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Autore: IndianaJones25    26/01/2022    1 recensioni
Di ritorno da una disavventura in Australia, Indiana Jones scopre che il suo vecchio amico Sallah si è volatilizzato, senza lasciare tracce.
Indy decide allora di partire verso l’Egitto meridionale, dove è in corso una delle più grandi imprese archeologiche del Novecento, per poter rintracciare il suo amico scomparso. Ancora non sa che questo lo condurrà nell’ennesima sfida contro il tempo per sventare un complotto che, se andasse a buon fine, potrebbe portare nelle mani dei sovietici un’antica e pericolosa arma, risalente all’epoca degli dèi e dei faraoni…
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Henry Walton Jones Jr., Nuovo personaggio, Sallah el-Kahir
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    16 - IL CONTRATTACCO DEI RUSSI

    Luxor, Egitto

   Erano in viaggio da ormai più di quattro ore.
   Boris e Moshti si erano assunti l’incarico di condurre il veicolo, alternandosi al volante lungo la stretta strada che, costeggiando il Nilo, risaliva verso il settentrione. Indy, Sallah, Yasmin e Oleg, invece, dopo aver buttato fuori gli uomini inerti che avevano fatto da scorta al carro di Ramses, si erano seduti nel cassone, cercando di riposare dalle fatiche che li stavano tormentando.
   Indy, in particolare, era spossato. Da quando era giunto ad Abu Simbel, la mattina precedente, erano successe così tante cose che pareva essere trascorsa perlomeno una settimana. Tra risse, lotte, scavi, ricerche, fughe, inseguimenti e altre lotte, sembrava quasi impossibile che fossero passate poco più di ventiquattro ore solamente.
   «Forse sto sul serio cominciando a farmi vecchio» pensò, mentre provava a spostarsi e una fitta gli attraversava il braccio ferito.
   Yasmin lo aveva aiutato a medicarsi alla meglio. A bordo del fuoristrada avevano un kit del pronto soccorso, che la ragazza aveva avuto il buon senso di prendere con sé prima di salire sul camion. Nonostante le sue proteste, non aveva voluto sentire ragioni e si era subito adoperata per sistemarlo.
   «Non ho bisogno di un’infermiera» si era lamentato l’archeologo, mentre lei lo aiutava a stendersi sul pianale, vicino al fondo del cassone, e gli sfilava il giubbotto e la camicia.
   «Non dire sciocchezze, zio Indy» replicò lei. «Sei conciato peggio di un colabrodo.»
   Per fortuna, la ferita non si era rivelata grave come era sembrato a prima vista. Il proiettile non era rimasto incastrato nella carne, e il taglio non era profondo. Con una buona dose di disinfettante e qualche benda, Yasmin era riuscita a ricucirlo. Dopo, però, Indy non aveva voluto sentire ragioni e si era subito rivestito, dicendo che degli altri lividi se ne sarebbe occupato quando sarebbe stato il momento.
   Adesso era il solo a essere sveglio, nel cassone.
   Oleg dormiva con la schiena appoggiata alla cassa del carro, il respiro pesante. Sallah russava come un trombone stonato, sdraiato vicino all’apertura del cassone. Indy e Yasmin erano rimasti sul fondo del camion e la ragazza si era assopita con la testa appoggiata alla sua spalla. I suoi sospiri leggeri e regolari gli infondevano una certa nostalgia. Nostalgia di casa.
   Indiana Jones doveva riconoscere di provare il desiderio sempre più forte di fare ritorno a casa sua, da Marion. Cominciava ad avere voglia di stendersi un po’ e, per qualche settimana, condurre una normalissima vita da perfetto borghese americano, senza una sola preoccupazione al mondo che non fosse altro che leggere il giornale o guardare la televisione.
   In lui, ovviamente, il richiamo dell’avventura era sempre molto forte e, ormai, era certo che sarebbe rimasto immutato per sempre. Nondimeno, nonostante si atteggiasse sempre come un giovanotto, cominciava a riconoscere che l’età non più rosea iniziava a farsi sentire. Mentre un tempo trascorreva le sue giornate in compagnia del crescente desiderio di partire ancora una volta per sfidare l’ignoto, ora viveva quelle sue imprese con il pensiero costante del ritorno a casa. Era una differenza davvero notevole.
   Sposarsi, mettere su una famiglia, lo aveva mutato. Anche se non era cambiato del tutto, doveva almeno riconoscere che la sua percezione del mondo si fosse in un certo senso trasformata. Non era un cambiamento che era stato dovuto all’età, bensì alla sua condizione di marito e di padre.
   Posò una mano sulla spalla di Yasmin e le fece una leggera carezza.
   Era davvero una fanciulla deliziosa, con quel suo naso leggermente arcuato, la pelle olivastra e i tratti fini ma decisi. I capelli, che le sfuggivano da sotto il velo, erano riccioli e nerissimi. Fino a pochi anni prima, Indiana Jones avrebbe senza dubbio perso la testa per una giovane tanto affascinante. Ora era tutto diverso. Ora si sentiva spinto verso di lei da un istinto paterno. E anche in questo caso l’età non contava affatto. Non si era mai fatto problemi nel concupire donne appartenenti a generazioni ben lontane dalla sua, sia in avanti che indietro nel tempo. Se ora la guadava con questo affetto, era ancora una volta dovuto al suo matrimonio, che lo aveva reso un uomo diverso. Migliore? Non poteva esserne certo, ma almeno lo sperava.
   Una variazione negli scossoni del camion lo riscosse dai suoi pensieri. Stavano rallentando.
   Con un grugnito, si alzò e, barcollando, raggiunse il retro del cassone per guardare fuori e capire dove fossero arrivati.
   Erano a Luxor. Dall’altra parte del fiume, il complesso monumentale del tempio di Amon brillava nel caldo sole del mattino come un gioiello ricavato dalla pietra. Il Nilo scorreva placido e azzurro, contornato da palme e da sicomori.
   Indy si lasciò sfuggire un sospiro, ricordando le sue precedenti visite a quel tempio. Lo aveva visitato innumerevoli volte, eppure ogni volta sapeva regalare emozioni uniche, anche se visto da lontano. Era il fascino immortale dell’antico Egitto, un respiro magico e irripetibile che, dai tempi remoti dei grandi faraoni, era giunto intatto fino al presente. L’Egitto, Kemet, era ancora una terra sacra, da cui gli dèi non se n’erano mai veramente andati.
   Gli dèi, che stavano in cielo, proprio come quei due puntini in avvicinamento. Uccelli? Ibis, forse. Eppure gli sembrava che si muovessero un po’ troppo velocemente per essere uccelli, e che producessero un rumore che non aveva niente a che fare con i pennuti. Rotori. Pale che fendevano l’aria.
   Tenendosi aggrappato all’impalcatura del telone, Indy strinse gli occhi mentre cercava di vincere la brillantezza quasi accecante del cielo splendente. I due puntini neri assunsero in fretta la forma di altrettanti elicotteri. Mil-Mi 6 di fabbricazione sovietica.
   Uno dei due elicotteri sorvolò il camion e lo sorpassò a volo radente, così vicino che l’archeologo si sentì sferzare dallo spostamento d’aria. Se il dubbio che non ce l’avessero con loro gli aveva attraversato per un istante la mente, la scritta CCCP sulla coda del grande veicolo militare gliela cancellò.
   «Sveglia, sveglia!» gridò, mentre il tir, sussultando, frenava di colpo per non andare a schiantarsi contro il grosso elicottero che era atterrato di traverso in mezzo alla strada, occupandola completamente.
   Indy fu scagliato in avanti dalla forza d’inerzia. Anche gli altri si rovesciarono e la cassa in cui era racchiuso il carro fu scagliata contro il fondo del camion. Mancò Yasmin soltanto di pochi centimetri.
   «Porca miseria…» borbottò Indy, rialzandosi e scansando Sallah che, ancora intontito, faticava a comprendere che cosa fosse appena accaduto.
   Corse all’imbocco del cassone e una smorfia di disappunto gli deformò il volto.
   Anche il secondo elicottero era atterrato, sollevando un gran polverone, e ne stavano scendendo in fretta una trentina di uomini armati di Ak-47, tutti puntati contro di loro.

 
* * *

   Il furore che attraversò il colonnello Volkov quando l’automobile distrutta si fu fermata oltre la carreggiata fu più che sufficiente a comunicargli di essere sopravvissuto al disastroso incidente. Aveva un dolore terribile al fianco sinistro e si sentiva le dita intorpidite, ma ciò che contava era di essere vivo.
   Si voltò a guardare l’autista. Morto. Il piantone dello sterzo gli si era conficcato nel petto e lo aveva attraversato da parte a parte. A fatica, si girò a controllare il professor Smolnikov. L’archeologo aveva un taglio sopra la fronte, ma era vivo, sebbene frastornato.
   Volkov cercò di muoversi, ma aveva i piedi incastrati tra le lamiere. Senza curarsi dei tagli che così si provocò sulle mani, cominciò a spostare da solo il metallo tagliente. Si ferì in diversi punti, ma nemmeno un lamento gli sfuggì dalle labbra. Finalmente, dopo quasi mezz’ora di lavoro, fu in grado di liberarsi.
   Uscì dal rottame e si arrampicò fino alla strada. Come presagiva, il camion era scomparso. I suoi uomini, invece, erano ancora lì. Jones e i suoi maledetti amici dovevano averli buttati fuori prima di svignarsela. Li guardò uno per uno. Feriti, ma vivi anche loro.
   «Tirate fuori il professore!» gracchiò, facendo loro cenno di avvicinarsi.
   Quei soldati erano abituati a obbedire e non si fecero ripetere l’ordine, anche perché Volkov non dava affatto l’idea di voler essere contrariato, in quel momento. Lo superarono in fretta, ma il colonnello ne fermò uno, che trasportava appesa alla cintura una radio ricetrasmittente.
   «Fermo, dammi la radio» sbottò.
   Come l’ebbe in mano, si sintonizzò su un canale di comunicazione e si mise in contatto con il comando di Assuan.
   «Voglio tutti i mezzi e gli uomini disponibili, il più in fretta che sia possibile!» sbraitò.
   Il suo tono fu talmente eloquente e spaventoso che, chi prese la comunicazione, non trovò il coraggio di obiettare nulla.
   «Sarà fatto, compagno colonnello!» si limitò a ribadire.
   Dopo un’altra mezz’ora, che a Volkov parve durare quanto un’eternità, un elicottero atterrò a breve distanza, mentre il secondo si mantenne in aria, pronto a ripartire subito.
   «Venti uomini su questo elicottero e altri trenta sul secondo!» comunicò l’ufficiale che accolse a bordo il colonnello. «Tutti gli uomini di cui disponiamo, compagno.»
   Volkov fece un cenno di assenso e ordinò a Smolnikov di prendere posto accanto a lui.
   «E adesso inseguiamoli» disse, digrignando i denti.

 
* * *

   Indy comprese immediatamente di non poter opporre alcuna resistenza. Gli elicotteri bloccavano la strada sia in avanti che indietro, quindi sperare di fuggire era impossibile. E cercare di lottare sarebbe stata una follia: anche se, sul camion, erano rimasti i Kalashnikov abbandonati dai russi, non avrebbero potuto resistere a lungo contro cinquanta uomini armati fino ai denti. Avrebbero tramutato il camion in un crivello e, per loro, non ci sarebbe stato alcuno scampo.
   Restava soltanto una cosa da fare.
   «Arrenderci?» borbottò Sallah, quando Indy ebbe finito di parlare.
   L’archeologo gli appoggiò una mano sulla spalla con fare fraterno.
   «Non abbiamo scampo» rispose. «O ci consegniamo, o ci facciamo ammazzare tutti quanti.»
   Sallah esitò. Un’espressione di disappunto gli si dipinse nello sguardo.
   «Indy, tu lo sai che io, per te, farei qualsiasi cosa» sussurrò. «Però…» Si voltò verso Yasmin che, impassibile, attendeva accanto alla cassa del carro che avessero finito di confabulare.
   «Lo so» rispose Indy, stringendo un po’ più forte la presa sulla spalla dell’amico. «Fossimo solo noi, due vecchi, capirai… ma non ci siamo solo noi, stavolta. Dobbiamo pensare a loro. E specialmente a Yasmin.»
   Sallah annuì. Lui e Indiana Jones erano talmente in sintonia che non avevano nemmeno bisogno di parlare, per riuscire a intendersi.
   Si avvicinarono all’uscita del cassone e, restando nascosto nell’ombra, Indy individuò il punto in cui si trovava Volkov.
   «Stiamo per scendere!» urlò. «Ci assicurate che non ci sparerete?»
   Trascorsero alcuni secondi, poi la voce del colonnello si fece udire in risposta.
   «Siamo militari, non barbari, professor Jones!» gridò. «Ma niente scherzi. Al primo movimento sospetto, i miei uomini hanno l’ordine di aprire il fuoco! Venite fuori con le mani alzate e disarmati!»
 Indy indugiò per un istante a guardare i suoi amici, poi slacciò il cinturone con la frusta e il revolver e lo lasciò scivolare sul pianale. Quindi, tenendo le braccia alzate con le mani bene in vista, saltò per primo fuori dal camion. Sallah, Yasmin e Oleg lo seguirono quasi subito.
   Vennero immediatamente circondati. Una vera e propria selva di canne di mitra puntate contro di loro. Con la coda dell’occhio, l’archeologo notò Volkov che veniva nella loro direzione, facendosi largo tra i suoi soldati. Al suo fianco c’era Smolnikov. Erano entrambi malconci, ma fin troppo vivi per i suoi gusti.
   «E gli altri due?» sbottò il colonnello.
   Indy e Sallah si scambiarono una rapidissima occhiata. Tornarono a voltarsi verso Volkov.
   «Quali altri due?» ripeterono in coro, fingendosi stupefatti.
   Lo sguardo del colonnello si indurì, facendosi più gelido di un blocco di ghiaccio. Nemmeno il bollente sole egiziano sarebbe stato in grado di scioglierlo.
   «Non prendetemi in giro!» ululò. «C’erano quei due alla guida del camion! Il ragazzo con i baffi e il compagno di questo idiota!» aggiunse, dando un ceffone a Oleg, che restò impassibile.
   «Le assicuro che ci siamo soltanto noi» sbottò l’archeologo.
   Volkov lo guardò per alcuni istanti, poi si volse verso un sottoufficiale.
   «Andate a cercarli e portatemeli» ordinò, brusco. «Se quando li trovate oppongono resistenza, usate la forza.»
   Quindi, alzati gli occhi in direzione del tempio di Luxor, sorrise in maniera sinistra.
   «Prendete la cassa e trovate una chiatta per attraversare il fiume e raggiungere quel luogo» disse. «Se il carro d’oro è davvero potente come si racconta, è venuto il momento di scoprirlo, senza perdere altro tempo in indugi.»
   Indy e Sallah si scambiarono un’altra occhiata. Erano preoccupati, ma un pur lieve filo di speranza resisteva ancora. Forse non tutto era perduto. Bisognava soltanto avere un po’ di fiducia.
   Un nutrito gruppo di militari li prese tutti e quattro in consegna e li costrinse ad avviarsi verso il Nilo. Gli altri soldati, indaffarati, scattavano da tutte le parti, mentre le pale degli elicotteri, ancora in movimento, producevano una brezza calda e soffocante, intrisa dell’odore acre del combustibile.

 
* * *

   Non appena ebbe inchiodato, vedendo che il grosso Mil-Mi 6 si stava abbassando proprio davanti a loro, Boris comprese in fretta di dover fare qualcosa. La loro salvezza era tutta riposta nella velocità con cui sarebbero riusciti a sottrarsi alla cattura.
   «Presto, fuori!» ordinò, spalancando la portiera e trascinando con sé il ragazzo.
   La strada era avvolta in una nube spessissima di sabbia, sollevata dai rotori dei due elicotteri che si avvicinavano a terra. Approfittando di quella momentanea e involontaria copertura che i suoi ex alleati gli stavano offrendo, l’agente afferrò Moshti per il polso e lo guidò oltre il ciglio della strada.
   «Dobbiamo aiutare Yasmin, papà e gli altri…!» urlò il giovane, cercando di opporre resistenza.
   Boris adoperò tutte le risorse del suo addestramento da agente segreto per impedire che lo ostacolasse puntando i piedi per terra.
   «Non c’è tempo!» urlò, sovrastando a stento il rumore assordante degli elicotteri. «Dobbiamo prima pensare a noi, per poi tornare a prenderli. Non li abbandoneremo. Adesso, però, il solo sistema per aiutarli è evitare di essere presi anche noi!»
   Continuò a tirarlo, guidandolo verso un gruppo di casupole allineate lungo il fiume: un dedalo di vicolini stretti e bui. Lì sarebbe stato semplice far perdere le proprie tracce prima ancora che Volkov, accorgendosi della loro assenza, desse l’ordine di farli cercare. Perché era più che certo che il maledettissimo compagno colonnello non si sarebbe arreso.
   Boris, però, era stato addestrato dal KGB. Sapeva come agivano i militari dell’Unione Sovietica, conosceva le loro strategie di ricerca. Avrebbe anticipato ogni loro mossa, rendendosi invisibile fino a quando non fosse giunto il momento di cogliere l’attimo e farsi vedere di nuovo.
   «Di qua!» sbottò con tono secco, entrando in un vicolo piuttosto sudicio. Un gatto che stava rovistando tra i rifiuti, spaventato dalla loro irruzione, rizzò il pelo e soffiò, prima di dileguarsi velocemente.
   Moshti gettò un’ultima occhiata al camion, già circondato da decine e decine di militari. Comprese che, se avessero provato ad aspettare gli altri, sarebbero stati catturati anche loro. Il russo aveva avuto ragione. Sapeva fare il suo mestiere.
   «Potremo salvarli?» domandò, disorientato.
   Boris guardò a sua volta verso il camion e, dopo un breve istante, annuì.
   «Sì, ci riusciremo. Fidati di me.»
   Moshti lo fissò con intensità. Decise di fidarsi.
   L’uomo fece un cenno e il ragazzo lo seguì.


 
   
 
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