Anime & Manga > Demon Slayer/Kimetsu no Yaiba
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Autore: Milkyna    28/01/2022    0 recensioni
Sono trascorsi cinquant'anni dalla morte di Akaza, e la sua anima giace ora all'Inferno. Nonostante la sollecita presenza di Koyuki, i suoi pensieri sono tutti rivolti ad una persona, ed è questa la condanna più pesante da sopportare...
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Hakuji/Akaza, Koyuki, Kyoujurou Rengoku, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
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L’Inferno era tutto un brulicare di anime urlanti, lamenti incessanti e pianti eterni, arrivati troppo tardi a chiedere perdono.

I diavoli, servitori del signore di quelle terre inospitali, radunavano a mucchietti i feroci assassini, gli stupratori seriali e i traditori dell’umanità stessa, coloro che in vita avevano perso la loro anima in cambio di un’immortalità a metà, bagnata dal sangue.

I demoni, ritrasformati in esseri umani, venivano puniti con violenza, afferrati con uncini infuocati e messi a cuocere nel sakè bollente.

C’era chi invece si era macchiato di crimini peculiari, quali l’omicidio-suicidio: costoro erano infilati a forza sotto un’immensa lastra di ghiaccio: le persone più disonorevoli, nell’Inferno del Jigoku venivano prontamente silenziate.

Un giovane dallo yukata scuro camminava incerto sul terreno bruno, che solo a smuoverlo faceva risalire in superficie spruzzi di lava e vapore acqueo.

Accanto a lui, c’era una bella ragazza, Koyuki Soyama, la quale lo teneva a braccetto con aria rassicurante.

Hakuji, questo il nome del ragazzo, era un peccatore, un divoratore di uomini, un vendicatore che aveva ucciso a sangue freddo sessantasette uomini con le sue nude mani.

Quei malvagi gli avevano portato via maestro e futura moglie, e lui aveva lavato via quel crimine con il sangue che aveva appestato l’aria per settimane, mesi interi.

L’odio che aveva provato il diciottenne aveva attratto a sé il capo dei demoni, e lui era entrato a far parte di quella famiglia malata, di cui avrebbe fatto parte per un secolo e mezzo abbondante, diviso tra la volontà di diventare sempre più forte, la voglia di spezzare il collo al suo superiore Doma per poi lasciarlo bruciare al sole, e la lealtà con la quale obbediva a Muzan, la Luna Piena, il Demone progenitore.

Quanto alla bella Koyuki, lei era innocente. Era morta a sedici anni e non aveva mai fatto del male a nessuno.

Lo aveva seguito negli Inferi per amore.

Poteva l’amore arrivare a simili picchi di follia? Hakuji non lo sapeva.

Frattanto, i diavoli seguitavano a punzecchiare peccatori sulla schiena nuda, a tatuare parole quali “assassino” e “violento” su braccia, clavicole e fronti, ad afferrare per i capelli le Medee che avevano dato la vita per poi toglierla.

Hakuji veniva ciclicamente condannato a soffrire un buco nelle viscere, che col tempo si richiudeva.

Una condanna singolare, che assumeva però i contorni della tortura infinita più nella mente che nel corpo dell’eterno giovane.

Sadicamente, i diavoli gli avevano marchiato una fiamma sull’addome.

Un tatuaggio bello da vedere, insopportabile da patire.

Dal nucleo grigio partiva una fiammella gialla, poi una rossa, poi una arancione.

Hakuji veniva spogliato del suo yukata e fatto specchiare, affinché quel tatuaggio continuasse a tormentarlo al di là delle retine, fino al cuore ed al cervello.

Koyuki restava con lui quando veniva sottoposto a quella tortura, ma non poteva fare alcunché per aiutarlo, o l’avrebbero mandata nella Terra dei Defunti, dove si allietavano i giusti, e questa volta per sempre.

“Assassino.”

“Ladro.”

“Demone.”

Koyuki ascoltava quelle parole dure come frustate; conosceva i trascorsi di Hakuji come umano e sapeva che per oltre un secolo aveva terrorizzato le genti e divorato una quantità incredibile di uomini nei panni di demone.

Ma non sapeva nulla del marchio a forma di fiamma, e Hakuji si rifiutava di risponderle.

Un giorno, dopo l’ennesima tortura, con le lacrime agli occhi lo aveva implorato:

“Cosa significa, Hakuji, dimmi cosa significa!”

Allora un diavolo con il muso di maiale, con sadico piacere e gli occhi che brillavano le aveva risposto:

“Onorevole da parte tua essere qui con il tuo sposo, la cui mente arde obnubilata dal desiderio per la fiamma impressa prima nel pensiero che nelle carni.”

I begli occhi di Koyuki scrutarono con fare interrogativo prima il diavolo e poi il marito, che seguitava a sanguinare e a guardare per terra.

Quando i diavoli si furono allontanati, Koyuki accarezzò la fronte sudata di Hakuji. Non sapeva più cosa fare per sondare l’animo enigmatico del suo compagno, qualcosa di duro e impenetrabile come un diamante nero.

Incredibilmente, fu lui a parlare, finalmente, dopo un lungo sospiro.

“Il marchio che mi hanno inflitto appartiene alla famiglia di un uomo che ho ucciso.”

Koyuki sussultò; finalmente poteva avere le risposte tanto agognate.

Hakuji si guardò le mani, focalizzandosi su quei solchi che avevano stretto colli e spezzato ossa.

Già si era pentito di averle detto quelle cose, e infatti non trovava il coraggio di continuare a raccontare.

“Perché ti hanno impresso proprio quel marchio?”

In fondo, Hakuji aveva ucciso uomini provenienti da moltissime famiglie, sia da umano che da demone.

Le palpebre del ragazzo si abbassarono, malinconiche.

“Perché quell’uomo...”

Cosa poteva dirle? Che avrebbe voluto rivederlo, ma che era impossibile perché le anime pie non si mescolavano con la feccia? Che aveva cercato di corromperne la fiammante purezza? Che avrebbe voluto averlo accanto per tutta l’eternità e forse anche oltre?

Dov’era lei quando bruciava di piacere demoniaco? Era nei suoi attacchi, nei nomi e nelle forme delle sue tecniche. Lui aveva usato l’amore gentile e intenso di sua moglie per sedurre un uomo giusto, per sporcarlo. Ancora una volta Hakuji pianse, intossicato dalla spirale di violenza nella quale era precipitato e dalla quale faticava a uscire.

Lui era con i suoi cari nella Terra dei Defunti, con il suo sorriso, i suoi occhi di Sole, i capelli indomabili e lo spirito incandescente. Lui non avrebbe mai ascoltato le sue parole di perdono, non l’avrebbe mai consolato. Lui non l’avrebbe mai più rivisto.

Credeva che la passione velenosa che gli aveva pervaso ogni fibra sarebbe sparita una volta morto, una volta tra le braccia dolci di Koyuki.

Invece era stato tutto inutile e forse sarebbe stato meglio che lui l’avesse rimandata tra le persone giuste, anziché farle respirare l’olezzo dello zolfo e farle ascoltare i continui pianti di gente che in vita aveva levato la spada contro i propri fratelli.

Erano trascorsi cinquant’anni dalla sua morte, e tutti coloro che in vita erano stati i suoi compagni di uccisione ora giacevano smembrati in blocchi di ghiaccio, o erano costretti a far girare a vuoto una macina da mulino frustati da diavoli femmina, come era accaduto a Doma.  

Non sentiva la mancanza per nessuno di loro.

Provava solo una nostalgia talmente potente da renderlo completamente insensibile a qualunque stimolo.

Ancora una volta, pensava a lui.

Come il giorno prima, come il mese prima, come vent’anni prima.

Ogni singolo giorno ripensava al Sole che aveva lasciato e mai più ritrovato, e che gli aveva lasciato una pesante scottatura sulla pelle.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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