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Autore: IndianaJones25    26/01/2022    1 recensioni
Di ritorno da una disavventura in Australia, Indiana Jones scopre che il suo vecchio amico Sallah si è volatilizzato, senza lasciare tracce.
Indy decide allora di partire verso l’Egitto meridionale, dove è in corso una delle più grandi imprese archeologiche del Novecento, per poter rintracciare il suo amico scomparso. Ancora non sa che questo lo condurrà nell’ennesima sfida contro il tempo per sventare un complotto che, se andasse a buon fine, potrebbe portare nelle mani dei sovietici un’antica e pericolosa arma, risalente all’epoca degli dèi e dei faraoni…
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio, Sallah el-Kahir
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    15 - LA RICONQUISTA DEL CARRO

   Indy terminò di riallacciare il cinturone e si calcò in testa il cappello ancora gocciolante. Si voltò verso i suoi compagni di sventura che, stanchi e infreddoliti, ma tutti sani e salvi, si erano seduti sulla pietraia in mezzo a cui crescevano erbe rinsecchite. La tiepida brezza notturna stava lentamente asciugando i loro abiti zuppi d’acqua. Guardò verso Yasmin e le sorrise. Lei lo ricambiò con delicatezza.
   «Professore» borbottò uno dei due agenti del KGB, alzandosi e venendo verso di lui.
   L’archeologo restò fermo ad aspettarlo, guardandolo con attenzione.
   «Mi chiamo Boris, professore» si presentò l’uomo. Accennò al suo collega, rimasto seduto vicino a Sallah. «Lui è Oleg. Lavoravamo per il servizio segreto sovietico.»
   Un ghigno deformò le labbra e le guance coperte di barba di Jones.
   «Lavoravate?» domandò, con sarcasmo. «Vi siete licenziati, per caso?»
   «Proprio così, professore» replicò Boris, serio. «È accaduto nel momento stesso in cui quel maledetto di Volkov ci ha sepolti vivi in quel dannato sotterraneo. Abbiamo un conto aperto, con lui.»
   Indy si fece attento. Anche Yasmin e Moshti si avvicinarono per sentire meglio.
   «E…» borbottò, «come avreste intenzione di saldarlo?»
   Un sorrisetto apparve sulla bocca del russo.
   «Desidera ancora recuperare quel carro, presumo» disse. «Noi possiamo offrirgliene la possibilità.»
   «Ma naturalmente» soggiunse Oleg, alzandosi e venendo verso di loro insieme a Sallah, «quello di vendicarci non è il nostro solo proposito. Abbiamo bisogno anche di altro.»
   «Vale a dire?» domandò Sallah, passandosi una mano sulla barba che gocciolava acqua limacciosa.
   «Desideriamo un salvacondotto per poterci trasferire negli Stati Uniti e chiedere asilo politico» rivelò Boris.
   «Voi ci capite, immagino» gli fece eco Oleg. «Aiutandovi, ci stiamo esponendo. In Unione Sovietica non la passeremmo liscia. Trasferendoci in America, invece, potremmo fare delle chiacchierate interessanti con i vostri servizi segreti, se capisce cosa vogliamo dire.»
   «E non chiediamo nemmeno troppo» continuò Boris. «Ci basta un appartamentino a New York, un piccolo assegno mensile e una buona fornitura di whisky e altri liquori che non abbiamo mai assaggiato. Siamo stufi, di bere sempre e soltanto vodka insulsa ricavata dal petrolio.»
   Indiana Jones sorrise. Tutto sommato, gli sembrava che, quella dei due russi, fosse una richiesta ragionevole, che avrebbe giovato tanto a loro quanto al governo degli Stati Uniti. E, chissà, forse grazie al loro aiuto avrebbe davvero potuto rimettere le mani sulla Gloria di Amon prima che i russi prendessero il volo. Forse non era ancora tutto perduto.
   «Ho amici importanti» assicurò. «Gente in alto loco. Vi forniranno ogni tipo di protezione e vi daranno una nuova identità. Diventerete cittadini americani, potete starne certi; e, se avete dei famigliari, provvederanno a trasferire anche loro.»
   Stavolta fu Oleg a sorridere.
   «Riguardo a questo, non c’è nessun ostacolo» sussurrò. «Siamo cresciuti entrambi in orfanotrofio. Io ho solo lui e lui ha solo me» aggiunse, posando fraternamente la mano sulla spalla di Boris.
   L’archeologo annuì.
   «Meglio così, renderà le cose più semplici» sentenziò.
   I due ormai ex agenti del KGB si scambiarono una rapida occhiata, prima di tornare a guardarlo in volto.
   «Abbiamo la sua parola che ci condurrà in salvo, professor Jones?» domandò Boris, porgendo la mano.
   Indy fece per prenderla e stringerla, ma esitò un istante.
   «Solo se io ho la vostra che mi aiuterete a recuperare il carro di Ramses» rispose.
   «Secondo i piani, il carro verrà condotto ad Assuan sopra un camion» disse immediatamente Boris. «Una volta lì, verrà caricato sopra un’imbarcazione che risalirà il Nilo fino al Cairo. Da lì, proseguirà per Alessandria, nel cui porto è in attesa una corazzata che dovrà trasportarlo al sicuro in una base sovietica del Mar Nero.»
   L’archeologo strinse con vigore la mano che il russo gli stava ancora porgendo.
   «Riprendiamoci quel carro e torniamocene tutti a casa» concluse, risoluto.

 
* * *

   Il pesante GAZ-66 verde militare divorava la strada spinto dalle sue quattro ruote motrici. Il cassone, coperto da un telo spesso e polveroso, sobbalzava rumorosamente a ogni cunetta e asperità del terreno. Sui suoi lati si sollevava una nube di sabbia che colorava di rosso il cielo, sempre più pallido e violetto mano a mano che l’alba si avvicinava. Dinnanzi al grosso camion avanzava una Moskvitch 402, una berlina color beige su cui erano montati un autista, il colonnello Volkov e il professor Smolnikov.
   Dal punto sopraelevato in cui si trovava, era semplice seguire quel movimento senza correre il rischio di essere notato. Indy abbassò il binocolo con cui aveva osservato la scena stando al riparo di una roccia e, rialzatosi in piedi, tornò in fretta verso la Willys CJ-3B. Sallah era al volante, mentre i due russi e i ragazzi si erano stretti alla meglio sul sedile posteriore.
   «Hanno imboccato adesso la strada per Assuan» disse, sedendosi al posto del passeggero. «Pensi di farcela a raggiungerli?»
   «Consideralo già fatto!» dichiarò Sallah, ingranando la marcia e lanciandosi all’inseguimento.
   Senza perdere tempo a cercare una pista adatta, guidò il robusto fuoristrada direttamente lungo il versante roccioso della collina, schizzando sabbia, terra e pezzi di arenaria in ogni direzione.
   «Allora, il piano lo avete compreso bene?» sbottò l’archeologo, voltandosi a guardare gli altri.
   Boris, Oleg e Moshti annuirono. L’unica che sentì il bisogno di ribattere qualcosa fu Yasmin.
   «Zio Indy, per me è una follia!» quasi urlò. «Se è vero che su quel camion ci sono sei uomini armati di tutto punto…»
   «Ne ho affrontati da solo almeno il triplo, in altre circostanze» tagliò corto lui, interrompendola.
   «Sì, ma non puoi lanciarti al volo sopra un camion in corsa!» insistette lei.
   «Perché no?» sogghignò Jones, fissandola negli occhi. «Con tutte le volte che l’ho fatto…»
   «Sì, ma…» obiettò ancora la ragazza, «…eri più giovane…»
   «Io sono sempre giovane!» concluse Indy con un’alzata di spalle, tornando a voltarsi per guardare la strada attraverso il parabrezza screziato di sporcizia.
   Il camion era già in vista, ma sollevava una tale nuvola di sabbia che, per il momento, potevano sperare di non essere ancora stati notati dai militari sovietici.
   «Affiancati al suo lato sinistro e lascia fare il resto a me» comunicò Indy, indicando il grosso mezzo. «Appena ho saltato, allontanatevi quel tanto che basta per mettervi fuori tiro da eventuali colpi di fucile. Se riesci, prova a speronare quella macchinina su cui ci sono Smolnikov e quel simpaticone di un colonnello.»
   «Agli ordini!» replicò immediatamente Sallah.
   Era troppo abituato alle follie di Indiana Jones per provare a tirar fuori qualche obiezione come aveva appena fatto sua figlia. Sapeva bene che sarebbe stata una battaglia persa. Con oltre mezzo secolo di solida amicizia alle spalle, poteva dire di conoscerlo meglio di chiunque altro al mondo; e, di conseguenza, era conscio che, quando Indy si metteva in testa qualcosa, non gliela si poteva togliere. Specialmente se trattava di una totale pazzia.
   «Questo piano, comunque, mi pare pieno di incognite» si fece invece udire la voce di Oleg.
   «È vero, se avessimo pianificato meglio, forse…» tentennò Boris.
   «L’ultima volta che ho pianificato qualcosa è stato suppergiù una ventina d’anni fa, e come unico risultato mi sono trovato con la canna di una Luger piantata nella tempia» bofonchiò Indy, sfregandosi le guance. «Molto meglio andare a sentimento e lasciarsi catturare dall’attimo. Insomma, credo che improvvisare sia assai più salutare che perdere tempo a ideare progetti che, poi, alla prova dei fatti, farebbero acqua da tutte le parti.»
   Forse i due russi avrebbero avuto ancora qualcosa di controbattere a quelle teorie. Non ebbero occasione di farlo. Con uno scossone, lasciarono il declivio e si immisero sopra la strada. Sallah diede gas, aumentando notevolmente la velocità e guadagnando terreno rispetto al pesante camion che, a causa della stazza, non poteva procedere troppo rapidamente.
   Con uno stridio di pneumatici, l’agile fuoristrada divorò la distanza che lo separava dal cassonato sovietico. Gli si affiancò nell’esatto momento in cui l’autista cominciava a urlare imprecazioni per richiamare l’attenzione degli uomini della scorta.
   Indy, che si era alzato in piedi sopra il sedile, spiccò un balzo e si aggrappò al telone cerato.

 
* * *

   «Der’mo!» imprecò il colonnello Volkov, che aveva osservato tutta la scena dallo specchietto retrovisore.
   Si voltò all’indietro per osservare meglio quello che stava accadendo sul camion. Non riusciva a credere ai propri occhi, gli sembrava pura follia. Jones, chissà come, era riuscito a venire fuori dal sotterraneo in cui lo aveva sepolto vivo ed era appena balzato sopra il mezzo che trasportava la Gloria di Amon. Poco importava che quel dannato americano si fosse mosso goffamente e avesse quasi perso la presa, quando si era aggrappato; perché ciò che contava, adesso, era che quel demonio fosse dove non si sarebbe dovuto trovare.
   «Deve avere il diavolo dalla sua parte!» strillò Smolnikov, sbalordito.
   «Diavolo o no, io lo ricaccerò in quell’inferno che lo ha sputato una volta per tutte!» sbraitò il colonnello, fuori di sé dalla collera.
   Si sporse dal finestrino abbassato. Impugnò la pistola e cominciò a fare fuoco in direzione del camion, cercando di colpire Jones che si stava arrampicando sulla parte superiore del cassone.
   Prendere la mira in quelle circostanze, però, non era semplice. Un proiettile si perse nel vuoto, un altro impattò contro il radiatore del GAZ e un terzo fece esplodere il parabrezza. L’autista, atterrito, si abbassò per evitare di essere colpito, facendo muggire il clacson.
   Il camion sbandò e uscì di strada, rischiando di cappottare. Per un breve tratto viaggiò soltanto sulle ruote di destra, finché l’uomo alla guida, con una sterzata azzardata, riuscì a rimetterlo in assetto e a riportarlo sulla carreggiata.
   Volkov smise di sparare. Intuì che, se avesse continuato, avrebbe causato più danni che altro. Con un gesto eloquente della mano, ordinò all’autista di non fermarsi ma, anzi, di aumentare il più possibile l’andatura, nel tentativo di far perdere la presa a Jones che era riuscito a mantenersi ancorato al suo posto.

 
* * *

   Quando il camion sbandò di lato, Indy rischiò davvero di cadere. Fu sbalzato di parecchi centimetri verso il punto in cui mezzo si stava piegando e fu soltanto grazie alla tenacia della disperazione se non perse la presa. Affondò le dita nella tela, fino a lacerarsi la pelle attorno alle unghie, e tenne duro con ogni stilla di energia residua che gli rimaneva.
   Finalmente, il pesante automezzo tornò a raddrizzarsi e anche lui poté rilassarsi. Cominciò a strisciare verso la parte posteriore del mezzo. Per prima cosa, infatti, si sarebbe dovuto liberare degli uomini della scorta, poi avrebbe pensato a occuparsi del resto.
   Era ormai a pochi centimetri soltanto dalla sua meta, quando la testa e il braccio di un uomo fecero capolino davanti a lui. Quel che era peggio, era che il braccio era armato di Kalashnikov. La canna era puntata dritta contro il suo viso e il dito stava per premere il grilletto.

 
* * *

   Sallah aveva dovuto frenare e allontanarsi dal camion quando questo si era piegato di colpo a causa dei proiettili sparati da quel pazzo di un colonnello. Adesso procedeva in coda, cercando di raggiungerlo nuovamente.
   Dal dove si trovava, poteva vedere Indy che avanzava trascinandosi sulle ginocchia e sul ventre verso il retro del cassone. Come avevano riferito in maniera corretta i due ex agenti del KGB, era occupato da cinque uomini, tre da un lato e due dall’altro della cassa in cui era stato rinchiuso il carro d’oro, mentre nella cabina di guida ne era rimasto uno solo. Si erano alzati quando era iniziato il trambusto, ma la sbandata li aveva mandati con le gambe all’aria. Solo che, adesso, uno di loro, con il fucile armato, stava arrampicandosi per fare una sgradita sorpresa all’archeologo.
   L’egiziano non esitò un solo istante. Sapeva bene che, adesso, la salvezza di Indy dipendeva da lui soltanto.
   «Reggetevi forte!» urlò, buttandosi con tutto il peso sull’acceleratore e scalando in fretta la marcia.
   Come se il dio Seth in persona fosse disceso in terra per sospingerlo con la furia delle tempeste del deserto, il fuoristrada balzò in avanti, macinando metri su metri in pochissimi istanti.
   Il motore ruggì, il camion si avvicinò. Sallah non rallentò. Strinse con forza le mani sul volante e andò a sbatterci contro.
   Il russo che stava per sparare venne colto alla sprovvista dall’urto. Perse la presa, lasciò andare il fucile e crollò all’indietro. Finì sul cofano dell’automobile e ne sfondò il parabrezza con la testa, prima di venire sbalzato di lato.
   Restò immobile sulla strada mentre i due veicoli proseguivano la loro folle corsa.

 
* * *

   «Fuori uno!» pensò Indy, guardando il russo cadere.
   Anche i suoi compagni assistettero alla scena. Da sotto di sé, l’archeologo udì risuonare grida rabbiose, seguite da una scarica di mitra sparata in direzione del fuoristrada. Sallah, però, doveva aver già previsto ogni cosa, perché si affrettò a sterzare e ad accelerare per sorpassare il camion, dirigendosi verso la berlina.
   Ora toccava a Indiana Jones. Affrontare quattro uomini armati di Kalashnikov non sarebbe stata una passeggiata, ma se fosse riuscito a entrare nel cassone forse avrebbe avuto qualche chance in più. Non credeva che i sovietici sarebbero stati così avventati da mettersi a sparare alla cieca in uno spazio tanto ristretto, dove avrebbero potuto colpirsi da soli. Almeno, lo sperava.
   Spiccato un balzo, si portò al limite del cassone. Afferrò con le mani la sbarra metallica dell’impalcatura che sosteneva il telone. Trasse un profondo sospiro. Adesso o mai più.
   Con una mossa che avrebbe fatto invidia al migliore acrobata del circo Dunn & Duffy, Indy compì una piroetta in avanti per guadagnare l’entrata del cassone. Si trovò la strada sbarrata da uno dei militari, ma lo colpì al volto con una pedata, mandandolo a sbattere contro i suoi commilitoni, che furono sbilanciati all’indietro.
   Approfittando di quel momentaneo vantaggio, l’archeologo si lanciò all’interno del camion e iniziò a colpire a destra e a manca con pugni e calci. Spaccò il naso al più vicino e gli strappò dalle mani il Kalashnikov, adoperandolo poi come una clava per accanirsi contro gli altri.
   Lo spazio era davvero ristretto, occupato quasi per intero dalla cassa in cui era custodito il carro di Ramses. Muoversi era reso ancora più complicato dagli urti e dai sobbalzi a cui era di continuo sottoposto il camion. Senza curarsi di niente, Indy si buttò imperterrito contro gli avversari.
   Presto, tra l’americano e i russi ebbe inizio una vera e propria zuffa. Se i secondi avevano dalla propria parte il numero e la giovinezza, il primo era senza dubbio mosso da un vigore dovuto a ben altri fattori. Jones sapeva bene che, cedere, avrebbe significato morire. E lui non era lì né per cedere né, tantomeno, per morire.
   Assestò una testata al soldato che gli stava davanti. Con uno scrollone si liberò da quello che lo aveva afferrato alle spalle nel tentativo di immobilizzarlo. Tenendo ancora il fucile per la canna, ne fracassò il calcio sulla testa di un terzo.
   Ovviamente, dare significava anche ricevere.
   Un pugno lo raggiunse allo zigomo destro, un altro al labbro. Un calcio all’inguine gli fece vedere le stelle e una serie di colpi alla schiena lo costrinsero a piegarsi in avanti. Gli avversari, per quanto malconci e colti alla sprovvista dalla sua tenacia inattesa, erano più che determinati a non dargliela vinta.
   Il camion sbandò di nuovo, rovesciandoli tutti a terra.
   Indy fu lesto a rialzarsi per primo e, trovato un altro fucile abbandonato, cominciò ad adoperarlo come una clava per colpire in testa i russi rimasti stesi.

 
* * *

   «Attento, papà!» gridò Moshti, che era scivolato sul sedile anteriore rimasto libero.
   Superato il camion, Sallah era piombato come una furia addosso alla berlina. La spessa lamiera della Willys resistette bene al nuovo urto, mentre la macchina russa fu sospinta in avanti e mandata in testacoda.
   «Spero che poi al cantiere non mi vorranno chiedere i danni per avergli rovinato la macchina» borbottò gioviale l’egiziano, tamburellando sul volante.
   Decelerò per assorbire l’urto e fu in quel momento che si udì il grido di suo figlio. L’autista della Moskvitch, girando il volante, era infatti riuscito a rimettere dritta l’automobile e si era affiancato al fuoristrada. Il colonnello Volkov, che perdeva sangue dal naso a causa dell’urto, si stava sporgendo verso di loro, puntando la pistola contro la testa di Sallah.
   Gridando, lo scavatore frenò di colpo per portarsi fuori tiro. La berlina proseguì la sua corsa, innocua, mentre il camion, che procedeva proprio dietro di loro, si trovò improvvisamente la strada sbarrata. Rispondendo a un senso istintivo, il guidatore del pesante automezzo reagì sterzando di colpo nel tentativo di evitare l’urto.
   Per la seconda volta in pochi minuti, il GAZ uscì di strada. In quel punto la corsia correva a lato di una falesia rocciosa, contro cui il cassone andò a sfregare. L’urto fu tale che tutto il camion rimbalzò, tra diversi scossoni.

 
* * *

   Con un deciso colpo ben assestato sul cranio, Indy mise fuori combattimento anche l’ultimo dei russi ancora in grado di opporre una minima resistenza. Adesso che la scorta era sistemata, non restava che impadronirsi del camion e portarlo in un posto sicuro. Quale potesse essere, questo posto, era ancora tutto da stabilire.
   «Una cosa per volta» brontolò.
   Barcollando, raggiunse di nuovo il fondo del camion e si appese nuovamente alla struttura che reggeva il telone. Con uno sforzo, riuscì a sollevarsi e si trovò di nuovo all’aperto, con l’aria che gli sferzava il volto e la sabbia che vorticava tutto attorno.
   Guardò davanti a sé e vide il fuoristrada dei suoi amici che avanzava a zig-zag. Comprese molto presto il motivo di quella strana andatura. Dalla berlina russa, per quanto malmessa, qualcuno stava esplodendo dei colpi di proiettile.
   «Tenete duro» borbottò, iniziando a trascinarsi sopra il telo.
   Non fu semplice. Più di una volta rischiò di scivolare a causa degli urti continui. Per un attimo ebbe persino il timore di cadere, quando una cunetta fece sobbalzare con violenza il camion. Si mantenne saldo e continuò ad andare avanti, guadagnando centimetro dopo centimetro.
   Finalmente aveva raggiunto la motrice. Decise di non indugiare oltre. Con uno scatto deciso, si appese al finestrino dalla parte del passeggero e, infrangendo il vetro con i piedi, entrò nella cabina.
   L’autista, però, non si lasciò cogliere impreparato. Tenendo una mano sul volante, gli puntò contro l’altra, armata di pistola, e fece fuoco.
   Indy strinse i denti e represse a stento un grido quando una fitta straziante gli attraversò il braccio sinistro. Il proiettile gli aveva colpito il muscolo, mancando l’osso di pochi millimetri soltanto. Il sangue cominciò a inzuppargli la camicia e il giubbotto dalla manica lacerata. Decise di non pensarci.
   Con il pugno destro fece saltare di mano la pistola al russo, prima che potesse fare fuoco nuovamente. Poi gli si avventò contro, tempestandolo di colpi. Nel tentativo di difendersi, il militare fece leva sul volante.
   Il camion sterzò quasi a novanta gradi, correndo per l’ennesima volta il rischio di ribaltarsi. Questa volta uscì definitivamente di strada e iniziò ad avanzare a grandi balzi sopra una distesa sabbiosa, dirigendosi in direzione del Nilo, che scorreva a qualche chilometro di distanza. Una striscia blu e placida, sempre più vicina.
   Resosi conto del pericolo imminente, Indy colpì con un pugno più forte l’autista. L’uomo picchiò la testa contro il retro della motrice e si accasciò in avanti, stordito.
   «E levati di torno!» brontolò Indy.
   Allungandosi sopra di lui, riuscì ad afferrare la maniglia della portiera e a spingerla per spalancarla. Poi, senza troppi riguardi, buttò il corpo inerte del sovietico giù dal camion in corsa.
   Ignorando le fitte che andavano aumentando sempre di più, Indy prese posto al volante e, dopo aver frenato, sterzò, girando il muso del camion di nuovo in direzione della strada. Con terrore, vide che il fuoristrada era immobile e la berlina gli si stava dirigendo addosso a grande velocità.

 
* * *

   Quando Volkov cominciò a sparare all’impazzata, Sallah poté soltanto reagire girando a casaccio il volante nel tentativo di non offrire un facile bersaglio.
   «Faremmo meglio a toglierci da qui!» ululò Boris, le mani sopra la testa.
   «No!» ruggì Sallah. «Indy ha bisogno di noi e noi resteremo qui per dargli man forte!»
   Quindi continuò a guidare in quella maniera folle, sperando che bastasse per evitare troppi guai.
   A dire il vero, si sentiva piuttosto inquieto. Non gli importava granché di quello che sarebbe potuto essere di se stesso o di Indy – insieme, avevano affrontato troppe volte la morte per poterla ancora temere – ma aveva una paura folle che potesse capitare qualcosa di brutto ai suoi figli. Non era stata una buona idea, quella di accettare di portarli con sé.
   Però, se da un lato l’istinto gli diceva di dare ascolto alle parole del russo e tagliare la corda per portare al sicuro i ragazzi, dall’altro la sua coscienza gli ordinava di rimanere dove si trovava, a ogni costo. E Sallah non era un vigliacco. Indy aveva bisogno di aiuto e lui glielo avrebbe dato fino alla fine, sacrificando ogni cosa, se fosse stato necessario.
   Un proiettile preciso da parte di Volkov raggiunse lo pneumatico anteriore sinistro. L’automobile cominciò a sobbalzare e il volante a vibrare, ma Sallah riuscì ugualmente a mantenere il controllo. Anche le ruote di destra esplosero, una dietro l’altra. La Willys si trovò nell’impossibilità di proseguire la sua pazza corsa.
   «Dannazione!» imprecò Sallah, dando una manata al volante quando, ormai incapace di controllare il fuoristrada, fu costretto a fermarsi in mezzo alla carreggiata.
   Di rado gli capitava di perdere le staffe, ma in quel momento non avrebbe saputo che altro dire o fare.
   Si voltò verso Yasmin e Moshti, deciso a urlare che uscissero e scappassero a gambe levate, quando una visione lo fece agghiacciare. La Moskvitch avanzava a grande velocità verso di loro, con tutte le intenzioni di speronarli per infliggergli il colpo di grazia.
   Con un ruggito, dal campo che si trovava a lato della strada uscì il GAZ, simile a un mostro di ferro. Il camion occupò per intero la visuale di Sallah e si gettò addosso alla berlina, distruggendone per intero il cofano. L’automobile venne scagliata di lato e si rovesciò oltre il ciglio della carreggiata, in un clangore di ferraglia e di lamiere che si accartocciavano.
   Sbuffando come una bestia soddisfatta dopo una lotta furibonda contro un avversario particolarmente tenace, il camion si fermò in mezzo alla strada. Dal finestrino si sporse Indiana Jones, il solito ghigno da psicopatico stampato in viso. Fece un cenno in direzione del fuoristrada ormai inutilizzabile.
   «Serve un passaggio?» domandò.


 
   
 
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