Moshti e Yasmin si avvicinarono di corsa, facendosi largo in mezzo al pulviscolo pressoché irrespirabile. Tossivano ed erano bianchi di polvere dalla testa ai piedi, avevano gli occhi arrossati e lacrimanti e tremavano in maniera vistosa, ma nel complesso non sembravano feriti.
   «Papà! Zio Indy!» gridò il ragazzo. «State bene?»
   Sallah annuì, dandogli una pacca sulla spalla. Indy, notando il terrore dipinto sul volto di Yasmin, la prese tra le braccia e la tenne stretta per un minuto abbondante.
   Uno scalpiccio li fece voltare. I due russi, anche loro completamente imbiancati, si stavano avvicinando. Nemmeno loro avevano riportato ferite gravi, almeno a prima vista.
   «Avete visto che bell’affare che avete fatto, lavorando per quel pazzo di Volkov?» li redarguì Sallah.
   Nessuno dei due seppe che cosa replicare.
   Jones, intanto, lasciata andare la ragazza, provò a salire la scalinata. Non ne restava più molto, perché l’esplosione l’aveva distrutta. Orientandosi con il fascio di luce della torcia, riuscì comunque a inerpicarsi tra le macerie, fino a raggiungerne la superficie. Come temeva, però, fu una fatica inutile. L’ingresso della galleria era stato completamente sigillato dal crollo. Senza gli strumenti adatti, non sarebbero mai riusciti a liberarsi.
   «Di qui non si passa» comunicò con un borbottio, rivolto agli altri.
   Dal basso, gli rispose un coro di mugugni, in cui riuscì a distinguere la voce di Yasmin.
   «Considerato che era la sola via di accesso a questo luogo, siamo fregati.»
   Con qualche cautela, scivolando un paio di volte sulla pietra friabile, Indy tornò da loro.
   «Forse è così» brontolò, enigmatico, guardandosi attorno.
   Sallah, i suoi figli e i due agenti del KGB si scambiarono rapide occhiate. Possibile che l’archeologo avesse in mente qualcosa che avrebbe potuto tirarli fuori da lì?
   «A che cosa stai pensando?» domandò Sallah, sperando che il suo amico non si stesse semplicemente illudendo.
   Indy si allontanò di qualche passo, puntando il fascio luminoso della torcia dappertutto. Per fortuna, nonostante la polvere, l’oro brillava ancora, e bastava poco perché lo scintillio si propagasse a tutta la vasta sala, illuminandola a giorno.
   «Zio Indy…?» lo interrogò Moshti, seguendolo.
   Senza voltarsi, Jones barbugliò, perso nelle proprie riflessioni: «I pipistrelli…»
   Tutti lo fissarono senza capire per alcuni istanti. Dopo aver aggrottato le sopracciglia, Sallah si batté una manata sulla fronte in segno di comprensione.
   «Ma certo, Indy, hai ragione!» esclamò.
   Fece scivolare lo sguardo sui figli e, notando le loro espressioni perplesse, soggiunse: «Non capite? Quando siamo entrati nella galleria abbiamo trovato dei pipistrelli, ci hanno praticamente travolti…»
   Yasmin annuì, poco convinta. Moshti si grattò la testa. Oleg e Boris si guardarono senza capire.
   «Sì…» brontolò quest’ultimo. «Li abbiamo visti anche noi… e allora?»
   «E allora» disse Indy, volgendosi verso di loro e ritrovando il suo solito tono cavernoso, «mi rifiuto di credere che quelle simpatiche bestiole abbiano abitato qui dentro fin dai tempi di Ramses II come se niente fosse. E, siccome la parte da cui siamo entrati noi era sigillata e non aveva altre vie d’uscita, deve significare che, qui da qualche parte, ci deve essere un altro sbocco che comunica con l’esterno. Se riusciamo a trovarlo, potremo venir fuori da questa trappola. Per cui, poche chiacchiere e diamoci da fare prima che le batterie delle nostre torce si esauriscano.»
   Rincuorati da quell’intuizione e allarmati all’idea di poter sprecare anche un solo prezioso secondo messo a loro disposizione, tutti cominciarono ad aggirarsi per la sala, in mezzo ai tesori, alla ricerca di un qualsiasi pertugio che avrebbe potuto significare la loro salvezza.

 
* * *

   L’onda d’urto dell’esplosione fu di una violenza tale che i quattro uomini di Volkov furono scagliati al suolo e si trovarono appiattiti sul pavimento polveroso. Lo stesso colonnello, pur riuscendo a rimanere in piedi, si scoprì a vacillare e dovette appoggiarsi con un braccio alla parete per riuscire a reggersi. Dal soffitto caddero alcuni calcinacci, che si rovesciarono addosso al gruppo di uomini. Il rombo si propagò con un’eco assordante, che gli frastornò i timpani.
   Un suono e una violenza celestiali, per il colonnello Sasha Volkov.
   «Resta sepolto come un topo di fogna per il pochissimo tempo che ti rimane, Indiana Jones» sibilò tra i denti. Guardò nel vuoto e soggiunse, parlando con tono bassissimo: «Irina, amica mia, ora sei vendicata. L’uomo che ha vanificato il tuo sogno di donare all’Unione Sovietica un’arma potentissima e infallibile è stato annientato e distrutto. E ora sarò io, sulle tue orme, a recare alla Grande Madre Russia questo nuovo artefatto, che ci renderà invincibili.»
   Abbassò lo sguardo. I suoi uomini non si erano ancora mossi, immobili con le mani sopra la testa per ripararsi da eventuali nuovi crolli.
   «In piedi, svelti!» abbaiò, a voce alta. «Il pericolo è cessato. Sbrighiamoci a uscire da qui. Dobbiamo ancora caricare il carro sul camion e affrettarci a partire per Assuan. Datevi una mossa!»
   Obbedienti, i militari si rialzarono e si incamminarono con passo affrettato lungo la galleria, aprendo la strada per il loro comandante.
   Ancora fermo al suo posto, il colonnello Volkov rivolse un ultimo pensiero a Irina Spalko, domandandosi se sarebbe stata fiera di lui e di ciò che aveva condotto a termine, e si incamminò alle loro spalle. Per quanto riguardava Indiana Jones, invece, se lo dimenticò alla svelta: ora che la sua vecchia amica aveva ricevuto la sua giustizia postuma e che la Gloria di Amon era saldamente nelle sue mani, non valeva più la pena di perdere tempo a pensare a quell’uomo che, finalmente, non avrebbe più dato alcun fastidio.

 
* * *

   «Papà! Zio Indy!» chiamò d’improvviso Moshti. «Forse ho trovato qualcosa!»
   Indy e Sallah, che stavano esaminando la parete di sinistra della sala, si affrettarono a raggiungerlo al capo opposto. Anche i due russi e Yasmin, che si erano incaricati di setacciare il lato nord, vennero attratti dal richiamo del ragazzo. Era ormai un’ora abbondante che stavano passando palmo a palmo il sotterraneo. Non avevano ancora abbandonato le speranze, ma le luci delle torce cominciavano ad affievolirsi; e più il chiarore diminuiva, e più lo sconforto aumentava.
   Moshti era inginocchiato davanti a una parete. Quando li sentì sopraggiungere, si scostò per permettere ai loro occhi di vedere ciò che aveva scoperto.
   Il muro era dipinto con le solite immagini guerresche. In quel punto si poteva scorgere la grande fortezza di Qadesh, dinnanzi alla quale il solo Ramses II aggrediva l’esercito hittita, costringendolo a ripiegare alla rinfusa verso il fiume Oronte. Al di là di questo, sulla sponda opposta, erano rappresentati alcuni soldati che tenevano per le gambe un loro comandante, salvato appena in tempo dai flutti impetuosi: l’uomo, a testa in giù, vomitava tutta l’acqua di cui aveva fatto indigestione.
   Non era certo per la magnificenza pittorica di quegli affreschi che Moshti aveva richiamato la loro attenzione. Nella parte inferiore della parete si apriva infatti uno squarcio, oltre il quale regnava l’oscurità.
   «Vediamo…» borbottò Indy, abbassandosi.
   Si piegò sulle ginocchia e, dopo una lieve incertezza, si sdraiò sul ventre. Sbirciò all’interno dello stretto pertugio. Anche puntandoci dentro il fascio della torcia non gli riuscì di vedere granché. In compenso, si sentì sul volto una corrente d’aria e le sue narici percepirono odore di umidità.
   «Oltre questa parete c’è un passaggio» brontolò, rialzandosi.
   Appoggiò la mano alla parete e vi tamburellò sopra, prima con le dita e poi con le nocche. Sussultò per la sorpresa.
   «Questa non è la pietra arenaria di cui sono composte le altre pareti scavate direttamente nella roccia» annunciò, contenendo a stento un moto d’esultanza. «Si tratta di mattoni di fango essiccato. Devono essere stati impiegati per celare un passaggio naturale nella montagna.»
   Tutti i presenti si sentirono attraversare da un istintivo senso di sollievo.
   «È possibile abbatterla?» domandò Oleg, timoroso che la loro speranza potesse essere disattesa dai fatti.
   Fu Sallah ad annuire e a rispondere.
   «Io e Indy, da soli, abbiamo superato ostacoli anche più resistenti di questo» disse. «Con qualche sforzo, possiamo far crollare questi vecchi mattoni.»
   L’archeologo fece scivolare lo sguardo su tutto il tesoro e individuò un gruppo di asce di bronzo di aspetto parecchio vigoroso, che si trovavano accatastate ai piedi di una colonna.
   «E i mezzi per riuscirci non ci mancano di certo» disse.
   Senza che fosse stato necessario impartire ordini, tutti quanti si appropriarono di un’ascia e tornarono dinnanzi alla parete variopinta. Esitarono e tutti gli occhi si puntarono sull’archeologo, che sbuffò. Come al solito, toccava a lui accollarsi la responsabilità di sacrificare una preziosa testimonianza dell’arte antica. In ogni caso, tra la scelta di conservare intatto un prezioso tesoro e quella di tramutarsi lui stesso in un reperto archeologico, non aveva alcun dubbio su che cosa preferisse.
   Assestò il primo colpo, abbattendo in una sola volta l’intera fortezza di Qadesh, che si sbriciolò e cadde al suolo in frammenti irriconoscibili. Sallah lo imitò immediatamente, deviando il corso dell’Oronte. Subito anche gli altri si unirono al lavoro, aiutando Ramses II nell’annientare l’esercito nemico, prima di distruggere pure lui e il suo carro. Ben presto, tutto l’intonaco fu ridotto in pezzetti irriconoscibili, sparsi sul pavimento, e la parete di mattoni venne riportata alla luce sempre più scarsa.
   «Forza, ancora qualche sforzo» borbottò Indy, ricominciando a colpire il muro.
   I mattoni di fango essiccato tentarono di opporre un’ostinata resistenza all’assalto continuo delle scuri. Presto, però, dovettero cedere contro la determinazione di chi non aveva nessuna voglia di restare prigioniero nel buio. Briciole di terra e di paglia impastate crollarono al suolo in un mucchio informe, aprendo a poco a poco un passaggio.
   Nel giro di una decina di minuti, dove per millenni si era conservata quasi intatta una parete dipinta in maniera meravigliosa, si aprì un pertugio largo a sufficienza per permettere il passaggio anche al robusto fisico di Sallah.
   «Credo che possiamo andare» dichiarò l’archeologo, sbirciando all’interno.
   Con la coda dell’occhio, notò che i due russi stavano gettando vie le scuri di bronzo.
   «Queste faremo meglio a conservarle ancora per un poco» lì bloccò. «Se troveremo altri ostacoli, dovremo essere pronti ad abbatterli senza perdere un solo secondo.»
   Senza aggiungere altro, scavalcò ciò che rimaneva della parete e si inoltrò nel buio. Gli altri lo seguirono in silenzio, guardandosi attorno con nervosismo e con speranza.
   Al contrario della galleria che avevano seguito per raggiungere il sotterraneo, questo passaggio appariva come una semplice fenditura naturale. Le pareti erano grossolane e irregolari, e lo spazio si allargava e si restringeva in maniera del tutto casuale.
   Indy temeva di imbattersi in ogni momento in un ostacolo invalicabile. Il fatto che quel passaggio fosse stato utilizzato dai piccoli pipistrelli non significava certo che anche un essere umano vi sarebbe potuto passare. Del resto, l’ingresso all’ipogeo che quelle bestiole si erano riservate era molto piccolo, quindi chi avrebbe potuto scommettere che non fosse altrettanto per l’entrata di questa caverna?
   A rincuorarlo un poco, fu la vista di alcuni antichi vasi accatastati ai muri. Evidentemente, degli uomini c’erano stati, lì sotto. Non volle provare a indagare per scoprire se, a metterli in quel posto, fossero stati gli operai che poi avevano costruito il muro per celare l’ipogeo oppure gente proveniente da un’altra direzione. Era meglio conservare intatte le speranze fino all’ultimo, che disilludersi prima del tempo.
   Un rumore di acqua attrasse la sua attenzione.
   Corrugò le sopracciglia e fece un cenno agli altri perché rallentassero. Avevano raggiunto una discesa, che creava un dislivello di alcuni metri. Puntò la luce di fronte a sé e, con sconcerto, vide che la galleria che stavano seguendo, abbassandosi, era allagata.
   «Accidenti!» esclamò Yasmin.
   Senza una parola, Indy raggiunse la base della discesa e mise i piedi nell’acqua. Era fredda e limaccioso, ma non arrivava al di sopra delle caviglie.
   «È un po’ d’acqua, ma non ci ostacolerà» dichiarò. «Dobbiamo per forza andare avanti, è la nostra sola possibilità.»
   Attese che gli altri lo avessero raggiunto e riprese il cammino. A ogni passo l’acqua produceva un leggero sciacquio, bagnandogli i polpacci. Dopo qualche minuto trascorso senza che accadesse nulla di rilevante, Indy si rese conto di un fatto allarmante: la galleria era in pendenza; più andavano avanti, più aumentava il livello dell’acqua. E non fu il solo ad accorgersene.
   «Adesso l’acqua mi arriva alle ginocchia» disse infatti Boris, dopo alcuni istanti.
   «Sta salendo» replicò Sallah, mantenendosi calmo. «Mi chiedo fino a che punto.»
   Indy continuò a guardare in avanti, senza voltarsi indietro.
   «L’unico modo per scoprirlo è continuare ad andare avanti» grugnì.
   Proseguirono. A causa dell’innalzamento del livello dell’acqua, furono costretti ad avanzare più lentamente. I loro movimenti divennero goffi, le loro gambe faticavano a vincere la resistenza del liquido che, ormai, le avvolgeva fino alle cosce. L’ambiente stretto non rendeva le cose più semplici, e a ogni passo prendevano botte ai gomiti o alle ginocchia.
   Trascorsa un’altra decina di minuti, si trovarono immersi fin sopra la vita.
   «Se va avanti così, dovremo nuotare, più che camminare» sbottò Yasmin. La sua voce risuonò strana, amplificata dall’acqua.
   Indy annuì, senza rispondere. Fece scattare l’interruttore della torcia e puntò lo sguardo di fronte a sé. In profondità, al di sotto del livello dell’acqua, gli parve di aver intravisto un chiarore. Doveva scoprilo, e conosceva un solo sistema per riuscirci.
   «Aspettatemi qui per qualche minuto, mi sembra di aver visto qualcosa» dichiarò.
   Mise la torcia tra le mani di Yasmin e proseguì per ancora qualche metro, finché l’acqua gli arrivò a lambire il petto. Prese una profonda boccata d’aria e si immerse.
   Nuotare in quelle acque fredde, tetre e fangose non era certo quello che aveva avuto in mente di fare quando era entrato nel tempio, quella sera. Tuttavia, ricorrendo a tutte le sue energie, avanzò in mezzo a quel mondo silenzioso e limaccioso, guadagnando terreno. I muscoli gli dolevano e i crampi minacciarono di afferrarlo molto presto. Forse avrebbe dovuto iniziare a pretendere qualche sforzo in meno, dal suo vecchio fisico provato da mille avventure. Ma ci avrebbe pensato a tempo debito. Adesso era in ballo e non poteva fermarsi.
   Nuotò più veloce che poté. Ormai la galleria era completamente allagata, e cercò di non battere la testa. Gli abiti lo ostacolavano, il cappello gli si era praticamente incollato alla testa e le falde, spesso, gli finivano davanti agli occhi, impedendogli la visuale. Non se ne curò e continuò ad andare avanti, mosso ormai dalla disperazione. Iniziava a mancargli l’aria. Tornare indietro sarebbe stato impossibile e, se non avesse trovato al più presto un’apertura, sarebbe annegato.
   Lampi luminosi gli esplosero davanti agli occhi. Ma una luce diversa attrasse la sua attenzione, infondendogli la forza necessaria a coprire l’ultimo tratto rimanente. Con un colpo rapido dei piedi, Indiana Jones emerse all’aperto, nella calda notte rischiarata dalla luna.
   Annaspando e agitando le braccia, si mantenne a galla sopra la superficie, mentre l’aria gli penetrava nei polmoni, restituendogli vita ed energia. Il petto gli dolse per qualche istante, ma il battito del suo cuore cominciò subito a regolarizzarsi e la vista perse quella cortina di nebbia che l’aveva offuscata negli ultimi istanti.
   Indy si guardò attorno, cercando di capire dove si trovasse.
   Era all’imbocco di una galleria, su una delle sponde rocciose del Nilo. Sopra l’ingresso, incisi nella pietra arenaria, si potevano ancora scorgere alcuni geroglifici, ormai quasi del tutto cancellati dal tempo e dall’erosione. Con un ultimo sforzo, Indy si aggrappò a una roccia e si issò all’asciutto.
   Gettò un’occhiata verso sinistra e si rese conto di trovarsi almeno a un paio di chilometri a monte rispetto ai templi di Abu Simbel. La galleria da cui era sbucato si era aperta per millenni sul fianco della falesia, inosservata per tutto quel tempo. Ma, adesso, il livello del Nilo si stava inesorabilmente innalzando e l’aveva allagata. Molto presto, anche il tratto che loro avevano percorso all’asciutto sarebbe stato del tutto inondato.
   Questo pensiero gli rammentò che, là dentro, erano rimasti ad attenderlo i suoi amici. Dovevano essere preoccupati da morire, non vedendolo riemergere. Doveva tornare subito da loro. Si concesse giusto un paio di minuti per riprendere fiato e, nel frattempo, si sbarazzò di tutto ciò che avrebbe potuto ostacolarlo nella nuova nuotata che lo attendeva: tolse il cappello, il giubbotto, il cinturone, la borsa e le scarpe, lasciandoli accanto a un masso da dove sperava di poterli recuperare in tempi brevi.
   Poi, tratto un altro profondo sospiro, tornò a immergersi nell’acqua gelida.

 
* * *

   «Temo che sia morto» disse Oleg, scuotendo la testa. «Sarà annegato. E, dunque, addio speranze di poter uscire da questa parte.»
   Sallah lo fissò con una smorfia.
   «Non crederò che Indy sia morto finché non avrò davanti agli occhi il suo cadavere» obiettò. Eppure, non riuscì a mascherare la preoccupazione che gli aveva riempito la voce.
   «Forse faremo meglio a tornare indietro e vedere se ci sia un’altra strada» borbottò Moshti, non facendo assolutamente nulla per nascondere quante poche speranze di riuscita conservasse ancora.
   Yasmin, invece, tenne gli occhi puntati verso il fondo della galleria. Si torceva le mani, nervosa. Non poteva accettare che lo zio Indy non ce l’avesse fatta. Era impossibile. Quell’uomo se la cavava sempre, in ogni situazione, con un’ostinazione senza eguali.
   Alcune bolle improvvise incresparono la superficie dell’acqua. Una sagoma nera occupò lo spazio e Indiana Jones riemerse dinnanzi a tutti loro, spandendo flutti in tutte le direzioni. Annaspò e sputò acqua.
   «Sia ringraziato Allah!» esclamò Sallah, sporgendosi in avanti per afferrarlo e aiutarlo a rialzarsi.
   Dopo aver ripreso fiato, Indy fece scivolare lo sguardo su tutti i presenti, che lo fissavano con aria ansiosa.
   «C’è un passaggio, conduce all’aperto» rivelò, ancora ansante per lo sforzo della nuotata.
   Sui cuori di tutti discese un sollievo che non avrebbero più potuto credere di poter provare.
   «Bisogna prendere una bella boccata d’aria, ma la via è comunque breve e non ci sono ostacoli. Inoltre la galleria non ha deviazioni, quindi non c’è possibilità di sbagliare. Sarà buio, ma di fronte a voi vedrete la luce della luna. Detto questo…» esitò un istante. «Là sotto ognuno dovrà arrangiarsi. Ma, se volete un consiglio, lasciate qui quello che non può servire. Non è una passeggiata, questo tunnel sommerso.»
   Senza indugio, i quattro uomini si affrettarono a sbarazzarsi delle giacche e delle cravatte. Yasmin, invece, restò immobile, arrossendo violentemente. Anche nel buio, l’archeologo se ne rese conto.
   «Non è assolutamente il caso di imbarazzarsi» le sussurrò. «Penso che potrai nuotare senza bisogno di toglierti nulla…»
   La ragazza scosse la testa.
   «Non è per questo, zio Indy» mormorò. «È che io… non so nuotare…»
   Il sorriso paterno di Indiana Jones si accentuò. A quanto pareva, per quella notte la sua schiena non aveva ancora finito di fare gli straordinari. Si avvicinò e, passatole un braccio attorno alla vita, mormorò: «Non temere, piccola. Non ti lascio sola. Ci penso io a te. Sarà sufficiente che tu prenda una bella boccata d’aria e poi tenga la bocca chiusa finché non saremo fuori. Per il resto, lascia fare a me.»
   Si voltò verso gli altri e domandò: «Pronti?»
   «Pronti» assicurò Sallah.
   «Bene, io e Yasmin andremo per primi. Probabilmente dovrò andare un po’ a rilento, con lei, quindi prima di seguirci lasciate trascorrere almeno un paio di minuti, così non rischieremo di esservi d’ostacolo.» Guardò Sallah e gli strizzò l’occhio. «Ci vediamo fuori.»
   Dopo aver inspirato una lunga boccata d’aria, lui e la ragazza si immersero nell’acqua tetra, diretti verso la salvezza.


 
   
 
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